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Introduzione
La tutela del consumatore costituisce uno dei temi maggiormente
discussi dalle dottrine europee perché posta alla base delle attività
economiche.
Il costante sviluppo del libero mercato e l’aumento delle attività
transfrontaliere hanno comportato una presa di coscienza relativa
all’importanza del regolare svolgimento delle dinamiche di scambio.
La regolarità di tali processi prevede quindi un’adeguata tutela ai protagonisti
del mercato, in particolare quei decision makers considerati deboli.
Se tradizionalmente il focus delle discipline di mercato erano le imprese e i
professionisti, nell’ultimo decennio si è assistito ad una radicale inversione di
tendenza.
Il consumatore e la sua tutela diventano quindi la principale “preoccupazione”
degli organi regolatori.
Pertanto, il presente lavoro si propone di fornire una dettagliata analisi delle
pratiche commerciali scorrette offrendo una panoramica non solo della
normativa in dettaglio, ma anche del percorso interpretativo dottrinale e
giurisprudenziale da essa compiuto.
In particolare, il primo capitolo è incentrato sulla disciplina normativa
europea e nazionale delle pratiche commerciali, contenuta nella Direttiva
29/2005/CE e nei successivi dispositivi di recepimento nazionali.
Si è provveduto quindi ad analizzare le singole tipologie di pratiche
commerciali scorrette comparando le definizioni del legislatore europeo con
quelle nazionali.
La seconda parte del primo capitolo rappresenta un focus su una particolare
pratica commerciale scorretta, la fornitura non richiesta.
A conclusione del capitolo, si è ritenuto essenziale offrire una prima
panoramica del rapporto tra le Autorità competenti alla regolazione di tali
pratiche e le norme, generali e particolari, da adottare.
5
Il rapporto tra autorità e norme è spiegato più approfonditamente nel secondo
capitolo, attraverso le analisi giurisprudenziali di sentenze che hanno
contribuito a mantenere il dibattito sulle competenze in materia di pratiche
commerciali scorrette, costantemente acceso.
In particolare, si è cercato di analizzare il processo logico-deduttivo dei
giudici amministrativi nazionali e della Corte di giustizia europea che ha
portato all’attribuzione definitiva della competenza all’Autorità garante della
concorrenza del mercato a scapito delle Autorità di settore (con particolare
riferimento al settore delle telecomunicazioni).
A tal proposito, è stata argomentata la recente pronuncia del Tar Lazio 9700
del 3 luglio 2019 che ha visto contrapporsi le società Telecom S.p.a. e Acotel
S.p.A. (quale interveniente) con l’AGCM in merito a due sanzioni comminate
da quest’ultima a seguito di pratiche commerciali ritenute scorrette.
La sentenza ha avvalorato la più recente posizione presa dai giudici nazionali
confermando gli illeciti sanzionati dall’Autorità e respingendo il ricorso delle
società.
Il terzo capitolo, infine, mira a tracciare il profilo del destinatario delle
pratiche commerciali. Si è partiti dunque dalla definizione di consumatore in
senso generale, per arrivare ad un modello di consumatore medio costruito
sulla base di una combinazione di teorie economiche e comportamentali.
Si è arrivato quindi a riconoscere un consumatore affatto avveduto e diligente,
benché vittima in alcune circostanze, di inevitabili devianze
comportamentali.
La parte conclusiva del capitolo si concentra infine sulle diverse tutele poste
a salvaguardia di questo consumatore così come modellato nel corso
dell’indagine.
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Capitolo I
Le pratiche commerciali scorrette
1. Le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive.
Per poter parlare di pratiche commerciali scorrette, è necessario
affrontare la questione partendo dalla radice.
Cos’è una pratica commerciale? E soprattutto quando, questa arriva ad
assumere i contorni ingannevoli e aggressivi?
È fatto certo che la ratio della disciplina, sia da ricercare nell’intenzione del
legislatore di attuare un processo di regolamentazione dell’attività all’interno
di confini di correttezza e buona fede. Tale assunto, porta necessariamente a
considerare quindi l’azione posta in essere dal consumatore nel momento
subito precedente all’eventuale stipulazione di un contratto. Si focalizza
quindi l’attenzione sul consumatore inteso come operatore di mercato abile
ad operare le sue scelte opportunamente tutelato.
Tuttavia, questa rinnovata visione prospettica non deve portare ad una
svalutazione della figura del professionista sulle decisioni del consumatore.
Il codice del consumo, introdotto con d. lgs. 206/2005, all’art. 18 comma 1
lett. d), identifica la pratica commerciale come “qualsiasi azione, omissione,
condotta o dichiarazione […], posta in essere da un professionista in
relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto”
1
.
È necessario fornire una breve descrizione della figura del professionista. Il
già citato art. 18 definisce professionista “qualsiasi persona fisica o giuridica
che, nelle pratiche commerciali […] agisce nel quadro della sua attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in
1
Questo articolo, così sostituito dall’art. 1 del d. lgs. 146/2007, in attuazione alla
direttiva CE 29/2005, introduce una disciplina completamente rivolta alle pratiche
commerciali e conseguentemente, alle figure coinvolte, tra le quali, estremamente rilevante
a fini del presente lavoro, il consumatore.
7
nome e per conto del professionista”. La giurisprudenza amministrativa ha
ritenuto opportuno specificare che la pratica commerciale posta in essere dal
professionista debba essere “manifestazione della sua ordinaria attività di
lavoro”
2
.
A questo punto, dopo aver sviluppato un quadro più che altro nozionistico, è
possibile provare a ricostruire i pezzi del puzzle e cercare di creare un disegno
“completo” dello scopo del legislatore (europeo e italiano) dal quale emerge
con chiarezza la portata della volontà di fornire, con copertura più vasta
possibile, la tutela del consumatore.
Copertura che trova la sua maggiore manifestazione, nei successivi art. del d.
lgs. 206/2005. L’art. 20, rubricato come “divieto delle pratiche commerciali
scorrette” entra nel vivo della questione fornendo una prima e più generica
descrizione della pratica scorretta quando è “contraria alla diligenza
professionale ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il
comportamento economico […]”. Sembrerebbe, quindi, che perché si
configuri “la scorrettezza”, il consumatore debba prendere una decisione, in
relazione al prodotto, che in altre circostanze (se non ci fosse stata
“manipolazione”) non avrebbe operato. Non è tuttavia sufficiente questa
definizione che si limita ad introdurre il presupposto, lasciando il compito
agli articoli successivi, di riempire i contorni delineati dall’art. 20,
descrivendo, nello specifico, le pratiche ingannevoli (ex artt. 21, 22 e 23) e le
pratiche aggressive (ex artt. 24, 25, 26).
La distinzione operata dal legislatore evidenzia, a parere di chi scrive, la
volontà di permeare ulteriormente questo spazio di tutela, fornendole una
gradualità tale da coprire qualsivoglia ipotesi di “raggiro” possa compiere il
professionista.
È inoltre interessante sottolineare, sotto altro aspetto, che la norma reca con
sé due distinte interpretazioni: la prima le attribuisce carattere residuale
rispetto alle fattispecie indicate nei successivi articoli (la cd black list delle
2
Tar Lazio, sez. I, 15 febbraio 2012 n. 1575.
8
pratiche commerciali) evidenziando, di conseguenza, l’importanza
dell’evoluzione del mercato nella continua creazione di nuove pratiche.
Secondo tale interpretazione infatti, la valutazione della “scorrettezza” ha
inizio con il confronto tra la pratica (presunta) scorretta e le black list (artt. 23
e 26 cod. cons.). Nel caso in cui, l’azione in esame, non dovesse essere
ricollegabile ad una fattispecie tipizzata dagli artt. 23-26, sarà necessario
verificare che la stessa presenti caratteri di ingannevolezza o aggressività.
Ove anche questa strada, non portasse alla individuazione di definiti
parametri di scorrettezza, si dovrà considerare la norma generale (ex art. 20).
In quest’ottica appare evidente come la previsione di cui all’art. 20, sia
relegata ad una funzione sussidiaria. Altra dottrina invece risulta essere di
vedute diametralmente opposte. Secondo tale interpretazione, l’art. 20 si
presenterebbe come il fulcro della disciplina delle pratiche commerciali
scorrette, le cui specificazioni ex artt. 23 (pratiche ingannevoli) e art. 26
(pratiche aggressive) altro non sono che una mera schematizzazione
semplificativa. A fondamento di tale teoria due motivi: i) la elencazione delle
fattispecie di cui agli artt. 23 e 26, richiama inevitabilmente concetti che
necessitano di un momento interpretativo, tale per cui diventa fondamentale
il rimando alla clausola generale (ex. art. 20); ii) le fattispecie ivi considerate,
non presentano divieti, ma si limitano a descrivere situazioni di illiceità “pur
sempre suscettibili di prova contraria”
3
.
Sulla scorta di siffatte affermazioni, appare preferibile questa seconda
interpretazione.
Inoltre, si osserva che la stessa Autorità Garante della concorrenza e del
mercato prediliga l’interpretazione generale, ricorrendo alla verifica dei
requisiti ex art. 20, in caso di accertamento di pratiche rientranti nelle
fattispecie di cui agli artt. 23 e 26.
Le pratiche commerciali sono considerate ingannevoli quando una parte delle
informazioni contenute in esse, non sia rispondente al vero o sia “idonea a
3
Vincenzo Cuffaro, Codice del consumo (a cura di), IV ed., 150
9
indurre in errore il consumatore” inducendolo ad operare una scelta che
altrimenti non avrebbe preso.
L’art. 21 mostra quali possibili elementi possano essere suscettibili di
manipolazione del professionista. Per citarne qualcuno: i) l’esistenza o la
natura del prodotto; ii) le caratteristiche principali del prodotto quali la sua
disponibilità, i vantaggi, i rischi […], l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità,
la descrizione, l’origine geografica, […]; iii) la portata degli impegni del
professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di
vendita, […] e così via.
Con questo articolo, il legislatore ha inteso tipizzare le situazioni ingannevoli
al fine di permettere al professionista di conformare i suoi comportamenti alla
correttezza e al consumatore di operare “decisioni consapevoli e quindi adatte
a garantire la sua piena determinazione”
4
.
Un’attenta lettura dell’articolo in esame, porta a rilevare che l’azione
ingannevole non si configura solo come informazione non veritiera. È
possibile, infatti, che informazioni corrette portino all’inganno ai danni del
consumatore relativamente ad uno solo dei requisiti elencati dalla norma e
che tale elemento sia connesso con una decisione che altrimenti l’utente non
avrebbe operato. Ciò porta a ritenere che mentre nel primo caso il legislatore
consideri implicitamente pratiche commerciali scorrette, le false
informazioni, nel secondo caso, sia compito del consumatore dimostrare
l’elemento sviante, artefice della scelta operata.
A seguire, l’art. 22 specifica come rilevi ai fini della scorrettezza anche
l’omissione di informazioni che sarebbero fondamentali perché il
consumatore operi una scelta consapevole (di natura commerciale).
L’omissione è considerata tale, anche quando il professionista fornisce
notizie in modo vago e lacunoso, “oscuro, incomprensibile, ambiguo o
intempestivo”
5
.
4
G. De Cristofaro e A. Zaccaria, Commentario breve al diritto dei consumatori, 156.
5
Art. 22, comma 1, cod. cons, così sostituito dall’art. 1, comma 1, del D. L.vo 2
agosto 2007 n.146.
10
A tal proposito, eminente dottrina
6
sottolinea che sebbene sia possibile
incorrere in un dolo omissivo incidentale, è sufficiente seguire un percorso
logico tale per cui la condotta diventi volontariamente illecita con la
“chiusura del canale informativo, fomentatrice dell’ignoranza investente la
vittima”.
L’elemento fondamentale proprio della fattispecie in esame quindi sembra
essere il nesso causale tra l’informazione omessa e la scelta operata.
La stessa disciplina inerente le pratiche commerciali scorrette evidenzia i
punti cardine delle informazioni da fornire perché non si incorra in situazioni
di illiceità. Sono imprescindibili le caratteristiche del prodotto, il prezzo, i dati
relativi al professionista che mette in atto la pratica. E ancora, le eventuali
spese di spedizione, la garanzia, la modalità di recesso.
Il consumatore, perché si renda autonomo e tutelato nella sua scelta, deve
essere provvisto della totalità delle informazioni sopra citate.
È tuttavia importante evidenziare che la illegittimità delle omissioni non
sempre derivi dall’intenzione di ledere del professionista.
È fatto certo, che in talune circostanze risulti impossibile fornire
adeguatamente le informazioni previste dal dettato normativo, ovvero siano
presenti limiti strutturali del mezzo informativo scelto per la diffusione del
messaggio pubblicitario.
Infine, come precedentemente osservato, non solo la completa mancanza di
informazione rientra nella categoria ex art. 22.
Infatti, ai fini dell’applicazione della fattispecie, è sufficiente trovarsi in
presenza di informazioni permeate da opacità.
Il professionista, non deve quindi limitarsi ad una mera esposizione delle
informazioni inerenti al prodotto o il servizio, ma deve accertarsi che le stesse
risultino assorbibili dal consumatore.
Il codice del consumo prevede all’art. 23, una serie di azioni considerate in
ogni caso ingannevoli. In armonia con l’intenzione del legislatore europeo di
6
G. De Cristofaro e A. Zaccaria, Commentario breve al diritto dei consumatori, 162.
11
coordinare le normative degli stati membri
7
, il legislatore italiano ha fornito
un elenco di azioni ritenute vietate in ogni caso, a prescindere dalle
circostanze.
Si osserva quindi un presupposto diverso da quello stabilito dalla clausola
generale: non è più necessario l’accertamento della “scorrettezza”, è
sufficiente infatti che la pratica rientri in una delle fattispecie indicate nella
c.d. black list (di cui all’art. 23).
L’elenco in oggetto, presenta carattere di tassatività, il cui controllo deve
essere effettuato dall’Autorità competente e la cui modifica non può essere
operata dal legislatore nazionale.
La trattazione codicistica prosegue poi con la definizione e l’elencazione delle
pratiche commerciali aggressive: sono tali quelle pratiche che, tenuto conto
delle circostanze del caso, limitano la capacità di decisione del consumatore
medio attraverso molestie, coercizione, ricorso alla forza fisica o indebito
condizionamento.
I parametri dettati dal codice (ex. Art 25 Cod. Cons.) che stabiliscono
l’eventuale aggressività della pratica, fanno riferimento a tempi, luogo, natura
della persistenza, ricorso alla minaccia fisica, sfruttamento da parte del
professionista di eventi tragici utilizzati allo scopo di alterare la capacità di
valutazione del consumatore e così via.
Sebbene i contorni della nozione siano considerati ampi, attenta dottrina ha
rilevato due elementi comuni propri delle pratiche commerciali aggressive:
- un elemento strutturale, riscontrabile nel presupposto della coercizione,
delle molestie, ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento;
- un elemento funzionale, che si manifesta con l’atteggiamento persuasivo di
induzione ai danni del consumatore.
Questo secondo elemento è riscontrabile in tutte le pratiche commerciali
aggressive, essendo altresì il presupposto.
7
Cfr. Allegato I della Direttiva 29/2005/CE secondo quanto stabilito dall’art. 5 c. 5
del medesimo provvedimento.