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INTRODUZIONE
Il tema dell’ occupabilità ha acquisito dagli anni Novanta una notevole
importanza in Europa tanto che su di essa sono state implementate strategie volte
ad incidere sui problemi derivanti dalla perdita del lavoro o inoccupazione
attraverso strumenti dal carattere preventivo rispetto all’esclusione sociale e alla
passività e dal carattere abilitante rispetto all’occupazione. Tali strategie si sono
tradotte in politiche pubbliche (sociali e del lavoro) rivolte a favorire l’accesso
dei soggetti privi di un’occupazione nel mercato del lavoro, con particolare
attenzione ai soggetti svantaggiati. In questo contesto, le politiche attive
costituiscono l’ossatura dell’approccio all’attivazione, caratterizzato da un’alta
attenzione alla promozione delle capacità individuali, al fine di realizzare le
proprie potenzialità e costruire un percorso consapevole di indipendenza nella
società. Le politiche attive sono a loro volta soggette a diverse classificazioni in
base agli obiettivi perseguiti e alle modalità di implementazione. Tra queste ho
deciso di approfondire le politiche dedicate all’orientamento e alla consulenza
di carriera, sia nell’ambito delle opportunità formative che nella ricerca di un
impiego. L’analisi e lo sviluppo di tale argomento è frutto dell’esperienza di
tirocinio curriculare svolta presso l’Agenzia per il lavoro Adecco, che mi ha
permesso di approfondire teorie, concetti e strategie d’azione studiate durante il
percorso universitario. L’esperienza si è rivelata particolarmente importante in
quanto mi ha permesso di guardare dall’interno e con occhio critico il
funzionamento dei servizi per l’impiego in Italia, che rappresentano la struttura
su cui poggiano le politiche del lavoro (passive e attive) tese a favorire
l’occupazione. I servizi per l’impiego in Italia sono stati oggetto di numerose
riforme che da un lato hanno portato al progressivo decentramento delle loro
competenze dallo Stato alle regioni, in materia organizzativa e delle politiche
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attive, e dall’altra hanno aperto il raggio di azione agli operatori privati,
assegnando alle Regioni la possibilita di riconoscere alle Agenzie per il lavoro
l’idoneità di erogare servizi per il lavoro attraverso l’utilizzo di risorse
pubbliche. Coerentemente con la mia esperienza di tirocinio, ho deciso di
approfondire l’attuazione delle iniziative a sostegno dell’occupazione e
dell’occupabilità sul territorio dell’Emilia-Romagna, attraverso l’analisi del
Piano di intervento per l’occupazione, percorso di orientamento e
accompagnamento al lavoro emanato con Delibera di Giunta Regionale
416/2021, per poi analizzare i risultati prodotti al termine della precedente
programmazione 2019/2020. L’analisi della normativa regionale, unitamente ad
interviste ai beneficiari diretti e agli erogatori delle misure, si è rivelata
particolarmente utile nello stimolare una riflessione critica rispetto agli effetti
che tale politica di attivazione sta avendo e potrà avere in futuro sul sistema delle
politiche del lavoro, della riqualificazione professionale e sulla governance
territoriale. Nel primo capitolo, dopo aver tracciato le linee di definizione delle
politiche del lavoro, verrà affrontato il tema di un ripensamento delle politiche
sociali in un’ottica partecipativa e di empowerment come naturale conseguenza
di un mercato del lavoro in continua evoluzione caratterizzato dalla presenza di
una nuova visione del rischio sociale e della vulnerabilità (Maretti M., di Risio
R., 2020). A questo proposito saranno passati in rassegna i principali sistemi di
welfare in Europa dagli anni Novanta, con particolare attenzione al passaggio
che si sta verificando in molti Paesi da un sistema di workfare a un orientamento
all’active and inclusive welfare state, attraverso la costruzione di una rete di
servizi integrati di formazione e politiche attive del lavoro. Nel secondo
capitolo, dopo aver delineato le principali riforme in Italia in tema di politiche
attive del lavoro, si procederà a fornire una descrizione circa il fenomeno
dello skills mismatch tra le competenze possedute dai lavoratori e quelle
richieste dal mercato del lavoro. Dopo una breve analisi sui principali canali di
ricerca, verrà approfondito il ruolo dei servizi per l’impiego in Italia,
evidenziando le caratteristiche e accennando alla loro evoluzione in linea con il
processo di riforme della pubblica amministrazione in particolare nell’utilizzo di
strumenti di management tipici del mercato. Sarà poi gettato lo sguardo agli
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scenari di integrazione tra politiche attive e politiche passive già tracciati negli
ultimi decenni attraverso una modernizzazione dei servizi per l’impiego. Nel
terzo capitolo si illustrerà la normativa regionale vigente in Emilia-Romagna in
tema di politiche attive con particolare riguardo al percorso di orientamento e
affiancamento al lavoro Piano di intervento per l’occupazione. Verranno
descritte le modalità di attuazione dell’iniziativa regionale, il contesto di
riferimento, le caratteristiche principali dei servizi offerti a sostegno dei
disoccupati, le modalità di erogazione di Adecco in qualità di soggetto attuatore
degli interventi, con un particolare approfondimento relativo alla
sperimentazione adottata durante il percorso a sostegno di una politica attiva piu
inclusiva e abilitante. L’elaborazione dei dati avverrà attraverso strumenti di
statistica descrittiva, aventi lo scopo di rilevare le variabili maggiormente
significative per spiegare i risultati dell’attuazione in tutte le sue parti, servendosi
di questionari di gradimento per verificare gli effetti della politica sul livello di
soddisfazione dell’utenza. Infine nell’ultimo capitolo verranno approfondite le
aree di intervento dei percorsi socioriabilitativi di inserimento formativo e
lavorativo in Emilia-Romagna rivolti alle persone con disturbi mentali e
dipendenze patologiche, rivolti a coloro i quali vengono seguiti dai Dipartimenti
di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche in Emilia-Romagna. Dopo aver
tracciato le linee di definizione delle due aree di intervento, rispettivamente i
percorsi socio-riabilitativi tradizionali e i percorsi di supporto all’impiego, si
procederà ad analizzare l’efficacia di questi ultimi dal punto di vista degli esiti
occupazionali e dello scostamento dalla dipendenza assistenziale. Lo studio
verterà su un’analisi di ricerca condotta in sei centri europei in applicazione della
metodologia dell’Individual Placement support, i cui risultati positivi hanno
consentito lo sviluppo dell’approccio rivoluzionario in tutta Italia, con
particolare riferimento all’associazione IPSILON in Emilia-Romagna. Alla luce
dei risultati prodotti verranno identificati i punti di forza che caratterizzano i due
principali percorsi di attivazione per l’inserimento lavorativo in Emilia-
Romagna, e le eventuali criticità, delineando taluni suggerimenti per garantire
un maggior successo occupazionale delle politiche senza rinunciare alle
occupazioni di qualità e allo sviluppo del capitale umano.
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CAPITOLO 1
LE POLITICHE DI ATTIVAZIONE IN ITALIA E IN EUROPA
1.1 Le misure per l’occupabilità a sostegno dei nuovi rischi sociali
Con politiche del lavoro facciamo riferimento ad un insieme di interventi
pubblici rivolti alla tutela dell’interesse collettivo all’occupazione (Marchioro,
2009). In questo senso il loro campo d’azione è orientato alla riduzione della
disoccupazione e alla protezione sociale dei disoccupati, alla promozione di uno
stabile ed elevato livello occupazionale. Proprio a causa dell’attenzione al
welfare (benessere) dei cittadini, le politiche del lavoro sono strettamente
connesse con le politiche sociali, il cui principale obiettivo è quello di risolvere
problemi di natura sociale e definire norme e regole basate sulla distribuzione
delle risorse che possano garantire un determinato livello di protezione sociale.
Come sottolineato da Marshall (2002) questi principi, regole e standard comuni
nelle democrazie odierne vengono assimilati nel concetto di cittadinanza sociale.
Alla base delle politiche del lavoro e delle politiche sociali, oltre all’idea del
benessere dei cittadini come primario obiettivo, possono essere riconosciuti altri
due concetti fondamentali: il bisogno e il rischio. Come sottolinea Marchioro
(2009), mentre il bisogno parte dal presupposto che vi sia la mancanza di qualche
bene rilevante, il rischio prevede l’esposizione da parte dell’individuo a
situazioni di vulnerabilità (come la malattia, la vecchiaia, la disoccupazione) che
portano a situazioni negative qualora si verifichino e che generano dei bisogni. I
modelli di politica sociale predisposti dai vari sistemi di governo hanno dato nel
tempo una diversa connotazione dei rischi sociali e delle misure di
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intervento. Nel periodo fordista i tre pilastri su cui si era da sempre basato il
welfare state nel garantire la tutela dei principali rischi e bisogni erano il mercato
del lavoro, la famiglia nucleare e il welfare state assicurativo, fondato sulle
grandi assicurazioni sociali obbligatorie
1
(Ciarini 2020; Paci 2005). A questi
potevano aggiungersi le reti informali e associative.
Figura 1-Il diamante del welfare
Fonte: Marchioro A. (2009), “Origine ed evoluzione delle politiche del lavoro in Italia”, in Quaderno del
Lavoro
Questi attori principali formavano quello che nelle politiche del lavoro veniva
definito “il diamante del welfare” e che, nel corso del tempo, ha subito svariate
trasformazioni. Questo perché già dagli anni Duemila iniziano ad emergere
nuovi fattori di vulnerabilità sociale e di rischio povertà già visibili nei decenni
precedenti (Rizza e Scarano, 2019). Questi nuovi rischi sociali si differenziano
dai precedenti per il loro carattere multidimensionale, non più definibile con il
solo utilizzo di indicatori economici o reddituali che misurano la povertà in senso
stretto. Il concetto di vulnerabilità sociale, introdotto in letteratura per
differenziarlo dalla precedente fase fordista, si caratterizza per la compresenza
di svariate forme di fragilità, familiari, lavorative, economiche, abitative che
iniziano a coinvolgere un più alto numero di individui, né poveri ne
emarginati, ma che in alcuni momenti della loro vita si trovano a rischio
1
Con lo sviluppo delle assicurazioni obbligatorie, sebbene si accrebbe la sicurezza dei
lavoratori, si indebolì nettamente il ruolo attivo dei lavoratori e l’agibilità dei diritti sociali, che
erano stati propri delle forme mutualistiche di protezione sociale.
10
di fragilizzazione a causa del progressivo sgretolamento dei tre pilastri del
welfare fordista
2
. Tra i bisogni sociali più strettamente connessi con le politiche
del lavoro possiamo considerare: il problema di conciliazione vita familiare-
lavoro a seguito dell’incremento della partecipazione femminile nel mercato del
lavoro che ha contribuito allo sgretolamento del tradizionale sistema di cura
familiare informale; la presenza di skills basse o obsolete che ha portato gli
individui che svolgono lavori a bassa qualificazione nella parte bassa della scala
del lavoro, svolgendo lavori routinari a bassa produttività e scarsamente
remunerati; una protezione sociale non sufficiente a coprire i lavoratori
periferici, cioè coloro i quali hanno delle carriere lavorative instabili e precarie,
e che per lo più sono giovani in ingresso nel mercato del lavoro sui quali si sono
scaricati i maggiori costi della flessibilità sui rapporti di lavoro (Ciarini, 2013).
I nuovi bisogni sociali, come scriveva Paci (2005) non sono più soddisfatti da
prestazioni sociali generali e standardizzate (come i sussidi di disoccupazione o
le indennità di malattia o di vecchiaia) ma reclamano sempre più interventi e
soprattutto servizi individualizzati e compositi
3
. Lo stesso concetto di
disoccupazione ha subito dei cambiamenti nell’interpretazione, non potendo più
essere associato a un gruppo omogeneo di soggetti, ma a un insieme composito
di storie di vita lavorative differenti tra loro, accomunate dall’essere parte di un
mondo del lavoro precario e rigido, che ha dato priorità a tutelare chi già aveva
un lavoro e non coloro che erano alla ricerca di un primo
4
(Rossotti,
Rella, Fasano,2019). Per questa ragione le importanti trasformazioni delle
politiche del lavoro sono avvenute proprio in seguito all’abbandono del
2
Come afferma Castel (2019), mentre il problema principale nell’era fordista consisteva nella
protezione del lavoro salariato svolto dai core workers, nell’era post-fordista troviamo i
contingent workers, che rimandano ad una platea vasta di lavoratori, differenti per mansioni e
reddito e che vanno a comporre la moderna società del rischio.
3
Secondo Rosanvallon (1997) al fine di individuare un disoccupato di lunga durata, non basta
far riferimento ad una categoria predeterminata, ma occorre indagare ad un livello più
individualizzato e profondo, facendo riferimento alla mobilità del lavoratore, alla tipologia
contrattuale, alla sua identità professionale e familiare, alla sottile struttura del suo percorso di
vita.
4
Secondo Chicchi (2003), nell’era post-fordista la vera emergenza è rappresentata dalla
partecipazione al mercato del lavoro in forma precaria, intermittente, incerta. Così che oltre ad
una platea di persone escluse totalmente dal mercato del lavoro, oggi si possono individuare
tutta una serie di posizioni grigie ed intermedie che compongono un ampio universo di
vulnerabilità sociale.
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paradigma dell’occupazione e della stabilità su cui si reggeva il fordismo,
aprendo la strada alla flessibilizzazione del mercato del lavoro e ai mutamenti
introdotti dalla terziarizzazione dei servizi
5
, che hanno segnato lo spartiacque nel
modo di produrre e funzionare dei sistemi sociali, accentuando nuovi dualismi
anche a seguito dei cambiamenti tecnologici sul lavoro (Emmenegger, 2012 ).
Infatti, se da una parte la transizione alla società dei servizi ha comportato il
declino delle attività manifatturiere e lo sviluppo di lavori altamente qualificati,
d’altra parte si è allargata la quota dei working poors (poveri che lavorano) e
lavoratori a bassi salari che svolgono lavori a bassa produttività soprattutto nei
comparti terziari (commercio, ristorazione, cura). La differenza tra i due è che
mentre i working poors svolgono un lavoro che, anche se singolarmente
dignitoso, non gli permette di soddisfare i bisogni primari del loro nucleo
familiare, i lavoratori a bassi salari hanno un reddito che singolarmente è al di
sotto della soglia dei due terzi del salario orario mediano (Ciarini,2020). Accanto
al dualismo tra lavoratori low skilled e lavoratori high skilled, si aggiunge nel
quadro appena descritto il fenomeno della polarizzazione del mercato del lavoro
che sta portando ad uno schiacciamento della classe mediamente qualificata e a
reddito medio, avvicinandola sempre di più alla classe di reddito bassa formata
da lavoratori scarsamente qualificati, così generando una forte concorrenza per
svolgere lavori poco retribuiti (Marchal e Marx, 2017). Come
afferma Ciarini (2013), è proprio sui lavoratori atipici, spesso con contratti
temporanei, e che svolgono lavori a bassa produttività e scarsamente retribuiti
che si sono cimentate gran parte delle politiche di attivazione, spesso nella loro
versione workfarista. Per far fronte a questi rischi sociali e diminuire il livello di
povertà, non basta aumentare la quota degli occupati ma insistere sulla qualità e
tipologia dei lavori creati e integrati dalle politiche sociali. (Saraceno, 2016).
Come infatti è stato dimostrato a seguito della crisi del 2008, l’aumento
5
Tra i mutamenti introdotti dalla terziarizzazione dei servizi, Ciarini (2020) fa riferimento alla
flessibilizzazione dei rapporti di lavoro con il conseguente rischio di intrappolamento in
condizioni di precarietà e insicurezza lavorativa e sociale, l’ampliamento della partecipazione
delle donne nel mercato del lavoro che ha portato allo sgretolamento di un welfare a stampo
familista improntato sull’assistenza e funzioni di cura svolte dalla famiglia e in particolare
dalle donne, le grandi trasformazioni demografiche accompagnate dall’invecchiamento della
popolazione con il conseguente problema di un nuovo sistema di protezione sociale.
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dell’occupazione e la crescita economica si è rivelata inefficace nel ridurre il
livello di povertà e di diseguaglianza, dimostrando che l’occupazione non
costituisce sempre da sola un’assicurazione contro la povertà
(Morlicchio,2000; Saraceno 2015). La crisi ha dunque reso di cruciale
importanza ricentrare il dibattito sugli strumenti di attivazione al lavoro. Difatti
se da un lato le politiche a sostegno dell’occupazione tendono ad aumentare la
platea dei beneficiari degli interventi, d’altra parte spesso non risolvono il
problema della precarizzazione e dell’incertezza lavorativa, puntando soprattutto
ad un repentino re/inserimento della persona. Per questo motivo alla fine degli
anni Novanta ha preso piede una nuova strategia di stampo europeo improntata
sul concetto di ‘occupabilità’ che, secondo Teselli (2016), può essere intesa
come «la capacità delle persone di essere occupate, di cercare attivamente un
impiego e di mantenerlo». Secondo Hillage e Pollard (1998)
6
l’occupabilità è
strettamente connessa alle capacità, conoscenze e competenze di cui l’individuo
è in possesso e soprattutto «dal modo in cui utilizza queste qualità nel mondo del
lavoro e dal contesto (ad esempio circostanze personali, contesto occupazionale)
in cui cerca un impiego». Le politiche per l’occupabilità prendono piede nel 1997
a Lussemburgo in occasione della Strategia europea per l’occupazione (SEO),
in cui vengono definiti 4 pilastri dell’occupazione sulla scia del Libro Bianco di
Jacques Delors (1993): l’occupabilità, l’imprenditorialità, l’adattabilità e le pari
opportunità. L’occupabilità viene descritta come capacità di dare valore
soprattutto alla qualità del lavoro, andando ad affiancare alle forme di sostegno
al reddito delle condizionalità crescenti, che possano promuovere l’attivazione
dei beneficiari. Dal 1997, la SEO ha subito diversi cambiamenti sia nella
governance che nell'orientamento politico. La SEO, principalmente basata su
progetti di riforma dei vari paesi membri in materia di mercato del lavoro e
politiche sociali, prevedeva un approccio di coordinamento degli stati membri
basato sul benchmarking, il monitoraggio e l'apprendimento piuttosto che su
legislazioni. Tale meccanismo, definito Metodo aperto di coordinamento, ha
6
Hillage, Jim & Pollard, Emma. (1998). Employability: Developing a framework for policy
analysis. Labour Market Trends. 107. 83–84.
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portato alla definizione di obiettivi macro e microeconomici misurabili con
specifici indicatori che ogni Stato ha poi declinato in modo differenziato, sulla
base dei propri livelli di partenza, mirando ad una parziale convergenza solo per
alcuni obiettivi.
7
Nel 2005, anno in cui viene rilanciata come parte della strategia
di Lisbona, avviene una fusione degli orientamenti europei per l'occupazione con
gli indirizzi di massima per le politiche economiche (BEPG) in un unico insieme
di orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione. Il fulcro della strategia
passa dal concetto di occupabilità al concetto di occupazione in senso stretto,
misurata attraverso benchmark quantitativi decisamente impegnativi.
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Solo in
tempi recenti il linguaggio dell’occupabilità, al centro delle politiche del lavoro,
viene ricalibrato in un’ottica non più promozionale di “buona occupazione”, ma
insistendo sulla maggiore spendibilità delle persone in cerca di occupazione
attraverso lo sviluppo del capitale umano e l’adeguamento delle competenze per
far fronte all’evoluzione del sistema formativo (Angeli,2005). L’obiettivo
diviene dunque quello di aumentare la base occupazionale, piuttosto che ridurre
la disoccupazione, ma insistendo soprattutto sulla qualità del lavoro,
diminuendo, laddove possibile, forme di lavoro disqualificato. Attraverso le
politiche attive dal carattere preventivo si insiste sulla maggiore auto-
realizzazione dell’individuo e una maggiore protezione contro i rischi sociali,
secondo un modello di protezione sociale attivante. Ciò significa dare attenzione
oltre che alle politiche del lavoro anche alle politiche sociali, perché è
l’occupazione stessa che si traduce in termini di partecipazione a tutte le sfere
della vita associata, in cui i cittadini sappiano cooperare a vari livelli territoriali
e istituzionali, da quello locale a quello comunitario, in tutte le sfere della vita
pubblica.
7
L’idea di fondo è che le politiche e gli interventi quando prevedono un approccio
universalistico top down rischiano di non tenere conto delle diversità territoriali, sociali,
economiche, soggettive che proprio lo stesso concetto di occupabilità rimanda, implicando
un’azione contestualizzata secondo il principio della sussidiarietà (Caruso,2007).
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In questi anni appare evidente la conformità della SEO e ancora di più della Strategia di
Lisbona con il principio work-first di ispirazione workfarista, riconoscendo uno stretto legame
tra sistemi di protezione sociale e partecipazione al mercato del lavoro. Secondo questo
principio, la possibilità di accesso ai sussidi monetari e ai servizi da parte del disoccupato viene
consentito solo a seguito di un suo impegno attivo nella ricerca del lavoro e alla partecipazione
a programmi di orientamento e/o formazione (Gualmini e Rizza, 2013).