4
distinguendo gli aspetti etico-politici da quelli gnoseologico-
epistemologici della attività filosofica di Russell. 
 Anzi, proprio nel tentativo di superare i limiti di certe  
ripartizioni schematiche o di certe semplicistiche etichette, che appunto 
non valgono più di approssimazioni didascaliche, è stato pensato questo 
studio sommario di una non esigua parte del pensiero russelliano. 
Si è trattato infatti di provare a cogliere le eventuali connessioni, 
volontarie o involontarie, consapute o inconsapute che siano, tra la  
teoria della conoscenza di Russell, scandagliata negli aspetti 
epistemologici generali e non in quelli propriamente logici, e le sue 
convinzioni etiche, ispirate dal convincimento di humeana memoria 
che, valori e conoscenza, e quindi etica e conoscenza, debbano restare 
separati. 
Più precisamente, però, il termine contraddizione e l’attributo 
contraddittorio non saranno intesi secondo la corrente accezione 
negativa ( accezione che allude ad una mancanza di coerenza  e ad 
un’inconcludenza di fondo degli esiti conoscitivi ), perché ritengo che 
una delle prerogative  della filosofia che le possa  far vantare ancora un 
suo diritto di cittadinanza e di sopravvivenza nella conoscenza umana, 
sia quella aporetica . 
Se resta ancora qualche punto di contatto tra arte e filosofia, tra 
il poeta ed il filosofo, esso sta lungo quella zona in cui si 
sovrappongono le premesse e gli esiti di queste due modalitità 
ermeneutiche dell’uomo di ogni tempo: in quella zona, la meraviglia di 
aristotelica memoria ed il fanciullino pascoliano in qualche modo si 
incontrano, pur attingendo e giungendo a linguaggi del tutto diversi. 
Del resto, il derogare del filosofo dalle convenzioni del senso 
comune, il suo tentativo di trascendere i particolari alla ricerca di 
vagheggiati universali, sono nel poeta quel suo superamento della 
disattenzione dell’uomo comune, della sua miopia nei confronti di tutte 
quelle sfumature e di tutti quegli accadimenti quotidiani, normalmente 
 5
non universalizzati nei loro significati e nelle loro implicazioni 
generali. 
Ora, benché questo lavoro non voglia essere un’apologia della 
metafisica, né un elogio dell’aporia o una professione di antiscientismo 
e di antidogmatismo; e benché qui si stia parlando di Russell, per 
quanto magari non sembri a prima vista, è opportuno chiarire che il 
nostro filosofo c’entra anche con il discorso appena sopra accennato: la 
sua personalità filosofica infatti, così poliedrica e forse anche 
inconclusa, in qualche modo chiama in causa la grande questione di 
fondo della natura e della legittimità della filosofia in relazione alle 
altre forme di interpretazione della realtà e del mondo 
A tale proposito, da un punto di vista anche soltanto 
terminologico, sarebbe preferibile usare con avvedutezza e parsimonia 
il termine  conoscenza, poiché esso è stato uno dei più contesi nella 
storia della filosofia, tanto che lo si può intendere in modi molto diversi 
tra loro, a seconda dei tramiti usati per acquisire cognizioni e degli esiti 
conoscitivi ottenuti.  
Del resto, non basterebbe neanche provare a stabilire 
preliminarmente quale sia il senso che da questo punto in poi si 
vorrebbe dare ad un tale termine, perché esso si porta dietro questioni 
assolutamente irresolvibili in questa sede, questioni che riguardano i 
concetti di verità e di significato, con implicazioni ontologiche che 
oltrepassano di molto la logica e la filosofia del linguaggio ( e che 
oltretutto non sono, fortunatamente, all’oggetto di questa tesi ). 
Così cercherò di far  meno uso possibile di tale termine in ambiti 
in cui esso possa essere controvertibile; usandolo però, cercherò 
comunque di accompagnarlo con qualche altra indicazione che ne 
giustifichi il riferimento in quel contesto, pur non potendo con ciò 
servirmene che con una buona dose di consaputa approssimazione . 
 6
Per quanto riguarda poi l’impianto strutturale di questa tesi, 
credo che esso possa essere più facilmente esposto dall’indice e non da 
questa specie di premessa: quindi taccio in proposito. 
Invece, allo scopo di predisporre una sorta di auto-
giustificazione preventiva, e con il dichiarato scopo di tentare una 
captatio benevolentiae, avverto subito che da questo studio è stato 
volutamente tenuto fuori, sia ogni intento sistematico, sia la possibilità 
di ordire articolati e specifici confronti con altri filosofi ( precedenti o 
contemporanei a Russell ), nonché la considerazione degli aspetti 
propriamente logico-matematici e pedagogici del pensiero russelliano.  
A discolpa di ciò, adduco le seguenti motivazioni: a) l’impianto 
non sistematico di questo lavoro è stato, più che deciso 
programmaticamente, imposto dal costume  stesso  della  filosofia di 
Russell e dal mio modo di ragionare ( aspetti, questi, entrambi del tutto 
avulsi dal pregio/difetto della sistematicità ); b) la scelta di evitare un 
confronto tra alcuni aspetti della filosofia russelliana e quelli di altri 
filosofi, mi è stata opportunamente, e pietosamente, consigliata da 
considerazioni di umiltà e d’amor proprio, non potendomi condannare 
ad un lavoro troppo più grande di me; c) l’esclusione delle questioni 
logico-matematiche è stata suggerita, o meglio, imposta, dalla mia 
completa inettitudine in materia; d) infine, la mancata trattazione del 
pensiero pedagogico russelliano, è derivata, oltre che dalla convinzione 
della sua sostanziale inessenzialità rispetto all’oggetto di questa tesi, 
anche  dal bisogno, del tutto umano, di porre un limite alle mie velleità 
( nonché alle mie fatiche ). 
In compenso, spero che gli esiti raggiunti da questo lavoro 
abbiano per lo meno la virtù di saper presentare le questioni in modo 
quasi sinottico e con una buona dose di trasversalità. 
 
 
 
 7
IL  PROBLEMA  DELLA  SEPARAZIONE 
TRA  ETICA  E  CONOSCENZA  IN  RUSSELL 
 
 
Più volte ed in modo variamente esplicito Russell allude, o fa 
chiaramente riferimento, alla separazione ed alla distinzione tra i valori 
etici e la conoscenza umana del mondo e della realtà. 
Non a caso egli esordisce, nella sua Storia della filosofia 
occidentale, affermando convinzioni abbastanza illuminanti in 
proposito:” Le concezioni del mondo e della vita che chiamiamo 
filosofiche sono il prodotto di due fattori: uno inerente alle condizioni 
religiose ed etiche; l’altro a quel genere di ricerche che si può chiamare 
scientifico, usando questa parola nel senso più largo. I filosofi 
differiscono largamente l’uno dall’altro per il grado di maggiore o 
minore influenza che questi due fattori hanno nel loro sistema, ma è la 
presenza di entrambi  in un grado qualsiasi che caratterizza la 
filosofia.” 
2
 
         Secondo le sue stesse indicazioni, Russell potrebbe assumere 
quindi i connotati del filosofo in senso pieno, essendo egli certamente 
un pensatore in cui gli aspetti etico-morali e quelli scientifici 
coesistono e coabitano in maniera più o meno armoniosa e con gradi di 
intensità variabili, a seconda dei diversi periodi della sua ricca vicenda 
esistenziale e filosofica. 
Altrettanto facile non sarebbe però stabilire come e quanto il 
nostro filosofo differisca dagli altri, proprio in relazione alla 
commistione degli elementi etici e scientifici intesi secondo una 
prospettiva quantitativa. 
Fatto sta però che Russell, proprio nelle ultime pagine della 
medesima opera, torna  sull’argomento in maniera ancora più esplicita 
ed articolata; infatti, in quell’occasione ci tiene a ricordare ed a 
                                                          
2
 B.Russell, Storia della filosofia occidentale, Milano, Tea, 1991, p.13. 
 8
precisare che esiste un ambito, in seno alla filosofia, in cui la scienza 
non si mostra capace di dare risposte esaustive, anche se esso               
“ comprende questioni di fondamentale importanza; [ poiché ] la sola 
scienza, per esempio, non può dimostrare che sia cosa cattiva godere 
nell’infliggere crudeli pene. 
Tutto ciò che si può sapere, si può sapere per mezzo della 
scienza; ma ciò che è legittimamente materia di sentimento resta al di 
fuori del suo terreno. 
La filosofia, nel corso di tutta la sua storia, è consistita in due 
parti, disarmonicamente mescolate: da un lato una teoria intorno alla 
natura del mondo, dall’altro una dottrina etica e politica intorno alla 
miglior maniera di vivere. Il non aver distinto le due cose con 
sufficiente chiarezza è stato all’origine di molte confusioni.” 
3
 
A tal proposito, Russell cita poi come esempi Platone e William 
James i quali, appunto, avrebbero confuso la loro conoscenza del 
mondo con i propri  desideri di elevarlo moralmente; o, per dirla con 
parole diverse, sarebbero stati indotti a scambiare il mondo come 
avrebbero voluto fosse con il mondo come effettivamente era. 
Quindi, in seno alla filosofia, coesistono promiscuamente due 
orientamenti: uno che tenta o pretende di conoscere il mondo, l’altro 
che intende indicarci principi etici e norme morali. I problemi 
nascerebbero però solo dal fatto che queste due parti così diverse non 
sono state abbastanza distinte.  
Invece altri problemi nascono  anche perché lo stesso Russell ( e 
questo è il sospetto che cercherò di avvalorare o di smontare) confonde 
in varie maniere ed in varie occasioni quelle due inclinazioni naturali 
della filosofia, distinguendole  programmaticamente, ma complicandole 
e mescolandole nei fatti. 
Comunque, nel 1948, in maniera molto più implicita e indiretta   
( tre anni più tardi della pubblicazione della  Storia della filosofia 
                                                          
3
  Ivi, p. 794. 
 9
occidentale ) , scrivendo intorno al problema del peccato e del libero 
arbitrio, Russell avrebbe affermato che “ se da una parte, in quanto 
filosofo, ritengo che il principio della causalità possa essere messo in 
dubbio, ritengo che sia un elemento indispensabile nelle azioni 
concrete. In merito alle questioni pratiche dobbiamo supporre che i 
nostri desideri abbiano delle cause, ed i nostri principi etici debbono 
essere conformi a questo principio. “ 
4
  
Quindi, una cosa è la conoscenza di fatti ( entro la quale il 
principio di causalità comunque opera, seppure soltanto come principio 
regolativo) e altra cosa è l’etica ( dove esso va presupposto 
rigorosamente ): come è evidente, la cosiddetta  “ legge di Hume “, tesa 
a separare etica e conoscenza, trova qui un’applicazione puntuale.
5
 
Ma c’è di più: la scienza, oltre a non poterci dare alcuna 
conoscenza etica, è al tempo stesso del tutto estranea agli esiti, 
giudicabili però eticamente, di certe azioni rese possibili solo da certe 
conoscenze.  
Ora, siccome l’etica dovrebbe fornire principi che dovrebbero 
poi tradursi in norme morali che guidino e giudichino l’agire; e siccome 
molto dell’agire umano è reso possibile dal possedere o no determinate 
conoscenze, tra etica e conoscenza si stabilisce una convergenza che, 
paradossalmente, diventa divario: l’agire umano si serve di cognizioni 
fornite dalla scienza o dalla conoscenza in genere, senza che queste 
ultime possano dire alcunché dei fini e degli esiti di quello stesso agire. 
A tale proposito Russell si è espresso in modo decisamente 
icastico ed eloquente quando ha scritto che gli scopi ( ossia i fini 
eticamente proponibili e giudicabili ) non possono essere determinati 
dalla scienza. Infatti, “ se desidero andare in un certo posto, un orario 
ferroviario è utile; se il mio scopo è di visitare una vecchia zia o di 
uccidere un uomo da cui aspetto un’eredità, l’orario ferrorviario mi 
                                                          
4
  B. Russell, Dio e la religione, Roma, Newton Compton, 1994, p.249. 
5
  Come si vedrà, però, l’applicazione di questa  legge resta più un fatto programmatico ed esigenziale, 
che non sostanziale ed effettivo.  
 10
aiuterà ugualmente, [ poiché ] la scienza è neutra dal punto di vista 
etico.”
6
 
Nel 1935, nel suo scritto Religione e scienza, ossia circa dieci 
anni prima rispetto ai tempi della pubblicazione dello scritto da cui 
l’ultima citazione è tratta, in modo del tutto esplicito Russell aveva già 
concluso fermamente che, “ mentre è vero che la scienza non può 
decidere su problemi di valore, ciò è dovuto al fatto che tali problemi 
non possono essere affatto decisi intellettualmente e stanno fuori del 
regno della verità e dell’errore. Quale che sia la conoscenza 
raggiungibile, essa deve essere raggiunta con metodi scientifici e 
l’umanità non può sapere quello che la scienza non può scoprire. “ 
7
  
Ma visto che non ci è dato di sapere niente che non sia 
conoscibile attraverso la scienza; e visto che la scienza è eticamente 
neutra, come e per quale tramite si potrà giungere ad una conoscenza 
etica ? Inoltre, di conoscenza etica si può ancora parlare ? Se sì, in 
quali contesti e con quali regole e limitazioni ? Se no, sarà forse 
l’espressione interpretazione etica quella più corretta e propria per 
definire tutto ciò che, eticamente, le culture umane in tutti i loro livelli, 
dai pregiudizi popolari alle sofisticate disquisizioni filosofiche, hanno 
da sempre creduto, suggerito, imposto, auspicato o sognato ? 
Ecco una bella serie di domande alle quali, in qualche modo, si 
tenterà di dare una risposta, seppure in maniera non sistematica e 
spesso incidentale. 
Il regno della verità e dell’errore, regno il cui controllo è di 
esclusiva competenza della scienza e della conoscenza, quindi non sta 
sotto la sovranità dell’etica ( evito avvedutamente di parlare di 
conoscenza etica ), perché ad essa non compete sapere o indagare se 
una data proposizione è vera o falsa, oppure se è o non è corrispondente 
ad una realtà empirico-oggettiva. 
                                                          
6
  B. Russell, “ Condotta umana e valori “, in  A. Pasquinelli ( a cura di ), Il Neoempirismo, Torino, 
Utet, 1969, p. 190. 
7
 B.Russell, Religione e scienza, Firenze, La Nuova Italia, 1951, p.204. 
 11
Solo la scienza ci fa conoscere quello che con certezza e 
oggettività può essere , solo la scienza ha quest’onere, questa virtù e 
questo limite.  
Invece, tutto ciò che riguarda l’etica “ non contiene 
dichiarazioni, vere o false, ma consiste di desideri “ 
8
 ; ed i desideri ci 
inducono ad attribuire valore a ciò che li asseconda ed a ciò cui essi 
tendono, ma non a qualche fatto che rimarrebbe tale ( oggettivamente 
tale ) pur se essi fossero diversi. 
In altri termini, dunque, si potrebbe riassumere provvisoriamente 
la questione con il concedere alla conoscenza intesa in senso stretto e 
proprio ( la scienza ) il legittimo ed esclusivo uso dei verbi 
all’indicativo ( in proposizioni assertive del tipo: è così; non è così; 
sarà o non sarà così) e all’etica il legittimo ed esclusivo uso dei verbi 
in forma ottativa ( in proposizioni non assertive del tipo : dovrebbe 
essere così; vorrei fosse così; mi piacerebbe fosse così ); dando però 
per necessariamente scontata l’accettazione di una sorta di relativismo 
etico e l’adesione all’ammonimento humeano vòlto alla separazione di 
valori e conoscenza.
9
 
Questa impostazione soggettivistica dei valori è fatta propria 
anche da Mario Dal Pra il quale, in un suo articolo relativo al pensiero 
di Russell, afferma perentoriamente che “ il giudizio dichiarativo della 
scienza e della conoscenza non ha nulla a che vedere col giudizio etico 
o desiderativo che accompagna l’atteggiamento pratico dell’uomo. 
L’etica come studio rivolto appunto a trasferire l’atteggiamento pratico 
dalla matrice soggettiva all’ambito dell’intersoggettività non ha alcun 
riguardo al vero ed al falso, al più o al meno probabile; e il conflitto fra 
due o più persone che non concordino nei loro atteggiamenti non è 
affatto un conflitto di verità, quanto soltanto un conflitto di gusti e di 
desideri. Per questo, sul terreno dell’etica non c’è luogo a 
                                                          
8
 Ivi., p. 199. 
9
 Cfr. B.Russell, “ Condotta umana e valori”, in  A.Pasquinelli ( a cura di ), op. cit.,  pp.181-205. 
 12
dimostrazione, non c’è strumento formalmente idoneo a superare 
quell’ambito di soggettività da cui si parte.” 
10
 
Con altrettanta chiarezza, anche Michele Di Francesco ribadisce 
che “ quando si tratta di questioni fondamentali dell’etica non è infatti 
possibile organizzare un’argomentazione teoretica, [ perché ciò che 
concerne la verità non concerne i giudizi etici; ] e in questa mancanza 
di una dimensione cognitiva di pretesa di verità l’etica si distacca in 
maniera essenziale da scienza e filosofia.” 
11
  
Quali e quante complicazioni scaturiscano da questa situazione 
tripartita tra scienza, filosofia ed etica, si tenterà di discuterle nel 
paragrafo successivo. 
Altri riferimenti alla divaricazione tra etica e conoscenza si 
trovano solo sporadicamente e incidentalmente nella bibliografia 
relativa a Russell, ma non presentano aspetti abbastanza interessanti 
tanto da dover essere menzionati, non trattandosi d’altro che di cenni 
riepilogativi delle convinzioni russelliane in proposito.
12
 
 
Stabiliti a questo punto sommariamente i termini della questione 
all’oggetto di questa tesi, è ora il caso di provare a capire ciò che 
Russell ha inteso per filosofia, ed è necessario farlo essenzialmente per 
due motivi: il primo riguarda il fatto che nella filosofia coabitano 
promiscuamente etica e teorie della conoscenza, convinzioni su come è 
la realtà e desideri su come vorremmo che fosse ( quindi proprio quello 
che qui più  interessa ); il secondo motivo riguarda invece il fatto che la 
professata separazione programmatica tra etica e conoscenza e la sua 
mescolanza sostanziale nel pensiero russelliano, stanno in diretta 
connessione con la sua controversa concezione della conoscenza 
                                                          
10
 M.Dal Pra, ” Sul rapporto fra teoria e prassi nel pensiero di Russell”, Rivista critica di storia della 
filosofia, F.2, A. VIII, 1953, p.285. 
11
 M.Di Francesco, Introduzione a Russell, Bari, Laterza, 1990, p.140. 
12
 Si veda comunque: E.Riverso, Il pensiero di B.Russell, Napoli, Libreria scientifica editrice, 1972, 
pp. 280-281; A.Wood, op.cit., p. 265. 
 13
filosofica ( quindi della filosofia e della conoscenza intese anche 
separatamente ) . 
 
 
 14
LO STATUS EPISTEMOLOGICO DELLA FILOSOFIA 
 
 
A Russell non hanno certo mai fatto difetto delle spiccate 
attitudini ad affrontare le varie tematiche nella loro massima generalità. 
Quale filosofo e scienziato, egli non si è mai sottratto al dovere e 
all’inclinazione di tentare di capire cosa fossero la filosofia e la scienza 
nel loro significato più ampio ed originario, nonché nelle loro 
implicazioni etiche, sociali e politiche.  
A ciò  è stato forse indotto anche dal fatto che la sua controversa 
ma pluridecennale notorietà, diffusasi nel mondo a lui contemporaneo, 
lo assecondava continuamente in questa sua spiccata virtù di dover, 
anche e soprattutto divulgativamente, dire la sua in relazione alle grandi 
questioni che avevano per oggetto l’umanità, il destino di essa e di tutto 
quanto, culturalmente, socialmente e politicamente, l’uomo aveva 
prodotto e continuava a produrre. 
Il ruolo, il significato ed il valore della conoscenza umana e di 
quanto in essa potesse esser certo e vero, è stato uno dei temi più 
faticosamente indagati da Russell; la filosofia, in questo senso, intesa 
come una parte dopo tutto cospicua dell’intero edificio eretto dall’uomo 
occidentale nel corso dei secoli, nel suo tentativo di interpretare e di 
conoscere il mondo, è stata quindi spesso vista, come fenomeno 
complessivo, nelle sue relazioni con le altre forme umane di 
metabolizzazione intellettuale e spirituale della realtà. 
Qualcuno ha imputato alla visione russelliana della filosofia una 
mancanza di chiarezza
13
, trovandosi a recensire la sua Storia della 
filosofia occidentale, ma io credo invece che l’opinione di Russell 
riguardo alla natura della filosofia ed al posto che essa occupa tra le 
altre forme di espressione dell’animo e dell’intelletto umani sia, almeno 
                                                          
13
 Cfr. F.Cafaro, “La storia della filosofia di B.Russell”, Rivista di storia della filosofia, n°3, 1948, 
p.61. 
 15
limitatamente a quello che ne deriva da questo suo scritto, quasi 
esaustiva. In  altre  parole, mi  pare  non  ci sia niente di poco chiaro 
nel  fatto  che  Russell  affermi  esplicitamente  ed  esaustivamente: “ la 
filosofia, nel senso in cui io intenderò la parola, è qualcosa di mezzo tra 
la teologia e la scienza. Come la teologia, si fonda su speculazioni che 
non hanno finora portato a conoscenze definite; come la scienza, si 
appella alla ragione umana piuttosto che alla autorità, sia quella della 
tradizione che quella della rivelazione; tutte le nozioni definite, direi, 
appartengono alla scienza; tutto il dogma, cioè quanto supera le nozioni 
definite, appartiene alla teologia. Ma tra la teologia e la scienza esiste 
una Terra di Nessuno, esposta agli attacchi di entrambe le parti; questa 
terra di nessuno è la filosofia.” 
14
 
Credo che aver sottolineato la condizione intermedia e la natura  
ibrida della conoscenza filosofica significhi averne fornito una 
spiegazione decisamente soddisfacente e calzante, specialmente se si 
voglia far riferimento al significato della presenza e della 
sopravvivenza della filosofia nel mondo a noi contemporaneo. Ma 
averla definita in questo modo, significa pure averla messa al riparo 
dalla possibilità di destituirla del tutto dalle proprie prerogative, senza  
ritenerla ormai del tutto inutile e inconcludente. 
Non è detto infatti che tutto ciò che non sia scienza e che non 
conduca ad esiti conoscitivi altrettanto certi e verificabili, sia da 
rigettare; così come non è detto che sia da accantonare una qualsiasi 
modalità interpretativa del mondo che non abbia implicazioni pratiche e 
tangibili. 
Lo stesso Russell, in I problemi della filosofia,  pubblicati più di 
un trentennio prima della Storia della filosofia occidentale, aveva già 
ammonito che “ è tanto più necessario esaminare la questione in quanto 
molti, sotto l’influsso della scienza o di affari pratici, sono inclini a 
dubitare che la filosofia sia qualcosa di meglio che un discorrere, 
                                                          
14
 B.Russell, Storia della filosofia occidentale, p.13. 
 16
innocuo ma inutile, di cose insignificanti, e sia fatta di distinzioni 
sottili per spaccare un capello in due, e di controversie su argomenti 
riguardo ai quali nessuna conoscenza è possibile.” 
15
 
Che la filosofia non abbia alcuna utilità, è vero; ma che tutto ciò 
che non ha utilità ( pratica ) non abbia neanche valore, ci fa intendere 
Russell, non è altrettanto vero. 
L’uomo, quell’uomo che il nostro filosofo non ha mai smesso di 
auspicare e di sognare, non dovrebbe essere solo interessato ai bisogni 
materiali, ma dovrebbe anche alimentare la propria mente, nutrendola di 
conoscenza, e riservandole anche spazi puramente e solamente 
contemplativi.  
Non a caso, “ la filosofia mira in primo luogo alla conoscenza. E 
la conoscenza a cui essa mira è il genere di conoscenza che dà unità ed 
ordine all’insieme delle scienze; il genere che risulta dall’esame critico 
dei fondamenti delle nostre convinzioni, pregiudizi e credenze.” 
16
  
E seppure in questo suo sforzo essa non abbia fornito soluzioni 
definitive ai problemi che ha posto,  ciò non va precisato a suo 
detrimento, perché proprio questa sua inconcludenza ( più 
benevolmente  definita da Russell incertezza
17
 ) è connaturata alla 
filosofia. Infatti, “ i problemi a cui si può già dare una risposta precisa 
fanno parte delle scienze, mentre solo quelli che al momento non 
possono avere risposta rimangono a formare quel rediduo che viene 
chiamato filosofia. “ 
18
 Ma proprio tali quesiti sono assolutamente 
irrinunciabili per l’intelletto umano e, della loro importanza, la scienza 
non può renderne  conto né spiegazione; essi riguardano questioni sì 
indecidibili con definitiva ed oggettiva certezza, ma comunque 
essenziali: “ l’universo ha una qualsiasi unità di disegno o di scopo, 
oppure è un fortuito convergere di atomi ? La coscienza  è una parte 
                                                          
15
 B.Russell, I problemi della filosofia, Milano, Feltrinelli, 1980, p.181. 
16
 Ivi, p. 183. 
17
 Ivi, p. 185. 
18
 Ivi, p. 183. In proposito si veda, tra l’altro, anche B.Russell, B.Russell dice la sua, Milano, 
Longanesi, 1968, pp. 9-12. 
 17
permanente dell’universo, tale da darci la speranza che la saggezza 
debba crescere indefinitivamente, oppure è un accidente transitorio su 
un piccolo pianeta sul quale la vita finirà per diventare impossibile ? Il 
bene ed  il  male  hanno  importanza  per  l’universo  o  solo  per 
l’uomo ?[…] Per quanto debole possa essere la speranza di trovare una 
risposta, fa parte del compito della filosofia continuare ad esaminare 
queste domande, renderci consapevoli della loro importanza, studiare 
tutti i modi di affrontarle, e tener vivo quell’interesse speculativo che si 
spegnerebbe se ci confinassimo nella conoscenza di ciò che si può 
accertare con precisione.” 
19
  
           Credere invece che altra conoscenza degna di rispetto e di 
attenzione non ci sia oltre quella certa, precisa e verificabile, è stato ad 
esempio il grande miraggio inseguito con presunzione da alcuni 
esponenti del Neopositivismo e da alcuni frequentatori del Circolo di 
Vienna, frettolosi e troppo entusiasti seguaci devoti di quelle verità di 
fatto che, nel bilancio complessivo del complicatissimo  universo 
intellettuale umano, non occupano quantitativamente, e forse anche 
qualitativamente, una posizone di vertice. 
          Le grandi e irrisolte domande intorno al senso dell’universo e 
dell’uomo, ed  i mai eludibili quesiti teleologici,  sono invece quanto di 
più importante l’uomo abbia da millenni, in vari modi, indagato: essi 
non possono essere ignorati senza che ci si condanni all’ignoranza ed 
all’infima e misera condizione della più pigra e miope acquiescenza 
intellettuale al senso comune ed alle apparenze ( uso il termine 
apparenza con un’accezione del tutto generica, volendomi riferire a 
tutto ciò che il senso comune dà sbrigativamente per certo, senza 
dubitare almeno un pò dell'esistenza di ipotesi diverse o contrarie meno 
evidenti; in altre parole, con esso non intendo assolutamente tirare in 
ballo questioni ontologiche e metafisiche, relativamente alla realtà o 
meno di tutto ciò che percepiamo ). 
                                                          
19
 Ivi, p. 184.