2
sforzo maggiore. Non c’è più una fede dogmatica nei
confronti dell’escatologia e nella promessa di
resurrezione la cui unica preoccupazione è quella di
stabilire un dialogo con Dio; ora l’inquietudine del poeta
nasce dal divario tra le parole, che hanno perso il loro
potere di rivelazione, ed il mondo.
Tale presa di coscienza della degenerazione del
linguaggio è il punto di partenza della riflessione poetica
di Geoffrey Hill, poiché come egli asserisce in
un’intervista “every fine and moving poem bears witness
to this lost kingdom of innocence and original justice.
[…] The history of the creation and the debasement of
words is a paradigm of the loss of the kingdom of
innocence and original justice”
3
. Partendo da Eliot, ma
discostandosi dalla sua specifica riconciliazione con il
Cristianesimo, Hill mette in discussione l’autorità della
religione e al contempo, analizzando il senso degli eventi
cruciali della storia, mette in discussione anche l’autorità
della coscienza morale dell’individuo e dello stesso poeta.
3
“Ogni toccante poesia ben fatta porta testimonianza del regno perduto
dell’innocenza e della giustizia originaria. […] La storia della creazione e della
degradazione delle parole è il paradigma della perdita del regno dell’innocenza e
della giustizia originaria.”: Haffander, J., Viewpoints: Poets in Conversation,
London, Faber and Faber, 1981, p. 88
3
Nell’età del trionfo della secolarizzazione, dove la
caduta delle credenze religiose sembra implicare un
declino morale, la voce di Geoffrey Hill emerge per
indicare che esiste ancora una tensione morale: la sua
poesia è infatti un dialogo con il passato ed i suoi abitanti,
una rilettura della storia attraverso lenti di una legge
morale circospetta, un tentativo di riconciliazione tra fede
e storia.
4
1.2 Rivisitazione della tradizione cristiana.
L’attitudine di Hill nei confronti dell’ortodossia
religiosa è complessa.
Non sottoponendosi incondizionatamente alle dottrine
tradizionali, egli nutre la libertà del suo genio poetico
modificando di volta in volta le sue posizioni: di
conseguenza, l’atteggiamento del poeta può essere, a
seconda delle circostanze o delle necessità, devoto,
scettico, iconoclasta o revisionista. “If poetry has any
value”, dice Hill in un’intervista, “that value must
presuppose the absolute freedom of poetry to encompass
the maximum range of belief or unbelief”
4
. Ossessionato
dal problema della fede, egli cerca di reinterpretare e
drammatizzare le tradizionali dottrine giudaico-cristiane
in modo tale da giustificare l’esperienza contemporanea
e, specialmente, l’esperienza poetica. La sua poesia
contiene una grande varietà di simboli cristiani, che,
nonostante siano di derivazione biblica, non promettono
la tradizionale ricompensa della salvezza offerta
dall’esperienza religiosa.
4
“Se la poesia ha un valore, questo valore deve presupporre l’assoluta libertà
della poesia a racchiudere la massima gamma di credenza e miscredenza.”, Ibid.,
p. 88
5
Al contempo, però, seguendo la tradizionale nozione
romantica secondo la quale l’arte è un sostituto della
religione, un rituale per la fede perduta, Hill vede
nell’agire del poeta la controparte secolare del sacrificio
di Cristo: egli non crede nella capacità della Parola di
Cristo di alleviare le ansie dell’uomo contemporaneo, ma
infonde alla sua poesia un carattere di redenzione - poiché
essa, in un’età abbandonata da Dio, parafrasando una
citazione di cui Hill si appropria, deve agire come una
“redenzione della vita”
5
. Secondo Henry Hart, questa
posizione di Hill è indicativa della misura in cui egli
comprende ed accetta l’ortodossia religiosa, piuttosto che
di un rifiuto cinico e nichilistico del dogma cristiano
6
.
Questa complessa attitudine nei confronti della
religione è percepibile anche a livello prosodico. Come
poesia religiosa, il momento cruciale della poetica di Hill
consiste nello stabilire una relazione tra il linguaggio e la
fede. Il linguaggio poetico, infatti, infondendo alla parola
sia un significato sacro sia uno profano e non indicando
alcuna priorità tra i due, viola spesso il dogma teologico.
5
Stevens, W., citato in Hill, G. The Lords of Limits: Essays on Literature and
Ideas, André Deutsch Limited, 1984, p. 16: “After one has abandoned a belief in
God, poetry is that essence which takes its place as life’s redempion”.
6
Hart, H., The Poetry of Geoffrey Hill, Southern Illinois University Press, 1986,
p. 55
6
Esso deve essere incanalato in una forma severamente
controllata, una forma poetica che, come un’eco del ritmo
liturgico, contenga le emozioni collettive e al contempo
presti alla fede individuale un ritmo familiare.
If language is more than a vehicle for the transmission of axioms
and concepts, rhythm is correspondingly more than a
physiological motor. It is capable of registering mimetically,
deep shocks of recognition.
7
Le poesie della prima raccolta, For the Unfallen, il cui
carattere è specificatamente religioso, “Genesis”, “God’s
Little Mountain”, “The Bidden Guest”
8
e “Canticle for
Good Friday”, hanno quindi origine nell’assioma
aristotelico secondo il quale la poesia è imitazione con il
ritmo, la parola e la musica. Rifiutando però l’elemento
catartico, esse sono allo stesso tempo espressione del
fatto che la forma sia ormai inadeguata a rimpiazzare il
ritmo della vera fede.
7
“Se il linguaggio è più di un motore per la trasmissione di assiomi e concetti, il
ritmo è corrispondentemente più di un motore fisiologico. Esso è capace di
registrare mimeticamente intensi shock di riconoscimento.”, in Hill, G., op. cit.,
p. 87
8
Alcune poesie sono state scritte in un periodo anteriore alla pubblicazione di
For the Unfallen (1959). La data di composizione verrà quindi indicata di volta
in volta.
7
“Genesis”, composta nel 1951 quando l’autore era solo
uno studente di 19 anni ad Oxford, apre in modo
paradigmatico la raccolta. Già dal suo esordio, Hill
dimostra la sua abilità nel trasformare le dottrine bibliche
in favole dell’immaginazione. La poesia è infatti un
resoconto non canonico in cinque sezioni della Creazione,
la quale viene trasformata in un viaggio di sei giorni
effettuato dal protagonista poetico; essa è parallelamente
la storia delle origini e dello sviluppo del linguaggio
poetico di Hill.
Against the burly air I strode
Crying the miracles of God.
And first I brought the sea to bear
Upon the dead weight of the land;
And the waves flourished at my prayer,
the rivers spawned their sand.
And where the streams were salt and full
The tough pig-headed salmon strove,
Ramming the ebb, in the tide’s pull,
To reach the steady hills above.
9
9
Hill, G. Collected Poems, London, Penguin Books, 1985, p. 15. Tutte le
seguenti citazioni si rifanno alla stessa edizione.
8
(Cavalcavo contro un’aria robusta
Piangendo i miracoli di Dio.
Ed in principio feci pesare il mare
Sul peso morto della terra;
E le onde fiorivano alla mia preghiera,
I fiumi generavano la loro sabbia.
E dove le correnti erano piene e salate
Il tenace e ostinato salmone lottava,
Speronando il riflusso, con la spinta della marea,
Per raggiungere le ferme colline lassù)
La poesia inizia con un atto di resistenza in un giardino
dell’Eden che non è pacifico, ma antagonistico: l’io
poetico “strides” (v 1), cammina con fare deciso, quasi
come se stesse cavalcando, immerso in un’atmosfera
“burly”, pesante, che ricorda il tempo atmosferico del
mito
10
. La situazione narrativa è rinforzata dalla fisicità
del linguaggio (“burly air”, “the waves flourished”, “the
rivers spawned”) e del ritmo, che richiama la forma
tradizionale della ballata popolare, ma che al contempo è
caratterizzato da una forte punteggiatura.
10
Per una tradizione che si può far risalire al Fedro di Platone, infatti, la pesante
calura che contraddistingue l’ora della siesta è quella in cui l’uomo non si lascia
vincere dal suo istinto animale, ma persevera nella sua indagine filosofica. È il
tempo panico dell’apparizione.
9
Il paradiso è immaginato come uno stato del
linguaggio: concordemente a quanto avviene nella prima
strofe, sono le parole del protagonista che creano il
mondo. Egli, nella sua funzione di poeta che crea poesia,
sembra consapevole di essere il portavoce poetico di Dio,
di avere il suo stesso potere di nominare e dare forma,
poiché il protagonista viene colto nell’atto di “Crying the
miracles of God” (v. 2), un “crying” che può significare
sia un grido di paura sia un pianto di gioia e di
celebrazione.
Da una breve ed estatica affermazione del lavoro di
Dio, il protagonista si muove verso una sofferta
realizzazione che il momento della creazione coincide
con quello della caduta.
È proprio in questa dialettica degli opposti che si
equivalgono che si sente nella poesia di Geoffrey Hill,
così come afferma Harold Bloom, l’influenza di Blake
11
.
Il narratore nega la sua partecipazione all’atto creativo
precedente e limita se stesso alla prospettiva
dell’osservatore passivo:
11
Bloom, H. (ed.), Geoffrey Hill, New York, Chelsea House Publishers, 1986, p.
1
10
The second day I stood and saw
The osprey plunge with triggered claw,
Feathering blood along the shore,
To lay the living sinew bare.
And the third day I cried: ‘Beware
The soft-voiced owl, the ferret’s smile,
The hawk’s deliberate stoop in air,
Cold eyes, and bodies hooped in steel,
Forever bent upon the kill.
(Il secondo giorno rimasi a guardare
Il falco pescatore con artigli innescati,
Impiumare la riva di sangue,
Per mettere a nudo il muscolo vivente.
Ed il terzo giorno gridai: ‘Guartati
Dalla sinuosa voce del gufo, dal sorriso del furetto
Dalla deliberata picchiata in aria del falco,
Dagli occhi freddi, dai corpi cerchiati in ferro,
Sempre chini sulla preda)
Il verso 5, “the third day I cried”, echeggia il “cry” del
verso 2 della prima parte.
11
È un grido di avvertimento dovuto all’orribile scoperta
della violenza insita nella natura e di cui “blood” del
verso 3 è espressione della sanguinosa e feroce vittoria
della fisicità sulla spiritualità: gli elementi positivi degli
animali descritti nella prima parte, infatti, rispondono ad
un calcolo già premeditato ed assetato di sangue nella
seconda. Inoltre, volendo vedere nella deliberata picchiata
in aria del falco pescatore una metafora del volo degli
aerei durante un bombardamento, metafora rinforzata
dall’immagine di corpi cerchiati in ferro, a tale calcolo
rispondono anche gli esseri umani.
La terza sezione è pervasa da un sentimento di
disillusione. Il Dio-poeta della prima sezione, infatti,
impegnato a creare energia ed uno sforzo dialettico tra gli
elementi, non ha previsto che tale libertà avrebbe
permesso anche una lotta generatrice di violenza.
Probabilmente non è solo disillusione: l’io che parla
vuole in modo perverso negare la sua parte nella
creazione della violenza e, spostandosi dalla terraferma
all’acqua, cerca di creare un mito consolatorio per
l’umanità:
12
And I renounced, on the fourth day,
This fierce and unregenerate clay,
Building as a huge myth for man
The watery Leviathan,
And made the long-winged albatross
Scour the ashes of the sea
Where Capricorn and Zero cross,
A brooding immortality-
Such as the charmed phoenix has
In the unwithering tree.
(E ripudiai, il quarto giorno,
Questa feroce e pervicace argilla,
Costruendo uno smisurato mito per l’uomo
L’acquatico Leviatano
E costrinsi l’albatro dalle lunghe ali
A ripulire le ceneri del mare
Dove Capricorno e lo Zero s’incrociano,
Un’immortalità meditabonda –
Come quella della fascinosa fenice
Nell’albero sempreverde.)