2
Il comune punto di partenza di tale ripensamento deve
essere rintracciato nelle dimensioni acquisite dalla presenza
dello Stato nell’economia, evidentemente ritenute
eccessivamente ampie.
La formalizzazione teorica dell’interazione economica tra
pubblico e privato ha attratto negli ultimi venti anni
un’attenzione crescente, dando origine ad una vasta letteratura.
Questo rinnovato interesse è stato alimentato dalla
realizzazione in molti paesi industrializzati di importanti
riforme istituzionali volte a ridurre lo spazio di intervento del
settore pubblico nella determinazione degli indirizzi strategici
del sistema economico.
Rientra in questo quadro il vasto programma di
privatizzazione avviato all’inizio degli anni ‘80 nel Regno
Unito e seguito, seppure in scala ridotta e con modalità diverse,
in molti paesi europei. Si pensi, per esempio, alla Francia e, più
recentemente, a Germania e Svezia, Danimarca, Spagna.
A partire dalla metà degli anni ‘80 il processo di
privatizzazione si è esteso ai servizi di pubblica utilità, quali
acqua, gas, telecomunicazioni ed elettricità, tradizionalmente
caratterizzati da una forte presenza regolativa pubblica, che, in
3
Europa, ha assunto storicamente la forma della proprietà
pubblica.
Gli obbiettivi assegnati all privatizzazioni sono stati
numerosi ed hanno ricevuto differenti priorità a livello
nazionale.
Nel caso britannico, ad esempio, grossa enfasi è stata data
alla necessità di liberare il cittadino dalla “mano morta dello
Stato”, privilegiando dove possibile la disciplina del mercato al
controllo politico.
Il dibattito sulle privatizzazioni in Francia è stato, invece,
dominato dalla preoccupazione di salvaguardare l’interesse e
l’identità nazionale
1
.
L’ultimo ventennio ha visto, così, in Europa
2
una crescente
diminuzione dell’intervento pubblico in campo economico,
quasi seguendo una « moda » contraria a quella che in passato
1
È proprio su argomentazioni di questo tipo che il Presidente Mitterrand nel
luglio 1986 ha deciso di non firmare il decreto sulle privatizzazioni proposto
dal governo Chirac.
2
Un quadro complessivo sulle esperienze di privatizzazione maturate in
Europa è fornito da VANTELLINI, Le operazioni di privatizzazione:
esperienze internazionali e opportunità per l’Italia, Milano, 1992; PADOA
SCHIOPPA, “Procedure di privatizzazione: sei esperienze a confronto”, in
Bollettino Economico della Banca d’Italia n° 17, 1991, p. 68 e ss.; CHIRI,
“Privatizzazioni: tipologia, razionalità economica, principali esperienze”, in
Banca d’Italia, Contributo all’analisi economica ...., Roma, 1989, pp. 81-122;
e dagli atti del convegno “Le privatizzazioni di imprese, esperienze
internazionali ed opportunità per l’Italia”, Università Bocconi, Milano, 16
giugno 1992.
4
ha condotto alla pubblicizzazione di gran parte dei settori
industriali
3
.
Indipendentemente dall’area ideologica di appartenenza,
infatti, è sempre più avvertita dalle nazioni la necessità di
ridisegnare la funzione dello Stato nell’economia
4
, non tanto per
una ridefinizione della frontiera tra pubblico e privato, quanto
per l’individuazione di una innovativa architettura del mercato
3
Una valutazione in questi termini del fenomeno delle privatizzazioni è
fornita da DOSSENA, La privatizzazione delle imprese. Modalità, problemi e
prospettive, Milano, 1990, p. 6, secondo il quale “il susseguirsi di interventi
di privatizzazione e di maggiore penetrazione pubblica in economia va
principalmente ricondotto alla perenne insoddisfazione circa il grado di
raggiungimento degli obiettivi che erano preposti all’adozione di una
determinata azione di politica economica. Tale disillusione determina flussi e
riflussi ripetitivi di esperienze già sperimentate”.
4
La questione di sapere quale posto deve essere accordato in Francia al
settore pubblico nell’economia non è nuova. Questo dibattito, apparso con la
rivoluzione industriale, prosegue ancora ai nostri giorni e oppone i sostenitori
di uno Stato neutro o arbitro a coloro che sostengono uno Stato interventista.
Gli argomenti a favore di una diminuzione del ruolo dello Stato e della
instaurazione di un processo di privatizzazione riposano principalmente sulla
ricerca di una migliore efficienza economica, l’abbandono di ogni ambiguità
sugli obiettivi perseguiti dalle imprese e la riduzione dei deficit pubblici.
Coloro, invece, che si oppongono alle privatizzazioni ricordano che le leggi
del mercato non permettono di raggiungere un optimum sociale accettabile e
che solo lo Stato può correggere gli squilibri assicurando esso stesso alcune
funzioni ed in particolare le missioni del servizio pubblico. È importante,
comunque, sottolineare che il dibattito tra privato e pubblico è prima di tutto
di natura ideologica, e non trova delle vere risposte sul terreno scientifico e
ciò per due ragioni principali: a) innanzitutto, se la teoria economica può
apportare degli elementi di risposta riguardo all’interesse di costituire dei
monopoli o di regolamentare un settore, al contrario essa non ha che pochi
argomenti per quel che riguarda la scelta tra statuto privato o pubblico
dell’impresa; b) in secondo luogo, è difficile comparare empiricamente le
prestazioni di imprese pubbliche e private e stabilire la superiorità di un
sistema o dell’altro. Certo, si possono avanzare degli esempi e dei
controesempi senza per questo dimostrare che la gestione delle imprese
pubbliche da parte dello Stato sia “buona o cattiva”. Così alcuni citano il
Crédit lyonnais per criticare la gestione dello Stato; altri ritengono che senza
lo Stato Rhône-Poulenc non si sarebbe mai « raddrizzata ».
5
attraverso la trasformazione degli obiettivi conferiti alle
imprese.
Elemento decisivo di questa nuova politica sono,
indubbiamente, le privatizzazioni, espressione dai mille
significati, implicanti operazioni tra loro molto differenti, ma
che sostanzialmente individuano un approccio privatistico dello
Stato nell’economia.
Le privatizzazioni sono all’ordine del giorno quasi in tutto
il mondo, sia che si tratti di Stati che praticano l’economia di
mercato da molto tempo, di Stati in via di sviluppo o di Stati
che appartengono all’antico blocco socialista
5
.
Da semplice meccanismo economico e giuridico che essa
era all’origine, la privatizzazione è divenuta una vera politica
con delle conseguenze sociali importanti
6
.
5
Il passaggio dei Paesi di area socialista dall’economia pianificata
all’economia di mercato evidentemente presuppone e coinvolge una serie di
problemi quanto mai complessi e comunque estranei all’oggetto del nostro
esame. Su tali problematiche può vedersi NOVOTNI, “La privatizzazione: un
problema giuridico dell’Est europeo”, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 1992,
p. 1213 e ss.
6
Prima di avvicinare questi diversi aspetti non si possono non ricordare,
brevemente, le tappe in cui questo fenomeno si è sviluppato. Il punto di
partenza più significativo è verosimilmente stato il programma cileno del
1974, sopraggiunto in un contesto politico molto particolare perché si trattò
della restituzione delle imprese che erano state nazionalizzate dal governo di
Allende. La seconda tappa si sviluppa nell’Europa dell’Ovest, più esattamente
in Gran Bretagna con quella che è stata definita la “rivoluzione thatcheriana”.
Dalla fine degli anni ‘70, il governo britannico decide di modificare in
profondità i principi fondanti dell’economia del paese. Non solo si assiste ad
una denazionalizzazione delle imprese pubbliche, ma lo Stato cerca di
sbarazzarsi di attività che gli erano tradizionalmente riservate secondo una
6
Molte ragioni sono espresse dai poteri pubblici per
giustificare tali privatizzazioni
7
. Certo non si può stabilire tra
esse una gerarchia d’importanza, perché ogni governo può
diversa concezione dei bisogni degli utenti. Si vuole designare così, ciò che in
Francia chiamano « servizi pubblici » che, destinati agli utenti e non a
consumatori, corrispondono ad un ideale di servizio universale uguale per tutti
esercitati da un’entità in situazione di monopolio. La terza ed ultima tappa ha
luogo, simultaneamente, in più continenti. Sempre nell’Europa dell’Ovest essa
non è che il riflesso del modellamento dell’ideologia thactheriana adattata alla
specificità di ogni paese. Dal punto di vista dell’ampiezza delle implicazioni
finanziarie, alcune cifre bastano a dare un’immagine del fenomeno. Il totale
mondiale accumulato da tutte le operazioni di privatizzazione si è alzato a 328
miliardi di dollari nel corso del periodo ‘85-‘92. In Europa Occidentale si
stimano a 100/150 miliardi di dollari gli attivi che dovrebbero passare al
settore privato prima della fine del secolo. Questa cifra corrisponde al terzo
della capitalizzazione in borsa di una piazza come quella di Parigi, ma
solamente all’1% circa dell’insieme della capitalizzazione in borsa della
piazza europea o al 2,5% del PIB dell’UE. Per quel che riguarda la Francia, le
10 operazioni realizzate sul mercato nel corso dell’anno 1987 si basano su
delle imprese che rappresentano una capitalizzazione in borsa di 93,5 miliardi
di franchi. Questa cifra è interessante se messa a paragone con le 20
operazioni britanniche tra il 1979 e il 1986 solo per 65 miliardi di franchi.
Inoltre la borsa di Londra rappresenta 6 volte la dimensione della borsa di
Parigi, sia in termini di capitalizzazione in borsa, che di transazioni
quotidiane. Le cifre mostrano anche che le privatizzazioni permettono di
aprire agli investimenti stranieri il capitale delle imprese considerate. È così
che durante il periodo ‘88-‘93, 2600 operazioni di più di 5000$ per un totale
di 270 miliardi di dollari sono state effettuate ed hanno permesso un
investimento da parte di persone di altra nazionalità rispetto a quelle del paese
in cui la privatizzazione ha avuto luogo. Inoltre, tale fenomeno si accresce con
il tempo. Delle 2600 operazioni citate solo una sessantina erano realizzate nel
1988, mentre aumentano a 900 nel 1993. L’insieme dei settori di attività sono
ormai stabiliti. I settori industriali classici (chimici, automobilistico) ma
anche i settori energetici e minerari, le telecomunicazioni, i trasporti compresi
quelli aerei, gli aeroporti e i porti, le terme e foreste demaniali, le banche e il
settore delle assicurazioni. Sembra non esistere più alcun limite perché anche
settori considerati fino a poco tempo fa tipicamente statali e appartenenti alla
sua sovranità, si trovano ormai nel cuore dei programmi per la
privatizzazione.
7
Diverse, infatti, sono state le finalità poste alla base delle politiche di
privatizzazione nei vari Paesi, ma possono essere individuate, in generale,
nell’obiettivo di aumentare la competitività del sistema economico, di
accrescere l’efficienza delle singole imprese, di diffondere l’azionariato
popolare, di rafforzare il mercato azionario e, non ultimo, di produrre introiti
per le casse dello Stato.
7
evocare l’una o l’altra di queste ragioni in priorità, servirsi di
alcune o, al contrario, evocarle tutte insieme.
La prima ragione riguarda gli obblighi di budget.
Gli Stati devono far fronte a deficit pubblici sempre più
rilevanti, poiché le loro spese crescono più rapidamente rispetto
alle loro entrate. Le privatizzazioni permettono loro di trovare
delle risorse molto utili per pagare certi debiti. È così che in
Francia, sui 70 miliardi di entrate ottenute dalle operazioni di
privatizzazione nel 1987, 2/3 di esse sono serviti a rimborsare
una parte del debito nazionale. È, infatti, facile comprendere
che la riduzione del debito pubblico permette di utilizzare
meglio le risorse limitate dello Stato.
La seconda ragione è di ordine economico.
Una delle caratteristiche principali dell’economia in
questa seconda metà del XX secolo è il bisogno crescente di
investimenti finanziari importanti non solo in ragione
dell’affinamento delle tecniche e delle infrastrutture che esse
necessitano, ma ugualmente per le innovazioni che da sole
permettono di dare all’impresa un vero vantaggio competitivo
soprattutto nel caso in cui tali innovazioni possono essere
protette da un diritto di proprietà intellettuale.
8
L’altra caratteristica è legata alla mondializzazione degli
scambi e dunque alla mondializzazione della concorrenza.
È per questo che, per far fronte a tale concorrenza
mondiale, bisogna passare attraverso alleanze strategiche con
dei partner stranieri che spesso implicano delle partecipazioni
in capitale incrociato o la conclusione di accordi di partnership
complessi. Tutto ciò non potrebbe essere portato a termine così
facilmente dalle imprese pubbliche così come per le imprese
private. La presenza dello Stato sarebbe un freno alla
flessibilità e all’adattamento necessari in tale contesto. La
priorità dello Stato nella gestione sociale o finanziaria
sarebbero antagoniste con i metodi di gestione indispensabili
oggi.
La terza ragione è piuttosto di ordine ideologico.
Essa non è sempre direttamente espressa dai governi ma è
sempre incontestabilmente presente in numerosi programmi di
privatizzazione. Essa è intimamente legata al contesto
economico che è l’asse centrale della precedente ragione.
Prende la sua origine da una concezione restrittiva del ruolo
dello Stato in cui non si vedono neanche troppo bene i limiti.
Così si può tranquillamente concepire un sistema privato per
9
l’educazione, la salute, l’energia, le comunicazioni, citando
solo esempi evidenti.
La quarta ed ultima ragione potrebbe essere qualificata
come politica.
Privatizzare sarebbe come democratizzare l’economia.
S’intende in tal caso la cessione del capitale delle imprese agli
individui membri della comunità nazionale. Tali pochi
risparmiatori sarebbero l’archetipo del nuovo cittadino che
parteciperebbe così a questi luoghi di potere postmoderni che
sono le imprese
8
. Le recenti dichiarazioni del Segretario
Generale delle Nazioni Unite che davanti al Parlamento Europeo
di Strasburgo ha detto di augurarsi che le imprese commerciali e
gli istituti finanziari, oggi luogo fondamentale di potere, siano
associati più strettamente alle decisioni internazionali, ne
costituiscano una prova esemplare.
Ovunque, azionisti privati prendono il “testimone” dello
Stato che si concentra sulle sue attività tradizionali di potenza
pubblica.
8
“Questa concezione va molto lontano nel ruolo che si vuol far giocare a
questa famosa società civile di cui si parla tanto”, afferma DION (a cura di),
Les privatisations en France, en Allemagne, en Grande-Bretagne et en Italie,
Les études de la documentation française, Paris, 1995, p. 10;
10
Le privatizzazioni possono prendere forme diverse,
l’essenziale, però, è che gli azionisti pubblici abbandonino il
controllo delle società ad azionisti privati.
In genere, si tratta di cessioni di azioni e più precisamente
di offerte pubbliche di vendita (OPV) sul mercato borsistico.
L’operazione è semplice solo in apparenza e non potrebbe
essere assimilata ad una cessione di controllo come quella che
ha luogo fra “investitori” privati.
In effetti, la vendita di azioni appartenenti allo Stato
necessita di particolari attenzioni al fine di evitare la
dilapidazione di un patrimonio che appartiene a tutti i cittadini
e la presa del controllo dell’impresa da parte di acquirenti
indesiderati.
Di conseguenza lo Stato, a differenza di una persona
privata, non può vendere i suoi beni ad un prezzo qualunque. La
privatizzazione deve avvenire ad un prezzo non troppo elevato,
poiché scoraggerebbe gli acquirenti, ma neanche troppo basso,
poiché procurerebbe un vantaggio per gli acquirenti a discapito
dei cittadini, dunque una rottura del principio d’uguaglianza.
Inoltre, la privatizzazione non può essere realizzata applicando
puramente e semplicemente le tecniche dell’introduzione in
11
borsa o dell’OPV. L’insieme dei titoli offerti, infatti,
rischierebbe di disturbare i “corsi” e, soprattutto, lo Stato deve
riservarsi un certo controllo degli acquirenti. Esso deve, se
necessario, costituire dei blocchi di controllo al fine di
assicurarsi che l’impresa privatizzata sarà subito posta sotto il
controllo di una maggioranza stabile (c.d. noyau dur o noyau
stable) che persegua interessi conformi all’interesse generale.
Esso può anche scartare alcune categorie d’acquirenti o limitare
la loro partecipazione.
Lo Stato trova, infine, nella privatizzazione l’occasione
agognata di facilitare la costituzione di un « azionariato
popolare ».
È così che lo schema semplice della vendita al pubblico
delle azioni appartenenti allo Stato si colora di una moltitudine
di scelte particolari che danno ad ogni legislazione, dunque ad
ogni operazione di privatizzazione, la sua fisionomia originale.
Le conseguenze giuridiche delle privatizzazioni non sono
ugualmente facili da determinare.
Il termine stesso di « privatizzazione » preferito spesso a
quello di « denazionalizzazione » mostra che non si tratta solo
12
di disfare ciò che è stato fatto cedendo al settore privato delle
società poste sotto il controllo pubblico.
Le privatizzazioni hanno anche, e soprattutto, un aspetto
dinamico: esse non riescono a meno che il nuovo statuto
dell’impresa non permetta ad essa di ritrovare la sua
competitività.
Per alcuni versi questo passaggio dal settore pubblico al
settore privato può sembrare insignificante. La società
privatizzata mantiene la sua personalità giuridica e le sue
condizioni di funzionamento sono certamente meno sconvolte
rispetto a quanto avveniva a causa della legislazione
commerciale. Ma numerosi aspetti di questo cambiamento di
statuto sono complessi, poiché sembra assurdo allineare
immediatamente e totalmente il regime delle società privatizzate
su quello delle imprese che hanno sempre avuto un carattere
privato. Sono necessarie delle misure transitorie al fine di
permettere allo Stato di controllare le cessioni di azioni o di
mantenere una rappresentanza in seno agli organi di
amministrazione e controllo. Di qui la nascita di varie tecniche:
l’action spécifique in Francia, la golden share in Gran Bretagna
e i poteri speciali in Italia.
13
Si può dire che la società privatizzata si ricorda in qualche
modo delle sue origini prima di diventare a poco a poco una
società come le altre.
Davanti a situazioni così complesse, pertanto, il ricorso al
diritto comparato è di grande utilità.
Su questa logica è fondato il presente lavoro con il quale,
in particolare, vengono analizzati tre paesi europei - Francia,
Gran Bretagna e Italia - le cui esperienze di privatizzazione
sono relativamente diverse ma mostrano, comunque, certe
riflessioni comuni.
Dopo una prima parte, nella quale è introdotto il processo
di privatizzazione francese attraverso il suo iter storico-
giuridico-politico, l’analisi viene incentrata sulle caratteristiche
proprie del sistema francese, con particolare riguardo agli
strumenti di accentramento e controllo delle società privatizzate
che, ancora oggi, denotano la spécificité francese: l’action
spécifique e i noyaux durs.
Nella terza parte, invece, l’attenzione si soffermerà, al
fine di evidenziarne gli aspetti di maggior rilievo, su due realtà
europee, la Gran Bretagna e l’Italia, che hanno da sempre avuto,
ciascuna a proprio modo, un rapporto di interazione sia tra di
14
loro che con la Francia. La Gran Bretagna, infatti, con
l’invenzione della golden share, ha posto le fondamenta su cui
Francia e Italia hanno costruito, rispettivamente, l’action
spécifique e i poteri speciali (anche se, in quest’ultimo caso,
con qualche differenza). La Francia, d’altro canto, con la
creazione dei noyaux durs, che rappresentano la sua principale
innovazione tecnica e istituzionale, ha offerto una nuova tecnica
di vendita per molte privatizzazioni italiane.
Nell’ultima parte, infine, si formula un giudizio
complessivo e, soprattutto, comparativo sulle operazioni
societarie avvenute in questi tre paesi e si tenta di tracciare
ipotesi per le prospettive future.