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Riassunto
Recentemente il trappolaggio fotografico sta trovando largo impiego nelle indagini
demografiche, etologiche e spaziali riguardanti la teriofauna, rivelandosi particolarmente
utile per le specie criptiche ed elusive. Tuttavia poco si conosce sulla validità scientifica di
questa tecnica ai fini di un monitoraggio faunistico, né esistono ad oggi studi analitici sulla
sua convenienza economica rispetto ad altre metodologie d’indagine.
Nel nostro studio, basato sui dati raccolti fra luglio 2009 e dicembre 2010 nella Riserva
Naturale Integrale di Sasso Fratino, il fototrappolaggio è stato utilizzato per trarre delle
indicazioni demografiche e spaziali quantitative su tre specie: lupo ( Canis lupus ), gatto
selvatico ( Felis silvestris ) e cervo ( Cervus elaphus ). Innanzitutto è stata verificata l’esistenza di
corrispondenze multiple fra i fattori ambientali e gli scatti utili divisi per specie: solo per il
cervo non sono emerse particolari associazioni rispetto alle modalità considerate. Il
successivo confronto specie-specifico fra rilevamento naturalistico (Indici di abbondanza
chilometrica) e successo di fototrappolaggio ha suggerito una correlazione negativa per lupo
e cervo; per il gatto selvatico il confronto non è stato possibile, non essendo stati rilevati
segni della sua presenza tramite il metodo naturalistico. Sono state poi stimate le densità
delle tre specie nell’area di studio, mediante lo stimatore di Rowcliffe et al . (2008) ed i valori
ottenuti sono stati rapportati a quelli acquisiti tramite altre tecniche e fonti. La densità del
cervo tramite Rowcliffe è risultata leggermente inferiore rispetto a quella già nota, mentre la
densità del gatto selvatico è risultata di poco superiore. Per il lupo sono emersi valori
pressoché identici. Per verificare infine se lo sforzo di trappolaggio potesse essere pianificato
in modo da essere efficace ed economicamente vantaggioso, è stato calcolato un coefficiente
di successo di fototrappolaggio specie-specifico, adattando la funzione di produzione di
Cobb-Douglas (Beddington, 1973). Non è stato possibile effettuare un’analisi di
massimizzazione dei profitti (Smart et al ., 2008), eventualmente ottenibile previa
applicazione della tecnica, mancando in bibliografia il valore monetario da associare alle
specie oggetto di studio. Nonostante ciò, è indubbio che l’approccio bioeconomico possa
rappresentare un utile strumento di supporto nella pianificazione di un monitoraggio o di
una ricerca in campo naturalistico.
Introduzione
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1. Introduzione
Molte ricerche zoologiche non possono prescindere dalla conoscenza, per quanto
approssimata, della consistenza delle popolazioni animali. Il concetto stesso di biodiversità è
basato non solo sul numero di specie rilevabili in una comunità, ma anche sulla loro
abbondanza assoluta e relativa (si parla di composizione di una biocenosi). Conoscere le
dimensioni di una popolazione è importante anche per monitorarne il trend nel corso del
tempo, a fini sia gestionali che conservazionistici (Lovari & Rolando, 2004). I monitoraggi
servono a realizzare stime di abbondanza non solo per valutare lo status di una specie, ma
anche per comprendere i processi ecologici in corso, come ad esempio l'espansione o la
competizione intra e interspecifica, oppure per studiare alcuni aspetti etologici. Similmente, i
monitoraggi attuati a scopo sanitario si servono di indici di abbondanza su cui sviluppare
piani di contenimento delle epidemie. E' noto infatti che la densità eccessiva di una specie
animale favorisce la diffusione di patologie che possono avere effetti devastanti non solo
sulla popolazione colpita, ma anche sulle sintopiche (Acevedo et al ., 2008).
A prescindere dalle finalità di un monitoraggio, è auspicabile che le metodologie utilizzate
siano adeguate, sicure e standardizzate, così da produrre risultati affidabili e comparabili.
Una tecnica innovativa nel monitoraggio faunistico è il fototrappolaggio. Recentemente
questa metodica sta riscuotendo notevole successo in Italia, tanto fra i professionisti quanto
fra gli appassionati, principalmente grazie alle molteplici applicazioni e alla relativa facilità
d’utilizzo. Tuttavia, la sua attendibilità quale metodo d’indagine faunistica è stata valutata in
pochi studi (Balme et al ., 2009; O’Brien, 2008; Wegge et al ., 2004).
Da questa considerazione ha preso avvio la presente ricerca, che ha inteso analizzare
l’affidabilità del fototrappolaggio nel trarre informazioni quantitative di tipo demografico ed
ecologico su tre specie animali presenti all’interno della Riserva Naturale Integrale di Sasso
Fratino: il lupo ( Canis lupus ), il gatto selvatico ( Felis silvestris ) ed il cervo ( Cervus elaphus ). I
due carnivori sono stati scelti perché destano grande attenzione fra i conservazionisti; il
cervo è stato selezionato in quanto specie d’interesse gestionale. A questi aspetti si aggiunge
la valenza che queste specie assumono per la Riserva Integrale di Sasso Fratino, ambiente in
cui lo scarsissimo disturbo antropico ha permesso l’attivarsi di dinamismi ecologici vicini alla
naturalità.
La validità della tecnica del fototrappolaggio è stata analizzata secondo due approcci, uno
Introduzione
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tecnico-scientifico ed uno bioeconomico. Dal punto d i vista tecnico sono stati affrontati i
seguenti aspetti:
- influenza di alcuni fattori ambientali sul successo di fototrappolaggio specie-specifico;
- confronto fra i dati ottenuti tramite questa tecnica ed il rilevamento dei segni di
presenza;
- sperimentazione di un metodo alternativo di stima de mografica basato
esclusivamente sul fototrappolaggio, proposto da Rowcliffe et al . (2008).
A queste elaborazioni sono state affiancate alcune applicazioni tratte dalla bioeconomia, con
l’intento di analizzare la convenienza della tecnica del fototrappolaggio in rapporto alle
specie target. In particolare, è stata utilizzata la funzione di produzione di Cobb - Douglas
che, opportunamente adattata, ha permesso di ottenere un coefficiente di successo di
fototrappolaggio specie-specifico, basato su diversi parametri: sforzo di campionamento,
risultati ottenuti ed area investigata. È stata inoltre impostata un’analisi di massimizzazione
dei profitti, limitata dalla difficoltà di assegnare un valore economico alle specie indagate.
1.1 Il trappolaggio fotografico
Le diverse metodologie usate per studiare una specie animale possono essere distinte in
dirette o indirette. Il rilevamento diretto si serve di binocoli, cannocchiali ed altre
strumentazioni utili all’osservazione, identificazione e conteggio dei soggetti. Nel caso di
specie timide ed elusive, notturne, oppure viventi in ambienti “chiusi”, sono più efficaci i
metodi indiretti. Tra questi rientrano lo studio dei segni di presenza (come orme, marcature,
emissioni vocali e deposizioni fecali) e l’utilizzo di apparecchiature fotografiche (Lovari &
Rolando, 2004), entrambe metodologie di ricerca non invasive (Forconi et al ., 2009). Le
apparecchiature fotografiche possono essere attivate a distanza al momento opportuno,
tramite cavi o impulsi radio, oppure possono attivarsi in assenza dell’operatore, diventando
trappole fotografiche.
Introduzione
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Caratteristiche tecniche
Le trappole fotografiche sono costituite da una fotocamera (reflex o compatta) associata ad
un sensore ad infrarosso termico capace di far scattare automaticamente la foto al passaggio
di un corpo. Attualmente esistono due tipi di sensori elettronici: attivi e passivi. I primi
basano il loro funzionamento su un raggio di luce infrarossa emessa da un trasmettitore e
rilevata da un ricevitore. Quando il raggio luminoso viene interrotto dal passaggio di qualsiasi
corpo, il ricevitore lo avverte e comanda lo scatto della fotocamera. L’impiego dei sensori
attivi è penalizzato da diversi fattori: l’elevato consumo di batterie e l’alta probabilità di
fotografare a vuoto. I sensori passivi PIR, di più recente introduzione, basano il loro
funzionamento sul rilevamento termico dello spazio inquadrato, utilizzando un sensore
sensibile ai raggi infrarossi: appena viene rilevata una differenza di temperatura, si attiva lo
scatto. La sensibilità del sensore dipende dalle sue caratteristiche costruttive e da fattori
ambientali e può essere regolata. Molti sensori passivi comportano un ritardo nello scatto
significativamente più lungo rispetto a quelli attivi e ciò può limitarne l’uso nei monitoraggi
su specie in veloce passaggio.
Per quanto concerne i diversi tipi di macchine fotografiche, le compatte a differenza delle
reflex hanno obiettivo, corpo e flash integrati, funzionano in maniera automatica per quanto
riguarda la messa a fuoco e l’esposizione, hanno il vantaggio di possedere una grande
autonomia di alimentazione, ma producono immagini di qualità inferiore rispetto alle reflex.
Oltre alle macchine analogiche, è possibile inserire nelle trappole fotografiche anche
fotocamere digitali.
Le principali componenti di una fototrappola digitale ( Fig. 1.1) sono l’obiettivo, il sensore
(PIR) e il flash infrarosso (IR). L’antenna presente nel modello illustrato consente l’invio di
messaggi, mentre la porta USB consente di connettere direttamente la fototrappola ad un
dispositivo portatile. Le digitali hanno costi più elevati e durata della batteria inferiore
rispetto alle analogiche, ma permettono di scattare centinaia di immagini che possono essere
scaricate in campo su un dispositivo portatile (Berzi, 2001). I modelli più recenti consentono
anche di registrare filmati di ottima risoluzione.
Un limite delle digitali rispetto alle analogiche è il ritardo di scatto, che può variare da 0.1 a 4
secondi, secondo i modelli (Forconi et al. , 2009).
Kelly e Holub (2008) hanno confrontato l’efficienza di fototrappole analogiche e digitali a
sensori sia attivi che passivi: le macchine digitali a sensore passivo sono risultate migliori
Introduzione
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rispetto alle altre, garantendo un maggior successo anche per la capacità di fotocatturare
animali di piccole dimensioni, come lo scoiattolo grigio.
Come accennato, le fototrappole digitali hanno costi piuttosto elevati; per questo motivo,
alcuni zoologi le costruiscono artigianalmente, ottenendo ugualmente risultati apprezzabili
nelle proprie indagini (Berzi & Groff, 2003).
Figura 1.1: Componenti di una fototrappola digitale di ultima generazione ( Manuale d’istruzioni SG-550 M )
Cenni storici
Il fototrappolaggio è impiegato in programmi di monitoraggio faunistico in tutto il mondo da
appena una decina d’anni, ma la sua invenzione risale a circa un secolo fa.
Nel 1888 George Shiras III, appassionato fotografo naturalista, mise a punto una tecnica
grazie alla quale poteva scattare foto a distanza, usando un lungo cavo collegato alla
fotocamera; la fauna faceva così autoscattare la macchina al proprio passaggio.
Verso la fine degli anni ‘20 del secolo scorso, Frank Chapman, ricercatore al Museo di Storia
Naturale di New York, usò le fototrappole per documentare la presenza dei felidi nelle foreste
pluviali dell’America centrale. Fin d’allora egli notò come fosse possibile con le immagini
ottenute con questa tecnica riconoscere gli esemplari in base al pattern del mantello. Le
Introduzione
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attrezzature di allora erano molto ingombranti e inv asive, con un flash che al momento dello
scatto produceva un’esplosione sia sonora che luminosa traumatica per gli animali
(Sanderson & Trolle, 2005).
A causa dei costi elevati e della complessità di reperimento e utilizzo degli apparati
fotografici, sono occorsi decenni prima che il fototrappolaggio diventasse una tecnica di
routine. Ciò è avvenuto intorno agli anni ‘90 del secolo scorso, quando lo sviluppo
tecnologico ha permesso di semplificare e miniaturizzare enormemente queste strutture,
rendendole utilizzabili per indagini non invasive. Oggi, ad esempio, il flash può essere
sostituito dai led infrarossi schermati, limitando al minimo il disturbo alla fauna.
Applicazioni
Le potenzialità del fototrappolaggio sono elevate. Questa tecnica permette, ad esempio, di:
- distinguere fra specie con segni di presenza simili (es. lupo e cane);
- stimare il rapporto fra i sessi e la struttura socia le di alcune specie;
- osservare individui fenotipicamente atipici;
- valutare l’efficacia dei corridoi faunistici e dei m ezzi di prevenzione dei danni;
- osservare animali affetti da patologie;
- stabilire responsabili di casi di predazione\consumo ;
- analizzare i ritmi d’attività di un animale;
- ottenere immagini documentative di nuove specie per un’area.
Il fototrappolaggio ha reso possibili importanti scoperte in ambito zoologico, riuscendo ad
immortalare animali rari o molto elusivi; ad esempio, per la prima volta in Tanzania sono stati
fotografati il cefalofo di Abbott (Cephalophus spadix ) e la mangusta di Jackson ( Bdeogale
jacksoni ) (Rovero, 2005), e sempre nella stessa area è stata scoperta una nuova specie di
toporagno-elefante ( Rhynchocyon udzungwensis ) (Rovero et al. , 2008). In Italia, la tecnica ha
consentito di documentare per la prima volta la nidificazione dell'allocco degli Urali ( Strix
uralensis ) (Benussi & Genero, 2008) ( Fig. 1.2).
Le fototrappole forniscono informazioni temporali di notevole importanza come il giorno e
l’ora di scatto per ogni immagine prodotta, elementi fondamentali quando si voglia studiare i
ritmi d’attività di una specie (Fattorini, 2010).
Il fototrappolaggio si è dimostrato conveniente anche per misurare il grado di biodiversità
animale in una determinata area, sebbene riferita ai soli animali di medie o grandi
Introduzione
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dimensioni (Silveira e t al., 2003). A questo riguardo, Tobler et al. (2008) dimostrano una
correlazione diretta fra successo di fototrappolaggio (n° foto ottenute per specie) e
dimensione dell’animale fotocatturato.
Oltre agli studi finalizzati alla creazione di check-list, ricerche focalizzate su singole specie
hanno permesso di ottenere utili informazioni anche sulla biodiversità locale, come ad
esempio l’uso dello spazio delle specie sintopiche, i rapporti interspecifici o l’ecologia trofica
(Gonzaléz-Esteban et al ., 2004; Stein et al ., 2008).
Per quanto riguarda le applicazioni gestionali, le potenzialità di questa tecnica sono enormi e
vanno di pari passo al progresso tecnologico. Ad esempio Sorbetti Guerri, docente presso la
Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Firenze, sta svolgendo uno studio sull’utilizzo
delle fototrappole per valutare l’efficacia dei mezzi di dissuasione nei confronti della fauna
che frequenta le aree coltivate (Sorbetti Guerri et al ., 2011). Le attrezzature fotografiche
utilizzate in questo caso sono provviste di dissuasori, incorporando quindi le funzioni di
controllo e dissuasione. Un altro aspetto gestionale è rappresentato dal monitoraggio di
animali domestici vaganti, di bracconieri o comunque di persone che possono arrecare
disturbo alla fauna selvatica all’interno di aree tutelate.
Le applicazioni della tecnica per il calcolo di stime demografiche vengono trattate
successivamente.
Figura 1.2: L’allocco degli Urali videocatturato in una cassetta nido in provincia di Udine ( foto F. Genero )
Introduzione
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Problematiche generali
I problemi pratici nell’uso delle fototrappole sono diversi. Il malfunzionamento
dell’attrezzatura, come ad esempio il precoce esaurimento delle batterie, può vanificare una
sessione di ricerca. Allo stesso modo un posizionamento e/o un’inclinazione errata della
macchina possono inficiare i risultati. Sono necessarie numerose prove ed esperienza per
comprendere quale altezza sia congeniale all’animale da indagare.
Un altro problema è rappresentato dal rischio di furto o comunque di manomissione,
soprattutto in contesti antropizzati. Se la fototrappola viene posta in ambienti vicini a pascoli,
il bestiame incuriosito può danneggiare l’attrezzatura o comunque esaurire presto la
memoria digitale ponendosi senza alcun timore di fronte alla fotocamera per lunghi periodi;
lo stesso rischio si presenta quando la macchina viene collocata su luoghi di passaggio (come
le strade forestali) molto frequentati da cercatori di funghi, cacciatori o escursionisti.
Alcune accortezze volte a minimizzare gli inconvenienti sopradescritti sono il posizionamento
delle fototrappole in aree poco frequentate, unito all’uso di lucchetto e catena (accorgimento
non sempre sufficiente; Fig. 1.3), l’utilizzo di strumentazioni non troppo costose ed
appariscenti e l’applicazione di cartellonistica nei pressi dell’area, che segnali le fototrappole
spiegandone gli scopi (Berzi, 2001).
Al di là delle problematiche tecniche, un limite rilevante del fototrappolaggio è la mancanza
di un protocollo d’applicazione, valido per i nostri ambienti. Pochi studi si sono finora
incentrati sulla creazione di linee guida all’uso delle fototrappole, con il risultato che i
progressi dei singoli ricercatori non sono sempre fra loro comparabili. Le uniche linee guida
attualmente disponibili si riferiscono o ad ambienti specifici, come il protocollo creato dalla
TEAM Network (2008) per l’applicazione del fototrappolaggio in ambiente tropicale, la cui
validità è riconosciuta internazionalmente, o a singole specie, come ad esempio il manuale di
Jackson et al. (2005) per lo studio sul leopardo delle nevi ( Panthera uncia ). Tale carenza
ostacola, assieme a molte altre problematiche, un approccio univoco alla conservazione e
gestione delle specie d’interesse, come è emerso anche in occasione del primo convegno
nazionale sul fototrappolaggio, tenutosi a Pettorano sul Gizio (AQ) il 9 luglio 2011.
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Figura 1.3: Fototrappola Digitrap munita di catena e lucchetto (foto M. Drius )