LE PERQUISIZIONI NEL PROCEDIMENTO E NEL PROCESSO
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CAPITOLO I: PROFILO LEGISLATIVO
1. EVOLUZIONE STORICA DELL’ISTITUTO DELLA
PERQUISIZIONE
Il percorso storico dell’istituto della perquisizione nel processo penale è
di notevole interesse, poiché testimonia la tutela accordata dalle diverse
legislazioni alla libertà personale e domiciliare del cittadino. Fin dal suo primo
apparire, la perquisizione è sempre stata circondata da sospetto e sottoposta a
formalità speciali affinché non degenerasse in figura di polizia amministrativa.
L’istituto figura già nel diritto romano, dove costituiva un mezzo
consentito al derubato per esercitare l’azione persecutoria spettatagli: con
l’actio furti concepti egli entrava in casa di una determinata persona (fosse o
meno l’autore del furto), che gliene aveva negato l’accesso, indossando solo il
cinto e con un piatto all’altezza del viso (per garantire il sospettato della
sincerità dell’operazione, escludendo in tal modo di avere indosso l’oggetto
sottrattogli), per cercare gli oggetti che gli erano stati indebitamente sottratti1.
Tra la fine del II e l’inizio del III secolo, sotto l’impero dei Severi,
aumentano le garanzie per il soggetto sottoposto a perquisizione: il derubato
poteva procedere alla perquisizione solo se era assistito da un subalterno del
magistrato (apparitor), dopo aver ottenuto l’autorizzazione dallo stesso
magistrato e dopo che, tramite bando, fosse stato reso noto l’oggetto della
ricerca.
Un lontano precedente storico della perquisizione è stato rinvenuto nel
processo accusatorio dell’ultimo periodo della repubblica: l’accusator (che era
un rappresentante volontario della collettività, non un magistrato, cui era
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Cfr. A. DOVERI, Istituzioni di diritto romano, Firenze, 1866, pag. 308.
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demandata la ricerca e la raccolta degli elementi dell’accusa), poteva entrare
nell’abitazione dell’accusato o anche presso archivi e uffici pubblici per
chiedere l’esibizione di carte e documenti. Le cose rinvenute venivano quindi
sigillate e consegnate al magistrato2.
Nell’evo medio e moderno e fino alle grandi codificazioni la
perquisizione è sempre atto di iniziativa del derubato, anche se a volte era
richiesta l’autorizzazione del magistrato.
Nel 1789 le leggi francesi di procedura penale entrarono in Italia e
furono poi elaborate e trasfuse nel codice di istruzione criminale del 1808 i cui
principi, abbandonando il modello accusatorio, realizzarono un parziale
ritorno all’inquisitorio. Allo spirito del codice di istruzione criminale francese
si ispirarono numerosi codici italiani, in particolare il codice di procedura
penale del Regno d’Italia (1807); ed è proprio nella legislazione preunitaria
che l’istituto comincia ad assumere una configurazione giuridica ben definita,
più simile a quella vigente e soprattutto finalizzata a garantire da abusi il
destinatario dell’atto.
Le leggi disciplinavano entro limiti ben precisi l’istituto, stabilendo le
condizioni leggittimatrici, il tempo e le modalità di esecuzione (una
caratteristica comune era vietare le perquisizioni di notte e stabilire che si
svolgessero alla presenza dell’imputato, di un suo rappresentante o di due
testimoni, ciò per due finalità: non disturbare la tranquillità dei cittadini nelle
ore destinate al riposo e impedire abusi da parte dell’autorità perquirente). Tra
queste leggi meritano menzione il codice borbonico del 1819, il codice di
procedura penale degli stati di Parma, Piacenza e Guastalla del 1820 e il
Regolamento di procedura criminale degli Stati Pontifici del 18313.
2
A. SCAGLIONE, Le perquisizioni nel codice di procedura penale e nelle leggi speciali,
Padova, 1974, pag. 6.
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Cfr. A. SCAGLIONE, Le perquisizioni nel codice di procedura penale e nelle leggi
speciali, cit., pagg. 8 ss.
LE PERQUISIZIONI NEL PROCEDIMENTO E NEL PROCESSO
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Un’altra tappa fondamentale, che si inserisce nel periodo post-unitario, è
il codice di rito penale per il Regno d’Italia del 1865, derivante dai codici
piemontesi del 1847 e del 1859, di netta ispirazione francese. Già l’articolo 27
dello Statuto Albertino assicurava l’inviolabilità del domicilio e stabiliva che
ogni deroga a tale principio non poteva aver luogo se non in forza di legge e
nelle forme da essa prescritte4, ma a ciò non faceva seguito alcuna concreta
indicazione dei casi in cui era consentito effettuare perquisizioni domiciliari e
delle procedure da seguire.
Il codice del 1865 si limitò a pochi parziali accenni dei casi in cui era
possibile compiere gli atti in esame, la cui disciplina, per altro, si diversificava
a seconda della qualifica dell’ufficiale di polizia giudiziaria procedente; gli
ufficiali di polizia giudiziaria del cosiddetto terzo ordine (guardie campestri e
agenti di pubblica sicurezza) potevano procedere a perquisizioni nelle case,
officine, fabbricati, ecc…ogni qualvolta ravvisassero la necessità di porre
sotto sequestro “gli oggetti del reato o quelli che sono serviti a commetterlo” e
purché fossero accompagnati da un ufficiale di grado superiore5.
Contro tale disposizione si levò la dottrina dell’epoca, che sosteneva la
necessità di consentire la perquisizione solo nelle ipotesi di flagranza di reato,
rilevando che la normativa consentiva che il domicilio privato rimanesse
assolutamente abbandonato all’arbitrio degli organi di polizia che, sotto il
pretesto di rinvenire le tracce di un reato, avrebbero potuto penetrarvi quando
e come avessero voluto. Gli ufficiali di polizia giudiziaria di grado superiore
4
“Le perquisizioni di domicilio non sono un attentato alla sicurezza personale tutte le volte
che sono circondate da formalità atte ad offrire a’ cittadini che le subiscono una piena
guarentigia contro gli abusi onde quelle sogliono essere accompagnate. Or tutte queste
formalità debbono essere prescritte nel modo più positivo e preciso nella legge, con la
dichiarazione espressa che, ove non fossero osservate, non pure gli agenti i quali osassero
contravvenirvi andrebbero soggetti alle gravi pene comminate dal codice penale, ma i
cittadini sarebbero tenuti ad oppor loro la resistenza legale”, v. P. CASTAGNA,
Commentario allo statuto italiano, Firenze, 1865, pag. 73.
5
I codici del regno d’Italia, Napoli, 1866, pag. 422.
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(ufficiali e bassi ufficiali dei carabinieri, delegati ed applicati di pubblica
sicurezza, sindaci) potevano eseguire perquisizioni domiciliari solo se vi fosse
“pericolo nell’indugio”, condizione molto generica che consentiva un largo
margine di discrezionalità. La dottrina più sensibile, sempre nel rispetto della
garanzia dell’inviolabilità del domicilio, subordinava altresì il potere
perquirente degli ufficiali di polizia giudiziaria alla condizione della flagranza
di reato6.
Con il codice di procedura penale del 1913, considerato a ragione il
primo codice veramente italiano, si assiste ad un decisivo passo in avanti verso
la tutela dei diritti dell’imputato, in quanto si realizza la massima espansione,
consentita dai tempi, dell’esigenza di tutela della libertà personale e del diritto
di difesa.
Un primo importante elemento positivo è il fatto che, per la prima volta
nell’esperienza legislativa italiana, accanto alla perquisizione domiciliare,
viene prevista e disciplinata anche quella personale. La novità però risulta
sensibilmente compromessa dal fatto che le due ipotesi di perquisizione
confluivano nelle medesime disposizioni, mentre sarebbe stato più opportuno
disciplinarle separatamente. Inoltre, per il compimento della perquisizione
personale, non erano previste le garanzie difensive previste invece per la
domiciliare.
L’unica norma concernente specificamente le perquisizioni personali era
l’articolo 236, secondo il quale per evidenti ragioni di ordine morale, la
perquisizione sul corpo di una donna doveva essere eseguita da un’altra donna.
Fra le modifiche più importanti apportate dal codice in questione si ricordano:
la previsione di presupposti più rigorosi per le perquisizioni compite
autonomamente dagli organi di polizia giudiziaria, la previsione del diritto del
difensore di assistere alle perquisizioni domiciliari, la previsione dell’obbligo
6
Raccolta degli atti ufficiali del governo: leggi, decreti, istruzioni, circolari, ecc., vol. XIV,
Milano, 1865, pagg. 825 ss.
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per il pubblico ministero di richiedere sempre, salvo in caso di flagranza di
reato, il compimento della perquisizione domiciliare al giudice istruttore7.
Deve darsi atto che il codice del 1913 pur non estendendo alle
perquisizioni personali le garanzie difensive previste per le perquisizioni
domiciliari, aveva previsto il diritto del difensore di esaminare i processi
verbali, oltre che degli atti cui aveva diritto di assistere, e ciò al duplice scopo
di favorire l’esercizio di difesa e di raggiungere la maggiore celerità nel
procedimento istruttorio. In sostanza, la disciplina delle perquisizioni nel
sistema processuale del 1913, pur confermando una notevole apertura per la
tutela delle libertà fondamentali e del diritto di difesa dell’imputato, pone in
evidenza il persistere di elementi autoritari8.
Il codice di procedura penale del 1930, anche in considerazione del
cambiamento politico nel frattempo intervenuto, segna una battuta di arresto
nella sua evoluzione legislativa, dal momento che conteneva numerose
disposizioni che conferivano poteri esorbitanti alla polizia giudiziaria o
pericolosi privilegi al pubblico ministero o ancora che non garantivano in
modo adeguato la libertà personale dell’imputato9.
Nel 1931 entrò in vigore il Testo Unico delle Leggi di Pubblica
Sicurezza, che all’articolo 41 legittima gli organi di polizia giudiziaria ad
effettuare perquisizioni domiciliari di propria iniziativa per ricercare armi,
munizioni e materiali esplodenti. Ad essa si fece ricorso, in quel particolare
momento storico, per eludere le garanzie poste dal codice di procedura penale
a tutela del domicilio.
7
A. SCAGLIONE, Le perquisizioni nel codice di procedura penale e nelle leggi speciali,
cit., pag. 21.
8
V. anche V. MANZINI, Manuale di procedura penale, Torino, 1912, pag. 526.
9
Le perquisizioni (personale e domiciliare) erano viste come mezzo di coercizione su
persone e cose, allo scopo di ricercare ciò che fosse attinente al fatto dedotto nel processo,
cfr. F. CORDERO, Il procedimento penale, in Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963,
pag. 101.
RIFERIMENTI NORMATIVI
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Un gran passo avanti verso la tutela delle libertà fondamentali si realizzò
con il r.d.l. n°45 del 1944, che modificò l’articolo 224 del codice di procedura
penale, dando maggiori garanzie all’istituto delle perquisizioni personali e
domiciliari di polizia giudiziaria e stabilendo espressamente l’obbligo del
controllo su di essa da parte dell’autorità giudiziaria.
La Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948,
delineò, per la prima volta nella nostra esperienza legislativa, un quadro delle
garanzie dell’imputato inserito in una più ampia tutela dei diritti inviolabili
delle persone, e determinò quindi una svolta nella legislazione e nella
giurisprudenza, con riguardo alla tutela delle libertà del cittadino, contro
pericoli di abusi da parte dell’autorità. Tra i principi salienti vanno ricordati
quelli sanciti dagli articoli 13, 14 e 24 comma 210.
Con la legge 18 giugno 1955 n°517 si venne realizzando l’indispensabile
adeguamento di alcune disposizioni del codice di procedura penale ai principi
sanciti dalla Costituzione, soprattutto con la realizzazione di una più efficace
tutela della libertà individuale tramite l’attuazione delle garanzie
giurisdizionali in relazione ad una sua eventuale limitazione ed un
potenziamento del diritto di difesa nella fase istruttoria del processo11.
Agli inizi degli anni Settanta una parte dell’area di sinistra uscita dalle
lotte studentesche del Sessantotto considerò la lotta armata contro le istituzioni
dello Stato l’unica via per conquistare la rappresentatività negata alle classi
popolari, dando vita così a quella strategia terroristica che ha portato nel
nostro Paese ad un drammatico conflitto sociale e ha lasciato dietro di sé molte
vite umane. Alla fine degli anni Sessanta si inaugurò in Italia quella che è stata
chiamata “strategia della tensione”, in cui operavano movimenti neofascisti e,
a tutela dell’ordine pubblico, considerati i gravi fatti delittuosi e l’allarme
10
Cfr. G. RICCIO, Le perquisizioni nel codice di procedura penale, Napoli, 1974, pag. 1 ss.
11
Parte da qui una stagione di riforme della procedura penale, tutte sottese al riconoscimento
dei diritti della difesa, v., sul punto, M. SCAPARONE, Evoluzione ed involuzione del diritto
di difesa, Milano, 1980, pag. 70.
LE PERQUISIZIONI NEL PROCEDIMENTO E NEL PROCESSO
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sociale che essi provocavano, furono introdotti nel nostro ordinamento una
serie di leggi e decreti legge, dando origine ad una legislazione di emergenza
con cui si è cercato di far fronte alla criminalità terroristica di derivazione
politica.
Il nuovo indirizzo non poteva non riflettersi nel settore delle
perquisizioni che costituiscono uno degli strumenti più validi sia per prevenire
che per reprimere le più gravi manifestazioni di criminalità. In questa
prospettiva si è soprattutto collocata la legge 22 maggio 1975 n°152, che ha
introdotto nel nostro ordinamento una nuova ipotesi di perquisizione personale
(perquisizione sul posto), operante anche in assenza di illeciti penali e
riconducibile all’attività di prevenzione dei reati e di tutela dell’ordine
pubblico.
È da osservare tuttavia che, nonostante la legislazione d’emergenza
presenti molti punti in comune con la disciplina entrata in vigore nel 1931, non
è possibile fare un’assimilazione fra i metodi del legislatore fascista, il quale
perseguiva apertamente, anche nell’ambito del processo penale, obiettivi
autoritari, e il legislatore repubblicano, che operava mosso dall’urgenza
oggettiva di difendere la democrazia repubblicana da spinte eversive
dell’ordinamento 12 . Mentre la perquisizione ex art. 41 t.u.l.p.s. è solo
domiciliare, quella regolata dall’art. 4, legge 22 maggio 1975 n°152 è
prettamente personale, con possibilità di estendersi anche al veicolo che il
soggetto abbia utilizzato per giungere sul posto (per quelle persone “il cui
atteggiamento e la cui presenza non appaiono giustificabili in relazione al
tempo e al luogo”, ferme restando le condizioni leggittimatrici di necessità e
urgenza); ma le finalità sono pressoché identiche: accertare il possesso di armi,
esplosioni o strumenti di effrazione.
In seguito, sempre in linea di tendenza con il potenziamento dei poteri
perquirenti degli organi di polizia, è stata emanata la legge 6 febbraio 1980
12
v. M. SCAPARONE, Evoluzione ed involuzione del diritto di difesa, cit., pag. 73.