5
misura dalle dinamiche di prezzo e dalle disponibilità fisiche di esso;
- al prezzo del petrolio sono direttamente correlati i valori di scambio
delle altre fonti di energia, in particolare quelli del gas naturale (che
rappresentano un altro 25% circa dei consumi totali);
- il petrolio ha sempre rappresentato e continua a rappresentare un fattore
di prioritaria importanza nelle relazioni politiche internazionali e nelle
politiche interne ai singoli paesi.
In questo settore più che in altri, il potere politico può trasformarsi in
ricchezza; allo stesso tempo la forza economica di Stati, come di soggetti
economici privati, può essere difesa e accresciuta tramite l’uso di strumenti
prettamente politici.
Tali strumenti giocano un ruolo centrale nel determinare il prezzo del
greggio, accanto a fattori più propriamente economici, quali la domanda e
l’offerta, anche per le caratteristiche proprie di questo mercato:
l’indispensabilità del petrolio e la natura internazionale dei commerci
petroliferi.
Questo ultimo punto è forse il principale motivo d’importanza del settore
petrolifero, tanto è che gli scambi di greggio e prodotti petroliferi
costituiscono una quota significativa del commercio internazionale; i più
importanti giacimenti petroliferi sono situati in aree a basso grado di
sviluppo economico e a bassa domanda come il Medio Oriente, mentre tale
risorsa è scarsa in alcuni paesi industrializzati, come la Germania, il
Giappone, la Francia, l’Italia, la Cina, che rappresentano quote significative
della domanda mondiale. Per cui è chiaro che in tale situazione il
funzionamento del mercato è condizionato dalle scelte politiche generali,
oltre che di politica economica, dei paesi importatori di petrolio come di
quelli esportatori.
6
Quindi, poiché i flussi di greggio continuano a muoversi da alcuni paesi
verso altri (ad eccezione di cambiamenti clamorosi, come nel caso di
Inghilterra e Norvegia dopo la scoperta dei giacimenti del Mare del Nord), i
cambiamenti di prezzo del greggio influiscono in modo pesante sulla
bilancia commerciale dei vari paesi, e di conseguenza sull’andamento
complessivo di ciascun sistema economico.
1.2 Petrolio: cenni storici
Il petrolio è un prodotto conosciuto dalle più antiche civiltà: l’accensione
spontanea dei getti naturali e le sue proprietà combustibili richiamarono
presto l’attenzione dell’uomo.
Nel Medio Oriente il bitume veniva in tempi antichissimi utilizzato per
impermeabilizzare le imbarcazioni e connettere mattoni. L’arca di Noe, ad
esempio, è stata secondo la Bibbia, resa impermeabile dall’uso del bitume e
lo stesso servì a rendere impermeabile la cesta che ospitò Mosè sul Nilo.
Come merce di scambio, il petrolio era usato sia dai birmani sia dai
giapponesi, mentre ai cinesi spetta forse il merito di averlo addirittura
estratto dal sottosuolo con i primi mezzi primitivi di perforazione.
Erotodo (V sc. a.C.) ricorda che in Europa si aveva l’olio d’Agrigento
usato fin dai tempi antichi come medicinale.
Mentre fino al 1700 la principale fonte di energia era costituita dalle dalla
forza muscolare animale ed umana e dall’energia idrica, l’inizio della
rivoluzione industriale ha segnato l’affermazione dell’uso delle fonti di
energia di origine fossile. In particolare, il carbone fossile è stata la fonte
energetica che ha alimentato le macchine a vapore che hanno costituito il
motore della rivoluzione industriale.
7
Il secolo appena trascorso ha successivamente visto un progressivo
aumento dell’importanza del petrolio come fonte energetica, fino a fargli
superare per importanza il carbone, grazie alle sue doti di maggiore facilità
di estrazione, di più facile trasportabilità e di maggior quantità di energia
fornite per unità di massa di combustibile. Centrale in questo
avvicendamento è stato il motore a combustione interna, che ha
rivoluzionato il modo di intendere la mobilità di persone e merci.
1.3 La Genesi del Petrolio
1.3.1 Composizione del petrolio
Il petrolio (dal latino petra-roccia e oleum-olio) od oro nero è un liquido
oleoso più o meno denso, di colore variabile da giallastro a nero, dall’odore
pronunciato composto prevalentemente da una miscela di idrocarburi
1
. A
questi si uniscono piccole quantità di altri componenti, i quali contengono
atomi di ossigeno, azoto, zolfo. Ne deriva che in natura si hanno moltissimi
tipi di petroli, tanto che si può affermare che è difficile trovare due petroli
identici, anche quando provengono da due livelli di uno stesso giacimento.
Si distinguono tre classi principali di petroli, a seconda del tipo di
idrocarburo prevalente: i petroli a base paraffinica, costituiti
prevalentemente da paraffine (idrocarburi a catena aperta saturi, detti anche
alcani); quelli a base naftenica (idrocarburi a catena chiusa saturi, detti anche
1
Idrocarburi sono sostanze organiche composte da due soli elementi: carbonio e idrogeno.
Gli idrocarburi possono essere in natura solidi, liquidi o gassosi. Tra i primi abbiamo i bitumi ed
asfalti, i secondi comprendono il petrolio che quando esce dal giacimento prende il nome di
greggio, o semplicemente di olio; gli idrocarburi gassosi rientrano nel termine generico di gas
naturale il cui principale rappresentante è il metano.
8
cicloalcani); e quelli a base mista, nei quali le percentuali dei due tipi
precedenti di idrocarburi sono pressoché uguali. Molti più rari e pregiati
sono i petroli della “quarta classe”, detti a base aromatica perché costituiti
prevalentemente da idrocarburi aromatici (formati da uno o più anelli
benzenici, detti anche areni).
Come detto in precedenza il petrolio, non ha sempre la stessa
composizione, e ogni giacimento produce un tipo di greggio con delle
caratteristiche differenti. I due principali criteri che si utilizzano per
definirne la tipologia, sono: densità e presenza di zolfo. La densità, si misura
in gradi API (American Petroleum Institute), su una scala che va da meno di
10 a oltre 50. Maggiore è il grado API e minore è la densità. Un greggio
meno denso è definito leggero. Su questa base i greggi si dividono in pesanti,
con un grado API inferiore a 22°, medi tra i 22° e 34 e leggeri da 34 API in
poi. I greggi leggeri sono i più pregiati, mentre quelli pesanti sono i meno
pregiati. Anche per quanto riguarda il contenuto di zolfo i greggi vengono
suddivisi in tre categorie: sweet (zolfo inferiore allo 0.5% del peso), medium
sour (tra 0.5% e 1.5%) e sour (maggiore di 1.5%). Un minor contenuto di
zolfo è indice di una maggiore qualità del greggio e di un maggior valore,
poiché bruciando produce una minor quantità di inquinanti contenenti zolfo
(acido solfidrico).
A fronte di questa gran varietà di tipologie di greggio, due hanno assunto
un ruolo di riferimento per il mercato: quando si parla di prezzo del greggio
in Europa, ci si riferisce al BRENT, un greggio prodotto nella parte
britannica del Mare del Nord, per gli Stati Uniti il riferimento è il WTI, West
Texas Intermediate.
Normalmente un paese produce diversi tipi di greggio. Dai giacimenti,
presenti in un’area geografica circoscritta, infatti, si estraggono qualità di
9
petrolio simili, ma non uguali. La produzione finale è quindi una miscela di
più greggi e sono le caratteristiche di questa miscela che ne determinano la
tipologia. Oggi la qualità del greggio, e quindi il suo valore di mercato,
dipende essenzialmente dalla quantità e qualità di prodotti pregiati, benzina
e gasolio, che da esso si possono ottenere.
L’unità di misura standard utilizzata per il petrolio e i suoi derivati è il
barile, che corrisponde a 159 litri. A parità di tecnica di raffinazione, da un
barile di greggio leggero, come il Brent o il WTI si possono ottenere,
maggiori quantità di benzina rispetto ad un barile di greggio pesante. O
ancora, un greggio leggero ha spesso un basso contenuto di zolfo; questo
permette di ricavare gasolio per autotrazione con delle caratteristiche già
vicine alle richieste di mercato, evitando così ulteriori trattamenti e quindi
ulteriori costi. Negli ultimi anni, la domanda si è orientata verso prodotti più
raffinati e privi di zolfo, e i greggi leggeri come il Brent o il WTI hanno
acquistato un sempre maggior valore fino a diventare, come detto in
precedenza i greggi di riferimento.
1.3.2 Le origini del petrolio
L’origine del petrolio fu dibattuta fin dall’inizio del 1800 fra i sostenitori
di un’origine inorganica secondo cui il petrolio fu un prodotto dell’attività
di rocce fuse o magmi, e gli assertori di un’origine organica (che continua
ad essere la più accreditata) secondo cui il petrolio sarebbe originato da
processi di carbonizzazione (in assenza di ossigeno) di organismi animali,
soprattutto acquatici.
Secondo Alessandro Volta, il metano è il gas che si forma nelle paludi per
effetto della putrefazione delle sostanze “organiche” alla presenza d’acqua.
10
Wall e Sterry Hunt sostennero l’origine “organica” del petrolio e in altre
parole: formazione dovuta alla decomposizione di piante marine.
Engler, sostenne anch’egli l’origine “organica”: formazione del petrolio
dovuta alla decomposizione di grassi animali marini, come pesci, molluschi,
crostacei, ecc.
2
Hoefer ed altri sostennero pure l’origine “organica” dovuta a causa della
decomposizione di animali marini; questa teoria ebbe origine dalla frequente
presenza di acqua salata nei giacimenti di petrolio.
Kraemer ritenne che il petrolio derivasse dalla decomposizione di vegetali
fossili, come poi riuscì a dimostrare A. Pictet nelle sue esperienze. Questi,
distillando il carbone fossile nel vuoto, ottenne un liquido con le stesse
caratteristiche del petrolio (colore, odore, densità, ecc.). Perciò secondo la
teoria di Pictet il petrolio deriverebbe dai giacimenti di carbon fossile.
Altra ipotesi, non meno valida delle altre accennate, è quella di Berthelot
(1866), il quale sostenne l’origine “inorganica” in base alla seguente teoria:
nell’interno della terra si formano metalli alcalini e alcalino-terrosi liberi, i
quali, venendo a contatto di carbonati e d’anidride carbonica, darebbero
carburi, che per azione successiva dell’acqua svilupperebbero acetilene,
idrogeno, metano, e specialmente, favoriti dalle enormi pressioni, prodotti di
condensazione degli idrocarburi più semplici.
Mendelejeff (1877), dopo numerose osservazioni sui petroli di Baku e del
Nord America, formulò l’ipotesi della formazione del petrolio quale
conseguenza dell’azione dell’acqua sui carburi di alluminio e dei metalli
pesanti.
2
In questo processo di decomposizione la sostanza azotata sarebbe in gran parte distrutta, per
ossidazione, mentre i grassi, dopo saponificazione, si trasformerebbero in idrocarburi.
Lo stesso Engler, riscaldando a 350-400° sotto pressione l’olio di fegato di merluzzo, ottenne
prodotti di decomposizione molto simili al petrolio. (M.Giua, Dizionario di chimica industriale)
11
Nel 1847-48 le esperienze di Cloez confermarono l’origine “inorganica”
del petrolio: egli riuscì ad ottenere idrocarburi analoghi a quelli contenuti nel
petrolio, intervenendo con l’acido cloridrico sulle ghise ricche di manganese
e facendo agire l’acqua.
L’origine “organica” del petrolio, per taluni, oggi, sembrerebbe l’ipotesi
più accettabile, non solo per l’esistenza di prove concrete a favore della
stessa, ma soprattutto per l'incongruenza tra le modalità di formazione
ipotizzate dalla teoria inorganica e le condizioni geologiche generali che si
riscontrano per i giacimenti di petrolio. Questi, infatti, si trovano di solito
nell'ambito di rocce sedimentarie d’origine marina anziché in rocce
d’origine magmatica. Le principali considerazioni a sostegno dell'ipotesi
organica vertono sull'abbondanza di sostanze organiche contenute nelle
rocce sedimentarie e sulla prevalenza tra i componenti di tali sostanze del
carbonio e dell'idrogeno, sulla presenza di azoto, componente essenziale
delle proteine di tutte le sostanze viventi, e di pigmenti, sia pure in minime
quantità, del gruppo delle porfirine in cui rientrano tanto la clorofilla quanto
le emine e i citocromi; inoltre molti petroli presentano una debole attività
ottica, che testimoniano l’origine organica.
Tuttavia secondo non pochi studiosi, le numerose varietà di petrolio che la
natura ci offre fanno pensare anche ad origine non unica ma derivante da
processi molto diversi
3
.
3
Le varie teorie sull’origine del petrolio sono state formulate in base ad esperimenti in laboratorio
ed in base ad interpretazioni geologiche osservate.
Le correnti di pensiero dominanti nella ricerca sono state due: origine organica e origine
inorganica del petrolio. Le teorie inorganiche appartengono ormai alla storia, e sono state già
confutate alla luce dei fatti, in quanto richiedono condizioni che difficilmente si verificano in natura.
12
1.3.2 La formazione del petrolio
L’ipotesi più sostenuta oggi è che il petrolio si forma sotto la superficie
terrestre per decomposizione d’organismi marini e di piante che si
depositano sui fondi acquatici (mari, lagune, paludi, ecc.) mescolandosi a
sabbie e sedimenti argillosi.
In seguito, durante il processo di diagenesi
4
dei sedimenti, gradualmente
viene formandosi una roccia madre che favorisce, ed entro cui avviene, il
processo di fermentazione
5
anaerobica. I batteri presenti nella melma
(sapropel), in cui sono depositati i resti organici, sottraggono ossigeno alle
sostanze organiche, le quali si arrichiscono, per riduzione, di carbonio,
idrogeno. Si formano così, attraverso successive trasformazioni, e per azione
combinata della temperatura e della pressione, i vari idrocarburi (petrolio e
gas ). Questi nel frattempo formatesi, filtrano attraverso le fessure e le rocce
permeabili fino a quando non trovano uno sbarramento naturale
impermeabile indicato come trappola petrolifera; e a questo punto gli
idrocarburi si accumulano nelle rocce porose che stanno all’interno della
trappola e che vengono denominate rocce magazzino.
Gli elementi indispensabili per avere in una data regione la presenza di
petrolio sono essenzialmente quattro, senza i quali ogni ricerca appare
inutile. Essi sono: la roccia madre, la roccia serbatoio, la roccia di copertura
4 Diagenesi è il complesso delle trasformazioni chimico-fisiche che si verificano all’interno di un
sedimento, a partire dal momento della sua deposizione fino alla formazione della roccia,tra i
minerali che lo costituiscono oppure tra questi e le soluzioni circolanti nel sedimento o i fluidi che
lo circondano. E’ detta anche litificazione.
5 Fermentazione è il processo chimico che da luogo in assenza di ossigeno (anaerobico) e
mediante il quale si ha la parziale demolizione di molecole organiche e la formazione di prodotti
chimici più semplici. Molti esseri viventi (batteri, lieviti, funghi) che agiscono mediante enzimi si
procurano tutta l’energia di cui hanno bisogno attraverso questo processo.
13
e la trappola. Avendo questi elementi allora si può ritenere probabile la
presenza del petrolio.
Figura 1.1: Processo di formazione del petrolio
Fonte: Club for Reconversion Energy System (www.energoclub.it)
a) La roccia madre è quel sedimento che ha permesso la naftogenesi,
ossia la trasformazione della sostanza organica in petrolio. Generalmente
questo sedimento è argilla, grigia o più o meno nerastra per i resti organici
che contiene. Essa ha una caratteristica molto importante, in quanto è
costituita da minuscole particelle che inglobano la sostanza organica e la
sottraggono all’ambiente esterno che altrimenti la distruggerebbe. Queste
minuscole particelle hanno una forma molto irregolare perciò lasciano tra
loro ampi vuoti, che, però non comunicano; quindi vi è un’alta porosità,
mentre la permeabilità
6
è minima o assente.
Nei pori della roccia, avvolta dalle particelle argillose, si trova la sostanza
organica che lentamente subisce quelle modifiche che la porteranno al
petrolio. La trasformazione, che prende il nome di naftogenesi, avviene
6
La permeabilità indica invece l’intercomunicabilità dei vuoti e quindi la proprietà che ha la roccia
di lasciarsi attraversare, e non solo contenere, dai fluidi, senza che in essa avvenga alcuna
alterazione oppure spostamenti di granuli.
14
soprattutto in due fasi:
¾ Fase biochimica, nella quale molta importanza hanno i batteri; si
avrebbe rimozione d’ossigeno ed azoto e ne deriverebbe un materiale più
affine al petrolio della sostanza d’origine, detto appunto protopetrolio.
¾ Fase geochimica, che avverrebbe non solo nel tempo, ma con
l’approfondimento di quest’argilla e quindi la sua sottomissione ad altre
rocce.
Quindi, appare evidente che le principali rocce-madri sono costituite da
sedimenti più o meno argillosi; tuttavia non mancano rocce ritenute madri
aventi altre caratteristiche litologiche.
b) La roccia serbatoio è la roccia che contiene il petrolio. Si tratta di una
roccia capace di trattenere nella sua massa i fluidi, tra cui il petrolio, e nello
stesso tempo di cederli. Per svolgere queste funzioni la roccia deve quindi
possedere non soltanto porosità, come la roccia madre, ma anche
permeabilità. Sono requisiti indispensabili e che in genere si rinvengono
soltanto nelle cosiddette rocce sedimentarie, come le sabbie o le ghiaie, i
calcari o le dolomie più o meno fratturati.
c) La roccia di copertura è molto importante, in quanto impedisce agli
idrocarburi, di disperdersi in superficie. Queste rocce pertanto proteggono la
roccia serbatoio che contiene il petrolio anche dall’invasione di acque
filtranti nel sottosuolo dalla superficie.
Una roccia di copertura deve possedere alcuni requisiti fondamentali che
sono soprattutto impermeabilità e plasticità. Lo spessore della roccia
impermeabile è molto variabile, in funzione delle caratteristiche geologiche
della regione in esame. Con una tettonica piuttosto blanda, ossia con strati
rocciosi scarsamente dislocati, sono sufficienti pochi metri per assicurare
una buona copertura, come avviene, ad esempio, in Arabia Saudita dove essa
15
è frequentemente dell’ordine di 10-20 metri.
Queste funzioni possono venire svolte da rocce aventi caratteristiche
litologiche molto diverse; è evidente però che i sedimenti argillosi sono
l’ideale e come tali costituiscono la copertura di molti giacimenti petroliferi.
c) La Trappola, detta in inglese trap, indica qualsiasi condizione degli
strati che permette agli idrocarburi di accumularsi e quindi di arrestare il loro
movimento. Queste condizioni possono essere legate alla forma che i
sedimenti acquistano (trappole strutturali), alle caratteristiche litologiche
della roccia serbatoio (trappole stratigrafiche), oppure agli effetti combinati
dei due tipi (trappole miste).
La trappola più semplice e comune è quella di anticlinale, dove cioè gli
strati sono piegati con convessità verso l’alto.
Affinché si possa avere un giacimento petrolifero, non basta che il fluido
di idrocarburi si formi entro la roccia madre, ma bisogna che esso possa
spostarsi entro la roccia serbatoio e poi accumularsi. Il petrolio pertanto, si
muove, vale a dire migra ed il suo primo spostamento avviene, quando passa
dalla roccia madre a quella serbatoio, ossia quando si ha quella che viene
definita migrazione primaria. La causa principale di questo passaggio è
dovuta alla compressione dei sedimenti che avviene a mano a mano che la
roccia madre è coperta da altri depositi. Con il carico si riduce gradualmente
il volume della roccia madre dalla quale fuoriescono gli idrocarburi, come
l’acqua che esce dai pori di una spugna strizzata tra le mani. Fuoriuscendo
dalla roccia madre, gli idrocarburi si portano verso le rocce più porose e
permeabili con le quali sono a contatto.
Le cause di questo movimento sono molteplici; alcuni ritengono che
predominante sia il movimento dell’acqua, per questo il petrolio ne sarebbe
trascinato sotto forma di piccolissime gocce disperse entro il fluido. Altri
16
ritengono, invece, che la responsabilità maggiore di questa migrazione sia
legata alle forze di capillarità, ossia a quelle forze che tendono a spingere il
petrolio nei pori più grandi della roccia, mentre l’acqua ne invade i minori.
Gli idrocarburi sono sempre accompagnati dall’acqua, quindi in una
trappola si possono trovare tre fluidi: gas, olio e acqua disposti in funzione
del rispettivo peso specifico. Il petrolio, ed a maggior ragione il gas, ha un
peso specifico minore rispetto a quello dell’acqua, perciò avremmo in alto il
gas, sotto il petrolio e più sotto ancora l’acqua.
La migrazione secondaria inizia appena gli idrocarburi, lasciata la roccia
madre, vanno nei vuoti di una roccia serbatoio ed essa dura finché lungo il
loro percorso non s’incontri una trappola che li arresta, oppure non vengano
all’esterno dando luogo a quella che si chiama una manifestazione
petrolifera.
Vi è, infine, una migrazione terziaria che avviene, quando gli idrocarburi
subiscono un successivo spostamento per effetto dell’erosione che ha
intaccato il giacimento. Ciò può avvenire per sollevamento più o meno
parziale della roccia che lo contiene. Inizia così l’erosione da parte delle
acque superficiali, quindi la venuta all’esterno e infine il trasporto, sempre
da parte delle stesse acque creando pozze di bitume. La migrazione terziaria
ha scarsa importanza pratica, anche se molti autori ritengono che essa abbia
permesso forti accumuli di petrolio.
1.4 La nascita dell’industria petrolifera
La storia dell’industria petrolifera inizia nel 1854, quando il canadese
Abraham Gessner brevetta un procedimento per ricavare dal petrolio greggio
un combustibile per lampade di costo limitato, che fu chiamato petrolio
17
illuminante, o cherosene.
Contemporaneamente in Italia e soprattutto negli Stati Uniti si facevano i
primi studi sulla possibilità di raffinazione del petrolio naturale.
Samuel N. Kier, che vendeva il petrolio con grande fortuna sotto il nome
di Kier’s Petroleum per molteplici usi medicinali, fece studiare la sua
lavorazione da un chimico di Filadelfia e iniziò una rudimentale raffinazione.
Pochi anni dopo il chimico statunitense Benjamin Silliman pubblica uno
studio in cui elencava la vasta gamma di prodotti utili che potevano essere
ricavati dalla distillazione del petrolio.
Un secondo passo decisivo per la nascita dell’industria petrolifera si ha,
quando, il 28 agosto del 1859 Edwin Drake perfora presso Titusville in
Pennsylvania il primo pozzo petrolifero della storia con armature metalliche
e anche con il sussidio di una perforatrice a vapore. Tuttavia bisognò
attendere circa venti anni perché qualcuno desse un sensibile impulso alla
ricerca e alla commercializzazione di questo combustibile.
Nel 1870 un industriale americano John D. Rockefeller fondò la Standard
Oil Company, destinata a diventare la più grande compagnia petrolifera a
livello mondiale.
Il mercato ha all’inizio dimensioni modeste, ma il tasso di crescita negli
anni Settanta del XIX secolo è elevatissimo, attorno al 40% annuo; la
dimensioni della Standard Oil Company crescono ancor più rapidamente,
tanto che già nel 1879 la compagnia controlla il 90 per cento della capacità
di raffinazione statunitense. La Standard Oil Company utilizza tecniche di
discriminazione sia nei prezzi d’acquisto del greggio sia soprattutto nelle
condizioni concordate con le compagnie ferroviarie, garantendosi un accesso
privilegiato alle infrastrutture di trasporto dalle aree di produzione
all’interno fino alle raffinerie sulla costa e da queste ai mercati di sbocco.
18
Agli inizi del XX secolo, il centro di gravità dell’industria petrolifera
statunitense si sposta in Texas. Qui, utilizzando tecniche all’avanguardia che
portano alla perforazione fino a 800 piedi di profondità, il 10 gennaio del
1901 fu individuato il giacimento di Spindletop, che per gli standard
dell’epoca è enorme, ma che in realtà fu piccola cosa rispetto ai giacimenti
oggi classificati supergiganti.
7
Infine il terzo passo decisivo per lo sviluppo dell’industria petrolifera è
riconducibile ad un altro personaggio divenuto leggendario, Henry Ford che
applicò il motore a scoppio alle prime automobili prodotte su scala
industriale, superando definitivamente la trazione a vapore e inaugurando
l’era del petrolio. Questa spinta alla motorizzazione causò un notevole
incremento dei consumi energetici e l’elevata disponibilità di questa fonte di
energia nel mondo favorì l’aumento della domanda.
La crescente richiesta di benzina stimolò miglioramenti nelle tecniche di
raffinazione del greggio, tanto che la quota della benzina nell’insieme dei
prodotti del processo di raffinazione cresce fino al 40 per cento nel giro di
pochi anni.
Nello stesso periodo si aprì un nuovo e importante sbocco di mercato,
quello del combustibile per la propulsione delle navi. Il cambiamento
avvenne gradualmente per quanto riguardò la flotta mercantile, in modo più
rapido per quanto riguarda la flotta militare.
7
Secondo la classificazione corrente, i giacimenti giganti sono quelli che contengono almeno 500
milioni di barili di greggio recuperabili; quelli supergiganti ne contengono una quantità almeno
dieci volte superiore. Il primo giacimento super gigante a essere scoperto è il Bolivar Coastal,
individuato in Venezuela nel 1917. Quanto al Medio Oriente, la sua identificazione come
provincia petrolifera risale al 1908, ma i primi giacimenti supergiganti della zona sono scoperti
solo negli anni ’20, in territori inclusi negli attuali confini di Iran e Iraq.