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Introduzione
Il presente lavoro di tesi si colloca all’interno dell’approccio della psicologia dello sviluppo e
pone il focus sulle forme di coinvolgimento diretto di chi vive una transizione, talvolta
traumatica, come quella dei migranti. L’esperienza di migrazione è concettualizzata come
costrutto complesso che presenta ampi margini di variabilità interna, a fronte della quale ci si
pone il problema, da un lato, di quando e come gli immigrati possano essere aiutati a pensare
e raccontare tale esperienza anche in rapporto con il loro passato, e, dall’altro, di come possa
essere favorita una circolarità della comunicazione con gli autoctoni, in un rapporto di
autentica reciprocità. Ciò conduce a interrogarsi sulle fasi in cui proporre la narrazione (Seery
et al, 2008) e sull’organizzazione del “setting”, cioè sulla scelta della situazione e dei canali
espressivi che possono eventualmente sollecitare le narrazioni. Alcuni contributi tratti dalla
letteratura vedono la narrazione affiancarsi ad altri linguaggi “figurativi”, come il disegno
(Favaro & Napoli, 2004); altri ne vedono privilegiata la dimensione metaforica (Brockmeier,
2008); mentre ulteriori autori collegano la forma narrativa ad una valorizzazione del potere
evocativo degli “oggetti” (Habermas, 2001) in essa ripresi.
All’interno di questa cornice ed in una prospettiva psicologica e interculturale, la presente tesi
ha come oggetto una rielaborazione, motivata dall’esigenza di “validità ecologica” (Bonica,
2007) del “Gioco della Sabbia”, in cui la narrazione, segue l’attività pratica (manipolazione,
categorizzazione degli oggetti, costruzione sabbiera). L’interazione tra narrazione e attività
pratica offre in questo setting l’opportunità di un’espressività non solo verbale, in cui la
narrazione è sollecitata dalla mediazione simbolica della sabbia e degli oggetti, ed in cui la
dimensione collettiva offre una ulteriore mediazione sul piano relazionale.
L’obiettivo specifico del mio lavoro di ricerca è quindi approfondire lo studio delle
potenzialità espressive di questo setting, avvalendomi dei materiali prodotti nel Dipartimento
di Psicologia, a seguito di un progetto (responsabile scientifica prof.ssa Bonica), che ha
coinvolto sia coppie di mamme e bambini provenienti da diversi paesi del mondo, che
mediatrici culturali. Nell’ambito di questo progetto sono state inserite alcune modifiche al
setting per favorire una maggiore possibilità di espressione delle peculiarità di ogni cultura.
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La prima parte di introduzione teorica mi consente di presentare le domande generali che
guidano il lavoro, con particolare riferimento alle pratiche espressive, ai tempi e ai vocabolari
che possono favorire una pensabilità e comunicabilità dell’esperienza migratoria (capitolo 1).
Essa si conclude con la proposta del setting del “Gioco della Sabbia”, rielaborato in una
prospettiva psicologica e interculturale (capitolo 2), presentando sia le scelte relative al setting
che gli spunti teorici ad esso collegato.
Con la seconda parte entro nel merito degli aspetti empirici e metodologici, definendo
obiettivo e metodologia di lavoro (capitolo 3). Infine, nella terza parte, espongo i risultati
relativi all’analisi di contenuto e all’analisi testuale delle produzioni (capitolo 4).
Successivamente, sulla base delle domande di ricerca affronto la discussione dei risultati
(capitolo 5), privilegiando letture in una prospettiva psicologica e narrativa e proponendo un
modello interculturale di analisi del setting del “Gioco della Sabbia”. Il lavoro si conclude con
alcune riflessioni finali e con la descrizione dei limiti e delle prospettive future (capitolo 6).
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Parte prima
LA TEORIA
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Capitolo 1. Aspetti psicologici e pratiche espressive della
transizione migratoria
1.1 L’immigrazione nella prospettiva culturale e interculturale
La vita stanziale è stata, nella storia dell'umanità, l'eccezione piuttosto che la regola. Benché
questo possa apparire sorprendente agli occhi della società odierna, la specie umana è stata
soprattutto una specie nomade, in movimento. Ancora oggi i migranti sono una percentuale
enorme degli abitanti sul pianeta. Secondo le stime più recenti dell’Organizzazione
internazionale del lavoro (ILO), presentate in occasione della Giornata internazionale del
migrante 2009 sono oltre 214 milioni. E’ l’Europa a detenere il più alto numero di immigrati
(persone nate in un Paese diverso da quello di residenza) con circa 71,8 milioni. A livello di
singoli Paesi, l’Italia, con 4,5 milioni, si colloca in 12-esima posizione, preceduta a livello
continentale da Francia, Regno Unito e Spagna collocate consecutivamente tra i 6,4 e i 6,7
milioni. In Italia, sono circa 250 mila i matrimoni misti contratti tra il 1996 e il 2008; più di
mezzo milione di persone hanno acquisito la cittadinanza; oltre 570.000 stranieri sono nati
direttamente in Italia; quasi 100 mila arrivano a essere i figli di madre straniera ogni anno; più
di 100 mila gli ingressi per ricongiungimento familiare. I contatti quotidiani in azienda e nei
luoghi di socializzazione, la scuola, l’associazionismo, il volontariato, la pratica religiosa, le
famiglie miste stanno facendo dell’immigrazione una realtà organica alla società italiana. Il
fenomeno dell’immigrazione in Italia è strutturale e riveste per la società implicazioni
demografiche, che si ripercuotono anche sul piano interculturale (Caritas, 2009).
La prospettiva interculturale focalizza il suo senso sul prefisso interinterazione, scambio,
apertura, reciprocità, solidarietà obiettiva. Ciò implica anche attribuire il pieno senso al
termine cultura, riconoscimento dei valori, dei modi di vita, delle rappresentazioni simboliche
alle quali si riferiscono gli esseri umani, individui e società, nelle loro relazioni con l'altro e
nella loro comprensione del mondo, riconoscimento delle loro diversità, riconoscimento delle
interazioni che intervengono di volta in volta tra i molteplici registri di una stessa cultura e fra
differenti culture, nello spazio e nel tempo (Unesco, 1980).
In questa prospettiva è importante considerare l’emigrazione come un fenomeno complesso di
cambiamento, una transizione che ha implicazioni culturali e identitarie, in quanto la persona
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che la vive è portata a ridefinire tutto il suo sistema di posizionamento rispetto alle attività, ai
ruoli e alle relazioni (Bronfenbrenner, 1989).
I migranti hanno vissuto infatti un’esperienza di “rottura” all’interno della loro vita
quotidiana (Becker, 1997; Zittoun 2007). Esperienze di discontinuità e rottura mettono in
discussione il senso di integrità e continuità della persona; fanno si che la persona si
interroghi sulla propria identità, cosi come sui mezzi per padroneggiare il proprio ambiente. A
fronte di tali discontinuità, la persona potrebbe avere difficoltà nel riconoscere “senso” agli
eventi, e nel trattare le emozioni e le fantasie che questi scatenano (Erikson 1950, 1968;
Rutter 1994; Smelser, 1980). La migrazione, quindi, può essere un’esperienza ambigua,
caratterizzata da un insieme di discontinuità pur nel mezzo di un’incredibile sameness;
un’esperienza piena di emozioni e dolore collegato ad un continuo e complesso gioco tra il
“trovare” e il “perdere”. L’esperienza di migrare fa ricostruire i propri pattern di vita
quotidiana e cambia anche le proprie self-understandings, agendo quindi qualche volta come
un potente evento scatenante per ridefinirsi e diventare un altro. Identificarsi ed essere
identificati negli incontri con gli altri sociali è centrale nel processo di rinegoziazione del
proprio senso d’identità e nello ri-stabilire familiarità dopo la migrazione (Martin &
Mahmoud, in press).
Una delle emozioni salienti nell’esperienza di migrazione è la nostalgia. Questo termine arriva
dal greco ed è una parola composta da “nostos” che significa ritorno e da “algos” che
significa sofferenza. Viene definita da vari autori come sentimento della mancanza, tristezza
per aver abbandonato il proprio paese, mal du pays, rimpianto per il passato, ecc. Gli autori
Zhou, Sedikides, Wildschut e Gao (2008) e Sedikides, Wildschut, Arndt e Routledge (2008)
suggeriscono che la nostalgia sia un’emozione rilevante per il Sé, abbia come oggetto persone
e eventi molto importanti e che possa quindi svolgere anche un ruolo protettivo in quanto la
sua funzione è vitale nel ri-stabilire, almeno a livello simbolico, una connessione con altri
significativi, i quali possono così ritornare ad essere presenti. La nostalgia può allora essere
intesa come deposito di stati affettivi positivi che possono aumentare la percezione del
supporto sociale e opporsi agli effetti della solitudine. La nostalgia impregna la vita di
significato e facilita l’affrontare le minacce esistenziali. In questo modo facilita anche la
continuità tra il Sé del passato e quello del presente ed è quindi, secondo Davis (1977), la
risposta al bisogno di mantenere la continuità nella propria vita. Nel corso di una transizione
si vivono quindi diversi stati d’animo, si fa fronte ai processi che seguono rotture
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impegnative, se non anche traumatiche, e si cerca di ripristinare un senso di self-evidence.
Secondo Zittoun (2008), le transizioni implicano generalmente tre ambiti di elaborazione:
identità e processi di posizionamento (definire chi si è, per Sé e per gli altri)
(Duveen, 2001);
apprendimento di competenze e conoscenze relative alla nuova situazione in cui si è;
costruzione di un senso di questi cambiamenti - che coinvolge l'elaborazione di
emozioni e esperienze consapevoli e inconsce (Perret-Clermont & Zittoun, 2002;
Zittoun, Duveen, Gillespie, Ivinson & Psaltis, 2003).
Tutti questi ambiti rimandano a modalità di incontro con “l’altro”, che favoriscono
l’espressività e i processi di elaborazione personale. La possibilità di vivere una reciprocità
comunicativa nei nuovi incontri, fornisce un interlocutore, dà senso e direzione al
cambiamento in atto vissuto dai migranti, consente che lo sforzo di riposizionarsi trovi
interlocutori altrettanto coinvolti nel processo di cambiamento e autenticamente impegnati
nella comprensione e conoscenza dell’altro (Bonica, 2000). Lo spazio interculturale della
transizione può allora essere descritto come uno spazio di co-costruzione tra soggetti
eterogenei e che può fondarsi sia su processi di confronto tra le culture, sia su processi di
progressiva appropriazione dei significati delle rispettive culture, nel corso della condivisione
di esperienze significative, connotate dal reciproco riconoscimento della propria capacità
umana di autodeterminazione (Bonica, 2000).
1.2 Pensabilità e comunicabilità dell’esperienza migratoria: quali
pratiche espressive la favoriscono?
Restringendo la nostra analisi al mondo della ricerca interculturale, le forme di
coinvolgimento diretto di chi vive una transizione, talvolta traumatica, come quella dei
migranti, aprono un interrogativo di fondo sul reale interesse da parte del migrante a
esplicitare i propri vissuti. L’esperienza dei migranti è infatti molto varia e si pone quindi il
problema, da un lato, di quando e come aiutarli a pensare e raccontare la loro esperienza e il
loro rapporto con il passato, e, dall’altro, di quali forme di conoscenza gli autoctoni abbiano
realmente bisogno, al fine di poter costruire con i migranti un rapporto di autentica
reciprocità. Tali domande presuppongono una preoccupazione di validità ecologica della