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Secondo una recente indagine realizzata da Research International/Cohn & Wolfe (2006),
su un campione di 1200 cittadini, il 30% pensa che il settore in cui maggiore è la richiesta
di RSI sia quello farmaceutico, seguito da quello industriale (16,2%) e politico (14,7%).
La stessa ricerca – che ha analizzato 100 grandi aziende operanti in Italia e intervistando
4775 persone (tra le quali cittadini, opinion leader e influenzatori di opinione come
giornalisti, analisti ecc...)- ha definito capacità relazionali, valori di immagine e gestione
etica quali fattori chiave che creano più valore per l’impresa ed elementi che maggiormente
ne costruiscono la reputazione, ed ha identificato in Nokia, Barilla, BMW, Sony, Philips,
Luxottica, Samsung, Microsoft, Toyota, Illy, Apple e Granarolo, le imprese che godono in
assoluto della più alta corporate reputation in Italia.
Nell’ambito delle PMI, invece, degna di nota è la posizione assunta dal Dott. Vincenzo
Bartolomeo D’Addario, presidente dell’omonimo Gruppo con sede a Taranto ed
operante nel campo automobilistico a livello del settore terziario. In una lettera datata 5
Aprile 2007 ed indirizzata ai principali quotidiani jonici, scriveva, riferendosi
all’espansione di siti industriali preesistenti, tra i quali una raffineria ENI, ed
all’insediamento di nuovi: “Bisogna dare una risposta categoricamente negativa a
queste ed ad altre proposte di analogo tenore, tutte in realtà consistenti in ipotesi di
intervento che ripropongono lo stesso modello di sviluppo del passato, caratterizzato dal
necessario impegno di vaste aree di territorio […]”.
L’impegno nei confronti del territorio si evince dalle proposte avanzate per uno sviluppo
sostenibile dell’area locale: “Bisogna invertire la tendenza del passato, non offrendo più
spazi di questo territorio ad insediamenti invasivi in ogni senso, per passare anzi in un
momento graduale successivo al disimpegno delle aree già ambientalmente
compromesse, con la bonifica delle tante strutture diroccate di vecchi, abbandonati e
deturpanti insediamenti aziendali, tuttora presenti nella stessa area industriale del
versante occidentale della città ed altrove […]. Anche per questo la nostra attenzione
non solo di uomini di responsabilità ma anche di genitori dovrà essere dedicata con
maggiore intensità al mondo della scuola, dell’università, della cultura, per crescere
3
nuove generazioni consapevoli in grado di sostituirci accogliendo la nostra eredità, ma
rimediando ai nostri errori.”
Le dichiarazioni del Dott. Vincenzo Bartolomeo D’Addario, insieme a quelle di molti
altri imprenditori italiani, dimostrano che i temi della RSI stanno pian piano penetrando
anche nel tessuto delle PMI.
Aziende di questo tipo, grandi o piccole che siano, con le loro buone prassi, sono in
grado di rimanere sulla scena mondiale, caratterizzata dai processi di
internazionalizzazione e globalizzazione, grazie alla capacità di compensare gli effetti
negativi di questi processi.
Queste imprese, infatti, scelgono di adottare concretamente e spontaneamente la RSI
come modello di sviluppo d’impresa, rivedendo la propria vision, con la finalità di
coniugare impegno sociale e crescita economica e non, come accade in alcuni casi,
limitandosi a “colorare di verde” il sito e il materiale informativo oppure producendo
una incoerenza tra i principi socio-ambientali dichiarati e i comportamenti adottati,
mirati a perseguire i reali interessi dell’azienda.
Un caso non così raro, considerando anche che non esistono garanzie sulla qualità
dell’impegno sociale e le strutture che promuovono la RSI non sono sottoposte a vincoli o
monitoraggi.
Cosa deve fare dunque un’impresa per adottare una reale ed efficace strategia di RSI?
Deve andare al di là degli obblighi giuridici, distinguendosi e facendosi conoscere
soprattutto per l’azione benefica nei confronti della società, per la sua capacità non solo di
gestire il suo impatto con l’ambiente economico ed istituzionale in cui opera, ma anche e
soprattutto di stimolare la benevolenza dei consumatori. E può farlo integrando istanze
sociali e ambientali nelle prassi aziendali con azioni a tutela dell'ambiente, costruendo
relazioni con il territorio, la comunità locale e le istituzioni pubbliche, partecipando alla
soluzione dei problemi sociali, investendo di più nel capitale umano, operando un’attenta
scelta dei fornitori.
4
Grandi multinazionali hanno rivoluzionato i processi di produzione , come ad esempio
Enel, Procter & Gamble, British Petroleum; quest’ultima ha addirittura reinterpretato il
proprio acronimo BP con “Beyond Petroleum”, a testimonianza dell’ impegno verso un
futuro sostenibile di lungo termine.
Molto diffusa è la scelta di sostenere una buona causa, con cui l’impresa condivide valori
sociali profondi. Si parla dunque di Marketing Sociale (o cause related marketing), che
comprende attività come l’acquisto di prodotti presso soggetti che svolgono attività di
interesse sociale, la promozione di partnership con enti no-profit, di investimenti nel
sociale, sponsorizzazioni o partecipazione ad eventi legati al tema sociale e ambientale.
A questo proposito, pensiamo al grande uso che si è fatto negli ultimi due anni dei
cosiddetti "SMS di beneficenza", molto utili alle compagnie telefoniche per veder
migliorare la propria reputazione e, al tempo stesso, all’intera comunità per attivare
massicce raccolte fondi. In questo campo, ricordiamo ad esempio le iniziative in occasione
dello tsunami dello Sri Lanka nel dicembre 2004, per la maratona Telethon che si svolge
ogni anno, o a favore della Laureus Sport for Good Foundation che, nello scorso Natale, ha
incassato il 100% delle chiamate di auguri effettuate dai clienti H3G, dove è stata utilizzata
la viva voce dei campioni dello sport che hanno collaborato gratuitamente al progetto.
In questo contesto, molto importante è il CSR manager, una nuova figura manageriale che
si sta sviluppando all'interno delle "aziende responsabili" al ritmo vertiginoso del 30% anno
(secondo una ricerca condotta nel 2005 dall' ISVI - Istituto per i Valori d'Impresa e da
ALTIS - Alta Scuola Impresa e Società dell'Università Cattolica) e ha il compito di
scegliere, ottimizzare e coordinare le attività di RSI di un’impresa, svolgendo anche
funzione di supervisore della comunicazione, per mantenere credibilità e fiducia in merito
agli impegni presi pubblicamente.
Le imprese possono anche scegliere di aderire volontariamente a standard/certificazioni
etiche e ambientali e adottare codici di condotta, cercando di districarsi nel mare delle
numerose proposte offerte. Infatti, non esistono un metro di misura ufficiale e una
5
legislazione comune riguardo la RSI, ma una miriade di standard (i principali sono Social
Accountability International , Standard ISO 14000, Certificazione Sociale SA800,
Legislazione Haccp, EMAS, Ecolabel), Codici di condotta, Etichette sociali, Relazioni
sociali, Investimenti socialmente responsabili, Organizzazioni internazionali, Istituzioni
dell'Unione europea, Modalità di Progettazione dei prodotti e sfruttamento efficace delle
risorse, Organizzazioni di imprese, Organizzazioni non governative.
Come si vede, la RSI è prassi sempre più diffusa, ma ancora non ben definita a livello
istituzionale né può esserlo tanto meno su quello giuridico.
Le aziende possono inoltre arricchire i business plan e i budget con la dimensione sociale
e ambientale, programmare continui aggiornamenti, definire le Politiche del Gruppo in
queste aree, condurre audit sociali e ambientali e divulgare Report azioni svolte/progetti in
corso in materia e valutarne le performance. Queste pubblicazioni hanno assunto col tempo
una propria identità, fino a prender ufficialmente la forma e il nome di bilancio sociale e
bilancio ambientale (o bilancio di sostenibilità), strumenti che si affiancano al bilancio
tradizionale (finalizzato alla sola rendicontazione dei risultati di gestione alla fine di un
esercizio) come tre parti di un unico progetto di trasparenza. Il bilancio di sostenibilità
definisce l’identità, i valori e gli obiettivi strategici dell’impresa, descrive il suo assetto
istituzionale e la sua struttura organizzativa, presenta in modo trasparente e rigoroso la
pianificazione, la gestione e la rendicontazione degli impegni e performance messe in atto
dalla società in materia di RSI.
Uno strumento di trasparenza e dialogo prezioso, adottato da numerose imprese come Enel,
Granarolo, WIND, Vodafone, Pirelli e molte altre. In questo caso esiste un modello di
riferimento, la GRI Global Reporting Initiative - istituito nel 1997 e aggiornato nel 2002,
che costituisce oggi lo standard internazionalmente riconosciuto per la redazione del
bilancio di sostenibilità.
Esempio di eccellenza per l’Italia è costituito da Telethon, attivo nella solidarietà per la
lotta alla distrofia muscolare e alle malattie genetiche, con un Comitato che si occupa della
maratona tv di raccolta fondi sulle reti RAI e con la Fondazione nata nel 1990 e guidata da
Susanna Agnelli. Un meccanismo enorme di raccolta fondi (nel 2006 sono stati raccolti
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oltre 30 milioni di euro), che vede impegnate numerose aziende (circa 24.000) capitanate
da Bnl Gruppo Bnp Paribas, tesoriere ufficiale dell’iniziativa benefica, che, con Auchan,
Sma, Telecom Italia, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Cartasi, Avis, GlaxoSmithKline,
Oviesse, RAS, insieme a privati cittadini, enti ed associazioni si attiva tutto l’anno attraverso
donazioni libere ed iniziative di raccolta fondi su tutto il territorio nazionale.
Il successo di Telethon continua nel tempo e, anzi, si rafforza, anche grazie al controllo
rigoroso degli investimenti e dei bilanci (controllati da una società esterna, la KLMG) che,
per assicurare la trasparenza, vengono pubblicati sui media e ogni 4 mesi sulla rivista
ufficiale della Fondazione. Una gestione tipicamente americana, davvero all’avanguardia
nel nostro Paese.
Degno di nota sia per i risultati che per la trasparenza è anche Progetto Italia, fondato nel
2003 da Telecom Italia e divenuto Spa nel 2005, che promuove iniziative di valorizzazione
del patrimonio culturale, di solidarietà, di formazione, sport, “iniziative gratuite basate sul
principio della divulgazione intelligente, dell’aiuto alle famiglie meno protette, e ispirate a
un criterio di qualità ed unicità”.
Forte impulso alla diffusione della RSI in Italia, unitamente alla creazione di numerosi
gruppi di lavoro all’interno del tessuto è giunto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali: nel 2002 ha costituito un apposito gruppo di lavoro, mirato anche a costituire uno
standard ad adesione volontaria per la valutazione dalla RSI e per la misurazione delle
prestazioni realizzate; nel 2003 ha inoltre creato con Unioncamere gli Sportelli di RSI
presso le Camere di Commercio.
Una nuova spinta è arrivata nel 2004 con l’introduzione di un nuovo “sconto” sul premio
dovuto all'INAIL denominato “oscillazione per prevenzione”, da applicare alle imprese
impegnate in ambito RSI e, successivamente, con la legge n. 80 del 2005, che ha introdotto
sia per i privati che per le imprese la possibilità di dedurre dal proprio reddito fino al 10%
dell’importo donato in beneficenza ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Infine,
la finanziaria 2007 ha messo a disposizione un miliardo di euro per lo sviluppo
dell’ecoindustria, prevedendo finanziamenti e sgravi fiscali a favore delle imprese che
decideranno di agire in tal senso.
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Un quadro chiaro e aggiornato sulla RSI in Italia è fornito dal “Rapporto FERPI sulla
Comunicazione Socialmente Responsabile” (luglio 2006) realizzato da Lorien Consulting e
Ethos. Purtroppo, per il 54,5% degli intervistati la comunicazione delle pratiche di RSI è
prima di tutto uno strumento di immagine e solo secondariamente di governo strategico, di
cambiamento e di redicontazione; tanto è vero che solo il 37% delle imprese intervistate ha
dichiarato l’esistenza di un budget dedicato alla comunicazione delle politiche di RSI.
Quando il budget esiste, esso viene speso per raggiungere l’opinione pubblica attraverso:
donazioni a cause sociali (67%), ufficio stampa (61,3%), campagne di comunicazione a
favore del no-profit (49,6%), spesso organizzate come veri e propri eventi (maratone tv,
eventi di piazza, concerti, manifestazioni sportive), spesso con un largo impiego di Internet.
Come sostengono Gabriele Fietz e Walter Schadhauser , anche nell’area tedesca, oggetto
della trattazione della presente tesi, la Corporate Social Responsibility è un concetto che,
finora la maggioranza della popolazione e soprattutto le piccole e medie aziende non hanno
compreso molto bene. Neanche le grandi imprese, tuttavia, sono in grado di fornirne una
definizione univoca.
La molteplicità delle possibilità di definizione rispecchia anche la molteplicità delle attività
imprenditoriali: per Siemens, ad esempio, la “corporate citizenship”, intesa come una
responsabilità sociale a fianco degli obiettivi imprenditoriali, è in primo piano;
“investimento sostenibile” è l’espressione usata dalla Hypo Vereinsbank; il BMW Group ha
presentato al vertice mondiale di Johannesburg la propria visione di “mobilità sostenibile”.
Quest’argomento, tuttavia, riscuote anche in Germania sempre maggiore attenzione da
parte del pubblico. Responsabilità e impegno sociali assumono sempre più un ruolo
centrale nella valutazione delle imprese economiche. Questo sviluppo procede top down su
tre diversi livelli: Corporate Social Responsibility rappresenta un processo che, dal livello
multinazionale – ONU e Unione Europea –, procede verso i singoli paesi penetrando
dapprima nei grandi gruppi e poi nelle piccole e medie imprese e che, all’interno delle
aziende, deve raggiungere i singoli collaboratori, a partire dal livello del consiglio di
amministrazione e della direzione.
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In Germania sempre più aziende sono consapevoli del fatto che un risultato di gestione
positivo non è necessariamente l’unico indicatore del successo imprenditoriale. Gli stessi
autori evidenziano come già nel 1884 un lungimirante Werner von Siemens aveva
compreso questo principio: “Non vendo il futuro per un guadagno momentaneo!”. Essi
citano inoltre l’attuale presidente del Consiglio di Sorveglianza della Siemens AG, il Dr.
Heinrich von Pierer, che si rifà alla convinzione del fondatore: “Nel considerare la breve
durata delle singole operazioni, in Siemens vogliamo sempre riflettere su ciò che ha
sostenuto l’azienda per oltre 150 anni, rendendola grande. Questa è la massima della
sostenibilità”. Con questa massima egli fornisce un esempio dell’attuale visione della
gestione d’impresa sostenibile condivisa da molte grandi aziende tedesche: un’attività
imprenditoriale responsabile richiede impegno economico, ecologico e sociale. Nella
pratica commerciale quotidiana essa coniuga questi tre pilastri dell’attività sostenibile. Nel
frattempo, la Germania si trova in una fase di approfondimento e allargamento della
Corporate Social Responsibility, in cui anche le piccole aziende operano in base a questo
concetto.
A Bayreuth, ad esempio, l’Ebenisterie – Werkstatt für feine Möbel dimostra come una
piccolissima azienda (proprietario è un impiegato part-time) abbia realizzato il concetto
della RSI. Ecco cosa afferma il Sig. Rundholz: “La sostenibilità della produzione e del
prodotto è per noi molto importante – per l’amore dei nostri figli. Lo facciamo per loro:
solo legno vero, puro e profumato. Le nostre macchine sono azionate con corrente
ecologica del BEW (Bildungszentrum fürEntsorgungs- und Wasserwirtschaft, Centro di
formazione per l’economia dello smaltimento e dell’acqua); quali sostanze di superficie
usiamo esclusivamente cere, oli e gommalacca, sostanze che si tramandano da secoli. Per
quanto possibile ricorriamo a fornitori regionali”.
Affinché simili esempi non restino un’eccezione, in Germania crescono le cooperazioni
aziendali. Lo scambio di esperienze tra le aziende e il loro ingresso comune in forum e reti
può sostenere l’impegno in modo duraturo e contribuisce a promuovere condizioni generali
commerciali più favorevoli. Le grandi società hanno avviato il processo di penetrazione del
9
panorama aziendale locale con sistemi di diffusione della RSI: Econsense – Forum dello
sviluppo sostenibile è ad esempio un’iniziativa di aziende e società leader dell’economia
tedesca che operano a livello globale. È stato istituito nel giugno 2000 su iniziativa della
Bundesverbandes der Deutschen Industrie (BDI, Associazione federale dell’industria
tedesca).
I membri di Econsense vogliono contribuire alla formazione di un futuro sostenibile e che
meriti di essere vissuto. Econsense è quindi inteso sia come piattaforma di discussione per
un dialogo aperto tra economia, politica e società, che come opinion maker che si inserisce
nella discussione politica, contribuendo attivamente a strutturare i temi.
Un’altra iniziativa sottolinea soprattutto il carattere di rete: “Unternehmen: Aktiv im
Gemeinwesen” (“Aziende: attive nella comunità”) è una rete di aziende in corporate
citizenship costituita nel maggio 2003 da quattordici aziende tedesche1. Essa offre:
- uno scambio di esperienze con altre imprese per lo sviluppo, la realizzazione e il
miglioramento di attività di corporate citizenship;
- stimoli per campagne comuni e progetti individuali;
- una piattaforma per il lavoro pubblico comune;
- lo sviluppo di strumenti, ad esempio per la definizione degli effetti e del successo di
progetti di corporate citizenship.
Fietz e Schadhauser fanno inoltre riferimento al “Frankfurter Aufruf zur Vernetzung und
Verbreitung von Corporate Citizenship in Deutschland” (“Appello di Francoforte per la
messa in rete e la diffusione di corporate citizenship in Germania”), nel quale si riporta:
“L’impegno civile non dipende dalle dimensioni dell’azienda. Spesso sono proprio le
piccole e medie imprese – oppure le aziende gestite con altrettanta grande disponibilità
verso la responsabilità e continuità – la forza motrice nelle iniziative sociali ed ecologiche
locali. Esse sono particolarmente attive in seno alla comunità. Pertanto, l’omonima rete di
imprese si rivolge soprattutto a queste aziende. Mediante progetti comuni e tramite un
1
Le quattordici aziende partner dell’iniziativa sono: Arcelor Eisenhüttenstadt, Bernhard Assekuranz,
Betapharm, BMW Group, Chambiz, Dr. Ausbüttel, GSE Protect, Herlitz PBS, KPMG, Manpower, O2
Germany, Schering, Veolia Wasser e VNG Verbundnetz Gas.
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lavoro pubblico coordinato, con l’elaborazione di strategie e lo sviluppo di strumenti di
qualificazione, vogliamo diffondere ulteriormente in Germania l’idea della corporate
citizenship e fornire aiuto reciproco per il lavoro progettuale concreto”.
L’iniziativa “Unternehmen: Aktiv im Gemeinwesen” non è l’unica cooperazione aziendale
di questo tipo. Essa indica chiaramente a che punto sia oggi la Germania con l’attuazione
del concetto di Corporate Social Responsibility e a cosa danno particolare importanza le
aziende tedesche. Non si tratta più dello sviluppo di concetti, di dichiarazioni di intenti né
di dépliant patinati. Oggi si tratta soprattutto di approfondimento ed allargamento, di una
moltitudine di singoli progetti concreti e di responsabilità vissuta dai decision makers a tutti
i livelli. L’impulso verso l’iniziativa e lo scambio di esperienze che, ad esempio, viene
organizzato e promosso dallo European Multi-Stakeholder-Forum on CSR dell’Unione
Europea, trova il consenso degli imprenditori tedeschi. I tentativi correlati di
standardizzazione e regolamentazione vengono tuttavia rifiutati all’unanimità. Non si vuole
una nuova burocrazia e si teme che in tal modo vengano bloccati l’iniziativa e l’impegno di
tutti i partecipanti locali. In Germania lo sviluppo di Corporate Social Responsibility viene
dunque favorito con grande impegno.
Lo scopo della presente tesi è quello di analizzare e successivamente confrontare le
politiche di RSI attuate da due grandi case madri automobilistiche simbolo dell’area
tedesca: BMW e Volkswagen.
Il paragone sarà condotto non solo da un punto di vista meramente tecnico, ovvero
limitandosi ad accostare le azione svolte per mettere in luce punti di contatto e di distacco,
ma si cercherà anche di classificare le suddette aziende secondo le prospettive teoriche
proposte nella prima parte dell’opera.
Si anticipa inoltre in questa sede che la dissertazione sui due casi aziendali si basa
esclusivamente su informazioni reperite in prevalenza sui siti istituzionali delle due case
oggetto di studio.
I limiti ed i pregi di tale scelta, nonché ulteriori chiarimenti sulle fonti impiegate, sono
illustrati nella sezione denominata “Materiale e metodi”.
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CAPITOLO 1 – LA RSI: ASPETTI E PROBLEMI
1. Che cos’è la RSI
Il Libro Verde della Commissione Europea, il cui testo definitivo è stato presentato a
Bruxelles il 18/07/2001, definisce la Responsabilità d’Impresa (RSI) o Corporate Social
Responsibility, secondo il più diffuso termine inglese (CSR), come “l’integrazione
volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni
commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili
significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche
andare al di là investendo “di più” nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le
altre parti interessate.” (Commissione Europea, 2001, punto 2)
Il Libro Verde non vuole avere un ruolo normativo, ma si propone come obiettivo quello di
sostenere la divulgazione della consapevolezza dell’importanza commerciale della RSI,
creando metodi per la diffusione delle pratiche socialmente responsabili e collaborando con
enti no-profit che operano nel campo e rappresentano una fonte di ispirazione e di
riferimento per tutte quelle aziende che si rapportano per la prima volta con il tema.
Attualmente non esiste un significato chiaro ed univoco di “sociale”, ma l’opinione più
diffusa suggerisce la classificazione del concetto secondo 3 differenti accezioni:
1) il concetto di RSI viene utilizzato in contrapposizione alla teoria di Friedman del
1962 secondo la quale l’obiettivo ultimo dell’impresa è quello di generare profitto.
Ogni altra attività è pertanto considerata come nociva nei confronti dei principali
attori aziendali, vale a dire gli investitori, che vedrebbero revocato il loro diritto di
ricevere gli utili provenienti dalla gestione aziendale, per utilizzarli in base alle
preferenze personali. Friedman dunque pone al centro dell’attenzione dell’azienda
un solo pubblico, quello degli azionisti.
In antitesi a tale posizione, si è sviluppata nel corso degli anni una prima definizione
di sociale che include, insieme agli azionisti, un’altra tipologia di stakeholder (il
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concetto di stakeholder è stato introdotto per la prima volta da Freeman nel 1984),
quella dei collaboratori;
2) una seconda nozione di sociale fa coincidere l’esercizio della responsabilità con una
serie di attività svolte a soddisfare specifiche esigenze ed interessi della società
civile, introducendo pertanto questa categoria nell’insieme degli stakeholder;
3) La terza accezione di sociale include, oltre ai collaboratori ed alla società civile, una
più ampia gamma di portatori di interesse nei confronti dell’impresa, situati sia a
monte che a valle della catena di creazione del valore. Tra essi possono essere
ricordati i fornitori ed i clienti. In base a questa prospettiva, politiche di RSI devono
essere adottate rispetto ai problemi connessi all’ambiente e alla produzione dei
beni/servizi.
Questa accezione è senz’altro la più completa poiché coinvolge l’azienda in maniera
globale e può essere considerata sinonimo di sostenibile, termine già molto diffuso
negli studi in materia ambientale. (M. Molteni, 2004, p. 6)
Il temine RSI assume inoltre significati differenti tra i diversi attori aziendali, come
evidenziato dal “Rapporto FERPI sulla comunicazione socialmente responsabile”.
Le visioni sono varie e articolate, legate principalmente alla personale esperienza ed attività
lavorativa.
Lo stakeholder ne coglie soprattutto gli aspetti collegati alla distribuzione della ricchezza
(per il 35,8% è attenzione ai bisogni della società, per il 22,8% rispetto del contesto
ambientale, per il 20,4% è attenzione ai dipendenti).
Per i comunicatori di impresa, la RSI è una buona pratica di gestione aziendale (15,1%) da
attuare nei confronti di clienti e portatori di interesse in genere (12,6%).
Molto importante è inoltre il concetto di volontarietà di adesione alle pratiche di RSI. Una
regolamentazione a livello europeo, infatti, soffocherebbe la creatività e l’innovazione delle
imprese stesse.
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Invece, non esiste alcun tipo di vincolo che impone alle imprese l’adozione di politiche e
strategie di responsabilità sociale. L’azienda si impegna volontariamente, perché ritiene che
le pratiche di RSI siano in linea con la propria filosofia e i propri fini aziendali.
2. Variabili per l’adozione della RSI
La RSI si rivolge a tutte le imprese; sia a quelle che già adottano, magari
inconsapevolmente, comportamenti responsabili e nelle quali pertanto è necessario solo
implementare un approccio coerente e strutturato, sia a quelle che non conoscono questa
disciplina, intesa come un nuovo modo di intendere le proprie attività.
Attualmente, politiche socialmente responsabili sono adottate prevalentemente da grandi
società o da multinazionali, ma esse sono estremamente importanti per imprese di qualsiasi
dimensione operanti in tutti i settori merceologici.
Numerose variabili influiscono sulla diffusione e l’applicazione delle politiche di RSI
2.1 Dimensione aziendale
L’orientamento delle imprese verso la Responsabilità Sociale risente sensibilmente
dell’influsso delle dimensioni aziendali. Questa relazione emerge dalla considerazione di
tutti i principali fattori esaminati nel rapporto intitolato I modelli di Responsabilità sociale
Executive Summary Unioncamere ISVI:
- per quanto concerne la conoscenza di temi e strumenti della RSI (Libro verde,
codice etico, bilancio ambientale, bilancio sociale, SA8000, EMAS/ISO 14001), le
percentuali relative alle imprese delle due classi dimensionali più piccole si
attestano su livelli sensibilmente inferiori alle altre. E’ indicativo osservare come
il 55,0% delle imprese con meno di 20 dipendenti non conosce nessuno dei
suddetti strumenti, mentre queste percentuali scendono al crescere della
dimensione fino a riguardare solo il 31,6% delle medie e del 15,2% delle grandi
imprese.
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Questo dato si spiega col fatto che le grandi imprese sono esplicitamente chiamate a
svolgere attività socialmente responsabili in virtù del potenziale di influenza e di
guida che esse detengono sul mercato. Le PMI, al contrario, sono più portate a seguire i
mutamenti ambientali che a determinarli;
- le iniziative a favore della comunità (donazioni, sponsorizzazioni, ecc.) crescono
in relazione alla dimensione: in particolare, esperienze di advertising sociale e
cause related marketing sono pressoché assenti nelle imprese di medie e piccole
dimensioni;
- nelle relazioni con clienti e fornitori, le grandi imprese richiedono
attestati/certificati ai loro fornitori in misura circa doppia rispetto a quelle
minori;
- la diffusione dei programmi per la tutela dell’ambiente rispetto alla dimensione
aziendale segue un andamento esponenziale;
- nella gestione dei rapporti con il personale le differenze riguardano l’assistenza
sanitaria, le attività connesse al tempo libero e gli strumenti di comunicazione.
Nelle PMI tali attività risultano pressoché assenti;
Allo stato attuale, dunque, sono ancora poche le PMI che attuano politiche di RSI,
malgrado la propaganda svolta dalla Commissione Europea.
Alla base di questo limitato impegno ci sono diverse cause:
- gli interventi a favore dei collaboratori e della comunità, frequentemente attuati dai
responsabili di queste imprese sono di norma realizzati su base personale e per
vie non strutturate, non favorendo in tal modo la possibilità di una
rilevazione oggettiva;
- tutte le manifestazioni della vita di tali imprese sono caratterizzate da un basso
grado di formalizzazione: risulta estranea alla cultura aziendale ogni
strumentazione all’avanguardia, immediatamente percepita come burocratica e,
perciò, d’intralcio alla gestione;
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- le risorse finanziarie che possono essere investite in attività di RSI sono esigue e di
conseguenza le azioni svolte sono molto limitate per tipologia ed estensione;
- l’impossibilità di dedicare risorse con competenze specifiche ed il limitato
tempo a disposizione dei soggetti con compiti manageriali consentono una
scarsa gestione dei temi della RSI. (AAVV, 2003, p. 6)
2.2 Settori economici
Il settore economico di appartenenza dell’impresa esercita un influsso significativo sui
temi della RSI ai quali le imprese dedicano le proprie energie.
L’adozione di politiche socialmente responsabili da questo punto di vista si differenzia sia
per il livello di importanza assegnato ad esse dal management, sia per la scelta dei temi a
cui si attribuisce maggior rilievo.
E’ tuttavia ovvio che taluni settori produttivi, per la natura intrinseca delle attività svolte,
sono più esposti ai temi della responsabilità sociale.
Ad esempio, i settori connessi allo sfruttamento delle risorse naturali e all’industria pesante
sollevano ampi quesiti morali circa le tematiche ambientali ed ecologiche e la sicurezza dei
luoghi di lavoro.
In altri settori, come nel caso dei produttori di alcol, tabacco e farmaci, i problemi sono
legati alla tutela del consumatore e della sua salute.
Nell’ambito della GDO, particolare attenzione è dedicata alla filiera produttiva e alla
scelta dei fornitori, a causa dei disagi connessi allo sfruttamento del lavoro minorile.
A tal proposito è interessante sottolineare che sta sempre più crescendo il numero di punti
vendita di grandi catene di distribuzione organizzata che allestiscono corner con prodotti
appartenenti al cosiddetto commercio equo e solidale.
Esistono infine settori (ad es. porno ed armi) la cui stessa esistenza è oggetto di discussione.
(M. Molteni, 2004, p. 13)