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C A P I T O L O I
L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: LE CAUSE, LO SVILUPPO, LE
DIMENSIONI E LE DIRETTRICI DI UN FENOMENO PERCEPITO COME
MINACCIA PER LA SICUREZZA DEI CITTADINI
1.1 PREMESSA
Questo capitolo viene proposto come presentazione generale del fenomeno immigrazione
clandestina e al fine di preparare una cornice di riferimento agli argomenti che saranno
trattati nel prosieguo.
In esso si espongono le cause che hanno dato origine alla nascita e allo sviluppo dei flussi
clandestini, le loro direttrici e si prospettano, nel contempo, le difficoltà di effettuare
un’accurata valutazione quantitativa del fenomeno.
Oltre a ciò, dal momento che nella società odierna la sicurezza e l’ordine pubblico sono
avvertiti come una delle maggiori preoccupazioni a cui i governi devono dare risposte
concrete, si illustrano le problematiche attinenti la sicurezza, chiarendo la correlazione
che vi è tra devianza e immigrazione clandestina.
1.2 LO STRANIERO NEL DIRITTO ITALIANO
Per quanto riguarda la condizione giuridica dello straniero, l’ordinamento italiano si
conforma ai trattati e alle norme internazionali (art. 10 della Costituzione).
Lo status riconosciuto o meno ai migranti dalle istituzioni italiane e i criteri formali che
ne determinano l’ingresso, concorrono a semplificare il complicato arcipelago
dell’immigrazione in Italia in quanto permettono di distinguere gli immigrati regolari dai
non regolari. Il discrimine è rappresentato, ovviamente, dal rispetto delle norme
giuridiche che riguardano le condizioni di ingresso e di permanenza nel paese.
Va precisato che lo straniero che non può esercitare le libertà democratiche nel suo paese,
ha diritto d’asilo in Italia secondo le condizioni stabilite dalla legge e non può essere
estradato per motivi politici.
La normativa italiana è intervenuta recentemente in maniera organica su tutti gli aspetti
attinenti la condizione dello straniero, dopo che il Parlamento aveva ripetutamente
richiesto al Governo di abbandonare il ricorso a provvedimenti parziali (Decreto Legge n°
489/1995 e successive reiterazioni).
Fondamentale in materia di immigrazione è la Legge n° 40 del 6.3.1998 che ne fissa gli
indirizzi, obiettivi e regole, affidando al Governo, tramite delegificazione, la sua
attuazione. Quest’ultimo vi ha provveduto con l’emanazione del Decreto Legislativo n°
286 del 25.7.1998, contenente il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (cosiddetta “Legge Turco
Napolitano”), che ha riunito, coordinato e modificato le disposizioni vigenti in materia di
stranieri.
Con la recente Legge n° 189 del 30.7.2002, cosiddetta “Legge Fini Bossi”, sono state poi
apportate notevoli modificazioni ed integrazioni, sia al T.U. n° 286 del 1998 in tema di
immigrazione, sia al Decreto Legge n° 416 del 30.12.1989 in materia di asilo e rifugiati.
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1.3 LE PRINCIPALI DETERMINANTI DELL’IMMIGRAZIONE
Secondo l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro (OIL), tra il 1970 e il 1990, gli
Stati che si possono qualificare come “importanti paesi di immigrazione” (major
receivers) sono passati da 39 a 67, mentre quelli qualificabili come “importanti paesi di
emigrazione” (major senders) sono aumentati da 29 a 55. E’ poi particolarmente
interessante sottolineare, la forte crescita del peso relativo di una terza categoria di paesi:
quelli che sono nel contempo importanti paesi di emigrazione e di immigrazione; questi
nel corso degli ultimi venti anni sono aumentati da 4 a 15
1
.
Questi mutamenti hanno causato e tutt’ora causano sul piano strutturale, una crescente
complessità della geografia globale delle migrazioni.
In letteratura vengono considerati diversi fattori che influenzano l’immigrazione; tra i più
rilevanti vi è la dinamica dei saldi demografici: declino demografico nel paese ospitante
e/o crescita insostenibile della popolazione nel paese di partenza.
Spesso vengono distinti i fattori di “spinta” dai paesi di origine da quelli di “attrazione”
dei paesi riceventi l’immigrazione.
Fra i primi vi sono sia fattori economici, quali i redditi relativi attesi, sia politico sociali.
Tra i fattori non economici va menzionata, per il peso che ha avuto in quest’ultimo
decennio, la ricerca di asilo politico dalle persecuzioni e dalle catastrofi umanitarie.
Nel considerare i fattori di spinta occorre però anche valutare i costi psicologici di
spostarsi in un altro Stato, solo in parte attenuati dalla presenza di una rete di immigrati
provenienti dallo stesso paese di origine.
Sul fronte dei fattori d’attrazione, usualmente viene sottolineato il ruolo della domanda di
lavoro insoddisfatta nei paesi di accoglienza. In particolare, a proposito degli immigrati
clandestini va precisato che essi lavorando nell’economia sommersa, contribuiscono alla
sua espansione aggravando i problemi connessi alla loro stessa esistenza.
1.4 NASCITA E SVILUPPO DELL’ IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Il differenziale di sviluppo tra i paesi sviluppati e quelli esterni al centro del sistema-
mondo contemporaneo, perdura e si accresce.
La distribuzione delle chances di vita (in termini di accesso alle risorse economiche,
sicurezza personale, qualità della vita), continua a privilegiare sistematicamente i
residenti nel ristretto gruppo dei paesi sviluppati.
I processi di trasformazione delle società in via di sviluppo (crescita della scolarità,
diffusione dei mezzi di comunicazione, migrazioni interne dalla campagna alla città),
producono una crescita delle aspettative di vita e di consumo che si accompagna, per una
parte minoritaria ma non esigua della popolazione, alla profonda consapevolezza che
queste non potranno mai essere soddisfatte in loco.
Le barriere fisiche alla mobilità divengono sempre meno vincolanti.
Un certo numero di persone provenienti dagli stessi paesi risulta già insediato nel
territorio dei paesi sviluppati, e la possibilità di un loro aiuto riduce fortemente le
incertezze e i rischi associati ad un eventuale processo migratorio.
1
G.Tapinos - D. Delaunay, Can one really talk of the globalization of migration flows?, in Organization for
Economic Cooperation and Development (OECD), “Globalization, migration and development”, Parigi,
2000, p. 7.
4
Le reti transnazionali segnalano che, al di là dei desideri e dei proclami dei loro governi, i
paesi sviluppati manifestano una domanda di lavoro dequalificato (proveniente dalle
piccole imprese, dalle famiglie e dall’economia informale) che è disponibile ad accogliere
nuovi immigrati stranieri, indipendentemente dal loro status giuridico.
L’effetto cumulativo di tutti questi elementi fa si che i paesi meno sviluppati esprimano
una domanda potenziale di ingressi nei paesi sviluppati che, oltre ad essere di dimensioni
significative, è destinata a perdurare nel lungo periodo.
Per quanto riguarda l’Europa dell’Est, questa domanda potenziale risulta ulteriormente
incrementata dalla scomparsa, avvenuta circa quindici anni fa, dei vincoli all’uscita che
erano precedentemente un elemento endemico tra i paesi ad economia pianificata.
Nei paesi sviluppati l’ultimo trentennio ha visto il progressivo consolidarsi di una
tendenza restrittiva nei confronti dell’ingresso di nuovi stranieri provenienti dall’estero.
Questa tendenza registra una particolare intensità negli Stati europei occidentali, i quali
hanno diminuito drasticamente, a partire dalla prima metà degli anni ’70, l’offerta di
ingressi legali per motivi di lavoro.
Negli anni successivi hanno poi introdotto riforme restrittive anche per il lavoro
stagionale e hanno ridotto fortemente le pretese legittime all’ingresso derivanti, ove
esistenti, dalle cittadinanze coloniali.
Infine, a partire dagli inizi degli anni ’90, hanno promosso, pur con occasionali
ambiguità, riforme restrittive dei canali di ricongiungimento familiare e della richiesta di
asilo.
Nel complesso gli Stati europei occidentali, hanno elaborato sistematicamente una
visione negativa dei flussi migratori non garantiti alla quale hanno rapidamente aderito
anche i paesi dell’Europa meridionale.
L’attuale sistema degli stati è quindi caratterizzato da uno squilibrio strutturale tra
domanda e offerta di ingressi, che costituisce il retroterra strutturale della nascita e dello
sviluppo dell’immigrazione irregolare e clandestina.
Questa interdipendenza tra traffico di persone e politiche regolative, può essere vista con
una certa nitidezza se si adotta una prospettiva diacronica, centrata sui cambiamenti
avvenuti nella struttura dell’immigrazione irregolare verso l’Europa a partire dal 1973/75.
Nel periodo precedente il blocco del 1973/75
2
, le politiche migratorie operavano
prevalentemente attraverso controlli interni ai paesi d’arrivo, volti a regolare l’accesso
degli stranieri al mercato del lavoro e, in alcuni casi, al mercato delle abitazioni.
L’immigrazione irregolare era sovente una vera e propria back door policy, dove la
regolarizzazione ex post della propria posizione veniva routinariamente concessa quando
si disponeva di un datore di lavoro interessato all’assunzione in regola del migrante
(immigrazione dall’interno).
L’irregolarità, e persino la clandestinità, era considerata una fase transitoria, una sorta di
peccato veniale, rispetto al quale gli stati intervenivano in termini repressivi soltanto
episodicamente, in risposta a condizioni molto particolari.
Tuttavia, in questa fase relativamente aperta, già vi era qualche traccia di organizzazioni e
figure professionali che fornivano servizi irregolari ai potenziali immigrati. Si trattava
sostanzialmente di piccoli operatori che svolgevano funzioni più o meno estese
d’intermediazione di manodopera, rimozione dei vincoli all’emigrazione e disbrigo delle
pratiche burocratiche.
2
Per quanto riguarda l’Italia questo è avvenuto nel 1982, con la decisione del Ministero del Lavoro di
interrompere il rilascio delle autorizzazioni al lavoro per i cittadini stranieri.
5
L’introduzione delle politiche di blocco, nella prima metà degli anni ’70, modificò
sensibilmente il quadro della regolazione dei flussi migratori, producendo degli effetti
simili in tutta Europa.
Da un lato, in presenza di politiche che vennero presentate come decisioni permanenti o
comunque di lungo periodo, vi fu una quota di migranti che preferì permanere
irregolarmente (o introdursi irregolarmente sul territorio dei paesi d’arrivo), piuttosto che
abbandonare il paese nella attesa di una possibilità di ingresso legale.
Dall’altro lato, l’adozione di queste politiche di blocco comportò la progressiva e rapida
chiusura dei canali disponibili per la regolarizzazione ex post delle situazioni irregolari:
l’accesso al soggiorno e al mercato del lavoro ufficiale vennero perciò resi strettamente
dipendenti dall’aver effettuato un ingresso legale.
Il risultato congiunto di questi due processi: interazione tra preferenze dei migranti e
strategie di contenimento degli stati; fu quello di produrre un primo nucleo di
immigrazione irregolare.
Questo nucleo inizialmente fu quantitativamente limitato, composto principalmente da
overstayers piuttosto che da clandestini, e caratterizzato da una forte componente
stagionale e ciclica.
Esso cominciò a crescere lentamente, tra la metà degli anni ’70 e la fine di quelli ’80, in
conseguenza di quattro fattori:
a) lo sviluppo in tutti i paesi europei dell’economia informale, delle reti di
subappalto e delle imprese di servizi di piccole dimensioni, che resero il
controllo centralizzato del mercato del lavoro più difficoltoso;
b) la sedentarizzazione delle comunità straniere, per effetto sia delle dinamiche
demografiche che delle stesse politiche di blocco;
c) lo stesso perdurare delle politiche di blocco, che rese l’opzione dell’attesa in
patria sempre meno ragionevole per i potenziali migranti, incrementandone
progressivamente il numero disponibile all’opzione della permanenza
irregolare;
d) la crescita stessa del segmento irregolare che possiede un carattere di
moltiplicatore, in quanto la sua sola esistenza segnala che l’ingresso e la
permanenza irregolare sono opzioni praticabili.
In questo periodo il ricorso a servizi professionali per l’ingresso o la permanenza
irregolare era ancora molto limitato. Il grosso della popolazione straniera irregolare era
composto da persone entrate regolarmente, generalmente per motivi turistici, e rimaste
successivamente nei diversi paesi in condizione irregolare.
Il vero e proprio trasporto clandestino era una realtà esigua ove operavano una serie di
attori che arrotondavano, con la fornitura di servizi di trasporto, il reddito prodotto con
altre attività (pesca, trasporto su gomma, piccolo contrabbando).
Un ulteriore salto di qualità avvenne a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, quando i
governi europei occidentali iniziarono, sotto la spinta dei cambiamenti alle frontiere
orientali, una ristrutturazione radicale dei propri sistemi di controllo. Tale ristrutturazione
è ancora oggi in corso ed è centrata soprattutto sul rafforzamento dei controlli esterni.
Lo spostamento radicale dai controlli interni a quelli di frontiera sta avvenendo attraverso
un complesso di strumenti quali: il rafforzamento dei controlli di frontiera; l’introduzione
di sanzioni ai vettori di potenziali immigrati irregolari; la penalizzazione dei paesi di
transito che non intervengono a sufficienza nel contrasto dei passaggi; l’introduzione
dell’obbligo di visto verso i paesi “a rischio migratorio”; l’esternalizzazione dei controlli
sul territorio di stati terzi; l’incremento delle sanzioni per i favoreggiatori dell’ingresso
irregolare.
6
Con la ristrutturazione dei sistemi di controllo, riuscire ad entrare nel paese d’arrivo è
divenuto molto più difficile che permanervi; ecco perchè non è sorprendente che, dalla
prima metà degli anni ’90, si stia verificando la crescita e la specializzazione delle
organizzazioni operanti nel traffico di persone, al punto di poter parlare di “industria del
traffico”.
Quest’ultima, come vedremo, a similitudine di tutte le industrie: conosce processi di
specializzazione, diversificazione e segmentazione; capitalizza sulle competenze già
presenti nei territori d’intervento; persegue strategie “imprenditoriali” che interagiscono
secondo una struttura a doppia contingenza con le politiche di regolazione e di contrasto
introdotte dagli Stati.
1.5 DIMENSIONE EUROPEA E ITALIANA DELL’IMMIGRAZIONE
CLANDESTINA
L’espressione “migrazione clandestina” è intrinsecamente ambigua dato che,
generalmente, la clandestinità della migrazione sussiste solo per l’ordinamento giuridico
del paese di destinazione.
Secondo la terminologia dominante, “clandestino” è il migrante che ha attraversato
illegalmente le frontiere dello Stato di soggiorno, mentre “irregolare” è colui che, entrato
legalmente, si è trattenuto in maniera non autorizzata (overstayer). Va però
preliminarmente evidenziato che nel prosieguo dell’esposizione ci si atterrà
rigorosamente a tale distinzione solo quando necessario, in quanto i termini, sia in
letteratura che nella normativa, molto spesso sono usati come sinonimi di “illegale” e si
riferiscono ad entrambe le tipologie.
L’immigrazione clandestina è un fenomeno variegato sia sotto il profilo delle persone
interessate che delle modalità di ingresso e soggiorno illegale.
Innanzitutto, vi sono coloro che entrano illegalmente nel territorio di uno Stato
varcandone clandestinamente la frontiera o esibendo documenti falsi o falsificati.
Non di rado questa modalità di ingresso illegale viene utilizzata da persone che agiscono
in modo individuale ed indipendente. Sempre più spesso, tuttavia, tali ingressi sono
organizzati da intermediari che forniscono trasporto, alloggio temporaneo, documenti di
viaggio, informazioni, sorveglianza ed altri servizi di supporto, che hanno inizio nel paese
di origine, continuano nei paesi di transito e terminano in quello di destinazione.
Esiste inoltre un’ampia categoria di persone che soggiornano irregolarmente in uno Stato
in cui sono entrate con un visto o un permesso di soggiorno validi, ma vi sono rimaste
oltre il periodo autorizzato.
Altri ancora, hanno semplicemente varcato la frontiera con un documento di viaggio
valido in quanto esonerati dall’obbligo del visto di breve durata. Il loro soggiorno, legale
in partenza, diventa tuttavia illegale nel momento in cui la persona interessata esercita
un’attività dipendente o autonoma, non autorizzata dall’esenzione del visto o dal visto
ottenuto.
Infine, in numerosi casi, persone provviste di un valido permesso di soggiorno e di lavoro
si trattengono semplicemente più a lungo del periodo autorizzato o violano in altro modo
le norme sul soggiorno degli stranieri.
Visto il carattere non documentato dell’immigrazione illegale, è difficilissimo ottenere
una valutazione esatta della dimensione del fenomeno e non è, di conseguenza, nemmeno
possibile avere un quadro preciso della misura in cui sono presenti, nell’Unione Europea
e in particolar modo in Italia, le diverse categorie di persone in soggiorno irregolare.
7
Nondimeno è evidente che qualsiasi azione deve essere rivolta in modo adeguato a
ciascuna di esse.
Una stima può essere derivata soltanto da dati oggettivi che sono collegabili al fenomeno
quali, ad esempio, il numero delle domande d’ingresso rifiutate, di fermi di migranti
clandestini effettuati alla frontiera o nel territorio del paese, di domande di protezione
internazionale respinte, di richieste di regolarizzazione del soggiorno in base alla
legislazione nazionale, il numero di provvedimenti eseguiti di accompagnamento alla
frontiera e di rimpatri forzati.
Secondo stime prodotte da Europol ben 500.000 immigrati illegali farebbero ingresso nel
territorio della UE ogni anno
3
; il dato è talmente significativo da far si che l’ultimo
decennio del XX secolo sia stato definito, dal punto di vista della storia delle migrazioni
verso l’Europa, come “il decennio delle immigrazioni irregolari”
4
.
Tuttavia, dalla definizione e dalle stime citate scaturisce un’immagine parziale, che può
generare percezioni distorte in quanto: da un lato bisogna tenere presente che, in un
contesto in cui i pattern migratori circolari sono sempre più diffusi, numerosi ingressi
clandestini sono seguiti da “uscite” non registrate; dall’altro occorre ricordare che, anche
nelle fasi di maggior chiusura, l’Europa occidentale nel suo complesso ha continuato ad
essere un importante bacino di immigrazione regolare a vario titolo
5
.
L’ingresso di flussi di immigrati clandestini è un problema che coinvolge in modo
pressante l’Italia che, da tradizionale paese di emigrazione, è divenuta nei decenni scorsi
paese di immigrazione. A ciò occorre aggiungere che i suoi 8.000 chilometri di coste e la
vicinanza alle zone critiche del Mediterraneo, ne fanno un canale di accesso all’Europa
particolarmente vulnerabile.
Anche la stima quantitativa degli irregolari in Italia risulta imprecisa e resa ancor più
lacunosa dai continui e vicendevoli interscambi tra la componente degli immigrati
regolari e quella degli irregolari. Infatti i primi diventano irregolari alla scadenza del
permesso di soggiorno, mentre una buona parte degli irregolari viene “regolarizzata” di
volta in volta, grazie ai periodici provvedimenti approvati dal Parlamento italiano (nel
1987, 1990, 1996, 1998 e, in modo indiretto e parziale, nel 2002 con la legge “Fini
Bossi).
In ogni modo, dalla regolarizzazione avvenuta nel 1998 si stima che gli irregolari in Italia
sono 250.000, circa 1 immigrato su 7.
1.6 LE DIRETTRICI DEI FLUSSI DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA VERSO
L’ITALIA
La posizione geografica dell’Italia, al centro del Mediterraneo e al confine con l’area
balcanica, la espone particolarmente ai flussi di immigrati clandestini, spesso soltanto in
transito perché diretti verso altri Stati europei.
L’identità dei diversi gruppi etnici che danno luogo ai più imponenti flussi ha subito
sostanziali modifiche nel tempo: se dalle frontiere terrestri è oggi cresciuto notevolmente
3
Commissione Europea, Comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo su una politica comunitaria in
materia di immigrazione, COM(2000) 757 def., Bruxelles, 22.11.2000, p. 12.
4
Eurostat, patterns and Trends in International Migration in Western Europe, studio a cura di J. Salt, J Clark,
S. Schmidt, Office for Official Publications of the European Communietes,, Lussemburgo, 2000, p.8).
5
Asilo e protezione temporanea, ricongiungimenti familiari, immigrazione stagionale, regolarizzazioni,
ingresso a scopo lavorativo su chiamata nominativa, immigrazione studentesca, canali privilegiati per
discendenti di emigranti o per determinati gruppi etnici, quali Aussiedler tedeschi, greci de Ponto, etc. Queste
diverse modalità di ammissione si sono combinate diversamente in ciascuno Stato membro.
8
il flusso dei rumeni, dal lato del Mediterraneo gli arrivi riguardano prevalentemente le
popolazioni più povere dell’Africa sub-sahariana e centro occidentale.
In ogni modo, nel complesso, i flussi di emigrazione clandestina provengono soprattutto
dall’Africa (per disperazione, assenza di prospettive, sottosviluppo e anarchia sociale),
dall’Asia (essenzialmente per la pressione demografica dei suoi abitanti, anche se le
condizioni economiche d’origine contribuiscono) e dagli scenari di guerra nel mondo
(quelli balcanici sono in forte diminuzione).
In Italia sono cinque le aree di frontiera significative dal punto di vista dell’immigrazione
clandestina, sia per quanto riguarda i flussi in ingresso che quelli in uscita:
¾ la costa adriatica pugliese, in particolare Otranto, che dista solo settanta
miglia dalla città albanese di Valona;
¾ Gorizia, una città divisa in due, già abituata alla irrealtà e alla crudeltà di un
confine chiuso;
¾ la costa siciliana, in particolare le isole di Lampedusa e Pantelleria e la città
di Trapani, punto di arrivo di tunisini e di altri immigrati provenienti dal
costa nord africana;
¾ la costa ionica calabrese, difficile zona di sbarco da “carrette di mare” e,
temporaneo, insediamento di migranti provenienti da molto lontano;
¾ la città di Ventimiglia, dove gli immigrati si affollano per recarsi
clandestinamente in Francia e proseguire il proprio viaggio.
Nel 2002 complessivamente si è registrato un calo significativo, pari al -11,5%, dei
clandestini sbarcati lungo le coste meridionali della penisola italiana.
La tendenza alla flessione della pressione migratoria illegale è confermata dai dati dei
primi sei mesi del 2003 durante i quali i clandestini sbarcati sono diminuiti del 35,7%
rispetto allo stesso periodo del 2002 (7.888 extracomunitari dal 1.1 al 30.6.2003 in
confronto ai 12.272 nell’analogo periodo del 2002). E’ diminuito drasticamente il numero
degli sbarcati in Puglia e Calabria (81 e 177 persone a fronte delle 2.846 e 1.442 persone
sbarcate nel primo semestre del 2002), ma è altresì diminuito il numero delle persone
sbarcate in Sicilia (7.630 nel periodo dal 1.1 al 30.6 2003 contro le 7.984 del
corrispondente periodo del 2002), che ha subito un decremento del 4,4%.
Però per quanto riguarda la Sicilia, si è verificata in questi ultimi mesi un’esplosione del
numero degli sbarchi. Infatti a partire dal 30.5 e fino al 30.6.2003 i clandestini giunti sono
stati ben 4.732, tutti provenienti dalla Libia. L’accordo tecnico con le Autorità libiche,
sottoscritto il 3.7.2003, costituisce la premessa per il definitivo arresto del flusso
migratorio proveniente da quell’area geografica.
In tabella 1 sono indicati gli sbarchi di clandestini lungo le coste italiane dal 1998 al
10.8.2003:
Tab. 1: Sbarchi clandestini sulle coste italiane
SBARCHI PUGLIA CALABRIA SICILIA TOTALE
1998 28.458 873 8.828 38.158
1999 **46.481 1.545 1.973 49.999
2000 18.990 5.045 2.782 26.817
2001 8.546 6.093 5504 20143
2002 3.372 2.122 18.225 23719
2003* 81 177 8.623 8.881
* Periodo dal 1 gennaio al 10 agosto 2003.
** L’aumento degli sbarchi in Puglia nel 1999 è dovuto all’inizio del conflitto nell’area balcanica
(23.3.1999).
Fonte: Ministero dell’Interno.