II
In Gran Bretagna, dove per la prima volta fu coniato il termine privatizzazione 
sostituendolo a denazionalizzazione, la maggior parte dei collocamenti azionari delle 
società in via di privatizzazione è avvenuta facendo ricorso alla tecnica dell’underpricing.   
Tuttavia, diffondere l’azionariato è in contrasto con l’obiettivo teso ad accrescere le 
entrate dello Stato. 
Allo stesso modo, l’obiettivo volto a ridimensionare l’apparato statale potrebbe 
apparire in contrasto con quello indirizzato ad aumentare la concorrenza sul mercato di 
riferimento, nell’eventualità in cui ad essere privatizzata sia una società che opera in una 
situazione di monopolio. In tal caso, la diversità di obiettivi che informa l’azione dello 
Stato nella conduzione dell’impresa (obiettivi di natura socio – politica), si scontrerà con 
l’obiettivo tipico dell’impresa privata tesa a massimizzare i propri utili. 
Il risultato è un semplice passaggio della proprietà dell’impresa monopolistica da un 
soggetto pubblico ad uno privato, senza che la concorrenza si sviluppi effettivamente. 
Pertanto, il fatto che una linea politica può perseguire una molteplicità di obiettivi e 
questi possono trovarsi in contrasto tra di loro, evidenzia che in realtà ciascun obiettivo 
può essere perseguito o sacrificato agli altri, comportando in ultimo che nessuno di essi sia 
effettivamente raggiunto con efficacia ed efficienza. 
 
La tesi è strutturata in otto capitoli. I primi sei capitoli sono dedicati ai contributi 
teorici ed agli studi in materia, mentre gli ultimi due esaminano le principali esperienze 
relative alla privatizzazione delle imprese di pubblica utilità, facendo particolare 
riferimento all’esperienza britannica ed a quella italiana. 
La prima parte affronta i seguenti argomenti: 
 
• nel primo capitolo sono esposti i motivi principali che inducono ad una politica di 
privatizzazione. Si considerano le ragioni di natura economica indirizzate ad 
aumentare l’efficienza delle imprese e a ridurre il debito pubblico, e le ragioni 
politiche che possono spingere un governo ad attuare le politiche di privatizzazione; 
• nel secondo capitolo si analizzano le principali teorie economiche a sostegno dei 
processi di privatizzazione. In particolare, si fa riferimento alla teoria dei diritti di 
proprietà, che pone l’accento sulla trasferibilità e la contendibilità della proprietà 
privata dell’impresa, e la teoria principale – agente, che evidenzia la diversità di 
incentivi e di informazioni che esiste tra impresa privata ed impresa pubblica. Inoltre, 
si sottolinea il contributo dell’economista inglese Ronald H. Coase riguardo alle sue 
 III
analisi su la teoria dei costi di transazione, la questione delle esternalità e la critica 
mossa alla teoria dell’uguaglianza del prezzo al costo marginale; 
• nel terzo capitolo si valuta l’impatto fiscale e macroeconomico delle politiche di 
privatizzazione, esaminando i limiti che esse manifestano sulla situazione finanziaria 
e patrimoniale dello Stato e sull’andamento di grandezze macroeconomiche, quali gli 
investimenti pubblici e privati, i prezzi ed i consumi, accennando in particolare 
all’esperienza britannica sulle scelte di consumo delle famiglie che hanno investito in 
azioni delle società privatizzate; 
• nel quarto capitolo si affronta l’importanza che riveste il contesto giuridico di una 
nazione nell’influenzare le privatizzazioni, il ruolo svolto dal mercato finanziario, dal 
diritto societario e dalla credibilità del governo che attua la dismissione, facendo una 
comparazione tra i Paesi di common law e quelli di civil law; 
• il quinto capitolo si occupa dei diversi sistemi di incentivo e di controllo dell’impresa 
privata e pubblica, dei sistemi di corporate governance presenti in alcuni Paesi 
europei e dell’influenza che lo Stato continua ad esercitare sulle imprese privatizzate 
attraverso lo strumento della golden share; 
• nel sesto capitolo si esaminano i monopoli naturali, le principali imprese che operano 
in tale situazione di mercato (soprattutto le società di pubblica utilità) e le diverse 
soluzioni che derivano dalla regolamentazione di queste imprese. 
 
I capitoli sette ed otto, sono dedicati alle principali esperienze di privatizzazione 
che si sono avute nelle imprese di pubblica utilità con particolare riferimento all’esperienza 
britannica e a quella italiana ed al ruolo svolto dalle agenzie di regolamentazione.       
 
Da questa analisi si possono desumere diverse considerazioni. 
Il successo della privatizzazione dipende soprattutto dalla struttura di mercato in 
cui l’impresa opera. L’obiettivo dell’efficienza, considerato strategico, potrà essere 
raggiunto in modo efficace laddove lo Stato non si limiterà a vendere ai privati le società 
che possiede, ma si impegnerà per favorire una maggiore apertura al mercato ed alla 
concorrenza e, dove tale impresa risulta più difficile da attuare, interverrà attraverso la 
costituzione di agenzie in grado di svolgere una funzione di monitoraggio, sia sulle 
condizioni del mercato di riferimento, sia sulla qualità ed onerosità del servizio offerto. 
Sarà opportuno che la definizione di un sistema di regole avvenga prima o 
contestualmente alla privatizzazione, altrimenti gli investitori sconteranno il rischio di una 
 IV
futura attività normativa da parte dello Stato e per questo chiederanno un premio che 
compensi il “rischio di regolamentazione” successiva. 
L’introduzione di un sistema concorrenziale diventa l’obiettivo principale per 
raggiungere sia l’efficienza produttiva, attraverso una minimizzazione dei costi di 
produzione, sia l’efficienza allocativa attraverso una migliore distribuzione dei servizi 
prodotti tra i fruitori. 
Pertanto è fondamentale l’ambiente in cui l’impresa opera. 
Un assetto privato di un’impresa che opera in un mercato competitivo, risulterà 
migliore rispetto ad una struttura monopolistica pubblica, in quanto l’obiettivo principe 
della prima è massimizzare il proprio valore. L’impresa privata inserita in un ambiente 
concorrenziale con una proprietà diffusa, è sottoposta al controllo degli azionisti e del 
mercato che hanno la funzione di incentivare i manager a perseguire il benessere della 
società. 
L’esperienza ha prevalentemente mostrato che l’impresa pubblica non è sottoposta 
a questo genere di controlli, a causa della struttura proprietaria concentrata nelle mani dello 
Stato ed agli obiettivi di natura politica.  
Nella realtà questi obiettivi, tipicamente pubblici, di equità economico – sociale per 
l’intera collettività sono stati perseguiti attraverso la somministrazione “a pioggia” di 
sussidi alle imprese indipendentemente dai risultati raggiunti. 
Da quanto detto si desume la necessità di garantire l’indipendenza dell’agenzia 
regolamentatrice dell’impresa dal potere politico. 
La regolamentazione diventa fondamentale per le imprese che non possono operare 
in ambienti concorrenziali, perché il mercato in cui esse operano non risulta contendibile, 
in altri termini presenta delle barriere all’entrata e l’uscita non può avvenire senza 
sopportare costi rilevanti. 
Questa situazione è evidente soprattutto nelle imprese di pubblica utilità, che 
producono servizi essenziali come per esempio la distribuzione di acqua potabile, di 
energia elettrica, di gas e di altri servizi essenziali con infrastrutture di rete non duplicabili. 
La soluzione che è stata prospettata dalla moderna teoria economica nel 
privatizzare i monopoli, prevede: 
 
• la rimozione dell’integrazione verticale delle imprese (unbundling), isolando il 
settore che presenta più di altri l’esistenza di barriere all’entrata (come per esempio 
le infrastrutture di rete); 
 V
• regolamentare il settore per evitare abusi dovuti a posizione dominante e 
all’attuazione di sussidi incrociati; 
• liberalizzare gli altri segmenti del mercato permettendo l’ingresso di nuove imprese. 
 
La regolamentazione assume quindi un ruolo importante in questo processo. 
In Gran Bretagna, si è pervenuti ad un tipo di regolamentazione “asimmetrica” tra 
impresa dominante e nuove imprese, sottoponendo quella già presente sul mercato ad una 
serie di vincoli, anche di natura sociale, da cui sono state sollevate le imprese entranti, 
favorendo in tal modo un grado soddisfacente di competitività. 
Inoltre, assume importanza il ruolo rilevante del contesto giuridico di una nazione 
che stimola le riforme del diritto societario, soprattutto in materia di tutela degli azionisti di 
minoranza, e lo sviluppo del mercato finanziario.  
Il mercato finanziario, può trarre benefici dalle politiche di privatizzazione 
attraverso un aumento della propria capitalizzazione. In Italia, ad esempio, è stato rilevato 
che le privatizzazioni hanno dato un contributo notevole all’incremento degli scambi e alla 
diffusione dei titoli azionari presso i piccoli risparmiatori, favorendo in tal modo lo 
sviluppo del mercato azionario
1
. 
Infine, è intersante accennare al ruolo svolto dalle Autorità Antitrust nell’attuare la 
legislazione a tutela della concorrenza e del mercato. L’andamento è stato quello di 
limitare progressivamente le aree sottratte dalle leggi nazionali alla concorrenza e di poter 
disporre di un’evoluzione aggiornata della disciplina del mercato grazie al compito svolto 
dalle agenzie di regolamentazione settoriale. 
In particolare, il cammino dovrebbe essere quello di sostituire gradualmente, man 
mano che l’apertura alla concorrenza nei vari settori diventa realizzabile, le molteplici 
agenzie di settore con un’unica autorità preposta al controllo del mercato e della 
concorrenza. 
 
 
Nel lavoro di tesi mi sono avvalso dei preziosi suggerimenti della Professoressa 
Giuliana Scognamiglio che mi ha permesso di apprendere e di sviluppare la parte 
normativa relativa all’esperienza italiana ed il problema delle azioni di diritto speciale.  
    
                                                 
1
 Il Sole 24 Ore del 25/11/1999, Finanza e Mercati. 
 1
CAPITOLO I 
 
 
RAGIONI DELLA PRIVATIZZAZIONE 
 
 
1.1 Obiettivi di una privatizzazione 
 
Con il termine privatizzazione si intende il trasferimento della proprietà 
di un bene da soggetti pubblici a soggetti privati. Normalmente oggetto del 
trasferimento sono quote azionarie di imprese, ma potrebbero essere anche 
parti del patrimonio statale quali le cosiddette aree demaniali. Nell’uso 
corrente con tale espressione si indica il trasferimento di attività pubbliche 
aventi natura economica. 
La quasi totalità delle economie occidentali si sono indirizzate verso le 
politiche di privatizzazione delle imprese pubbliche, favorite soprattutto da un 
clima culturale più propenso verso il mercato che ha reso le politiche di 
privatizzazione l’asse portante di una varietà di nazioni non solo sviluppate 
ma anche in via di sviluppo.  
In generale, la privatizzazione comprende la denazionalizzazione o la 
vendita di attività pubbliche e l’introduzione della concorrenza nell’offerta dei 
prodotti da parte delle imprese con una maggiore possibilità di scelta da parte 
degli utenti. 
 
 
 
 2
Le ragioni che hanno condotto molti Paesi ad attuare delle politiche di 
privatizzazione sono in ogni caso molteplici.  
Le ipotesi vanno da motivi di carattere ideologico – sociale, volte a 
ridisegnare il rapporto tra Stato e cittadini, favorire gli ideali di libero mercato 
ed il desiderio di veder diminuire l’interferenza dello Stato nella gestione 
dell’economia, a ragioni di carattere più economico consistenti nella necessità 
di ridurre l’apparato statale e la spesa pubblica, la necessità di porre un freno 
all’eccesso di politicizzazione, eliminare le inefficienze del settore pubblico. 
La motivazione principale resta in ogni modo quella di aumentare la 
concorrenza in alcuni settori industriali, migliorare l’allocazione delle risorse 
e di conseguenza migliorare l’efficienza delle imprese e del sistema 
economico in generale. 
Oltre all’obiettivo dell’efficienza ve ne sono altri, quali: 
 
• l’esigenza di ridurre la spesa pubblica e, in particolare, il fabbisogno 
finanziario dello Stato; 
• ridurre il coinvolgimento del governo nelle decisioni delle imprese e 
quindi ridurre i condizionamenti politici verso il management delle 
imprese; 
• diffondere l’azionariato presso i singoli risparmiatori; 
• accrescere le entrate del bilancio statale; 
• ridurre il peso dei sindacati nelle imprese; 
• ridistribuire il reddito e la ricchezza. 
 
 
 
 3
Tuttavia, alcuni di questi obiettivi sono in contrasto tra loro e ciò 
significa che, spesso, il soddisfacimento di uno comporta il sacrificio di un 
altro. Come esempio può essere preso l’obiettivo volto a diffondere 
l’azionariato presso il pubblico dei singoli risparmiatori. 
Questo obiettivo è in contrasto con quello indirizzato ad aumentare il 
gettito per lo Stato, poiché massimizzare il numero degli azionisti può 
comportare che il prezzo delle azioni scenda al fine di invogliare gli individui 
ad acquistarle piuttosto che impiegare altrove i propri risparmi. 
Anche l’obiettivo che si prefigge di ridimensionare il settore pubblico 
può essere in contrasto con quello volto ad aumentare l’efficienza, qualora 
questo dovesse comportare un trasferimento della proprietà di un’impresa che 
opera in monopolio dal settore pubblico a quello privato. 
In quest’ultimo caso, infatti, l’impresa privatizzata continuando ad 
operare in un ambiente non concorrenziale potrebbe comportare soltanto uno 
spostamento della proprietà monopolistica e delle rendite a questa collegate 
dal settore pubblico a quello privato, con tutte le conseguenze che una simile 
situazione può avere sul benessere sociale degli individui. 
Infatti, l’obiettivo principale dell’impresa pubblica, è soprattutto quello 
di perseguire finalità che hanno carattere politico – sociale, mentre l’impresa 
privata ha l’obiettivo principale nel ricercare il massimo profitto. 
Se il privato operasse in una situazione di monopolio, sarebbe portato 
ad approfittare della propria posizione di vantaggio al fine di ottenere il 
massimo profitto, soprattutto se fornisce determinati servizi a “domanda 
inelastica”, cioè la domanda di   questi   servizi   non varia o varia in maniera 
 4
trascurabile, all’aumentare del prezzo
2
 (basti pensare ai servizi di fornitura 
dell’elettricità, del gas, del telefono e dell’acqua potabile che normalmente 
vengono offerti in situazione di monopolio per gli elevati costi di creazione o 
duplicazione delle infrastrutture che non rendono conveniente l’ingresso di 
nuove imprese in tali settori). La conseguenza sarà una perdita di benessere 
sociale dovuto oltre che all’aumentare delle tariffe anche allo scadimento 
della qualità del servizio che non ha sostituti. 
La concorrenza e la regolamentazione, cioè il controllo da parte di 
apposite agenzie che svolgono un ruolo di monitoraggio sull’attività 
dell’impresa, diventano essenziali. Inoltre, il fatto che una linea politica abbia 
una molteplicità di obiettivi e che questi ultimi possono entrare in contrasto 
tra loro, non costituisce una critica ma mette in evidenza che ciascun obiettivo 
può essere perseguito o sacrificato agli altri e ciò potrebbe comportare che, 
alla fine, nessuno di essi sia effettivamente raggiunto. 
                                                 
2
 L’elasticità della domanda misura la variazione della quantità acquistata da un consumatore di un certo bene 
o servizio al mutare del prezzo, del reddito o del prezzo di altri beni. La reazione del consumatore al mutare 
di queste variabili, può essere misurata con il “coefficiente di elasticità della domanda”. Facendo riferimento 
all’elasticità rispetto al prezzo , il coefficiente sarà: 
 
e = - d log q/ d log p 
 
dove p rappresenta il prezzo e q la quantità domandata. Il coefficiente di elasticità ha sempre valore negativo 
in quanto la curva della domanda presenta, solitamente, un andamento decrescente. In generale, si può 
affermare che l’elasticità della domanda misura <<il grado in cui un certo bene è circondato da sostituti>>, 
infatti, se i sostituti del bene sono numerosi il consumatore si orienterà verso un altro prodotto anche se il 
prezzo è aumentato in piccola misura, invece, se non esistono sostituti del prodotto o servizio colpiti 
dall’incremento di prezzo, il consumatore sarà costretto al loro acquisto nonostante il maggiore esborso. In 
tal caso si afferma che la domanda è poco elastica o rigida. 
GRAZIANI, A. (1985) “Teoria economica”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, pp. 188-192. 
 
 5
L’efficienza economica, considerata come il traguardo più importante, 
nel percorso delle politiche di privatizzazione potrebbe essere sacrificata agli 
altri  obiettivi più redditizi nel breve periodo, come per esempio nel caso delle 
entrate che derivano allo Stato dalla vendita di un’impresa pubblica in regime 
di monopolio naturale, senza preoccuparsi troppo del potere di mercato che 
questa detiene. 
 
 
 
 
 
 
 6
 
1.2     Motivazioni economiche: efficienza 
 
Le ragioni di natura economica della privatizzazione, derivano 
principalmente dal fatto che le imprese del settore privato sono sottoposte a 
dei vincoli più stringenti ed a migliori schemi di incentivazione rispetto alle 
imprese pubbliche. 
La modificazione dell’assetto proprietario dovrebbe comportare un 
miglioramento dell’efficienza per le imprese, soprattutto a seguito della 
modificazione degli obiettivi. La differenza di redditività che a volte è 
presente tra le imprese pubbliche e quelle private, è in parte dovuta alla 
funzione obiettivo dell’azionista Stato che non prevede la sola 
massimizzazione del profitto ma impone ai manager pubblici il 
perseguimento di altre finalità di carattere sociale o politico. L’utilità sociale 
dell’impresa pubblica dovrebbe comunque essere comparata con il costo 
sociale che essa impone e quindi la regola dovrebbe essere quella 
dell’economicità di gestione. 
Inoltre, la minore capacità di profitto può essere ricercata nel cosiddetto 
“vincolo di trasferibilità” della proprietà pubblica. Questo vincolo consiste 
nell’impedire la vendita delle imprese pubbliche e ciò comporta un 
disincentivo per lo Stato proprietario di controllare i manager rispetto a un 
obiettivo di profitto, rendendo così le imprese uno strumento di natura politica 
utilizzate per finalità soprattutto di consenso elettorale. 
L’impresa privata invece, dovrebbe essere gestita con l’obiettivo di 
massimizzare i profitti e quindi il benessere degli azionisti, garantendo in 
questo modo anche l’efficienza dell’intero sistema economico. Nel caso in cui 
 7
i manager dell’impresa privata non si comportano in modo tale da garantire 
l’interesse degli azionisti, attraverso lo sviluppo del valore dell’impresa, il 
pericolo cui vanno incontro è quello di “scalate”, in pratica la possibilità che 
altri investitori sul mercato si rendono conto che il valore potenziale 
dell’impresa è maggiore di quello espresso in quel momento e possono 
approfittarne acquisendo l’impresa ad un prezzo più basso di quello effettivo. 
In tal caso, interverranno tutti i soggetti che sono interessati a seguire le 
vicende dell’azienda, come per esempio le banche – creditrici, che 
assumeranno il ruolo di promotori dell’efficienza dell’impresa. 
Tuttavia, non si può concludere affermando che l’impresa pubblica sia 
sempre inefficiente, in quanto essa ha delle finalità che sono di natura 
soprattutto distributiva e che non possono essere realizzate a costo zero. 
La privatizzazione, da sola, non basta a migliorare l’efficienza in modo 
indicativo. I sistemi di controllo e di incentivo, tipici del settore privato, 
hanno una maggiore probabilità di operare efficacemente quando l’impresa 
opera in un contesto concorrenziale. Quindi la privatizzazione può 
probabilmente condurre a dei risultati migliori in termini di efficienza, solo se 
essa avviene in un ambiente competitivo. 
Per comprendere meglio il problema è utile fare la distinzione tra 
“efficienza produttiva” ed “efficienza allocativa”. 
La prima fa riferimento all’impresa e si riferisce alla minimizzazione 
dei costi produttivi. Essa può essere ottenuta o con la disciplina del mercato, 
oppure riducendo la X – inefficienza che è influenzata da vari fattori, quali: 
gli obiettivi, i controlli, le procedure operative, gli incentivi ai manager ed ai 
dipendenti dell’impresa nonché ai fornitori. 
 8
Tuttavia, anche se il mercato di riferimento è competitivo, l’impresa 
pubblica gode comunque di alcuni vantaggi, soprattutto in termini di accesso 
alle risorse scarse come i capitali finanziari e l’energia. Tutto questo conduce 
inevitabilmente ad un utilizzo non ottimale delle risorse, in quanto il prezzo al 
quale saranno cedute non sarà quello di mercato. 
L’altro tipo di efficienza, quella “allocativa”, si riferisce all’economia 
nel suo complesso ed è sinonimo di “efficienza in senso paretiano”, vale a 
dire quell’ottimo che si ottiene quando l’economia raggiunge una 
distribuzione di beni e servizi tra gli individui, date le risorse scarse e le 
preferenze dei consumatori, di modo che non esiste nessun’altra allocazione 
che consente di aumentare la soddisfazione di un individuo senza diminuire 
quella di un altro. 
Alcuni autori
3
, nell’affrontare il problema della concorrenza, hanno 
rilevato che se la privatizzazione avvenisse in un mercato non concorrenziale, 
vale a dire in un mercato dove non ci sono una moltitudine di operatori e dove 
l’impresa può decidere di influire sul prezzo del bene, essa potrebbe condurre 
a dei risultati inefficienti dal punto di vista produttivo, in quanto mancherebbe 
lo stimolo fornito dal contesto concorrenziale che spinge a ricercare il modo 
più efficiente di produzione al fine di non essere estromessi dal mercato dagli 
altri concorrenti. 
Quest’assunzione fa ritenere, quindi, che non è importante tanto 
l’assetto proprietario dell’impresa per raggiungere l’efficienza “produttiva” ed 
“allocativa”, quanto l’assetto del mercato di modo che anche un’impresa 
pubblica operando in un ambiente concorrenziale potrebbe essere efficiente. 
                                                 
3
 VICKERS, J. – YARROW, G. (1988) “Privatisation”, Mac Millan, London; 
DI MAJO, A. (1989) “Le politiche di privatizzazione in Italia”, Terzo Rapporto CER/IRS sull’industria e la 
politica industriale in Italia, Il Mulino, Bologna. 
 9
A questi autori se ne contrappongono altri
4
 i quali ritengono che, in 
generale, l’impresa privata è comunque più efficiente dell’impresa pubblica e, 
anzi, dopo la privatizzazione si notano dei miglioramenti significativi nella 
performance, nella produttività e nelle politiche dei prezzi che diventano più 
favorevoli per i consumatori. 
Sono state fatte varie catalogazioni delle inefficienze dell’impresa 
pubblica. Tra queste si ritrovano: l’eccesso nell’impiego di lavoro, dovuto 
non solo alla debolezza di contrattare con i sindacati ma anche agli obiettivi 
del governo di ridurre il tasso di disoccupazione; i salari troppo elevati 
rispetto al rendimento del lavoro; una combinazione non ottimale dei fattori 
produttivi (capitale e lavoro) e di conseguenza un costo più elevato della 
produttività. Tutto questo, però, non comporta un aumento dei prezzi dei beni 
o servizi offerti dall’impresa pubblica, poiché i prezzi di questi prodotti sono 
fissati secondo motivi di carattere extra – economico, più specificatamente 
politico. Il disavanzo di bilancio che in questo modo si verrà a produrre per 
l’impresa pubblica, andrà ad incidere sul bilancio dello Stato e, in ultima 
istanza, sui contribuenti. 
Questo favorirà dei comportamenti opportunistici da parte del 
management pubblico ed il “vincolo di bilancio”, secondo il quale gli 
operatori economici dovrebbero decidere le spese sulla base delle risorse 
finanziarie di cui dispongono, non opererà più. 
Bisogna, comunque osservare che molti settori privati dell’economia 
non operano in ambienti concorrenziali. In particolare, la privatizzazione di 
alcuni settori pubblici quali quello del gas, dell’energia elettrica, delle 
telecomunicazioni e altri, hanno bisogno di essere “regolamentati” proprio 
                                                 
4
 V. in Banca Mondiale (1995) “Bureaucrats in Business”, Oxford University Press, Washington D.C. 
 10
perché si tratta di settori che non operano in concorrenza bensì in monopolio 
o, al limite, in oligopolio. 
Lo Stato, in questi casi, interviene costituendo delle agenzie che hanno 
il compito di controllare oltre alla gestione dell’impresa anche che questa non 
si avvantaggi della posizione dominante applicando prezzi troppo alti o 
facendo scadere la qualità dei servizi offerti. 
Tra gli obiettivi delle politiche di privatizzazione assume, quindi, 
particolare importanza quello volto ad introdurre la concorrenza in alcuni 
settori in modo da garantire una migliore allocazione delle risorse produttive 
ed una maggiore efficienza dell’impresa.