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INTRODUZIONE
L’internazionalizzazione è un concetto che, ad oggi, si estende ai
diversi aspetti della struttura sociale, politica, culturale ed, ovviamente,
economica di un paese. La singola impresa, e il singolo imprenditore, sono
sempre più portati e spinti ad allargare i propri orizzonti. Rifornirsi,
vendere, produrre e investire in paesi anche molto diversi tra loro, sta
diventando un normale processo evolutivo delle imprese, quasi
obbligatorio, che coinvolge fonti d’impiego sempre maggiori sia a livello
qualitativo che quantitativo. Queste dinamiche sono tipicamente associate
alle imprese di grandi o grandissime dimensioni. In effetti, sono le
multinazionali come Coca-Cola, McDonald’s, Nike, a vantare la più alta
diffusione globale dei propri stabilimenti e dei propri prodotti. Nella realtà,
però, a fianco di questi colossi si schiera un numero ben più elevato di
piccole e medie imprese (PMI).
L’intento di questo elaborato è proprio quello di esaminare la
situazione delle PMI nel contesto internazionale, portandone alla luce i
punti di forza e quelli di debolezza. Nello specifico si propone di analizzare
l’apertura internazionale delle PMI umbre, con particolare riferimento a
quelle operanti nel settore dell’olio di oliva. Il dibattito
sull’internazionalizzazione delle PMI è stato per lungo tempo caratterizzato
da una sorta di sfiducia circa le possibilità effettive di sviluppo
internazionale di queste imprese. Studi recenti, invece, dimostrano che le
variabili dimensionali non rappresenta più un fattore discriminante per il
successo su scala mondiale e il contributo di queste imprese al commercio
internazionale è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni.
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Per conseguire gli obiettivi summenzionati, il lavoro di tesi si articola
in cinque capitoli e si sviluppa seguendo un percorso logico che va dal
generale al particolare e dai modelli teorici a quelli operativi, per giungere
al caso studio conclusivo.
Il primo capitolo è teso ad analizzare gli scenari di riferimento
all’interno dei quali operano le imprese, evidenziando le diverse possibilità
strategiche di approccio al mercato estero. Lo scenario mondiale è
influenzato da due fattori principali. In primis la globalizzazione, cioè la
crescente spinta verso l’unificazione di mercati: un processo in atto da
molto tempo, ma ancora in crescita grazie al continuo e dinamico
contributo dei paesi emergenti. In secondo luogo, il fenomeno della crisi
finanziaria, iniziata in America nel 2008 e della quale ancora oggi, quattro
anni dopo, se ne scontano gli effetti. Complice la globalizzazione, la crisi è
arrivata a destabilizzare tutte le economie nazionali, specialmente quelle
dei paesi sviluppati. In uno scenario così descritto le imprese si trovano
costrette a elaborare e ri-elaborare il proprio posizionamento e le proprie
strategie per ottenere un vantaggio competitivo stabile e duraturo. In
quest’ottica si evidenzia l’importanza di una visione strategica, necessaria
in ogni situazione, ma ancora di più quando l’impresa si affaccia nel
mercato internazionale, dove le variabili da tenere in considerazione sono
nettamente più complesse. Indipendentemente dalla dimensione
aziendale, la scelta di entrare nei mercati internazionali deve essere
analizzata e pianificata secondo un approccio strategico di marketing
internazionale.
Il secondo capitolo delinea lo scenario italiano. In particolare si
evidenzia come l’Italia si caratterizzi per l’elevata frammentazione del
sistema produttivo. La percentuale di piccole, medie, ma soprattutto micro
imprese è nettamente superiore rispetto ad altri paesi europei come la
Francia, il Regno Unito o la Germania. Questa peculiarità influenza
notevolmente il sistema economico e si riversa anche sull’orientamento
all’internazionalizzazione e sulla reale presenza e penetrazione dei mercati
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esteri. Il contributo delle ricerche e degli studi empirici, che il secondo
capitolo si propone di confrontare, permette di riscontrare la reale
aderenza del modus operandi delle PMI italiane ai modelli teorici di
riferimento. In generale l’Italia ottiene un vantaggio comparato in quattro
settori specifici definiti come le “4 A” dell’eccellenza manifatturiera italiana.
I valori del prodotto sono un mix di stile e medio-alta qualità,
attenti al valore delle tradizioni, ma senza rinunciare alle nuove tendenze.
Spiccate, inoltre, sono le doti di originalità e creatività con le quali gli
imprenditori locali riescono a conquistare il mercato estero. La situazione
economica attuale e l’emergere di nuovi competitor come la Cina fanno
riflettere sulla crescente importanza del ruolo dell’innovazione, sia di
prodotto che di processo, che permetta ad un’impresa di essere
competitiva perseguendo una strategia di differenziazione.
Le PMI affrontano ogni giorno piccoli e grandi problemi di
marketing internazionale, dalle più generali scelte strategiche alle più
dettagliate politiche di marketing mix, ma la teoria economica evidenzia
una lacuna in questo senso. La tendenza è quella di adattare alle PMI
modelli di internazionalizzazione generalmente riferiti ad altre realtà e ciò
contribuisce negativamente allo sviluppo di competenze tipicamente
manageriali, alquanto estranee alla cultura dominante nelle PMI. Spesso
l’esperienza internazionale inizia in modo occasionale grazie ai contatti
personali dell’imprenditore o sulla base di opportunità non ricercate
attivamente, ma presentatesi in modo casuale. Per molto tempo l’apertura
ai mercati esteri è stata vissuta dalle PMI come ripiego temporaneo alla
carenza di domanda del mercato nazionale e non come una e vera e
propria strategia di sviluppo. Il terzo capitolo si propone di individuare le
strategie e le politiche di marketing internazionale più adatte alle PMI, alle
quali fare riferimento nell’analisi del caso studio.
Il quarto capitolo si prefigge l’obiettivo di chiarire in maniera più
approfondita l’apertura internazionale delle PMI umbre. Il tessuto
industriale umbro, rimanda molto a quello nazionale anche se ad avere un
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peso maggiore sono le micro-imprese (1-9 dipendenti) che più di tutte si
caratterizzano per la dominante presenza dell’imprenditore, e della sua
famiglia, nella gestione aziendale. Questo rende difficoltoso
l’individuazione di modelli di comportamento comuni. Le decisioni prese da
ogni singola impresa, anche in materia di internazionalizzazione, tendono
a riflettere la solo idea dell’imprenditore e sono carenti di una componente
razionale o strategica. Gli scambi commerciali, effettuati tramite
esportazioni dirette, rappresentano l’opzione di internazionalizzazione più
utilizzata dalle imprese umbre. Quello che si vuole maggiormente
sottolineare è l’importanza, riscontrabile in tutto il territorio nazionale e
soprattutto in regioni come l’Umbria, della creazione di una “cultura”
dell’internazionalizzazione. In questa direzione operano le Istituzioni
regionali che incentivano la singola impresa al superamento della forte
propensione all’individualismo e all’autonomia, portando avanti programmi
di promozione e supporto, mirati alla partecipazione ad eventi
internazionali, alla creazione di collaborazioni e reti d’impresa e allo
scambio di know how.
L’ultimo capitolo prende in considerazione un determinato settore,
particolarmente rilevante per l’economia regionale, quello dell’olio di oliva
e nello specifico una PMI. L’olio umbro è il più conosciuto e venduto al
mondo e, a questo dato, non contribuiscono solo Monini e Farchioni, le
due imprese olearie umbre più conosciute e importanti, ma anche e
soprattutto le numerosissime imprese di piccole dimensioni. Il mercato
nazionale è ormai maturo e le uniche prospettive di crescita, anche per le
PMI umbre sono all’estero dove si rileva una crescita nella diffusione della
cultura dell’olio d’oliva di qualità e un aumento costante della domanda di
questo prodotto, anche nei mercati non tradizionali. Dopo aver dimostrato
che l’apertura al commercio internazionale offre possibilità di sviluppo
interessanti, la questione si sposta sulla reale capacità delle PMI di
affrontare e soddisfare questi mercati.
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L’azienda agraria Hispellum, inserita come caso studio, sembra
rappresentare al meglio questa realtà. Essa, infatti, è una microimpresa
situata a Spello che produce un olio d’oliva 100% umbro e ne esporta il
95% della produzione annua totale. L’imprenditore/proprietario, il sig.
Ciampetti, ha trasferito in azienda e sul prodotto, il proprio sistema di
valori e le proprie convinzioni creando uno stretto legame tra l’identità
personale e quella aziendale. Ciò ha amplificato il controllo operato
dell’imprenditore che si estende alla totalità delle decisioni e delle attività,
siano esse amministrative, di produzione, di commercializzazione o di
promozione. L’azienda ha una missione e degli obiettivi ben delineati, ma
non predispone un piano di marketing internazionale. Sarà obiettivo di
quest’ultimo capitolo cercare di formalizzare un’analisi strategica dei punti
di forza e debolezza, per individuare i margini di sviluppo e miglioramento,
soprattutto dal punto di vista della pianificazione strategica.
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Capitolo 1
Scenari e strategie d’impresa internazionali
1.1 La globalizzazione dei mercati
Lo scenario mondiale attuale si caratterizza per la progressiva
integrazione culturale, sociale, tecnologica e, ovviamente, economica tra i
diversi stati.
Con il termine globalizzazione si vuole proprio indicare questa
tendenza economica (diventata ormai routine) di svincolarsi dai mercati
nazionali per aprirsi a quelli mondiali. Anche quelle imprese che
continuano a far riferimento al solo mercato nazionale, devono comunque
scontrarsi con competitor e clienti stranieri. Ciò che si sta modificano è il
concetto e la percezione di distanza. Gli individui sono sempre più in
contatto tra di loro e si influenzano reciprocamente su valori, idee e stili di
vita. Il semplice cittadino viaggia molto di più ed è informato su fatti ed
eventi che riguardano ogni parte del pianeta. È sempre più frequente che
un cittadino italiano si ritrovi a cenare con un kebab (piatto tipico della
tradizione culinaria araba), che vada al lavoro con una macchina
progettata in Germania e che faccia giocare suo figlio con un videogioco
giapponese. In molti casi quando si parla di globalizzazione dei mercati,
cioè “dell’unione dei mercati nazionali, storicamente distinti e separati, in
un ampio mercato globale“
1
si tende ad evidenziare un appiattimento dei
gusti e delle preferenze dei consumatori citando i successi internazionali di
prodotti come la Coca-Cola o i videogiochi Sony. Queste aziende, infatti,
1 Hill C.W.L. [2008], International Business. Economia e strategia internazionale: l’impresa nei
mercati globali, Hoepli, Milano, p.6.
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offrono prodotti standardizzati in ogni parte del mondo. Va però posto un
limite a questa visione: rimangono comunque delle sensibili differenze tra
gli stati, che riguardano la sfera culturale, politica, giuridica ed economica.
Queste differenze devono essere indagate e analizzate attraverso
specifiche strategie di marketing internazionale personalizzate per ogni
prodotto e ogni paese.
La percezione della distanza si sta restringendo anche per quello
che riguarda la globalizzazione della produzione. Essa si riferisce
“all’approvvigionamento di beni e servizi da località in tutto il mondo per
trarre vantaggio dalle differenze nazionali nei costi e nella qualità dei
fattori della produzione (come il lavoro, l’energia, la terra e il capitale)”
2
.
Negli ultimi anni, un’importante spinta alla globalizzazione sono stati gli
investimenti diretti esteri (IDE). Attraverso un IDE, un’ impresa può
investire in un paese estero per realizzare una nuova unità produttiva o
acquistarne una già esistente; questo, non solo permette una maggiore
circolazione di capitale, ma anche di tecnologia, conoscenze e
competenze.
Altri fattori che hanno dato impulso a questo processo sono: la
diffusione del sapere scientifico che diventa una risorsa produttiva da
tutelare e difendere. La diffusione è maggiore tanto più un’impresa è
inserita in una rete-network nella quale immette e scambia know-how.
Questo scambio è garantito e incentivato dalle innovazioni nelle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. Una su tutti la dirompente
diffusione di Internet.
Essenziale è stato, ed è tuttora, il ruolo svolto dall’Accordo Generale
sui Dazi e sul Commercio (GATT) e dal suo successore l’Organizzazione
Mondiale del Commercio (WTO), che ha il compito di vigilare sul sistema
del commercio mondiale e di migliorare l’accesso ai mercati. In particolare
cerca di agevolare gli accordi tra stati per eliminare una tra le più
2 Hill C.W.L. [2008], International Business. Economia e strategia internazionale: l’impresa nei
mercati globali, Hoepli, Milano, p. 7
11
importanti barriere artificiali al libero scambio: i dazi doganali sulle
importazioni di beni industriali (adottati dai singolo stati come strumento
di protezione in alcuni settori strategici per l’economia nazionale).
Al centro di questo scenario si posiziona l’impresa. Cercando di
riportare un quadro di sintesi, Maiorino (2006) elabora uno schema che
mostra i fattori determinanti un’ apertura internazionale e gli attori
principali su cui operano tali determinanti (Fig. 1.1).
Fig. 1.1 Determinanti ambientali dell’internazionalizzazione
Fonte: Maiorino 2006, p.6
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1.2 Lo scenario mondiale
Si procederà ora fornendo alcune informazioni riguardanti lo
scenario economico attuale, con particolari riferimenti alla crisi e al
commercio internazionale.
A partire dal 2008 l’intera economia mondiale ha subito dei forti
cambiamenti. È questo l’anno in cui hanno iniziato a manifestarsi in
maniera più evidente i segnali di crisi internazionale. In particolare Usa e
Unione Europea hanno iniziato a scontrarsi contro gravi turbolenze
finanziarie che hanno provocato una forte instabilità del sistema bancario
internazionale e un peggioramento delle prospettive di crescita.
L’instabilità dei conti pubblici è andata ad alimentare questo quadro
di recessione. Nel biennio 2008-2009 gli Stati sono stati costretti ad
adottare politiche di supporto al mercato e al sistema finanziario. L’Unione
Europea e il Fondo Monetario Internazionale son intervenuti per evitare
l’insolvenza di Grecia e Irlanda. In tutta Europa sono state adottate
politiche fiscali restrittive per recuperare l’elevato debito pubblico. Anche
la Banca Centrale Americana si è trovata costretta ad adottare politiche di
salvataggio che hanno inciso sul deprezzamento del dollaro.
Un alto fattore di rischio riguarda l’instabilità e la volatilità dei tassi
di cambio che potrebbe indurre i paesi (specialmente quelli emergenti) ad
applicare politiche protezionistiche. Dare il via a una guerra di svalutazione
monetaria sarebbe dannoso per l’intero commercio mondiale tanto quanto
l’istituzione di dazi alle importazioni.
Sicuramente non si può parlare di un vero e proprio ritorno al
protezionismo, ma sia i paesi emergenti sia quelli avanzati hanno sfruttato
i margini di manovra previsti dagli accordi internazionali sui dazi,
controllati dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
Generalmente i paesi sviluppati hanno utilizzato misure di protezione
indirette cioè a sostegno del mercato interno, ad esempio con aiuti ai
produttori nazionali. I paesi in via di sviluppo, invece, hanno adottato
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provvedimenti anti-dumping e clausole di tutela approvate dall’OMC come
misure di protezione temporanee. Con il rilancio del commercio mondiale
avvenuto nel 2010 anche gli accordi e i negoziati presso l’OMC sono
ripresi. In particolare si cerca di evitare che queste misure temporanee
diventino stabili e si esprimono seri dubbi riguardo la reale capacità e la
disponibilità da parte dei governi di fare un passo indietro. In effetti, alla
ripresa dei negoziati non ha fatto seguito una reale assunzione di
responsabilità da parte dei governi. Si evidenzia inoltre da una parte, una
particolare difficoltà a concludere negoziati multilaterali e dall’altra il
proliferare di accordi commerciali preferenziali, regionali e bilaterali che
permettono ai paesi esclusi dagli accordi già esistenti di non rimanere fuori
dalla competizione mondiale. L’area più dinamica in questo senso e quella
dell’Asia del Pacifico, in particolare Corea del Sud e India.
Altro fattore decisivo per la crescita riguarda il sistema finanziario.
Benché le condizioni del credito stiano migliorando, le banche
tendono ancora a essere selettive e prudenti nella concessione di prestiti.
Secondo un’elaborazione effettuata dalla Sace sui dati dell’FMI, c’è stato
un forte incremento dei prestiti in sofferenza (Fig. 1.2).
Il ridotto utilizzo della capacità produttiva ha provocato un alto
tasso di disoccupazione nei paesi avanzati, con le conseguenti
ripercussioni negative sui redditi disponibili e, quindi, sui consumi delle
famiglie (già appesantite dalle politiche fiscali per il risanamento del debito
pubblico).
In questo scenario sono i paesi emergenti, e in particolare quelli
dell’area asiatica, a registrare i dati migliori; anche per quanto concerne i
movimenti di capitale segnalano degli ottimi tassi di crescita dei flussi di
Ide in ingresso.
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Fig. 1.2 Prestiti bancari in sofferenza
Fonte: elaborazioni SACE su dati FMI.
* I numeri nel grafico indicano il rapporto, in %, tra il capitale e il totale dell’attivo per il sistema
bancario; per il 2009/2010 il dato indicato è l’ultimo disponibile, diverso da paese a paese.
Fig. 1.3 Produzione e commercio mondiali.
Fonte: elaborazioni ICE su dati FMI
(1) Stime e previsioni
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Si sta assistendo ad un importante cambiamento rispetto alle
abitudini passate. La delocalizzazione nei paesi emergenti non avviene più
solo per le attività a basso valore aggiunto ma le imprese che attuano
questo tipo di strategia vanno alla ricerca di nuovi mercati “con l’obiettivo
di individuare aree economiche caratterizzate da elevati tassi di crescita
del mercato interno e da trasformazioni nella struttura sociale”
3.
.
Nonostante tutte le problematiche emerse, tra il 2010 e l’inizio del
2011, i dati hanno evidenziato un lento ritorno su livelli di crescita in tutte
le aree maggiormente colpite dalla crisi. Grazie soprattutto all’aumento
della domanda dei paesi emergenti si è registrata una spinta all’attività
produttiva e, di conseguenza, al volume dei beni scambiati (Fig. 1.3 ).
1.3 Scenario europeo
Spostando l’attenzione sull’Europa si nota come i diversi paesi
abbiano affrontato e, in alcuni casi, superato la crisi in modi differenti.
Sensibilmente in ripresa quei paesi che sono riusciti a sfruttare il traino
della domanda estera. Germania, Polonia e Svezia hanno, concentrato i
loro sforzi sui mercati emergenti e sono riusciti ad ottenere ottimi risultati.
Invece, Paesi come l’Italia, il Regno Unito e la Spagna, avendo risentito
maggiormente del peggioramento delle condizioni dei mercati finanziari,
sono rimasti più indietro. Infine, paesi come la Romania, ma soprattutto la
Grecia, non hanno ancora superato il periodo di recessione.
Come già accennato, anche a livello di Unione Europea il principale
fattore di ripresa sono state le esportazioni e in generale un elevato grado
d’integrazione internazionale. I prodotti europei hanno migliorato la loro
competitività, anche grazie alla svalutazione dell’euro e, nonostante una
riduzione delle quote di mercato, l’UE si conferma prima importatrice ed
esportatrice mondiale.
3 ICE [2011], L’Italia nell’economia internazionale. Rapporto 2010-2011, Roma, Istituto
internazionale per il commercio estero, p.14
16
Tab. 1.4 Dettaglio geografico delle esportazioni dell'Unione europea
Fonte: Elaborazioni ICE su dati Eurostat, FMI-DOTS e, per Taiwan, Taiwan Directorate general of
Customs
(1) Tasso di crescita medio annuo.
(2) La dimensione del mercato è calcolata, per ogni area/paese, come rapporto tra le sue
importazione dal Mondo e il totale delle importazioni mondiali al netto degli
scambi intra-UE.
(3) All netto delle componenti intra-UE.
Anche se in misura minore rispetto agli ultimi anni, gli Stati Uniti
rimangono il principale mercato di sbocco. La Cina ha consolidato il ruolo
di primo fornitore per l’UE, ma ha anche aumentato le importazioni dai
paesi comunitari. Con il mercato russo, duramente colpito dalla crisi, gli
scambi si sono bruscamente contratti nel 2009 e il recupero è stato solo
parziale nel 2010, anche se si è consolidata la posizione della Russia nella
fornitura di energia. Gli sviluppi inattesi in zone come in Medio Oriente e il
Sudafrica hanno contribuito a modificare la composizione geografica del
commercio dell’Ue.