4
distinguendo gli aspetti etico-politici da quelli gnoseologico-
epistemologici della attività filosofica di Russell.
Anzi, proprio nel tentativo di superare i limiti di certe
ripartizioni schematiche o di certe semplicistiche etichette, che appunto
non valgono più di approssimazioni didascaliche, è stato pensato questo
studio sommario di una non esigua parte del pensiero russelliano.
Si è trattato infatti di provare a cogliere le eventuali connessioni,
volontarie o involontarie, consapute o inconsapute che siano, tra la
teoria della conoscenza di Russell, scandagliata negli aspetti
epistemologici generali e non in quelli propriamente logici, e le sue
convinzioni etiche, ispirate dal convincimento di humeana memoria
che, valori e conoscenza, e quindi etica e conoscenza, debbano restare
separati.
Più precisamente, però, il termine contraddizione e l’attributo
contraddittorio non saranno intesi secondo la corrente accezione
negativa ( accezione che allude ad una mancanza di coerenza e ad
un’inconcludenza di fondo degli esiti conoscitivi ), perché ritengo che
una delle prerogative della filosofia che le possa far vantare ancora un
suo diritto di cittadinanza e di sopravvivenza nella conoscenza umana,
sia quella aporetica .
Se resta ancora qualche punto di contatto tra arte e filosofia, tra
il poeta ed il filosofo, esso sta lungo quella zona in cui si
sovrappongono le premesse e gli esiti di queste due modalitità
ermeneutiche dell’uomo di ogni tempo: in quella zona, la meraviglia di
aristotelica memoria ed il fanciullino pascoliano in qualche modo si
incontrano, pur attingendo e giungendo a linguaggi del tutto diversi.
Del resto, il derogare del filosofo dalle convenzioni del senso
comune, il suo tentativo di trascendere i particolari alla ricerca di
vagheggiati universali, sono nel poeta quel suo superamento della
disattenzione dell’uomo comune, della sua miopia nei confronti di tutte
quelle sfumature e di tutti quegli accadimenti quotidiani, normalmente
5
non universalizzati nei loro significati e nelle loro implicazioni
generali.
Ora, benché questo lavoro non voglia essere un’apologia della
metafisica, né un elogio dell’aporia o una professione di antiscientismo
e di antidogmatismo; e benché qui si stia parlando di Russell, per
quanto magari non sembri a prima vista, è opportuno chiarire che il
nostro filosofo c’entra anche con il discorso appena sopra accennato: la
sua personalità filosofica infatti, così poliedrica e forse anche
inconclusa, in qualche modo chiama in causa la grande questione di
fondo della natura e della legittimità della filosofia in relazione alle
altre forme di interpretazione della realtà e del mondo
A tale proposito, da un punto di vista anche soltanto
terminologico, sarebbe preferibile usare con avvedutezza e parsimonia
il termine conoscenza, poiché esso è stato uno dei più contesi nella
storia della filosofia, tanto che lo si può intendere in modi molto diversi
tra loro, a seconda dei tramiti usati per acquisire cognizioni e degli esiti
conoscitivi ottenuti.
Del resto, non basterebbe neanche provare a stabilire
preliminarmente quale sia il senso che da questo punto in poi si
vorrebbe dare ad un tale termine, perché esso si porta dietro questioni
assolutamente irresolvibili in questa sede, questioni che riguardano i
concetti di verità e di significato, con implicazioni ontologiche che
oltrepassano di molto la logica e la filosofia del linguaggio ( e che
oltretutto non sono, fortunatamente, all’oggetto di questa tesi ).
Così cercherò di far meno uso possibile di tale termine in ambiti
in cui esso possa essere controvertibile; usandolo però, cercherò
comunque di accompagnarlo con qualche altra indicazione che ne
giustifichi il riferimento in quel contesto, pur non potendo con ciò
servirmene che con una buona dose di consaputa approssimazione .
6
Per quanto riguarda poi l’impianto strutturale di questa tesi,
credo che esso possa essere più facilmente esposto dall’indice e non da
questa specie di premessa: quindi taccio in proposito.
Invece, allo scopo di predisporre una sorta di auto-
giustificazione preventiva, e con il dichiarato scopo di tentare una
captatio benevolentiae, avverto subito che da questo studio è stato
volutamente tenuto fuori, sia ogni intento sistematico, sia la possibilità
di ordire articolati e specifici confronti con altri filosofi ( precedenti o
contemporanei a Russell ), nonché la considerazione degli aspetti
propriamente logico-matematici e pedagogici del pensiero russelliano.
A discolpa di ciò, adduco le seguenti motivazioni: a) l’impianto
non sistematico di questo lavoro è stato, più che deciso
programmaticamente, imposto dal costume stesso della filosofia di
Russell e dal mio modo di ragionare ( aspetti, questi, entrambi del tutto
avulsi dal pregio/difetto della sistematicità ); b) la scelta di evitare un
confronto tra alcuni aspetti della filosofia russelliana e quelli di altri
filosofi, mi è stata opportunamente, e pietosamente, consigliata da
considerazioni di umiltà e d’amor proprio, non potendomi condannare
ad un lavoro troppo più grande di me; c) l’esclusione delle questioni
logico-matematiche è stata suggerita, o meglio, imposta, dalla mia
completa inettitudine in materia; d) infine, la mancata trattazione del
pensiero pedagogico russelliano, è derivata, oltre che dalla convinzione
della sua sostanziale inessenzialità rispetto all’oggetto di questa tesi,
anche dal bisogno, del tutto umano, di porre un limite alle mie velleità
( nonché alle mie fatiche ).
In compenso, spero che gli esiti raggiunti da questo lavoro
abbiano per lo meno la virtù di saper presentare le questioni in modo
quasi sinottico e con una buona dose di trasversalità.
7
IL PROBLEMA DELLA SEPARAZIONE
TRA ETICA E CONOSCENZA IN RUSSELL
Più volte ed in modo variamente esplicito Russell allude, o fa
chiaramente riferimento, alla separazione ed alla distinzione tra i valori
etici e la conoscenza umana del mondo e della realtà.
Non a caso egli esordisce, nella sua Storia della filosofia
occidentale, affermando convinzioni abbastanza illuminanti in
proposito:” Le concezioni del mondo e della vita che chiamiamo
filosofiche sono il prodotto di due fattori: uno inerente alle condizioni
religiose ed etiche; l’altro a quel genere di ricerche che si può chiamare
scientifico, usando questa parola nel senso più largo. I filosofi
differiscono largamente l’uno dall’altro per il grado di maggiore o
minore influenza che questi due fattori hanno nel loro sistema, ma è la
presenza di entrambi in un grado qualsiasi che caratterizza la
filosofia.”
2
Secondo le sue stesse indicazioni, Russell potrebbe assumere
quindi i connotati del filosofo in senso pieno, essendo egli certamente
un pensatore in cui gli aspetti etico-morali e quelli scientifici
coesistono e coabitano in maniera più o meno armoniosa e con gradi di
intensità variabili, a seconda dei diversi periodi della sua ricca vicenda
esistenziale e filosofica.
Altrettanto facile non sarebbe però stabilire come e quanto il
nostro filosofo differisca dagli altri, proprio in relazione alla
commistione degli elementi etici e scientifici intesi secondo una
prospettiva quantitativa.
Fatto sta però che Russell, proprio nelle ultime pagine della
medesima opera, torna sull’argomento in maniera ancora più esplicita
ed articolata; infatti, in quell’occasione ci tiene a ricordare ed a
2
B.Russell, Storia della filosofia occidentale, Milano, Tea, 1991, p.13.
8
precisare che esiste un ambito, in seno alla filosofia, in cui la scienza
non si mostra capace di dare risposte esaustive, anche se esso
“ comprende questioni di fondamentale importanza; [ poiché ] la sola
scienza, per esempio, non può dimostrare che sia cosa cattiva godere
nell’infliggere crudeli pene.
Tutto ciò che si può sapere, si può sapere per mezzo della
scienza; ma ciò che è legittimamente materia di sentimento resta al di
fuori del suo terreno.
La filosofia, nel corso di tutta la sua storia, è consistita in due
parti, disarmonicamente mescolate: da un lato una teoria intorno alla
natura del mondo, dall’altro una dottrina etica e politica intorno alla
miglior maniera di vivere. Il non aver distinto le due cose con
sufficiente chiarezza è stato all’origine di molte confusioni.”
3
A tal proposito, Russell cita poi come esempi Platone e William
James i quali, appunto, avrebbero confuso la loro conoscenza del
mondo con i propri desideri di elevarlo moralmente; o, per dirla con
parole diverse, sarebbero stati indotti a scambiare il mondo come
avrebbero voluto fosse con il mondo come effettivamente era.
Quindi, in seno alla filosofia, coesistono promiscuamente due
orientamenti: uno che tenta o pretende di conoscere il mondo, l’altro
che intende indicarci principi etici e norme morali. I problemi
nascerebbero però solo dal fatto che queste due parti così diverse non
sono state abbastanza distinte.
Invece altri problemi nascono anche perché lo stesso Russell ( e
questo è il sospetto che cercherò di avvalorare o di smontare) confonde
in varie maniere ed in varie occasioni quelle due inclinazioni naturali
della filosofia, distinguendole programmaticamente, ma complicandole
e mescolandole nei fatti.
Comunque, nel 1948, in maniera molto più implicita e indiretta
( tre anni più tardi della pubblicazione della Storia della filosofia
3
Ivi, p. 794.
9
occidentale ) , scrivendo intorno al problema del peccato e del libero
arbitrio, Russell avrebbe affermato che “ se da una parte, in quanto
filosofo, ritengo che il principio della causalità possa essere messo in
dubbio, ritengo che sia un elemento indispensabile nelle azioni
concrete. In merito alle questioni pratiche dobbiamo supporre che i
nostri desideri abbiano delle cause, ed i nostri principi etici debbono
essere conformi a questo principio. “
4
Quindi, una cosa è la conoscenza di fatti ( entro la quale il
principio di causalità comunque opera, seppure soltanto come principio
regolativo) e altra cosa è l’etica ( dove esso va presupposto
rigorosamente ): come è evidente, la cosiddetta “ legge di Hume “, tesa
a separare etica e conoscenza, trova qui un’applicazione puntuale.
5
Ma c’è di più: la scienza, oltre a non poterci dare alcuna
conoscenza etica, è al tempo stesso del tutto estranea agli esiti,
giudicabili però eticamente, di certe azioni rese possibili solo da certe
conoscenze.
Ora, siccome l’etica dovrebbe fornire principi che dovrebbero
poi tradursi in norme morali che guidino e giudichino l’agire; e siccome
molto dell’agire umano è reso possibile dal possedere o no determinate
conoscenze, tra etica e conoscenza si stabilisce una convergenza che,
paradossalmente, diventa divario: l’agire umano si serve di cognizioni
fornite dalla scienza o dalla conoscenza in genere, senza che queste
ultime possano dire alcunché dei fini e degli esiti di quello stesso agire.
A tale proposito Russell si è espresso in modo decisamente
icastico ed eloquente quando ha scritto che gli scopi ( ossia i fini
eticamente proponibili e giudicabili ) non possono essere determinati
dalla scienza. Infatti, “ se desidero andare in un certo posto, un orario
ferroviario è utile; se il mio scopo è di visitare una vecchia zia o di
uccidere un uomo da cui aspetto un’eredità, l’orario ferrorviario mi
4
B. Russell, Dio e la religione, Roma, Newton Compton, 1994, p.249.
5
Come si vedrà, però, l’applicazione di questa legge resta più un fatto programmatico ed esigenziale,
che non sostanziale ed effettivo.
10
aiuterà ugualmente, [ poiché ] la scienza è neutra dal punto di vista
etico.”
6
Nel 1935, nel suo scritto Religione e scienza, ossia circa dieci
anni prima rispetto ai tempi della pubblicazione dello scritto da cui
l’ultima citazione è tratta, in modo del tutto esplicito Russell aveva già
concluso fermamente che, “ mentre è vero che la scienza non può
decidere su problemi di valore, ciò è dovuto al fatto che tali problemi
non possono essere affatto decisi intellettualmente e stanno fuori del
regno della verità e dell’errore. Quale che sia la conoscenza
raggiungibile, essa deve essere raggiunta con metodi scientifici e
l’umanità non può sapere quello che la scienza non può scoprire. “
7
Ma visto che non ci è dato di sapere niente che non sia
conoscibile attraverso la scienza; e visto che la scienza è eticamente
neutra, come e per quale tramite si potrà giungere ad una conoscenza
etica ? Inoltre, di conoscenza etica si può ancora parlare ? Se sì, in
quali contesti e con quali regole e limitazioni ? Se no, sarà forse
l’espressione interpretazione etica quella più corretta e propria per
definire tutto ciò che, eticamente, le culture umane in tutti i loro livelli,
dai pregiudizi popolari alle sofisticate disquisizioni filosofiche, hanno
da sempre creduto, suggerito, imposto, auspicato o sognato ?
Ecco una bella serie di domande alle quali, in qualche modo, si
tenterà di dare una risposta, seppure in maniera non sistematica e
spesso incidentale.
Il regno della verità e dell’errore, regno il cui controllo è di
esclusiva competenza della scienza e della conoscenza, quindi non sta
sotto la sovranità dell’etica ( evito avvedutamente di parlare di
conoscenza etica ), perché ad essa non compete sapere o indagare se
una data proposizione è vera o falsa, oppure se è o non è corrispondente
ad una realtà empirico-oggettiva.
6
B. Russell, “ Condotta umana e valori “, in A. Pasquinelli ( a cura di ), Il Neoempirismo, Torino,
Utet, 1969, p. 190.
7
B.Russell, Religione e scienza, Firenze, La Nuova Italia, 1951, p.204.
11
Solo la scienza ci fa conoscere quello che con certezza e
oggettività può essere , solo la scienza ha quest’onere, questa virtù e
questo limite.
Invece, tutto ciò che riguarda l’etica “ non contiene
dichiarazioni, vere o false, ma consiste di desideri “
8
; ed i desideri ci
inducono ad attribuire valore a ciò che li asseconda ed a ciò cui essi
tendono, ma non a qualche fatto che rimarrebbe tale ( oggettivamente
tale ) pur se essi fossero diversi.
In altri termini, dunque, si potrebbe riassumere provvisoriamente
la questione con il concedere alla conoscenza intesa in senso stretto e
proprio ( la scienza ) il legittimo ed esclusivo uso dei verbi
all’indicativo ( in proposizioni assertive del tipo: è così; non è così;
sarà o non sarà così) e all’etica il legittimo ed esclusivo uso dei verbi
in forma ottativa ( in proposizioni non assertive del tipo : dovrebbe
essere così; vorrei fosse così; mi piacerebbe fosse così ); dando però
per necessariamente scontata l’accettazione di una sorta di relativismo
etico e l’adesione all’ammonimento humeano vòlto alla separazione di
valori e conoscenza.
9
Questa impostazione soggettivistica dei valori è fatta propria
anche da Mario Dal Pra il quale, in un suo articolo relativo al pensiero
di Russell, afferma perentoriamente che “ il giudizio dichiarativo della
scienza e della conoscenza non ha nulla a che vedere col giudizio etico
o desiderativo che accompagna l’atteggiamento pratico dell’uomo.
L’etica come studio rivolto appunto a trasferire l’atteggiamento pratico
dalla matrice soggettiva all’ambito dell’intersoggettività non ha alcun
riguardo al vero ed al falso, al più o al meno probabile; e il conflitto fra
due o più persone che non concordino nei loro atteggiamenti non è
affatto un conflitto di verità, quanto soltanto un conflitto di gusti e di
desideri. Per questo, sul terreno dell’etica non c’è luogo a
8
Ivi., p. 199.
9
Cfr. B.Russell, “ Condotta umana e valori”, in A.Pasquinelli ( a cura di ), op. cit., pp.181-205.
12
dimostrazione, non c’è strumento formalmente idoneo a superare
quell’ambito di soggettività da cui si parte.”
10
Con altrettanta chiarezza, anche Michele Di Francesco ribadisce
che “ quando si tratta di questioni fondamentali dell’etica non è infatti
possibile organizzare un’argomentazione teoretica, [ perché ciò che
concerne la verità non concerne i giudizi etici; ] e in questa mancanza
di una dimensione cognitiva di pretesa di verità l’etica si distacca in
maniera essenziale da scienza e filosofia.”
11
Quali e quante complicazioni scaturiscano da questa situazione
tripartita tra scienza, filosofia ed etica, si tenterà di discuterle nel
paragrafo successivo.
Altri riferimenti alla divaricazione tra etica e conoscenza si
trovano solo sporadicamente e incidentalmente nella bibliografia
relativa a Russell, ma non presentano aspetti abbastanza interessanti
tanto da dover essere menzionati, non trattandosi d’altro che di cenni
riepilogativi delle convinzioni russelliane in proposito.
12
Stabiliti a questo punto sommariamente i termini della questione
all’oggetto di questa tesi, è ora il caso di provare a capire ciò che
Russell ha inteso per filosofia, ed è necessario farlo essenzialmente per
due motivi: il primo riguarda il fatto che nella filosofia coabitano
promiscuamente etica e teorie della conoscenza, convinzioni su come è
la realtà e desideri su come vorremmo che fosse ( quindi proprio quello
che qui più interessa ); il secondo motivo riguarda invece il fatto che la
professata separazione programmatica tra etica e conoscenza e la sua
mescolanza sostanziale nel pensiero russelliano, stanno in diretta
connessione con la sua controversa concezione della conoscenza
10
M.Dal Pra, ” Sul rapporto fra teoria e prassi nel pensiero di Russell”, Rivista critica di storia della
filosofia, F.2, A. VIII, 1953, p.285.
11
M.Di Francesco, Introduzione a Russell, Bari, Laterza, 1990, p.140.
12
Si veda comunque: E.Riverso, Il pensiero di B.Russell, Napoli, Libreria scientifica editrice, 1972,
pp. 280-281; A.Wood, op.cit., p. 265.
13
filosofica ( quindi della filosofia e della conoscenza intese anche
separatamente ) .
14
LO STATUS EPISTEMOLOGICO DELLA FILOSOFIA
A Russell non hanno certo mai fatto difetto delle spiccate
attitudini ad affrontare le varie tematiche nella loro massima generalità.
Quale filosofo e scienziato, egli non si è mai sottratto al dovere e
all’inclinazione di tentare di capire cosa fossero la filosofia e la scienza
nel loro significato più ampio ed originario, nonché nelle loro
implicazioni etiche, sociali e politiche.
A ciò è stato forse indotto anche dal fatto che la sua controversa
ma pluridecennale notorietà, diffusasi nel mondo a lui contemporaneo,
lo assecondava continuamente in questa sua spiccata virtù di dover,
anche e soprattutto divulgativamente, dire la sua in relazione alle grandi
questioni che avevano per oggetto l’umanità, il destino di essa e di tutto
quanto, culturalmente, socialmente e politicamente, l’uomo aveva
prodotto e continuava a produrre.
Il ruolo, il significato ed il valore della conoscenza umana e di
quanto in essa potesse esser certo e vero, è stato uno dei temi più
faticosamente indagati da Russell; la filosofia, in questo senso, intesa
come una parte dopo tutto cospicua dell’intero edificio eretto dall’uomo
occidentale nel corso dei secoli, nel suo tentativo di interpretare e di
conoscere il mondo, è stata quindi spesso vista, come fenomeno
complessivo, nelle sue relazioni con le altre forme umane di
metabolizzazione intellettuale e spirituale della realtà.
Qualcuno ha imputato alla visione russelliana della filosofia una
mancanza di chiarezza
13
, trovandosi a recensire la sua Storia della
filosofia occidentale, ma io credo invece che l’opinione di Russell
riguardo alla natura della filosofia ed al posto che essa occupa tra le
altre forme di espressione dell’animo e dell’intelletto umani sia, almeno
13
Cfr. F.Cafaro, “La storia della filosofia di B.Russell”, Rivista di storia della filosofia, n°3, 1948,
p.61.
15
limitatamente a quello che ne deriva da questo suo scritto, quasi
esaustiva. In altre parole, mi pare non ci sia niente di poco chiaro
nel fatto che Russell affermi esplicitamente ed esaustivamente: “ la
filosofia, nel senso in cui io intenderò la parola, è qualcosa di mezzo tra
la teologia e la scienza. Come la teologia, si fonda su speculazioni che
non hanno finora portato a conoscenze definite; come la scienza, si
appella alla ragione umana piuttosto che alla autorità, sia quella della
tradizione che quella della rivelazione; tutte le nozioni definite, direi,
appartengono alla scienza; tutto il dogma, cioè quanto supera le nozioni
definite, appartiene alla teologia. Ma tra la teologia e la scienza esiste
una Terra di Nessuno, esposta agli attacchi di entrambe le parti; questa
terra di nessuno è la filosofia.”
14
Credo che aver sottolineato la condizione intermedia e la natura
ibrida della conoscenza filosofica significhi averne fornito una
spiegazione decisamente soddisfacente e calzante, specialmente se si
voglia far riferimento al significato della presenza e della
sopravvivenza della filosofia nel mondo a noi contemporaneo. Ma
averla definita in questo modo, significa pure averla messa al riparo
dalla possibilità di destituirla del tutto dalle proprie prerogative, senza
ritenerla ormai del tutto inutile e inconcludente.
Non è detto infatti che tutto ciò che non sia scienza e che non
conduca ad esiti conoscitivi altrettanto certi e verificabili, sia da
rigettare; così come non è detto che sia da accantonare una qualsiasi
modalità interpretativa del mondo che non abbia implicazioni pratiche e
tangibili.
Lo stesso Russell, in I problemi della filosofia, pubblicati più di
un trentennio prima della Storia della filosofia occidentale, aveva già
ammonito che “ è tanto più necessario esaminare la questione in quanto
molti, sotto l’influsso della scienza o di affari pratici, sono inclini a
dubitare che la filosofia sia qualcosa di meglio che un discorrere,
14
B.Russell, Storia della filosofia occidentale, p.13.
16
innocuo ma inutile, di cose insignificanti, e sia fatta di distinzioni
sottili per spaccare un capello in due, e di controversie su argomenti
riguardo ai quali nessuna conoscenza è possibile.”
15
Che la filosofia non abbia alcuna utilità, è vero; ma che tutto ciò
che non ha utilità ( pratica ) non abbia neanche valore, ci fa intendere
Russell, non è altrettanto vero.
L’uomo, quell’uomo che il nostro filosofo non ha mai smesso di
auspicare e di sognare, non dovrebbe essere solo interessato ai bisogni
materiali, ma dovrebbe anche alimentare la propria mente, nutrendola di
conoscenza, e riservandole anche spazi puramente e solamente
contemplativi.
Non a caso, “ la filosofia mira in primo luogo alla conoscenza. E
la conoscenza a cui essa mira è il genere di conoscenza che dà unità ed
ordine all’insieme delle scienze; il genere che risulta dall’esame critico
dei fondamenti delle nostre convinzioni, pregiudizi e credenze.”
16
E seppure in questo suo sforzo essa non abbia fornito soluzioni
definitive ai problemi che ha posto, ciò non va precisato a suo
detrimento, perché proprio questa sua inconcludenza ( più
benevolmente definita da Russell incertezza
17
) è connaturata alla
filosofia. Infatti, “ i problemi a cui si può già dare una risposta precisa
fanno parte delle scienze, mentre solo quelli che al momento non
possono avere risposta rimangono a formare quel rediduo che viene
chiamato filosofia. “
18
Ma proprio tali quesiti sono assolutamente
irrinunciabili per l’intelletto umano e, della loro importanza, la scienza
non può renderne conto né spiegazione; essi riguardano questioni sì
indecidibili con definitiva ed oggettiva certezza, ma comunque
essenziali: “ l’universo ha una qualsiasi unità di disegno o di scopo,
oppure è un fortuito convergere di atomi ? La coscienza è una parte
15
B.Russell, I problemi della filosofia, Milano, Feltrinelli, 1980, p.181.
16
Ivi, p. 183.
17
Ivi, p. 185.
18
Ivi, p. 183. In proposito si veda, tra l’altro, anche B.Russell, B.Russell dice la sua, Milano,
Longanesi, 1968, pp. 9-12.
17
permanente dell’universo, tale da darci la speranza che la saggezza
debba crescere indefinitivamente, oppure è un accidente transitorio su
un piccolo pianeta sul quale la vita finirà per diventare impossibile ? Il
bene ed il male hanno importanza per l’universo o solo per
l’uomo ?[…] Per quanto debole possa essere la speranza di trovare una
risposta, fa parte del compito della filosofia continuare ad esaminare
queste domande, renderci consapevoli della loro importanza, studiare
tutti i modi di affrontarle, e tener vivo quell’interesse speculativo che si
spegnerebbe se ci confinassimo nella conoscenza di ciò che si può
accertare con precisione.”
19
Credere invece che altra conoscenza degna di rispetto e di
attenzione non ci sia oltre quella certa, precisa e verificabile, è stato ad
esempio il grande miraggio inseguito con presunzione da alcuni
esponenti del Neopositivismo e da alcuni frequentatori del Circolo di
Vienna, frettolosi e troppo entusiasti seguaci devoti di quelle verità di
fatto che, nel bilancio complessivo del complicatissimo universo
intellettuale umano, non occupano quantitativamente, e forse anche
qualitativamente, una posizone di vertice.
Le grandi e irrisolte domande intorno al senso dell’universo e
dell’uomo, ed i mai eludibili quesiti teleologici, sono invece quanto di
più importante l’uomo abbia da millenni, in vari modi, indagato: essi
non possono essere ignorati senza che ci si condanni all’ignoranza ed
all’infima e misera condizione della più pigra e miope acquiescenza
intellettuale al senso comune ed alle apparenze ( uso il termine
apparenza con un’accezione del tutto generica, volendomi riferire a
tutto ciò che il senso comune dà sbrigativamente per certo, senza
dubitare almeno un pò dell'esistenza di ipotesi diverse o contrarie meno
evidenti; in altre parole, con esso non intendo assolutamente tirare in
ballo questioni ontologiche e metafisiche, relativamente alla realtà o
meno di tutto ciò che percepiamo ).
19
Ivi, p. 184.