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INTRODUZIONE
I Fondi strutturali, quale strumento operativo per l’attuazione delle politiche
di coesione, portano necessariamente alla definizione di obiettivi e strategie
comuni e concrete non solo a livello comunitario, ma anche a livello
nazionale e regionale, basate essenzialmente sulla capacità di favorire la
programmazione e la pianificazione degli interventi sul territorio, nel medio e
lungo periodo.
L’attuale situazione rappresenta il frutto di relazioni e divergenze che hanno
visto impegnati i governi europei nella realizzazione di un progetto di
unitarietà le cui fondamenta erano state istituzionalizzate col Trattato di Roma
del 25 marzo 1957.
Nel corso del primo decennio fu compiuto lo sforzo di realizzare un mercato
comune, cioè un’area sottoposta ad un regime di libertà degli scambi di merci,
lavoratori e servizi e già nel 1968 la politica agricola e quella commerciale
acquistavano una fisionomia comunitaria; a ciò ha fatto seguito un periodo di
assestamento in cui, a tratti, è prevalsa in alcuni stati membri la tentazione di
frenare il processo di integrazione e comunque di lasciare alle forze nazionali
prevalenti il compito di condizionare tempi e modi di realizzazione.
Verso la metà degli anni ‘70 si cominciavano a porre le basi per una più
accentuata convergenza delle economie, attuata anche attraverso la creazione
del sistema monetario europeo, nonché per il rafforzamento dell’impegno in
vista di una progressiva riduzione delle disarmonie regionali, che prevedeva
la realizzazione di programmi di sostegno in favore delle regioni meno
evolute, attuate mediante la creazione di appositi fondi.
Ma la svolta vistosa verso il processo di integrazione si registra nella seconda
metà degli anni ’80, dopo la pubblicazione del Libro bianco e dell’Atto unico,
che hanno impresso entrambi una forte accelerazione, anche sotto l’aspetto
psicologico, ad un cammino verso un’Europa fondata sulla coesione
economico sociale.
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Così la logica dell’integrazione negativa, che si basava sull’abolizione degli
ostacoli diretti ed indiretti agli scambi, si arricchisce di nuovi campi d’azione
e spinte rilevanti verso l’integrazione positiva; si consolida la dimensione
sociale e parallelamente trova avallo formale anche l’obiettivo significativo e
ambizioso della coesione.
Le successive intese di Maastricht rappresentano una tappa fondamentale per
il passaggio da un’unione avente fini prevalentemente economici ad una
struttura che tende nel lungo termine e, comunque nelle intenzioni, al modello
federale; ed in quest’ottica vengono così riscritti e rafforzati i capitoli dedicati
alla politica sociale ed alla coesione economica.
Si passa, quindi, al Consiglio di Berlino del marzo 1999 ove vengono
condivisi gli obiettivi di coesione proposti in Agenda 2000 per poi approdare
alle importanti tappe di Lisbona e Göteborg attraverso l’elaborazione di una
strategia destinata a fare dell’Europa un’economia basata sulla competitività e
sulla dinamica sociale, dando così nuovo impulso alla protezione
dell’ambiente e alla realizzazione di un modello di sviluppo più sostenibile.
Si giunge, infine, alla firma del Trattato sulla Costituzione europea in cui la
politica di coesione e sviluppo economico e sociale trova degna collocazione,
proponendosi come una soluzione innovativa ed efficace in grado di
affrontare le comuni sfide del futuro, come la globalizzazione, l’allargamento,
l’invecchiamento della popolazione.
Pertanto, dopo aver esposto sinteticamente i principi di funzionamento ed i
campi d’azione delle politiche strutturali, si passa al secondo capitolo in cui
l’attenzione si concentrerà sugli interventi finanziari comunitari a favore di un
turismo sostenibile, che rappresenta un fattore strategico di crescita
economica in grado di creare posti di lavoro, promuovere lo sviluppo sociale
e realizzare obiettivi di tutela dell'ambiente e delle risorse naturali. Vi è infatti
una forte interdipendenza tra la crescita del settore turistico e la qualità del
quadro ambientale «offerto» ai turisti; qualità che deve essere
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opportunamente garantita, a maggior ragione davanti alla domanda , oggi
crescente, di luoghi incontaminati e paesaggi suggestivi.
Il turismo sostenibile (TS) si propone quindi come lo strumento attraverso il
quale realizzare gli obiettivi di crescita economica perseguiti dall'UE,
tutelando al contempo l'integrità del territorio ospitante. Prenderemo in esame
gli obiettivi dell’Agenda lanciata dalla Commissione nel 2007 e strumenti
operativi come il progetto “EDEN” nato dal Trattato di Lisbona del 2006.
Passiamo così al terzo capitolo nel quale ho proiettato l’attenzione su un paese
dell’Unione, la Spagna, che ha conosciuto uno sviluppo socio-economico-
culturale vertiginoso negli ultimi 34 anni di storia recente, partendo, appunto
dalla fine della dittatura Franchista, fino ai giorni nostri.
Una parte introduttiva spiega brevemente i fatti che hanno permesso questo
sviluppo negli anni, portando l’economia spagnola ad affacciarsi al
ventunesimo secolo con caratteristiche ben distinte da quelle che presentava
solo pochi decenni prima, quando le impronte lasciate dalla tragedia della
guerra civile erano ancora ben evidenti. Nel corso del capitolo ho preso in
analisi il sistema turistico del paese, spiegando le dinamiche che hanno
permesso il suo successo da parte delle Istituzioni e degli enti spagnoli, e
facendo un confronto con l’Italia, ho cercato di evidenziare le differenze
maggiori nella concezione, nell’organizzazione e nella promozione
dell’offerta.
Una breve parte ci spiega lo sviluppo delle energie rinnovabili in Spagna,
leader indiscusso in Europa, che, grazie allo sfruttamento efficace dei Fondi
Strutturali, guarda al futuro con l’imperativo di tutelare l’ambiente e offre a
tutti l’esempio di come si possa essere sempre più competitivi perseguendo
uno sviluppo sostenibile.
Infine, ho voluto sviluppare una panoramica riguardante i risultati della
programmazione 2000-2006, cercando di tirare fuori gli obiettivi raggiunti dal
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governo spagnolo, grazie anche all’aiuto di una tabella illustrativa sulla
ripartizione dei fondi per categoria di spesa nel corso dei sette anni.
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CAPITOLO I
LE POLITICHE DI SVILUPPO E COESIONE DELL’UNIONE
EUROPEA
1.1 Premessa
La politica di coesione è uno strumento di solidarietà finanziaria attraverso
cui l’Unione europea contribuisce a colmare il divario tra le regioni più
arretrate, promuovendo la riconversione di zone industriali in crisi, la
diversificazione delle attività produttive nelle aree agricole in declino ed il
risanamento dei quartieri degradati delle città, ma non solo: essa è anche una
politica concreta che tende a facilitare la ricerca di un lavoro ed a migliorare
le condizioni di vita ovunque, nei paesi come nelle regioni, nelle città come
nelle campagne
1
.
La centralità delle tematiche regionali è sancita dal Titolo XVII del Trattato
sull’Unione Europea intitolato «Coesione economica e sociale»: la Comunità
“mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo
delle regioni meno favorite” (Unione Europea, 1992)
2
.
Tuttavia, è solo tra il 1985 ed il 1986 che avviene il ripensamento e la
riorganizzazione dei fondi strutturali, grazie alla pubblicazione dell’Atto
unico europeo
3
. Di qui si è accentuata in modo preventivo l’attenzione verso
la politica di coesione, con l’intento di favorire le regioni meno prospere tra
cui quelle del sud Europa. L’Atto unico ha consentito che il riguardo per la
coesione economica e sociale della Comunità aumentasse sostanzialmente
1
Parere del Comitato Economico e Sociale sul tema: “La coesione economica e sociale” in GUCE C 21
aprile 1992 n.98/50, punto 12.11 ove viene affermato che “il concetto di coesione economica e sociale non si
esaurisce nel miglioramento assoluto delle condizioni, ma indica l’idea di “riequilibrio”, e cioè della
“convergenza reale” intesa come avvicinamento tra i redditi disponibili, le strutture economiche e sociali, i
sistemi di welfare e delle relazioni industriali”.
2
Già nel preambolo del trattato di Roma del 1957, gli stati costituenti assumevano l’impegno di rafforzare
l’unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso, riducendo le disparità tra le differenti
regioni e il ritardo di quelle meno favorite. Art.2 dello stesso trattato prevedeva che “la comunità ha il
compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e
monetaria mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni, uno sviluppo armonioso equilibrato e
sostenibile delle attività economiche”
11
portando l’entità dei finanziamenti fino al 30% dell’intero bilancio
comunitario.
Ancora sul finire degli anni ottanta, la Commissione ha provveduto
all’elaborazione di un sistema di calcolo per disporre di un quadro oggettivo
che fornisse una graduatoria di prosperità delle singole aree regionali. Tale
classificazione è stata articolata su tre fasce di livello di benessere denominate
«Nuts» (nomenclatura delle unità statistiche territoriali)
4
.
L’obiettivo delle 32 Politiche Regionali è quindi quello di realizzare la
coesione economica e sociale fra le differenti Regioni dell’Unione mettendo a
disposizione risorse atte a finanziare programmi di sviluppo frutto della
collaborazione fra autorità nazionali, regionali, locali, partner economici e
sociali ed altri soggetti competenti.
Grazie alla politica di coesione è stato possibile creare e ammodernare reti di
trasporto per ridurre le distanze tra le regioni periferiche ed i grandi poli di
sviluppo economico, favorire la nascita di piccole e medie imprese in zone
remote, migliorare l’ambiente in dismesse aree industriali, diffondere nuove
tecnologie
5
.
Naturalmente il successo di tale politica dipende da solide forme di
collaborazione tra organismi comunitari, autorità nazionali e amministrazioni
locali, connesse a grandi capacità di innovazione e adeguamento degli
indirizzi di crescita economica alle esigenze richieste dai sistemi locali di
sviluppo, che presuppongono un concreto decentramento di compiti e
funzioni amministrative.
3
L’Aue segnò un passo cruciale per l’unione doganale e commerciale: stabilì l’abbattimento di barriere in
materia di circolazione di persone, merci, servizi e capitali tra gli Stati membri della Cee.
4
La classificazione a tre livelli, è stata istituita da Regolamento (Ce) n. 1059/2003 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 26 maggio 2003. Nomenclatura adottata dall’Istituto statistico delle Comunità europee
(Eurostat) allo scopo di disporre di uno schema unico e coerente di ripartizione territoriale. Nei programmi
attuali di sviluppo regionale, l’obiettivo 1 dei fondi strutturali riguarda principalmente le regioni Nuts 2,
mentre l’obiettivo 2 interessa territori di livello Nuts 3
5
Funaro E., “I fondi strutturali 2000-2006 programmi e prospettive”, Rubbettino 2003. ”il nuovo concetto di
coesione territoriale implica un adeguamento delle politiche comunitarie settoriali per dotarle di una
dimensione territoriale e permettere loro di contribuire all’obiettivo della coesione (….), particolare
importanza per le politiche settoriali a forte impatto territoriale, come ad esempio le politiche dei trasporti,
della ricerca, dell’innovazione, dell’ambiente, del turismo, dell’agricoltura. Pag. 9
12
In Italia, una forte accelerazione in tal senso si è avuta a partire dalla fine
degli anni ‘90 mediante la progressiva attribuzione di maggiore autonomia
alle regioni nella programmazione ed attuazione di politiche a sostegno dello
sviluppo economico e occupazionale, nonché di funzioni legislative, che
stanno valorizzando sempre più il ruolo del governo territoriale rispetto a
quello centrale, com’era naturale che fosse in un ambiente geopolitico in cui
la creazione di un unico grande mercato e la crescita delle capacità
concorrenziali dei paesi di recente adesione, determineranno un allargamento
dei fattori di competitività.
Partendo da questo presupposto e da un quadro legislativo comunitario e
nazionale più attento ed orientato verso le autonomie locali, si nota come la
politica di coesione stia assumendo sempre più un ruolo centrale nella
promozione dello sviluppo economico e sociale, dando contenuti concreti alla
formazione di un nuovo modello istituzionale, non verticistico, articolato su
linee orizzontali, fondato sull’interazione tra vari soggetti politici e gruppi
economici presenti sul territorio, in cui l’UE viene ad assumere una valenza
politica sovra ordinata.
Questa progressiva migrazione di competenze a favore dell’Unione si
rinviene con estrema chiarezza nel contesto delle politiche strutturali la cui
attuazione sta certamente contribuendo alla formazione di un sistema politico
amministrativo che agevola il processo di integrazione e l’emergere di
un’identità europea che potenzia forze sociali, politiche ed economiche a
scapito degli stati nazionali, accrescendo la partecipazione dei sub sistemi
locali di sviluppo.
Inizialmente, gli sforzi di Bruxelles sono stati principalmente rivolti
all’abbattimento delle frontiere doganali, trascurando altri settori non
strettamente economici, anche se fin dal momento della firma dei Trattati,
taluni già temevano gli effetti distorsivi che la liberalizzazione degli scambi
avrebbe comportato, poiché avrebbe spinto verso una concentrazione dello
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sviluppo industriale e della ricchezza nelle regioni più progredite a discapito
di altre che, invece, presentavano critiche situazioni di contesto.
In ogni caso, malgrado queste diffuse preoccupazioni la linea prescelta è stata
quella di non attuare, almeno nell’immediato, una politica di sostegno
strutturale verso le aree svantaggiate, evenienza che oltretutto pareva porsi in
contrasto con lo stesso spirito del Trattato che, invece, mirava alla
realizzazione di un mercato libero, privo di vincoli ed interferenze, dominato
dalla concorrenza.
1.2 Le politiche strutturali: obiettivi e finalità
Nel corso del 1999 si è provveduto ad una profonda revisione delle modalità
di allocazione delle risorse dei fondi strutturali rispetto al regime in vigore nel
periodo 1994-1999, riforma elaborata nel documento denominato “Agenda
2000
6
”.
Per il periodo di programmazione 2000-2006 gli “obiettivi prioritari” a cui
devono tendere le politiche regionali sono stati ridotti a tre, rispetto ai sei del
precedente periodo di programmazione.
OBIETTIVO 1 (territoriale) mira a promuovere lo sviluppo e
l'adeguamento strutturale delle regioni che presentano ritardi nello
sviluppo e il cui il PIL medio pro capite è inferiore al 75% della media
dell'Unione europea. Questo nuovo obiettivo concerne anche le regioni
ultraperiferiche (dipartimenti francesi d'oltremare, Azzorre, Madera e
isole Canarie), nonché le zone dell'ex obiettivo 6 istituito in seguito
all'atto di adesione dell'Austria, della Finlandia e della Svezia.
Come in precedenza, i ⅔ delle azioni dei Fondi strutturali sono adottate
in relazione all'obiettivo 1. Le misure adottate nel quadro di questo
6
Predisposto dalla Commissione Delors ed approvata il 25 marzo 1999 dal Consiglio Europeo tenutosi a
Berlino.
L’impianto adottato risente fortemente dell’esperienza dei PIM (Piani Integrati per il Mediterraneo) a
sostegno del settore agricolo dei paesi mediterranei della Comunità, Grecia, Francia e Italia, al fine di
controbilanciare l’impatto distributivo determinato dall’adesione alla UE di Spagna e Portogallo.