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1. LA STRUTTURA DELLE IMPRESE ITALIANE
In questo primo capitolo si vuole, inizialmente, fornire una panoramica riguardo il sistema
produttivo italiano, andando a sottolineare il ruolo fondamentale rivestito dalle piccole e
medie imprese, sotto diversi punti di vista: da quello numerico a quello economico ed
occupazionale. Successivamente si ricorrerà a dati ISTAT allo scopo di evidenziare
l’impatto della crisi economica mondiale sulle imprese italiane sia a livello demografico,
sia considerando produttività, investimenti e ordinativi dell’industria. Si proseguirà poi
illustrando le modalità di finanziamento delle Pmi, con un excursus sulle diverse fonti
esterne a cui possono ricorrere per finanziare la loro crescita, evidenziando l’importanza
del capitale di rischio. Infine si illustrerà la rilevanza della quotazione sui mercati azionari
per le Pmi, in termini di benefici sia finanziari che non finanziari, non dimenticando di
approfondire gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questo processo.
1.1 Il ruolo delle piccole e medie imprese
La spina dorsale del sistema imprenditoriale italiano è costituita da società di dimensioni
medio piccole, che contribuiscono a creare gran parte del valore aggiunto nazionale e a
sostenere l’occupazione.
Il “capitalismo italiano” è caratterizzato da una struttura produttiva molto frammentata,
composta prevalentemente da imprese di dimensione ridotta attive in settori tradizionali;
esse sono a conduzione familiare con un controllo societario chiuso e definito: le leve
decisionali sono nelle mani di poche persone e si riscontra una sovrapposizione tra il
patrimonio dell’impresa e quello familiare; spesso non sono presenti sistemi di governance
e la struttura organizzativa non è esplicitamente definita; infine la struttura finanziaria è
caratterizzata da una forte dipendenza dal capitale di debito, con prevalenza di quello a
breve termine, e da una ridottissima propensione all’apertura del capitale al mercato
finanziario e quindi ad investitori esterni.
La ridotta dimensione delle imprese è una peculiarità europea ma in Italia essa assume un
rilevanza particolare; numericamente, esse rappresentano la stragrande maggioranza delle
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94,79%
4,62%
0,51%
0,08%
Unità economiche nell'industria
e nei servizi
micro
piccole
medie
grandi
24,11%
28,05%
18,31%
29,53%
Dipendenti suddivisi per classi
dimensionali delle unità
economiche
micro
piccole
medie
grandi
imprese, e c’è da sottolineare che per lo più si tratta di micro imprese, cioè imprese con
meno di 10 addetti.
Esse rappresentano quasi il 95% del totale delle imprese ma danno lavoro solo al 24% dei
dipendenti complessivi; nell’Europa a 27 la percentuale di piccolissime imprese si attesta
intorno al 90% e hanno un peso solo dell’ 83% nel tessuto imprenditoriale tedesco e dell’
87% in quello inglese.
Le piccole imprese sono circa il 5%, a fronte di un 7% a livello europeo, e impiegano il
28% della forza lavoro totale; mentre le imprese di medie dimensioni sono lo 0,5% rispetto
a un 1,1% europeo con picchi in Germania (2,4%) e nel Regno Unito (1,6%); infine le
grandi imprese in Italia rappresentano lo 0,08% in confronto allo 0,2% dell’Europa e allo
0,5% e 0,4% rispettivamente di Germania e Regno Unito. Riguardo l’occupazione, nelle
medie e nelle grandi imprese italiane sono occupati rispettivamente, circa, il 18% e 30%
dei dipendenti (si veda Figura 1.1 e Figura 1.2 ).
Fonte: Elaborazione di dati ISTAT 2007
Figura 1.1 - Numero di unità
economiche nell’industria e nei servizi
suddivise per classe dimensionale
Figura 1.2 - Numero dipendenti delle
unità economiche dell’industria e dei
servizi suddivisi in base alla classe
dimensionale
14
Quanto detto è spiegato dal fatto che, come appare ovvio, le unità economiche di maggiori
dimensioni hanno un maggior numero di dipendenti, ma anche dal fatto che prevalgono le
micro imprese le quali hanno un ridottissimo numero di dipendenti, alla luce di ciò il
numero medio di dipendenti per unità economica è di 2,67 dipendenti.
Per quanto riguarda la distribuzione dei dipendenti la situazione sembra esser più
equilibrata, essi si suddividono in maniera equa tra le diverse tipologie di imprese, ciò che
si può notare è che le piccole imprese danno occupazione praticamente allo stesso numero
di dipendenti delle grandi imprese e che più del 70% dei dipendenti lavora nelle micro e
Pmi. Mediante l’osservazione di questi dati pare ancora più evidente il ruolo fondamentale
della piccola e media impresa in Italia.
1.1.1 Suddivisione settoriale delle imprese
Le micro e piccole e medie imprese hanno caratteristiche peculiari, sulla base dei dati
forniti dall’ISTAT per l’anno 2007, per quanto riguarda le attività a cui si dedicano in
prevalenza, rispetto alla totalità delle imprese italiane; è possibile, di fatti, effettuare una
suddivisione delle imprese appartenenti alle diverse classi dimensionali in base al settore
13
in cui operano, allo scopo di evidenziare se le piccole e le medie imprese siano
maggiormente attive in alcuni settori o meno (si veda Figura 1.3).
13
Classificazione statistica delle attività economiche nelle Comunità europee o codice NACE, con validità
fino al primo gennaio 2008.
15
Fonte: Elaborazione di dati ISTAT 2007
Come risulta chiaro dalla Figura 1.3 la composizione settoriale delle imprese,
percentualmente parlando, presenta delle differenze se vengono considerate tutte le
imprese italiane o se si vanno ad indagare solo le piccole e medie imprese singolarmente.
Se consideriamo le imprese italiane nel complesso, notiamo che si suddividono per lo più
in 4 settori principali: esse sono attive soprattutto nel commercio al dettaglio e all’ingrosso,
riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa (28%); nonché nelle
attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca e servizi alle imprese (25%); e in
maniera minore, ma ancorché rilevante, nelle costruzioni (14%) e nell’attività
manifatturiera (12%).
Il quadro cambia notevolmente se consideriamo le piccole imprese, le quali per ben il 43%
svolgono attività manifatturiere, solamente il 15% di esse si dedica al commercio
all’ingrosso e al dettaglio e appena poco meno del 10% ad attività immobiliari, noleggio,
informatica, ricerca e servizi alle imprese.
Le medie imprese seguono per lo più l’andamento delle piccole: ben il 45% di esse si
occupa di attività manifatturiere, poi si attestano le attività immobiliari, noleggio,
informatica, ricerca e servizi alle imprese (13%) e il commercio all’ingrosso e al dettaglio
(13%); una riduzione della percentuale di può vedere per quanto riguarda le costruzioni
0%
10%
20%
30%
40%
50%
totale imprese
piccole
medie
Figura 1.3- Distribuzione settoriale delle imprese suddivise per classe dimensionale
1.Estrazione di minerali 2. Attività manifatturiere 3. Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas
e acqua 4.costruzioni 5.commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli, motocicli e di
beni personali e per la casa 6. Alberghi e ristoranti 7. Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni
8.attività immobiliari, noleggio, informatica,ricerca, servizi alle imprese 9. Istruzione 10. Sanità e
assistenza sociale 11.altri servizi pubblici, sociali e personali.
16
che passano da circa il 13% al 7%; i rimanenti dati non mostrano notevoli differenze
rispetto alle piccole imprese.
Analizzando la concentrazione dell’occupazione nei diversi settori di attività economica si
può affermare che il settore manifatturiero è prevalente, dando lavoro a ben il 25% degli
addetti totali, seguito dal commercio all’ingrosso e al dettaglio, 20% dell’occupazione, e
dalle costruzioni, che si attestano all’11%. All’interno dell’attività manifatturiere
particolare rilevanza la ricoprono le imprese metalmeccaniche, alimentari e tessili.
1.1.2 Distribuzione territoriale delle imprese
Consideriamo ora la distribuzione territoriale delle diverse classi di imprese, suddividendo
le imprese appartenenti ad ogni classe dimensionale in base alla zona in cui operano. Le
zone considerate sono cinque: il Nord Ovest, che comprende la Liguria, la Lombardia, il
Piemonte e la Valle d’Aosta; il Nord Est, cioè l’Emilia Romagna, il Friuli-Venezia Giulia,
il Trentino Alto Adige e il Veneto; il Centro, costituito dal Lazio, dalle Marche, dalla
Toscana e dall’Umbria; il Sud, che comprende l’Abruzzo, la Basilicata, la Calabria, la
Campania, il Molise e la Puglia; e infine le Isole cioè Sardegna e Sicilia.
14
Per quanto riguarda le classi dimensionali le imprese sono state suddivise tra micro
imprese, cioè quelle con meno di 10 addetti, piccole e medie imprese, con un numero di
dipendenti che va da 10 a 249 addetti, e grandi imprese con più di 250 addetti (si veda
Figura 1.4).
14
Definizione Istat condivisa anche da Eurostat
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Figura 1.4 – Distribuzione territoriale delle imprese italiane suddivise per classe
dimensionale
Fonte: Elaborazione di dati Istat 2007
Considerato che la distribuzione territoriale delle imprese in generale può esser ben
approssimata da quella delle micro imprese, dato che esse rappresentano circa il 95% del
totale, notiamo che poco più del 50% di esse si trova nel Nord, con una leggera prevalenza
per il Nord Ovest , 29% rispetto al 21% del Nord Est. Poi man mano che si scende verso
sud diminuisce la percentuale di imprese presenti, passiamo da circa il 21% del Centro al
19% del Sud fino all’8% delle Isole.
Si può riscontrare che al crescere della dimensione delle imprese considerate aumenta la
percentuale di concentrazione nel Nord Italia e diminuisce la concentrazione al Sud: cioè
le grandi imprese sono presenti per lo più nell’area settentrionale, mentre la maggior parte
delle imprese presenti nel meridione appartengono alle classi dimensionali inferiori.
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese, si nota una maggiore presenza nel Nord
Ovest e Nord Est (60%), mentre nelle altre 3 aree esse sono presenti in percentuali minori
rispetto ai valori registrati per le micro imprese.
Analizzando infine la distribuzione delle grandi imprese si evidenziano le differenze più
marcate, dato che nel solo Nord Ovest si localizza ben il 45% di esse, che unito al dato del
Nord Est fa si che nella parte settentrionale ci sia poco meno del 70% delle imprese con
più di 250 addetti. Per quanto riguarda le altre aree abbiamo il 20% delle grandi imprese
nel Centro Italia, il 9% nel Sud e solamente al 3% nelle Isole.
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
45%
Nord Ovest Nord Est Centro Sud Isole
micro
pmi
grandi
18
32,47%
23,22%
16,05%
28,26%
Valore Aggiunto
micro
piccole
medie
grandi
27,15%
23,45%
19,98%
29,42%
Fatturato
micro
piccole
medie
grandi
1.1.3 Risultati economici
Infine per motivi di completezza si deve, chiaramente, fare riferimento ai risultati
economici delle diverse classi dimensionali di imprese, indagando sia il fatturato sia il
valore aggiunto al costo dei fattori che esse sono in grado di generare.
Come appare ovvio le micro e piccole e medie imprese avranno risultati economici medi
inferiori alle grandi imprese, ma si deve anche considerare la loro maggiore numerosità che
potrebbe portarle ad esser fondamentali per il raggiungimento di importanti risultati
complessivi (si vedano le Figure 1.5 e 1.6).
Fonte: Elaborazione di dati Istat 2007
In media per una generica impresa italiana il fatturato medio ammonta a 627.787 euro
andando da un minimo di 192.776 euro realizzato in media dalle micro imprese fino a
254.924.885 euro generato in media delle grandi imprese.
Dal punto di vista del valore aggiunto al costo dei fattori, esso mediamente ammonta a
164.013 euro per impresa, con un range che si estende da poco più di 56 mila euro per le
micro imprese fino a quasi 60 milioni di euro per le grandi imprese, entrambi i valori
considerati in termini medi.
Figura 1.5 – Fatturato complessivo
suddiviso per classi dimensionali
Figura 1.6 – Valore aggiunto al costo
dei fattori suddiviso per classi
dimensionali
19
In linea generale possiamo dire che le micro, piccole e medie imprese generano il 70% del
fatturato e del valore aggiunto totale, a fronte di una media di poco inferiore al 60%
nell’EU27.
Il ruolo prevalente è quello delle micro imprese, le quali, alla luce della loro numerosità,
producono circa il 27% del fatturato ma soprattutto creano più del 32% del valore aggiunto
totale. Per avere un termine di raffronto si pensi che in Europa
15
le micro imprese generano
solo il 21% del valore aggiunto, tra i diversi Paesi quelli in cui il dato differisce
maggiormente con quello italiano sono Regno Unito e Germania, in cui le piccolissime
imprese si attestano rispettivamente al 18% e 15% del valore aggiunto totale.
Il fatturato e il valore aggiunto delle piccole imprese, nel nostro Paese, si attesta sul 23%
mentre alle medie è da attribuire il 20% del fatturato e il 16% del valore aggiunto.
A livello europeo il valore aggiunto delle piccole imprese risulta invece in media il 19% ,
di poco inferiore è, inoltre, quello delle medie imprese.
Divergenze importanti si notano se si considera il valore aggiunto creato dalle grandi
imprese italiane che si attesta sul 28% del totale a fronte di una media EU27 del 42% e dei
valori del Regno unito, dove è quasi il doppio rispetto al dato italiano, e della Germania
dove le grandi imprese producono il 45% del valore aggiunto.
Risulta inoltre interessante realizzare un confronto tra la numerosità delle imprese
appartenenti ad ogni classe e il fatturato e il valore aggiunto creato da ognuna, facendo
riferimento, ovviamente, a valori percentuali che consentono un confronto utile (si veda
Figura 1.7).
15
Si fa riferimento all’Europa a 27- dati Eurostat
20
Figura 1.7 - Rilevanza numerica, fatturato e valore aggiunto di ogni classe dimensionale
in percentuale sul totale
Fonte: Elaborazione di dati Istat 2007
Come evidenzia la Figura 1.7 i dati del fatturato e del valore aggiunto delle grandi imprese
sono equivalenti a quelli delle micro imprese, ma le prime numericamente sono solo lo
0,08% rispetto al 95% delle seconde.
La distribuzione delle imprese così fortemente sbilanciata verso la dimensione minore, è
una delle cause della più ridotta produttività media del nostro tessuto produttivo; se infatti
consideriamo la produttività, misurata dal valore aggiunto per addetto, in Italia si può
riscontrare che essa si attesta di poco al di sotto della media dell’Europa a 27 e che il
divario con i maggiori paesi europei è notevole.
La produttività italiana si attesta circa a 43,2 mila euro per addetto rispetto ai 44,5 mila
dell’Europa, ai 55 mila di Francia e Germania e ai 63,4 mila del Regno Unito.
Inoltre si possono evidenziare, per ogni classe dimensionale, i settori produttivi che
generano la maggior quota di valore aggiunto e sui quali si dovrebbe quindi puntare per
riuscire ad incrementare i risultati complessivi.
Cominciando dalle micro imprese, si può dire che i settori che contribuiscono
maggiormente alla creazione del valore aggiunto sono: l’immobiliare, noleggio, ricerca e
servizi alle imprese (27% sul totale del valore aggiunto creato dalle micro imprese);
commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni
personali e per la casa (25%); e infine le costruzioni (16%). Le attività manifatturiere
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
micro piccole medie grandi
n. imprese
fatturato
valore aggiunto
21
contano solo per il 13% circa del valore aggiunto totale creato delle micro imprese e,
infine, gli altri settori si attestano sotto il 10%.
Le piccole imprese e quelle medie presentano andamenti simili quindi possono essere
considerate congiuntamente.
In esse si può riscontrare una rilevanza crescente delle attività manifatturiere all’aumentare
della dimensione delle imprese, di fatti le piccole imprese che si occupano di questa attività
generano circa il 40% del valore aggiunto totale della classe, questa percentuale per le
medie imprese sale al 52%; ciò probabilmente è dovuto al fatto che nell’attività
manifatturiera acquisiscono particolare importanza le economie di scala che consentono
ingenti risparmi di costo.
Gli altri settori rilevanti per il valore aggiunto creato sono il commercio all’ingrosso e al
dettaglio, il cui ruolo va diminuendo all’aumentare della classe dimensionale passando dal
20% delle piccole imprese fino al 12% delle medie; lo stesso andamento si può riscontrare,
in modo ancor più evidente, per le costruzioni che dimezzano la percentuale di valore
aggiunto creato dal 16% al 6% man mano che si considerano imprese di maggiore
dimensione. Infine le imprese che si dedicano alle attività immobiliari, noleggio,
informatica, ricerca e servizi alle imprese presentano percentuali stabili attorno all’11% per
entrambe le classi dimensionali considerate.
In generale per le piccolissime imprese si nota che il valore aggiunto creato si suddivide in
modo più frammentato tra i diversi settori produttivi, mentre per le imprese di maggiore
dimensione si riscontra una maggiore concentrazione solo su determinati settori che, per
così dire, la fanno da padroni nella produzione di valore aggiunto.
1.2 Gli effetti della crisi sul sistema produttivo italiano
La crisi finanziaria, sviluppatasi nel 2007 a partire dal mercato dei mutui subprime
statunitensi e giunta ad intaccare l’economia reale dopo il fallimento della banca
d’investimento Lehman Brothers nella seconda metà del 2008, ha avuto effetti più o meno
rilevanti in tutti i paesi, a causa del crollo della domanda e del conseguente blocco del
commercio e della produzione mondiale. Le imprese hanno reagito riducendo
drasticamente la produzione, gli investimenti e gli acquisti.