II
In Gran Bretagna, dove per la prima volta fu coniato il termine privatizzazione
sostituendolo a denazionalizzazione, la maggior parte dei collocamenti azionari delle
società in via di privatizzazione è avvenuta facendo ricorso alla tecnica dell’underpricing.
Tuttavia, diffondere l’azionariato è in contrasto con l’obiettivo teso ad accrescere le
entrate dello Stato.
Allo stesso modo, l’obiettivo volto a ridimensionare l’apparato statale potrebbe
apparire in contrasto con quello indirizzato ad aumentare la concorrenza sul mercato di
riferimento, nell’eventualità in cui ad essere privatizzata sia una società che opera in una
situazione di monopolio. In tal caso, la diversità di obiettivi che informa l’azione dello
Stato nella conduzione dell’impresa (obiettivi di natura socio – politica), si scontrerà con
l’obiettivo tipico dell’impresa privata tesa a massimizzare i propri utili.
Il risultato è un semplice passaggio della proprietà dell’impresa monopolistica da un
soggetto pubblico ad uno privato, senza che la concorrenza si sviluppi effettivamente.
Pertanto, il fatto che una linea politica può perseguire una molteplicità di obiettivi e
questi possono trovarsi in contrasto tra di loro, evidenzia che in realtà ciascun obiettivo
può essere perseguito o sacrificato agli altri, comportando in ultimo che nessuno di essi sia
effettivamente raggiunto con efficacia ed efficienza.
La tesi è strutturata in otto capitoli. I primi sei capitoli sono dedicati ai contributi
teorici ed agli studi in materia, mentre gli ultimi due esaminano le principali esperienze
relative alla privatizzazione delle imprese di pubblica utilità, facendo particolare
riferimento all’esperienza britannica ed a quella italiana.
La prima parte affronta i seguenti argomenti:
• nel primo capitolo sono esposti i motivi principali che inducono ad una politica di
privatizzazione. Si considerano le ragioni di natura economica indirizzate ad
aumentare l’efficienza delle imprese e a ridurre il debito pubblico, e le ragioni
politiche che possono spingere un governo ad attuare le politiche di privatizzazione;
• nel secondo capitolo si analizzano le principali teorie economiche a sostegno dei
processi di privatizzazione. In particolare, si fa riferimento alla teoria dei diritti di
proprietà, che pone l’accento sulla trasferibilità e la contendibilità della proprietà
privata dell’impresa, e la teoria principale – agente, che evidenzia la diversità di
incentivi e di informazioni che esiste tra impresa privata ed impresa pubblica. Inoltre,
si sottolinea il contributo dell’economista inglese Ronald H. Coase riguardo alle sue
III
analisi su la teoria dei costi di transazione, la questione delle esternalità e la critica
mossa alla teoria dell’uguaglianza del prezzo al costo marginale;
• nel terzo capitolo si valuta l’impatto fiscale e macroeconomico delle politiche di
privatizzazione, esaminando i limiti che esse manifestano sulla situazione finanziaria
e patrimoniale dello Stato e sull’andamento di grandezze macroeconomiche, quali gli
investimenti pubblici e privati, i prezzi ed i consumi, accennando in particolare
all’esperienza britannica sulle scelte di consumo delle famiglie che hanno investito in
azioni delle società privatizzate;
• nel quarto capitolo si affronta l’importanza che riveste il contesto giuridico di una
nazione nell’influenzare le privatizzazioni, il ruolo svolto dal mercato finanziario, dal
diritto societario e dalla credibilità del governo che attua la dismissione, facendo una
comparazione tra i Paesi di common law e quelli di civil law;
• il quinto capitolo si occupa dei diversi sistemi di incentivo e di controllo dell’impresa
privata e pubblica, dei sistemi di corporate governance presenti in alcuni Paesi
europei e dell’influenza che lo Stato continua ad esercitare sulle imprese privatizzate
attraverso lo strumento della golden share;
• nel sesto capitolo si esaminano i monopoli naturali, le principali imprese che operano
in tale situazione di mercato (soprattutto le società di pubblica utilità) e le diverse
soluzioni che derivano dalla regolamentazione di queste imprese.
I capitoli sette ed otto, sono dedicati alle principali esperienze di privatizzazione
che si sono avute nelle imprese di pubblica utilità con particolare riferimento all’esperienza
britannica e a quella italiana ed al ruolo svolto dalle agenzie di regolamentazione.
Da questa analisi si possono desumere diverse considerazioni.
Il successo della privatizzazione dipende soprattutto dalla struttura di mercato in
cui l’impresa opera. L’obiettivo dell’efficienza, considerato strategico, potrà essere
raggiunto in modo efficace laddove lo Stato non si limiterà a vendere ai privati le società
che possiede, ma si impegnerà per favorire una maggiore apertura al mercato ed alla
concorrenza e, dove tale impresa risulta più difficile da attuare, interverrà attraverso la
costituzione di agenzie in grado di svolgere una funzione di monitoraggio, sia sulle
condizioni del mercato di riferimento, sia sulla qualità ed onerosità del servizio offerto.
Sarà opportuno che la definizione di un sistema di regole avvenga prima o
contestualmente alla privatizzazione, altrimenti gli investitori sconteranno il rischio di una
IV
futura attività normativa da parte dello Stato e per questo chiederanno un premio che
compensi il “rischio di regolamentazione” successiva.
L’introduzione di un sistema concorrenziale diventa l’obiettivo principale per
raggiungere sia l’efficienza produttiva, attraverso una minimizzazione dei costi di
produzione, sia l’efficienza allocativa attraverso una migliore distribuzione dei servizi
prodotti tra i fruitori.
Pertanto è fondamentale l’ambiente in cui l’impresa opera.
Un assetto privato di un’impresa che opera in un mercato competitivo, risulterà
migliore rispetto ad una struttura monopolistica pubblica, in quanto l’obiettivo principe
della prima è massimizzare il proprio valore. L’impresa privata inserita in un ambiente
concorrenziale con una proprietà diffusa, è sottoposta al controllo degli azionisti e del
mercato che hanno la funzione di incentivare i manager a perseguire il benessere della
società.
L’esperienza ha prevalentemente mostrato che l’impresa pubblica non è sottoposta
a questo genere di controlli, a causa della struttura proprietaria concentrata nelle mani dello
Stato ed agli obiettivi di natura politica.
Nella realtà questi obiettivi, tipicamente pubblici, di equità economico – sociale per
l’intera collettività sono stati perseguiti attraverso la somministrazione “a pioggia” di
sussidi alle imprese indipendentemente dai risultati raggiunti.
Da quanto detto si desume la necessità di garantire l’indipendenza dell’agenzia
regolamentatrice dell’impresa dal potere politico.
La regolamentazione diventa fondamentale per le imprese che non possono operare
in ambienti concorrenziali, perché il mercato in cui esse operano non risulta contendibile,
in altri termini presenta delle barriere all’entrata e l’uscita non può avvenire senza
sopportare costi rilevanti.
Questa situazione è evidente soprattutto nelle imprese di pubblica utilità, che
producono servizi essenziali come per esempio la distribuzione di acqua potabile, di
energia elettrica, di gas e di altri servizi essenziali con infrastrutture di rete non duplicabili.
La soluzione che è stata prospettata dalla moderna teoria economica nel
privatizzare i monopoli, prevede:
• la rimozione dell’integrazione verticale delle imprese (unbundling), isolando il
settore che presenta più di altri l’esistenza di barriere all’entrata (come per esempio
le infrastrutture di rete);
V
• regolamentare il settore per evitare abusi dovuti a posizione dominante e
all’attuazione di sussidi incrociati;
• liberalizzare gli altri segmenti del mercato permettendo l’ingresso di nuove imprese.
La regolamentazione assume quindi un ruolo importante in questo processo.
In Gran Bretagna, si è pervenuti ad un tipo di regolamentazione “asimmetrica” tra
impresa dominante e nuove imprese, sottoponendo quella già presente sul mercato ad una
serie di vincoli, anche di natura sociale, da cui sono state sollevate le imprese entranti,
favorendo in tal modo un grado soddisfacente di competitività.
Inoltre, assume importanza il ruolo rilevante del contesto giuridico di una nazione
che stimola le riforme del diritto societario, soprattutto in materia di tutela degli azionisti di
minoranza, e lo sviluppo del mercato finanziario.
Il mercato finanziario, può trarre benefici dalle politiche di privatizzazione
attraverso un aumento della propria capitalizzazione. In Italia, ad esempio, è stato rilevato
che le privatizzazioni hanno dato un contributo notevole all’incremento degli scambi e alla
diffusione dei titoli azionari presso i piccoli risparmiatori, favorendo in tal modo lo
sviluppo del mercato azionario
1
.
Infine, è intersante accennare al ruolo svolto dalle Autorità Antitrust nell’attuare la
legislazione a tutela della concorrenza e del mercato. L’andamento è stato quello di
limitare progressivamente le aree sottratte dalle leggi nazionali alla concorrenza e di poter
disporre di un’evoluzione aggiornata della disciplina del mercato grazie al compito svolto
dalle agenzie di regolamentazione settoriale.
In particolare, il cammino dovrebbe essere quello di sostituire gradualmente, man
mano che l’apertura alla concorrenza nei vari settori diventa realizzabile, le molteplici
agenzie di settore con un’unica autorità preposta al controllo del mercato e della
concorrenza.
Nel lavoro di tesi mi sono avvalso dei preziosi suggerimenti della Professoressa
Giuliana Scognamiglio che mi ha permesso di apprendere e di sviluppare la parte
normativa relativa all’esperienza italiana ed il problema delle azioni di diritto speciale.
1
Il Sole 24 Ore del 25/11/1999, Finanza e Mercati.
1
CAPITOLO I
RAGIONI DELLA PRIVATIZZAZIONE
1.1 Obiettivi di una privatizzazione
Con il termine privatizzazione si intende il trasferimento della proprietà
di un bene da soggetti pubblici a soggetti privati. Normalmente oggetto del
trasferimento sono quote azionarie di imprese, ma potrebbero essere anche
parti del patrimonio statale quali le cosiddette aree demaniali. Nell’uso
corrente con tale espressione si indica il trasferimento di attività pubbliche
aventi natura economica.
La quasi totalità delle economie occidentali si sono indirizzate verso le
politiche di privatizzazione delle imprese pubbliche, favorite soprattutto da un
clima culturale più propenso verso il mercato che ha reso le politiche di
privatizzazione l’asse portante di una varietà di nazioni non solo sviluppate
ma anche in via di sviluppo.
In generale, la privatizzazione comprende la denazionalizzazione o la
vendita di attività pubbliche e l’introduzione della concorrenza nell’offerta dei
prodotti da parte delle imprese con una maggiore possibilità di scelta da parte
degli utenti.
2
Le ragioni che hanno condotto molti Paesi ad attuare delle politiche di
privatizzazione sono in ogni caso molteplici.
Le ipotesi vanno da motivi di carattere ideologico – sociale, volte a
ridisegnare il rapporto tra Stato e cittadini, favorire gli ideali di libero mercato
ed il desiderio di veder diminuire l’interferenza dello Stato nella gestione
dell’economia, a ragioni di carattere più economico consistenti nella necessità
di ridurre l’apparato statale e la spesa pubblica, la necessità di porre un freno
all’eccesso di politicizzazione, eliminare le inefficienze del settore pubblico.
La motivazione principale resta in ogni modo quella di aumentare la
concorrenza in alcuni settori industriali, migliorare l’allocazione delle risorse
e di conseguenza migliorare l’efficienza delle imprese e del sistema
economico in generale.
Oltre all’obiettivo dell’efficienza ve ne sono altri, quali:
• l’esigenza di ridurre la spesa pubblica e, in particolare, il fabbisogno
finanziario dello Stato;
• ridurre il coinvolgimento del governo nelle decisioni delle imprese e
quindi ridurre i condizionamenti politici verso il management delle
imprese;
• diffondere l’azionariato presso i singoli risparmiatori;
• accrescere le entrate del bilancio statale;
• ridurre il peso dei sindacati nelle imprese;
• ridistribuire il reddito e la ricchezza.
3
Tuttavia, alcuni di questi obiettivi sono in contrasto tra loro e ciò
significa che, spesso, il soddisfacimento di uno comporta il sacrificio di un
altro. Come esempio può essere preso l’obiettivo volto a diffondere
l’azionariato presso il pubblico dei singoli risparmiatori.
Questo obiettivo è in contrasto con quello indirizzato ad aumentare il
gettito per lo Stato, poiché massimizzare il numero degli azionisti può
comportare che il prezzo delle azioni scenda al fine di invogliare gli individui
ad acquistarle piuttosto che impiegare altrove i propri risparmi.
Anche l’obiettivo che si prefigge di ridimensionare il settore pubblico
può essere in contrasto con quello volto ad aumentare l’efficienza, qualora
questo dovesse comportare un trasferimento della proprietà di un’impresa che
opera in monopolio dal settore pubblico a quello privato.
In quest’ultimo caso, infatti, l’impresa privatizzata continuando ad
operare in un ambiente non concorrenziale potrebbe comportare soltanto uno
spostamento della proprietà monopolistica e delle rendite a questa collegate
dal settore pubblico a quello privato, con tutte le conseguenze che una simile
situazione può avere sul benessere sociale degli individui.
Infatti, l’obiettivo principale dell’impresa pubblica, è soprattutto quello
di perseguire finalità che hanno carattere politico – sociale, mentre l’impresa
privata ha l’obiettivo principale nel ricercare il massimo profitto.
Se il privato operasse in una situazione di monopolio, sarebbe portato
ad approfittare della propria posizione di vantaggio al fine di ottenere il
massimo profitto, soprattutto se fornisce determinati servizi a “domanda
inelastica”, cioè la domanda di questi servizi non varia o varia in maniera
4
trascurabile, all’aumentare del prezzo
2
(basti pensare ai servizi di fornitura
dell’elettricità, del gas, del telefono e dell’acqua potabile che normalmente
vengono offerti in situazione di monopolio per gli elevati costi di creazione o
duplicazione delle infrastrutture che non rendono conveniente l’ingresso di
nuove imprese in tali settori). La conseguenza sarà una perdita di benessere
sociale dovuto oltre che all’aumentare delle tariffe anche allo scadimento
della qualità del servizio che non ha sostituti.
La concorrenza e la regolamentazione, cioè il controllo da parte di
apposite agenzie che svolgono un ruolo di monitoraggio sull’attività
dell’impresa, diventano essenziali. Inoltre, il fatto che una linea politica abbia
una molteplicità di obiettivi e che questi ultimi possono entrare in contrasto
tra loro, non costituisce una critica ma mette in evidenza che ciascun obiettivo
può essere perseguito o sacrificato agli altri e ciò potrebbe comportare che,
alla fine, nessuno di essi sia effettivamente raggiunto.
2
L’elasticità della domanda misura la variazione della quantità acquistata da un consumatore di un certo bene
o servizio al mutare del prezzo, del reddito o del prezzo di altri beni. La reazione del consumatore al mutare
di queste variabili, può essere misurata con il “coefficiente di elasticità della domanda”. Facendo riferimento
all’elasticità rispetto al prezzo , il coefficiente sarà:
e = - d log q/ d log p
dove p rappresenta il prezzo e q la quantità domandata. Il coefficiente di elasticità ha sempre valore negativo
in quanto la curva della domanda presenta, solitamente, un andamento decrescente. In generale, si può
affermare che l’elasticità della domanda misura <<il grado in cui un certo bene è circondato da sostituti>>,
infatti, se i sostituti del bene sono numerosi il consumatore si orienterà verso un altro prodotto anche se il
prezzo è aumentato in piccola misura, invece, se non esistono sostituti del prodotto o servizio colpiti
dall’incremento di prezzo, il consumatore sarà costretto al loro acquisto nonostante il maggiore esborso. In
tal caso si afferma che la domanda è poco elastica o rigida.
GRAZIANI, A. (1985) “Teoria economica”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, pp. 188-192.
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L’efficienza economica, considerata come il traguardo più importante,
nel percorso delle politiche di privatizzazione potrebbe essere sacrificata agli
altri obiettivi più redditizi nel breve periodo, come per esempio nel caso delle
entrate che derivano allo Stato dalla vendita di un’impresa pubblica in regime
di monopolio naturale, senza preoccuparsi troppo del potere di mercato che
questa detiene.
6
1.2 Motivazioni economiche: efficienza
Le ragioni di natura economica della privatizzazione, derivano
principalmente dal fatto che le imprese del settore privato sono sottoposte a
dei vincoli più stringenti ed a migliori schemi di incentivazione rispetto alle
imprese pubbliche.
La modificazione dell’assetto proprietario dovrebbe comportare un
miglioramento dell’efficienza per le imprese, soprattutto a seguito della
modificazione degli obiettivi. La differenza di redditività che a volte è
presente tra le imprese pubbliche e quelle private, è in parte dovuta alla
funzione obiettivo dell’azionista Stato che non prevede la sola
massimizzazione del profitto ma impone ai manager pubblici il
perseguimento di altre finalità di carattere sociale o politico. L’utilità sociale
dell’impresa pubblica dovrebbe comunque essere comparata con il costo
sociale che essa impone e quindi la regola dovrebbe essere quella
dell’economicità di gestione.
Inoltre, la minore capacità di profitto può essere ricercata nel cosiddetto
“vincolo di trasferibilità” della proprietà pubblica. Questo vincolo consiste
nell’impedire la vendita delle imprese pubbliche e ciò comporta un
disincentivo per lo Stato proprietario di controllare i manager rispetto a un
obiettivo di profitto, rendendo così le imprese uno strumento di natura politica
utilizzate per finalità soprattutto di consenso elettorale.
L’impresa privata invece, dovrebbe essere gestita con l’obiettivo di
massimizzare i profitti e quindi il benessere degli azionisti, garantendo in
questo modo anche l’efficienza dell’intero sistema economico. Nel caso in cui
7
i manager dell’impresa privata non si comportano in modo tale da garantire
l’interesse degli azionisti, attraverso lo sviluppo del valore dell’impresa, il
pericolo cui vanno incontro è quello di “scalate”, in pratica la possibilità che
altri investitori sul mercato si rendono conto che il valore potenziale
dell’impresa è maggiore di quello espresso in quel momento e possono
approfittarne acquisendo l’impresa ad un prezzo più basso di quello effettivo.
In tal caso, interverranno tutti i soggetti che sono interessati a seguire le
vicende dell’azienda, come per esempio le banche – creditrici, che
assumeranno il ruolo di promotori dell’efficienza dell’impresa.
Tuttavia, non si può concludere affermando che l’impresa pubblica sia
sempre inefficiente, in quanto essa ha delle finalità che sono di natura
soprattutto distributiva e che non possono essere realizzate a costo zero.
La privatizzazione, da sola, non basta a migliorare l’efficienza in modo
indicativo. I sistemi di controllo e di incentivo, tipici del settore privato,
hanno una maggiore probabilità di operare efficacemente quando l’impresa
opera in un contesto concorrenziale. Quindi la privatizzazione può
probabilmente condurre a dei risultati migliori in termini di efficienza, solo se
essa avviene in un ambiente competitivo.
Per comprendere meglio il problema è utile fare la distinzione tra
“efficienza produttiva” ed “efficienza allocativa”.
La prima fa riferimento all’impresa e si riferisce alla minimizzazione
dei costi produttivi. Essa può essere ottenuta o con la disciplina del mercato,
oppure riducendo la X – inefficienza che è influenzata da vari fattori, quali:
gli obiettivi, i controlli, le procedure operative, gli incentivi ai manager ed ai
dipendenti dell’impresa nonché ai fornitori.
8
Tuttavia, anche se il mercato di riferimento è competitivo, l’impresa
pubblica gode comunque di alcuni vantaggi, soprattutto in termini di accesso
alle risorse scarse come i capitali finanziari e l’energia. Tutto questo conduce
inevitabilmente ad un utilizzo non ottimale delle risorse, in quanto il prezzo al
quale saranno cedute non sarà quello di mercato.
L’altro tipo di efficienza, quella “allocativa”, si riferisce all’economia
nel suo complesso ed è sinonimo di “efficienza in senso paretiano”, vale a
dire quell’ottimo che si ottiene quando l’economia raggiunge una
distribuzione di beni e servizi tra gli individui, date le risorse scarse e le
preferenze dei consumatori, di modo che non esiste nessun’altra allocazione
che consente di aumentare la soddisfazione di un individuo senza diminuire
quella di un altro.
Alcuni autori
3
, nell’affrontare il problema della concorrenza, hanno
rilevato che se la privatizzazione avvenisse in un mercato non concorrenziale,
vale a dire in un mercato dove non ci sono una moltitudine di operatori e dove
l’impresa può decidere di influire sul prezzo del bene, essa potrebbe condurre
a dei risultati inefficienti dal punto di vista produttivo, in quanto mancherebbe
lo stimolo fornito dal contesto concorrenziale che spinge a ricercare il modo
più efficiente di produzione al fine di non essere estromessi dal mercato dagli
altri concorrenti.
Quest’assunzione fa ritenere, quindi, che non è importante tanto
l’assetto proprietario dell’impresa per raggiungere l’efficienza “produttiva” ed
“allocativa”, quanto l’assetto del mercato di modo che anche un’impresa
pubblica operando in un ambiente concorrenziale potrebbe essere efficiente.
3
VICKERS, J. – YARROW, G. (1988) “Privatisation”, Mac Millan, London;
DI MAJO, A. (1989) “Le politiche di privatizzazione in Italia”, Terzo Rapporto CER/IRS sull’industria e la
politica industriale in Italia, Il Mulino, Bologna.
9
A questi autori se ne contrappongono altri
4
i quali ritengono che, in
generale, l’impresa privata è comunque più efficiente dell’impresa pubblica e,
anzi, dopo la privatizzazione si notano dei miglioramenti significativi nella
performance, nella produttività e nelle politiche dei prezzi che diventano più
favorevoli per i consumatori.
Sono state fatte varie catalogazioni delle inefficienze dell’impresa
pubblica. Tra queste si ritrovano: l’eccesso nell’impiego di lavoro, dovuto
non solo alla debolezza di contrattare con i sindacati ma anche agli obiettivi
del governo di ridurre il tasso di disoccupazione; i salari troppo elevati
rispetto al rendimento del lavoro; una combinazione non ottimale dei fattori
produttivi (capitale e lavoro) e di conseguenza un costo più elevato della
produttività. Tutto questo, però, non comporta un aumento dei prezzi dei beni
o servizi offerti dall’impresa pubblica, poiché i prezzi di questi prodotti sono
fissati secondo motivi di carattere extra – economico, più specificatamente
politico. Il disavanzo di bilancio che in questo modo si verrà a produrre per
l’impresa pubblica, andrà ad incidere sul bilancio dello Stato e, in ultima
istanza, sui contribuenti.
Questo favorirà dei comportamenti opportunistici da parte del
management pubblico ed il “vincolo di bilancio”, secondo il quale gli
operatori economici dovrebbero decidere le spese sulla base delle risorse
finanziarie di cui dispongono, non opererà più.
Bisogna, comunque osservare che molti settori privati dell’economia
non operano in ambienti concorrenziali. In particolare, la privatizzazione di
alcuni settori pubblici quali quello del gas, dell’energia elettrica, delle
telecomunicazioni e altri, hanno bisogno di essere “regolamentati” proprio
4
V. in Banca Mondiale (1995) “Bureaucrats in Business”, Oxford University Press, Washington D.C.
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perché si tratta di settori che non operano in concorrenza bensì in monopolio
o, al limite, in oligopolio.
Lo Stato, in questi casi, interviene costituendo delle agenzie che hanno
il compito di controllare oltre alla gestione dell’impresa anche che questa non
si avvantaggi della posizione dominante applicando prezzi troppo alti o
facendo scadere la qualità dei servizi offerti.
Tra gli obiettivi delle politiche di privatizzazione assume, quindi,
particolare importanza quello volto ad introdurre la concorrenza in alcuni
settori in modo da garantire una migliore allocazione delle risorse produttive
ed una maggiore efficienza dell’impresa.