INTRODUZIONE
In questi ultimi anni, il tema della sicurezza si è prepotentemente imposto
nell’agenda politica di molti Paesi, diventando di conseguenza uno dei problemi più
sentiti dalla popolazione. Sempre più spesso, infatti, si sente parlare di «sicurezza
urbana», «politiche preventive», «ordinanze sindacali», ecc. Ma di che cosa si parla in
realtà? Che cosa sono? Da cosa nascono, o meglio, da dove nasce il bisogno di attivare
delle simili strategie?
L’obiettivo principale del presente lavoro è quello di fornire una panoramica
completa sulle politiche di sicurezza urbana, ponendo particolare attenzione alle
motivazioni che le hanno prodotte.
Questo testo si propone di ricostruire il processo che ha portato alla nascita ed allo
sviluppo delle politiche di sicurezza urbana, creando un percorso ideale che, partendo
dalla definizione e dall’analisi dell’annosa «questione della sicurezza», passando poi
attraverso la crisi dei sistemi di controllo tradizionali (dovuti alla progressiva perdita di
importanza dello Stato Sovrano all’interno del mondo globalizzato), arrivi a definire le
caratteristiche principali di queste nuove politiche, contraddistinte da un approccio
preventivo e locale, fornendo infine alcuni esempi, attraverso il confronto tra i modelli
più utilizzati in Europa.
Per meglio evidenziare gli aspetti salienti degli argomenti trattati, si è ritenuto
opportuno suddividere idealmente il lavoro in tre parti.
Nella prima parte viene definita la «questione della sicurezza», evidenziando da un
lato la sua onnipresenza nella storia dell’umanità, dall’altro l’estrema difficoltà di
arrivare ad una definizione univoca e condivisa del concetto stesso di sicurezza. In
questa parte si procede inoltre ad un’analisi dettagliata delle principali caratteristiche di
questa problematica, utilizzando le prospettive proposte da autori come Bauman, Beck,
Castel, Coubert, Douglas, Giddens e Lupton; in particolare sono stati esaminati:
- il contesto in cui essa si manifesta, ossia la società attuale, caratterizzata da un
profondo senso di incertezza;
- la percezione soggettiva del fenomeno, ponendo l’attenzione sull’influenza
esercitata su di essa da fattori culturali, mediatici e dai c.d. «saperi esperti»;
- la sua (discussa) quantificazione oggettiva, cercando di individuare, attraverso la
riproduzione di alcuni dati statistici, quali aspetti suscitano maggior inquietudine
nella popolazione, ed esponendo le principali critiche mosse in ambito
scientifico ed accademico a questo tipo di ricerche;
- le sue possibili interpretazioni, selezionando tra le numerose teorie sociologiche
e criminologiche quelle che vengono poi riprese anche dalle politiche di
prevenzione.
Nella seconda parte, invece, vengono descritte le principali risposte istituzionali a
tale fenomeno; in particolare viene analizzato l’intero processo che ha portato alla
formazione delle politiche di sicurezza urbana, illustrando i principali cambiamenti che
negli ultimi trent’anni hanno portato i Paesi Occidentali a rivedere il ruolo delle proprie
istituzioni in materia di sicurezza. L’attenzione ricade appunto sullo sviluppo di nuove
strategie improntate alla prevenzione ed alle soluzioni localizzate, in netto contrasto con
le prime politiche di sicurezza basate sul controllo e sulla repressione da parte dello
Stato delle principali fonti di insicurezza. Un altro aspetto evidenziato in questa sezione
riguarda il nuovo ruolo assunto dalle città e dalle istituzioni locali, divenuti
rispettivamente i luoghi ed i protagonisti delle nuove politiche di sicurezza.
Nella terza parte, infine, dopo aver riportato le principali definizioni delle politiche
preventive proposte dalla letteratura, vengono descritte le caratteristiche dei nuovi
approcci, evidenziandone le potenzialità ed i limiti. L’esposizione si conclude con la
descrizione ed il confronto dei modelli più diffusi in Europa, mettendo in risalto per
ogni singolo paese considerato alcuni aspetti particolari:
- la concezione di sicurezza prevalente («security» vs «safety»), in quanto è
proprio questa a determinare l’applicazione del modello di prevenzione;
- gli attori della prevenzione ed il livello di delocalizzazione delle competenze;
- la presenza di una legislazione nazionale in materia e la sua eventuale
corrispondenza con i principi proposti dalle diverse disposizioni dell’Unione
Europea.
1
CAPITOLO I
IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA:
ANALISI DI UN FENOMENO COMPLESSO
Il termine sicurezza deriva dal sostantivo latino «securitas» e significa letteralmente
«assenza di preoccupazioni». Secondo il “Dizionario della lingua italiana” questo
termine indica quella «condizione oggettiva esente da pericoli o garantita contro
eventuali pericoli» o ancora «[…] condizione oggettiva di uno stato in cui sia garantito
ai singoli il tranquillo svolgimento delle proprie attività»
1
.
Bauman in tale concetto distingue tre dimensioni: la «security», ovvero la sicurezza
esistenziale che ci garantisce che ciò che è stato conquistato e conseguito rimarrà in
nostro possesso; la «safety», più strettamente legata all’incolumità personale e della
nostra famiglia, dei nostri beni, ecc.; infine la «certainty», che si può interpretare come la
certezza di essere nel giusto attraverso la possibilità di discernere tra ciò che è
ragionevole e ciò che non lo è, ciò che è degno di fiducia da ciò che è ingannevole
2
.
Si nota perciò che il concetto di sicurezza, apparentemente molto semplice da definire,
in realtà racchiude in sé diversi aspetti, e proprio per questo motivo risulta difficile
fornire una definizione univoca ed oggettiva del termine.
Esiste però una concezione dominante del concetto di sicurezza, composta da due
elementi:
- il primo che richiama l’idea di «assenza di situazioni di pericolo o di rischio»;
- il secondo, derivante dal primo, vede la sicurezza come un «bene», in quanto
questo termine indica l’assenza di situazioni rischiose
3
.
Nella letteratura sociologica il processo di definizione del concetto di sicurezza vede
contrapporsi due distinte prospettive di analisi: quella antropologica e quella giuridica.
Mentre la prima concepisce la sicurezza come un «bisogno umano», la seconda è più
propensa a considerare la sicurezza come una «funzione generale del sistema giuridico».
4
1
Vedi Dizionario della Lingua Italiana, Zanichelli 2011
2
Cfr. Bauman Z. (2002), La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, pp. 24-25.
3
Cfr. Pisapia G. e F. Di Caccia (2005) Dizionario Operativo per il Criminologo, Cedam, Padova, p. 150
4
Cfr. Terracciano Ugo (2009) Le politiche della sicurezza in Italia. Dalla tolleranza zero alla comunità
policing: le nuove frontiere della sicurezza urbana, Experta, Forlì, pp. 1-4.
2
Secondo la prospettiva antropologica, la sicurezza farebbe parte di quei bisogni che
Maslow definisce secondari (non essendo fondamentali per la sopravvivenza come
invece lo sono quelli fisiologici) ma che ricoprono comunque un ruolo essenziale per
l’individuo. Da questo punto di vista il significato del concetto di sicurezza è strettamente
connesso alla prima dimensione individuata da Bauman nella sua definizione, la c.d.
«security», cioè quella sicurezza esistenziale che permette all’individuo di realizzarsi
senza particolari preoccupazioni.
Figura 1 - Scala dei bisogni di Maslow
Fonte: http://www.psicopedagogie.it/motivarsi.html
Osservando, invece, il concetto di sicurezza da una prospettiva giuridica non si parla
più di bisogno di sicurezza, ma di «diritto alla sicurezza». In particolare in quest’ottica,
pur riconoscendo il fatto che il bisogno di sicurezza rappresenta un’esigenza secondaria
rispetto alle altre che stanno alla base dei diritti legalmente riconosciuti, il diritto alla
sicurezza non ricopre un ruolo subordinato a questi ultimi, ma, al contrario, ne
rappresenta un elemento costitutivo.
3
Questo perché la sicurezza viene vista come un bene indisponibile al singolo, un bene
pubblico da tutelare con particolare attenzione, che si colloca in un punto di equilibrio
dove incrociano la loro traiettoria beni altrettanto fondamentali quali la legalità, i diritti
umani, le libertà individuali e collettive
5
. In questo senso essa rappresenta uno dei pilastri
fondamentali della società, costituendo la base della libertà e dell’uguaglianza per il
completo ed equo sviluppo di ciascun individuo.
Negli ultimi decenni, ma in modo particolare negli ultimi anni, nelle società
occidentali si è registrato un sempre più diffuso senso di insicurezza, spesso talmente
forte da diventare una delle principali voci delle agende politiche.
Paura, insicurezza, inquietudine sono emozioni intrinseche alla natura umana ed, in
quanto tali, hanno caratterizzato le vite degli uomini fin dall’alba dei tempi; se si
considera la storia dell’umanità, infatti, non è difficile individuare esempi di come questi
sentimenti abbiano da sempre accompagnato le diverse civiltà che si sono succedute nel
tempo.
Nel tentativo di reagire alle paure, di limitare e prevenire i pericoli, ogni società ha
sviluppato delle strategie e dei sistemi di credenze capaci di fornire valide spiegazioni ai
diversi accadimenti
6
. Trovare una spiegazione agli eventi, infatti, contribuisce a creare
nell’individuo una certa rassicurazione, perché si ha l’impressione di poterli controllare,
o almeno di poterli evitare.
Greci e Romani, ad esempio, divinizzavano il timore e la paura, cosicché, offrendo
loro preghiere e sacrifici, questi non si sarebbero manifestati in battaglia
7
.
Nel Medioevo, forse il periodo storico più contraddistinto da questi sentimenti, in
quanto epidemie, carestie e guerre rappresentavano la quotidianità, per affrontare la paura
si ricorreva alla superstizione: l’importanza dei segni premonitori e degli amuleti,
l’efficacia dei pellegrinaggi ai santuari, delle offerte a Dio e ai Santi, la natura maledetta
di certi luoghi, sono solo alcuni esempi
8
. Ma il tentativo di reagire alla paura si traduceva
5
Cfr. http://www.diss.uniroma1.it/pagina.asp?lang=ita&id=3016
6
Per un approfondimento si veda il contributo dell’antropologa inglese Mary Douglas con le sue ricerche
sul concetto di «Pollution» nelle società tradizionali, citate nella bibliografia.
7
Greci e Romani avevano individuato nei due dei figli di Ares, Deimos e Phobos la divinizzazione del
“Terrore” e della “Paura” suscitati dalla guerra, ed avevano eretto diversi santuari in loro onore (fonte:
Wikipedia da Smith W. (1849) Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Taylor&Walton,
Londra).
8
Si veda a tal proposito Muchembled R. (1978) in Culture populaire et culture des elites dans la France
moderne, Paris, Flammarion; trad. it. a cura di Prandi A. (1991), Cultura popolare e cultura delle élites
nella Francia moderna, Il Mulino, Bologna, (pp.55-58).
4
anche in qualcosa di più concreto, cioè nella modificazione degli spazi; l’ambiente
veniva trasformato creando dei luoghi «sicuri», degli spazi più o meno circoscritti e
controllabili in cui potersi rifugiare per sentirsi protetti. Le mura delle città, i castelli e le
fortezze ne sono, ancora oggi, una testimonianza evidente
9
.
Con l’avvento dell’Era Moderna questi modi di reagire alle paure hanno subito delle
trasformazioni: la supremazia della ragione ha fatto cadere quei miti fatalistici che per
lungo tempo avevano dominato le paure dell’individuo; superstizione ed interventi
soprannaturali hanno lasciato spazio a ragione e conoscenza, eletti nuovi strumenti per
prevedere e controllare gli eventi futuri. Da questo momento la pianificazione del futuro,
diventata parte integrante di quel «mito del progresso» tanto acclamato dagli illuministi,
rappresentava il compito primario delle istituzioni, prima tra tutte lo Stato.
Anche la vita quotidiana ha risentito di questo radicale cambiamento, infatti, con la
diffusione della conoscenza gli stili di vita degli individui sono stati plasmati ed
indirizzati verso obiettivi precisi. Si pensi, ad esempio, a come le scoperte scientifiche
legate all’igiene ed alla salute hanno cambiato le abitudini delle persone.
L’impressionante sviluppo di questa società ha portato, però, ad alcune conseguenze
inattese: in un mondo sempre più industrializzato, in cui l’economia era cresciuta a tal
punto da coinvolgere il mondo intero, ed in cui, grazie ai progressi della scienza e della
tecnologia, i confini tra i diversi stati sembravano non esistere più, l’importanza dello
Stato Nazionale e delle istituzioni da esso create per garantire una stabilità economica e
sociale, entravano in crisi, facendo riaffiorare quei sentimenti di insicurezza diffusa che
da lungo tempo sembravano essersi affievoliti.
In queste nuove società ordine, controllo e bisogno di sicurezza assumono una nuova
forma e sostanza. Risulta perciò essenziale, prima di analizzare le strategie utilizzate
dalle diverse istituzioni per rispondere a queste “nuove” esigenze delle società
contemporanee, soffermarsi ad esaminare attentamente quali sono i fattori principali del
diffuso senso di insicurezza che caratterizza le società odierne; solo approfondendo la
conoscenza delle sue caratteristiche, sarà infatti possibile una migliore comprensione dei
fattori che incidono sulla sua diffusione e sulle sue conseguenze reali.
9
Cfr. Marconi P. (2004), in Spazio e sicurezza, Giappichelli, Torino che fornisce una dettagliata
ricostruzione storica della città dal Medioevo ad oggi, illustrando le varie strategie per far fronte ai
sentimenti di insicurezza e paura
5
Lo scopo di questo capitolo è analizzare il diffuso sentimento di insicurezza che
caratterizza la nostra società scomponendolo nei suoi singoli elementi, studiando cioè il
contesto in cui si manifesta, le sue diverse modalità di rappresentazione, il confronto tra
la sua percezione e la sua quantificazione oggettiva, arrivando infine alla descrizione
delle differenti teorie interpretative che lo definiscono.
1. LA SOCIETÀ DELL’INCERTEZZA
Come ci suggeriscono gli autori del “Dizionario Operativo per il Criminologo”
10
l’idea di contesto rinvia all’insieme di azioni e relazioni che si sviluppano all’interno di
un determinato ambiente. È appunto all’interno di questo ambiente che i diversi
comportamenti assumono uno specifico significato, tanto che la stessa azione, posta in
essere in contesti differenti, possa assumere anche significati differenti.
Il contesto perciò non è semplicemente il luogo in cui si sviluppa l’azione sociale, ma
è anche il «campo» in cui è possibile costruirla, cioè quello spazio in cui sono presenti le
condizioni necessarie perché questa si realizzi ed, in quanto tale, non può essere
interamente precostituito. Esso, infatti, oltre a possedere delle regole e delle procedure
proprie, determinate dalle sue intrinseche caratteristiche, allo stesso tempo permette che
se ne originino e sviluppino delle altre, proprie dei soggetti che agiscono al suo interno.
L’analisi del contesto perciò risulta particolarmente utile per comprendere i tipi di
relazioni che si instaurano tra gli individui, l’immagine che il singolo si crea di sé in
funzione delle relazioni con gli altri e, soprattutto, i principi che guidano le azioni e i
significati attribuiti agli eventi. Ecco perché lo studio del contesto rappresenta un passo
fondamentale da compiere se si vuole compiere un’analisi approfondita di un determinato
fenomeno sociale.
La società industriale fu il risultato di una modernità basata sull’idea illuministica che
vedeva nella conoscenza oggettiva del mondo, perseguita attraverso l’indagine scientifica
e il pensiero razionale, la «chiave» del progresso umano e dell’ordine sociale; ciò
presupponeva che anche il mondo sociale, come quello naturale, seguisse delle regole
precise, che potevano essere calcolate o misurate, e quindi, in qualche modo, previste.
10
Si vedano le voci «Ambiente» (p.5), «Campo» (p.14) e «Contesto» (p.27) in Pisapia G. e F. Di Caccia
(2005), op. cit.
6
Negli ultimi tre secoli gli stati più moderni oltre ad aver organizzato produttivamente
le proprie popolazioni, hanno cercato di creare dei sistemi capaci di studiare i
cambiamenti sociali più sconvolgenti che accompagnavano il processo di
modernizzazione, quali, ad esempio, l’esplosione demografica, il mutamento dei rapporti
tra le classi sociali, in modo da poterli affrontare meglio prevedendone gli sviluppi.
La nascita del calcolo della probabilità e della statistica hanno giocato un ruolo
fondamentale in questo senso, fornendo una serie di strumenti adeguati e la definizione
scientifica di un concetto non nuovo, quello di rischio, precedentemente riferito solo ad
eventi non attribuibili all’intervento umano.
Questa nuova definizione partiva dalla considerazione che le conseguenze degli eventi
che si verificavano sistematicamente si potessero osservare e descrivere in termini
statistici; in questo modo, grazie al calcolo della probabilità, questi potevano anche
essere calcolati e previsti, cosicché non si potesse più escludere l’idea di un errore o di
una qualche responsabilità umana. Per la prima volta fu possibile spiegare razionalmente
quei fenomeni che in passato erano attribuibili solo all’intervento di qualche divinità o al
fato. «Inventando» il rischio gli uomini hanno potuto realizzare quello che il famoso
sociologo francese Robert Castel definisce come «[…] un sogno razionalizzante
grandioso e tecnocratico di controllo assoluto del fortuito» (Castel, 1991)
11
.
Poter riuscire a prevedere le conseguenze di una determinata azione, o di un
fenomeno, risultò estremamente utile per creare dei sistemi di controllo capaci di evitare
che questo si verifichi o almeno per limitarne le conseguenze.
Questa espansione del concetto di rischio introdusse un nuovo modo di vedere il
mondo ed i diversi fenomeni politici, sociali ed economici, soprattutto nel corso del
secolo scorso.
Il XX secolo ha rappresentato senza ombra di dubbio il periodo storico più ricco di
cambiamenti. Ciò che lo distinse dalle epoche precedenti, oltre alla straordinaria velocità
con cui si susseguirono le varie trasformazioni, fu la loro particolare portata; per la prima
volta nella storia, infatti, si verificarono degli eventi con ripercussioni globali, si pensi ad
esempio alle due guerre mondiali e all’assetto politico e socio-economico che ne è
derivato.
11
Castel R. (1991), From dangerousness to risk in Burchell G., Gordon C. e P. Miller (a cura di), The
Foucault Effect. Studies in Governmentality, London, Harvester Wheatsheaf, p.289.
7
Scienza, tecnologia e telecomunicazioni furono le principali protagoniste del secolo
passato, in particolare dalla fine del secondo conflitto mondiale. La voglia di
ricominciare e ricostruire, dopo quello che potrebbe definirsi il periodo più buio
dell’umanità, caratterizzato da terribili violenze e distruzioni, fornì la spinta necessaria
per una crescita economico-industriale senza precedenti. Nel giro di poco più di un
decennio gli stati occidentali raggiunsero un livello di sviluppo impressionante, dettando
così le regole per un nuovo equilibrio economico e politico.
Lo Stato Nazionale assunse un ruolo sempre più importante intervenendo in diversi
settori, tra cui l’economia, ma soprattutto potenziando quelle istituzioni create già nel
secolo precedente per garantire la sicurezza economica e sociale
12
. L’intervento dello
Stato nei vari settori economici mirava a realizzare quel cambiamento voluto dalla
«rivoluzione keynesiana» in seguito alla crisi del ’29; essa, infatti, sosteneva la necessità
dell'intervento pubblico nell'economia con misure di politica fiscale e monetaria, qualora
un’insufficiente «domanda aggregata»
13
non fosse riuscita a garantire la piena
occupazione. In questo modo, controllando i principali parametri economici, lo Stato
poteva equilibrare il suo sviluppo economico e sociale in vista del mantenimento della
coesione sociale. Si andava così creando quella che Castel definisce una «società
salariale», cioè una società in cui il lavoro costituiva il mezzo per garantire la sicurezza
sociale degli individui. Lo Stato perciò, perseguendo delle politiche interventiste capaci
di garantire la piena occupazione, assumeva nei confronti dei cittadini una funzione
protettiva, «assicurando a tutti i salariati le condizioni minime dell’indipendenza sociale,
e quindi la possibilità di continuare a fare società con i loro simili» (Castel, 2003, p.
33)
14
.
Il trionfo di quel capitalismo “sfrenato” che ha caratterizzato in particolare l’ultimo
quarto di secolo, secondo cui l’intervento statale da un lato non consentiva il
raggiungimento della massima redditività e, dall’altro, soffocava il mondo del lavoro
impedendone la crescita con le sue eccessive regolazioni, ha prodotto una profonda crisi
12
Per un approfondimento si veda il libro di Ritter Gerard A. (1991), Der Sozialstaat: Entstehung und
Entwicklung im internationalen Vergleich, R. Oldenbourg Verlag, Munchen; trad.it. Gaeta L. e Carnevale P.
(a cura di) (1996), Storia dello Stato sociale, Laterza, Roma-Bari.
13
In macroeconomia la domanda aggregata rappresenta la domanda di beni e servizi formulata da un
sistema economico nel suo complesso, in un certo periodo temporale; come tale essa rappresenta la
potenzialità di sfruttamento della capacità produttiva globale di un certo sistema economico.
14
Castel R. (2003), L’insicuritè sociale. Qu’est-ce qu’etre protégé?, Editions du Seuil-La Republique des
Idées; trad. It. (2004), L’insicurezza sociale. Cosa significa essere protetti, Einaudi, Torino
8
di questa «modernità organizzata»
15
, segnando quello che molti studiosi definiscono
come il passaggio ad una seconda modernità.
Mentre la prima modernità, o modernità organizzata era caratterizzata da:
- società organizzate attorno al concetto di Stato-Nazione, in cui relazioni sociali,
reti e comunità erano intese essenzialmente in senso territoriale;
- collettivizzazione;
- progresso tecnico-scientifico;
- calcolabilità e controllabilità dei rischi;
- piena occupazione;
- sfruttamento delle risorse naturali;
questa seconda modernità sarebbe caratterizzata da alcuni processi interconnessi, quali:
- la globalizzazione;
- l’individualizzazione;
- la rivoluzione dei generi;
- la sottoccupazione;
- i rischi globali (sia in forma di crisi ecologica, sia in forma di crisi economica e
finanziaria);
che altro non sono che le conseguenze impreviste del successo della prima modernità.
La sfida che questa seconda modernità si trova a dover affrontare consiste nel fatto
che la società è chiamata a rispondere simultaneamente a tutti questi processi.
Di fatto, in un simile contesto, le stesse idee di controllabilità, certezza e sicurezza,
tanto fondamentali nella prima modernità, tendono a crollare, lasciando spazio a quel
diffuso senso di insicurezza ed impotenza che oggi percepiamo. Un nuovo genere di
capitalismo, un nuovo tipo di economia, di ordine globale, di società e di vita privata
stanno nascendo ed essi differiscono tutti dalle precedenti fasi di sviluppo sociale.
Il disciplinamento del rischio, che durante questi ultimi secoli veniva visto come il
moderno approccio per prevedere e controllare le conseguenze future dell’azione umana,
rappresenta oggi lo scopo principale di questo nuovo ordine, non più nazionale, ma
globale.
15
Locuzione introdotta da Peter Wagner in riferimento alla costruzione di quelle regolazioni collettive che
si erano sviluppate dopo la fine del XIX secolo per superare la prima crisi della modernità. Wagner P.
(1995), Soziologie der Moderne. Freiheit und Disziplin, Campus.
9
Mentre, fino ad un recente passato, le decisioni tecnico-amministrative venivano prese
in base a canoni prestabiliti di calcolabilità dei rischi, che consideravano variabili come
mezzi e scopi o cause ed effetti, ora questo non è più possibile; con l’avvento della
società globale, localizzare le minacce diventa sempre più difficile, senza contare il fatto
che queste possono innescare degli effetti a catena in successione illimitata. Di fronte a
questa nuova realtà le regole di attribuzione e causalità, stabilite nella prima modernità, si
infrangono rendendo insufficienti ed obsoleti quei sistemi di controllo che fino a qualche
tempo fa erano sinonimo di protezione e sicurezza.
La crisi di questi sistemi provoca una generale incertezza nella valutazione dei pericoli
che fa riaffiorare negli individui quell’idea di insicurezza incalcolabile che caratterizzava
le società pre-moderne. Rispetto ad allora, però, sono cambiati i modi di concepire ed
affrontare i rischi: infatti, mentre in quelle società i rischi venivano attribuiti a cause
esterne ed incontrollabili, oggi vengono visti come prodotti involontari dell’azione
umana, per i quali è possibile intervenire.
Secondo alcuni autori, la società contemporanea sta vivendo un’epoca di transizione
che porterà al definitivo passaggio alla «società del rischio». In questa fase di transito, il
problema principale non consiste più nella produzione e distribuzione di beni in tempo di
miseria, ma nel come prevenire e ridurre al minimo i rischi che derivano dal processo di
modernizzazione.
A prescindere da qualunque etichetta questi autori attribuiscano alla società
contemporanea, essi concordano sulla dimensione di incertezza che investe, prima di
tutto, il sistema della conoscenza e, in secondo luogo, la sfera della vita quotidiana,
sempre più caratterizzata dalla eterogeneità delle situazioni, dalla complessità e dalla
contingenza delle azioni. L’esistenza stessa, nella post-modernità, appare sempre meno
prevedibile e programmabile e, usando le parole di Zygmunt Bauman «[…] le relazioni
diventano liquide, facili da instaurare ma altrettanto facili da troncare, frutto di un
accordo faticoso, provvisorio e continuamente rinegoziabile»
16
.
Viviamo dunque in una società contingente, provvisoria, in una dimensione del fare
sempre modificabile ed in questo contesto anche le regole e le leggi non possono che
assumere un valore relativo: esse valgono nella misura in cui i diversi soggetti sociali si
accordano nel continuare a considerarle tali.
16
Cfr. Bauman Zygmunt (2005), Liquid Life, Polity, Cambridge; trad. it. (2006), Vita Liquida, Laterza, Roma.
10
Relativismo, complessità, contingenza sono strettamente correlate al processo di
globalizzazione, inteso come annullamento delle distanze, interconnessione dei mercati,
reciproca dipendenza dei settori produttivi, economici e culturali, commistione di
fenomeni disparati e contraddittori.
In una prospettiva di mondialità, la scienza, che in passato era strumento principe di
emancipazione per l’uomo rispetto alla tradizione e alla religione, affiancata dalla
tecnologia, diviene sempre più potente e complessa, ma insieme esse non riescono più a
calcolare gli effetti della loro attività, diventando così alcune delle principali cause della
produzione di rischi che inquietano la nostra società. Il discorso scientifico non riesce più
a dimostrare fedelmente le sue regole di convalida e di verifica, ciò provoca una
difficoltà nel condividere i saperi con la collettività. Nel suo tentativo di essere oggettiva
e neutrale essa non riesce a riconoscere che i fatti che descrive sono frutto di particolari
processi interpretativi che avvengono all’interno di un contesto politico e culturale ben
definito, in cui i risultati che propone vengono concepiti come protagonisti di un
confronto tra percentuali, esiti sperimentali e proiezioni.
Di fronte al cedere delle vecchie certezze, l’ordine sociale stabilito sembra sgretolarsi,
perciò l’effettiva natura dei rischi diventa materia di continui conflitti tra gruppi sociali:
da un lato abbiamo i «saperi esperti» che percepiscono la scienza post-moderna, basata
sull’efficienza della razionalità strumentale, come un dogma al pari della religione
tradizionale, dall’altro il pubblico dei profani, altamente sensibile all’emotività e
apparentemente «irrazionale». Questa situazione rende particolarmente manipolabile il
concetto di rischio, soprattutto dal punto di vista politico. Il senso di smarrimento e di
abbandono che provano i cittadini di fronte a questo nuovo scenario alimenta le loro
paure, che diventano una sorta di «capitale liquido», pronto per ogni genere di
investimento, sia di carattere commerciale che politico
17
. Ed è proprio il potere politico,
oggi fortemente ridimensionato nelle sue prerogative a causa della globalizzazione, che
trova la propria fonte di legittimazione nella garanzia dell’incolumità personale che
riesce a dare ai cittadini; tale garanzia deve costantemente essere esibita e si assiste
perciò, da un lato, ad un’escalation di «esibizioni di forza» da parte dello Stato e,
dall’altro, all’incentivazione delle paure (e del bisogno di sicurezza) tramite i mass
media.
17
Cfr. Bauman Z. (2006), Liquid Fear, Polity Press, Cambridge; trad. it. (2008), Paura liquida, Laterza, Bari
11
Inoltre la scienza, pur configurandosi come un meccanismo perfettamente
funzionante, sembra incapace di stimare i costi che il proprio sviluppo impone
all’umanità. Si pensi ad esempio alla scoperta degli Ogm, di cui ancora non si conoscono
pienamente gli effetti sull’organismo umano, i quali possono verificarsi anche dopo
alcune generazioni.
In questa nuova società scienza e tecnologia divengono «armi a doppio taglio» perché
ad ogni beneficio fanno sempre corrispondere un “costo”, che la collettività finisce col
sopportare nell’ottica del continuo soddisfacimento di nuovi bisogni e opportunità.
La globalizzazione, perciò, sembra essere il regno dell’incertezza e della
contraddizione: avvicina ed insieme allontana, rimuove e pone ostacoli, rafforza la
fiducia ma crea anche disorientamento.
A questo proposito il sociologo tedesco Ulrich Beck sostiene che i rischi
inciderebbero in modo ambivalente sulle condizioni sociali: da un lato rafforzerebbero la
disuguaglianza perché le classi più svantaggiate si troverebbero ad affrontare molti più
rischi con una minima possibilità di adottare delle contromisure, dall’altro la
neutralizzerebbero perché esistono dei rischi a cui tutti sono egualmente esposti: «la
povertà è gerarchica, lo smog è democratico» (Beck,1986; trad. it. 2000, p.48).
18
Molti studiosi, tra cui lo stesso Ulrich Beck, identificano un altro importante processo
che deriva direttamente dalla globalizzazione e riguarda il cambiamento che questa ha
provocato nell’identità delle singole persone. Secondo questo autore, la perdita di
influenza da parte delle istituzioni tradizionali si riflette anche nella sfera privata,
originando nel singolo individuo un nuovo modo di essere. Questo processo, che
definisce individualizzazione, non deve intendersi come estraniazione o isolamento
dell’individuo, piuttosto è da interpretare come indice di una nuova esigenza
caratteristica dei protagonisti di questa seconda modernità. Venendo a mancare quelle
norme dettate dalla tradizione, gli individui del nuovo millennio sono chiamati a costruire
da soli le proprie biografie, scegliendo tra nuovi e sempre mutevoli modi di vita. Da
questo punto di vista, l’essenza di questa seconda modernità consiste nella
trasformazione dei ruoli sociali stabiliti, o più precisamente nella liberazione degli
individui da tali ruoli. Con l’individualizzazione si attribuiscono al singolo la capacità di
agire, di modellare il proprio destino, di autodeterminarsi, quindi di dare forma alla
18
Beck U. (1986) in Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Suhrkamp, Frankfurt; trad.
it. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carrocci, cit. p. 48.
12
propria identità. Questa spinta verso l’individualizzazione porta le persone ad essere il
centro della gestione della propria vita, assumendo soggettività multiple e mutevoli.
Si tratta di una trasformazione sociale complessa che vede, da un lato, la libertà di
scegliere e, dall’altro, la pressione a conformarsi a delle richieste esterne che sfuggono al
proprio controllo;
19
un cambiamento, quindi, che richiede all’individuo delle nuove
capacità, tra cui quella di un utilizzo continuo ed inteso della riflessività, intesa come
capacità di autoesaminarsi ed autocriticarsi.
Un altro importante autore, Anthony Giddens, affronta questo tema e, concordando
con Beck, ritiene che il passaggio alla seconda modernità sia accompagnato da un
cambiamento delle abitudini e delle usanze tradizionali, il quale incide radicalmente sulla
forma e sul significato della vita quotidiana. Le nuove istituzioni che svolgono un ruolo
centrale nel definire questa seconda modernità, non solo incidono sull’identità degli
individui e sulla loro vita quotidiana, ma ne vengono a loro volta influenzate. A tal
proposito egli sostiene che la riflessività
20
che caratterizza la nostra epoca sia
contemporaneamente una riflessività istituzionale ed individuale, associata alla
riorganizzazione del tempo e dello spazio ed al moltiplicarsi dei meccanismi di
disaggregazione, cioè a quei meccanismi che «estraggono» le relazioni sociali dal loro
contesto per poi proiettarle in scenari più ampi.
Uno di questi meccanismi è rappresentato da ciò che l’autore definisce come i «saperi
esperti», che diffondono «sistemi di conoscenza tecnici la cui validità è indipendente sia
dai professionisti, sia dai clienti che li utilizzano» (Giddens, 1991,18)
21
.
Mentre in epoca pre-moderna le esperienze e le tradizioni si trovavano confinate in
località specifiche ed erano strettamente legate al contesto, quindi altamente
frammentate, oggi le diverse esperienze sono collegate ai saperi esperti, che eliminano le
distanze e la frammentazione, contribuendo a creare nell’individuo quella sensazione di
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Cfr. Lupton D. (1999), Risk, Taylor&Francis Books Ltd.-Routledge, London; trad.it. Filippi M. (a cura di)
(2003), Il rischio. Percezioni, simboli, culture, Il Mulino, Bologna.
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Si noti che con questo termine l’autore intende indicare la consapevolezza (acquisita dalla società
odierna) della natura incerta dei saperi esperti e della possibilità che questi possano essere rivisti e
corretti. In essa bisogna riconoscere sia un prodotto dell’Illuminismo, sia la smentita delle sue attese di un
progresso lineare ed infinito garantito dalla conoscenza. Per ulteriori approfondimenti si rimanda alle
opere dell’autore citate nella bibliografia.
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Cfr. Giddens A. (1991), Modernity and Self-Identity, Cambridge, Polity Press.