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INTRODUZIONE
Una delle più importanti forme di comunicazione, in un contesto di progresso
tecnologico avanzato come il nostro, è sicuramente la pubblicità.
La pubblicità rappresenta un potente strumento attraverso il quale le imprese entrano
in contatto con il vasto pubblico dei consumatori cercando di attirare la loro
attenzione per presentare, promuovere e far conoscere i loro prodotti. Molteplici e
vari sono i mezzi utilizzati, da strumenti quali la radio e la televisione, dai giornali
alle affissioni, dalle poste ad internet, dove ormai il ruolo dei social network appare
preponderante, in quanto tutti sono in grado di esercitare una notevole influenza sui
processi decisionali e sui gusti del consumatore.
1
Il mittente, cioè la fonte del messaggio, varierà i contenuti dello stesso a seconda
delle proprie esigenze e gusti: lancio di un nuovo prodotto, ampliamento del mercato,
consolidamento della fedeltà della marca, difesa delle posizioni già acquisite da un
prodotto ormai maturo, insomma tutta una serie di obiettivi che le imprese
perseguono nel proprio contesto competitivo.
Risulta chiaro che non possiamo attribuire solo alla pubblicità il successo o meno
delle nostre operazioni commerciali, dovendo prestare attenzione a tutte le
componenti che formano il cosiddetto “marketing mix”
2
. Capiamo quindi quanto
sono complesse e ricche le variabili in gioco, ma sicuramente la pubblicità ha
rappresentato un punto di svolta quasi rivoluzionario nei rapporti tra impresa e
consumatore, proprio per la capacità di raggiungere in massa un vasto numero di
individui che vedranno alterate, ma non per forza in negativo, le proprie convinzioni
e i propri processi decisionali
3
. Fondamentale diventa la tutela dei vari interessi in
gioco, da un lato l’interesse delle imprese affinché la réclame dei concorrenti non
violi le regole di gioco, distogliendo a favore di questi ultimi la propria clientela per
effetto di una comunicazione non veritiera e deviante; dall’altro quello dei potenziali
acquirenti, consumatori a non essere ingannati da questo tipo di comunicazione, così
1
Cfr., ATTANASIO, La pubblicità oggi, edit. Franco Angeli, Milano, 1998
2
Jerome McCarthy teorizzò la Teoria delle “Four Ps”: Product- Price- Place- Promotion.
3
Cfr., FABRIS, La pubblicità teoria e prassi, Milano, 1996
5
inducendoli al compimento di atti economici per essi pregiudizievoli.
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Si ritiene condivisibile la visione secondo cui la pubblicità, o in generale “la
promozione”, intesa come comunicazione, sia un elemento cruciale nelle strategie
aziendali, poiché esercita un impatto notevole sulla struttura e sulle dinamiche dei
rapporti tra imprese, concorrenti e consumatori nel mercato. E’ interesse generale che
questi rapporti si svolgano all’insegna dei principi di correttezza, lealtà e buona fede,
e che ci sia una disciplina chiara e condivisa che possa assolvere a questa essenziale
funzione. La parte più debole nei rapporti che si creano all’interno del mercato è
rappresentata dal consumatore; un po’ come avviene nei rapporti concorrenziali in
generale, è proprio questa figura che merita secondo l’opinione condivisa, una tutela
sempre più reale e consistente.
5
La pubblicità con la sua grande forza manipolatrice e
persuasiva ha un grande impatto sulle scelte del pubblico, cosicché si potrebbe ledere
l’interesse economico di cui il consumatore è portatore ed anche i diritti
fondamentali che la Costituzione gli riconosce.
La funzione della pubblicità commerciale moderna consiste sostanzialmente
nell’esercitare, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, un influsso psicologico
sui consumatori per indurli all’acquisto di determinati beni o servizi.
6
In questo senso si parla di “pubblicità del profondo”
7
, che si propone ad influenzare
il comportamento dei consumatori, servendosi di tecniche persuasorie ed
appellandosi ai diversi livelli di coscienza di cui il consumatore finale è il portatore.
D’altronde è impensabile che in un contesto di mercato molto competitivo, il
messaggio pubblicitario delle varie imprese sia soltanto un’esposizione delle
caratteristiche del prodotto offerto, senza introdurre elementi che possano attrarre
l’interesse del pubblico obiettivo.
Questo aspetto può rappresentare un’arma a doppio taglio, nel momento in cui le
informazioni fornite risultino viziate da elementi d’ingannevolezza (omissioni, dati
falsi, tendenziosi, erroneamente riportati), oppure siano informazioni dirette a ledere
un determinato comportamento, attraverso atti di concorrenza sleale, che causano
non solo un pregiudizio economico al consumatore finale, ma anche un danno
4
Cfr., GHIDINI G., Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, Milano 1968
5
BESSONE, La tutela del consumatore, le riforme legislative e l’ordine pubblico economico per
tempi di capitalismo maturo, In Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1983, pp 360 e ss.
6
Cfr. GRANDINETTI R., Concetti e strumenti di Marketing, Milano 2002
7
GHIDINI G., op.cit, 1968, p.20
6
significativo al concorrente. Vengono quindi tutelati, da un lato gli interessi dei
consumatori nell’ottenere un’informazione chiara e veritiera, che consenta loro di
acquisire una più ampia conoscenza del mercato e nel particolare delle caratteristiche
dei prodotti offerti loro dalle imprese, ma anche la loro persona umana, rispettando la
libertà interiore di ciascuno.
Inoltre vengono tutelati anche gli interessi degli imprenditori al conseguimento del
massimo profitto e ad ottenere, nel rispetto del gioco concorrenziale, una quanto più
ampia porzione di clientela possibile, potendo nel rispetto del principio della
concorrenza, sottrarla legittimamente al concorrente, anche mediante una campagna
pubblicitaria. Tutelato è infine il concorrente i cui diritti possono essere lesi
attraverso atti di concorrenza sleale o di pubblicità ingannevole: in quest’ultimo caso
il cliente potrebbe aver formulato un giudizio viziato da informazioni false e
menzognere fornite dal concorrente sleale. Ribadiamo che in questo caso protetto è
l’interesse generale del mercato affinché la competizione si svolga secondo le regole
della correttezza e della buona fede, sintetizzate nell’espressione della correttezza
professionale.
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PARTE PRIMA
CAPITOLO 1
La tutela del consumatore e la disciplina della pubblicità
ingannevole
1.1. La pubblicità ingannevole: il Codice di autodisciplina
pubblicitaria e il decreto legislativo n. 74 del 1992
Per comprendere meglio l’evoluzione della disciplina pubblicitaria dobbiamo partire
dall’anno 1966, precisamente dal 12 maggio. Fu in quella data che le varie
associazioni firmarono un codice di autodisciplina pubblicitaria, “Codice di lealtà
pubblicitaria”. Il Codice prevedeva un solo grado di giudizio, favorendo la celerità
del processo e prevedeva una condanna all’azienda, la cui pubblicità non rispettava
gli standard di lealtà e correttezza.
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Lo scopo del Codice era di: “far sì che ogni
forma di manifestazione pubblicitaria, non danneggi la pubblicità che ha un ruolo
essenziale per lo sviluppo dell’economia e per la creazione di maggiore benessere ed
è insieme un servizio socialmente utile.”
Qualche anno dopo, il testo del 1971 introdusse una prima modifica alla premessa:
“Il suo scopo è di far in modo che la pubblicità, che ha un ruolo essenziale per lo
sviluppo dell’economia e per la creazione di maggior benessere, ed è insieme un
servizio socialmente utile per l’informazione del consumatore, eviti tutto ciò che la
possa screditare e che sia incompatibile con i suoi fini.”
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Molto importante, e lo è
ancora oggi, è stato l’articolo 1, che stabilisce che la pubblicità debba essere onesta,
veritiera e corretta. Una delle riforme più rilevanti, fu l’introduzione dell’articolo 34,
che ha reso il Codice valido per tutti coloro che si servono della pubblicità: “I mezzi
pubblicitari che direttamente o tramite le proprie associazioni hanno accettato il
Codice della lealtà pubblicitaria, ancorché non siano stati parte del procedimento,
8
FUSI M., Sul nuovo codice di autodisciplina pubblicitaria, in Riv. Dir. Ind. 1976, I, pp 222 e ss.
9
BORRELLI, Autodisciplina pubblicitaria e leggi nazionali, in Riv. dir.ind. 1983, I, pp 367 e ss.
8
sono tenuti ad osservare i canoni di correttezza.” La conseguenza di questa clausola è
che anche le aziende o le agenzie non iscritte alle associazioni firmatarie del Codice,
debbono sottostare a tali norme. Questo risulta un passo in avanti, ma ancora non
appaiono risolti in modo completo i problemi di tutela dei consumatori.
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Nel 1975, fu approvata la seconda e più sostanziale riforma del Codice, il cui nome
cambiò da “Codice della lealtà e della correttezza” a “Codice dell’autodisciplina
pubblicitaria” e ne fu modificata la premessa con un capovolgimento degli scopi: “Il
Codice di Autodisciplina ha lo scopo di assicurare che la pubblicità, nello
svolgimento del suo ruolo utile al processo economico, venga realizzata soprattutto
come servizio per l’informazione del pubblico, con speciale riguardo alla sua
influenza sul consumatore”, però con l’aggiunta “ Essa deve evitare tutto ciò che
possa screditarla.” La parola chiave risulta essere “servizio”, poiché viene ribadita la
consapevolezza che la pubblicità esercita nei processi decisionali del pubblico e
l’importanza del non discredito. Servizio quello della pubblicità perché dovrebbe
essere un ulteriore mezzo conoscitivo da parte del consumatore per una maggiore e
più completa informazione sulle offerte e sulle dinamiche dei mercati, cosicché le
parti più deboli dei rapporti economici, possano colmare questa differenza di
conoscenza ed essere sullo stesso piano, o quasi, dei propri interlocutori.
Il sistema di autodisciplina non risolveva, come detto in precedenza, i problemi di
tutela dei consumatori, ed infatti nel 1992 si affianca ad esso una disciplina
legislativa speciale che prevede un controllo amministrativo più ampio da parte
dell’Autorità Garante della Concorrenza
11
, poiché il controllo è volto a reprimere
l’impiego di pratiche pubblicitarie scorrette nei confronti sia dei professionisti che
commerciali e sia dei consumatori. Questa data rappresenta un punto di svolta
nell’evoluzione della disciplina, perché il legislatore, al fine di colmare il vuoto
normativo relativo alla qualificazione della pubblicità commerciale, ha provveduto
ad attribuire a quest’ultima una valenza giuridica autonoma ed ha delineato le
caratteristiche che un determinato messaggio pubblicitario deve presentare per poter
essere qualificato come ingannevole.
12
Le norme o l’orientamento preesistenti non
10
GUGGINO, Considerazioni intorno la natura dell’autodisciplina pubblicitaria, in Rass. Dir. Civ.
1989, pp 381 e ss
11
L’istituto dell’autorità garante della concorrenza nasce nel 1990.
12
MARRAMA D., La pubblicità ingannevole, Napoli 2002, pag. 56
9
avevano mai considerato la pubblicità nel suo momento fisiologico, come
comunicazione destinata ad assolvere una funzione informativa, ma solo quando
avesse rivestito gli estremi dell’illecito. Da qui i ricorsi da parte della giurisprudenza
all’articolo 2589 del codice civile sulla concorrenza sleale, ravvisandosi in essa un
comportamento scorretto idoneo a sviare l’altrui clientela. La ratio dell’articolo 2598
è di intimare alle imprese che operano nel mercato alcune regole di lealtà e di
correttezza, facendo sì che nessuna si avvantaggi, nella diffusione e collocazione dei
propri prodotti, con l'uso di metodi contrari all'etica commerciale. Il secondo comma
dell'art. 2598 recita che: “compie atti di concorrenza sleale chiunque diffonde notizie
ed apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne
il discredito”, senza permettere di distinguere se tale discredito sia originato da
notizie vere o false
13
. L’art. 2598 al terzo comma definisce in modo ampio la
concorrenza sleale, riferendosi all’utilizzo diretto o indiretto di ogni altro mezzo
contrario ai principi della correttezza professionale; l’idoneità a poter danneggiare
l’altrui azienda, per il suo potenziale effetto di sviamento della clientela, fa sì che
risulti poi irrilevante la confondibilità obiettiva e materiale dei prodotti e delle
attività concorrenti. Possiamo definire la condotta di concorrenza sleale per
violazione dei principi della correttezza professionale il comportamento dannoso, che
mira a carpire notizie riservate, relative ai processi di produzione e alle sostanze
usate per realizzare un dato prodotto da parte di un'impresa concorrente, senza
necessità di accertare la presenza di prodotti simili sul mercato. Al momento
possiamo considerare lecita la pubblicità comparativa solo entro i limiti imposti
dall’art. 4, d.lgs. 2-8-2007, n. 145, che tutela i professionisti dalle conseguenze sleali
della pubblicità; se illecita, è considerata una pratica commerciale ingannevole per il
consumatore, ai sensi dell’art. 22, d.lgs. 6-9-2005, n. 206 (Codice del consumo).
14
Era comunque difficoltoso attribuire ad una norma che tutelava gli imprenditori
concorrenti la funzione di proteggere i soggetti che potevano subire un pregiudizio
dalla pubblicità ingannevole, i consumatori.
15
Il decreto n. 74 del 1992 si compone
13
FLORIDIA, La tipizzazione normativa in AA. VV.., Diritto industriale – Proprietà intellettuale e
concorrenza, Giappichelli Editore, Torino, 2012, p. 357.
14
Articolo corretto da Comunicato 3 gennaio 2006, pubblicato nella G.U. 3 gennaio 2006, n. 2 e,
successivamente, sostituito dall'art. 1, comma 1, D.lgs. 2 agosto 2007, n. 146, che ha sostituito l'intero
Capo II.
15
FUSI M., TESTA P., COTTAFAVI P., La pubblicità ingannevole, Milano 1993, pag. 4.