73
3. Il tentativo di risoluzione nei Triumphi
vorre’ ’l ver abbracciar, lassando l’ombre.
Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta 264, 72
In questo capitolo conclusivo si cercherà di rispondere al quesito
cardine di questo lavoro, argomentando circa il tentativo, riuscito o
meno, di risoluzione dei nodi di amore e fama nei Triumphi.
Ma perché la scelta proprio dei Triumphi per ricercare la soluzione
ultima dei conflitti che hanno scandito tutta l’esistenza di Petrarca? Una
prima ed abbastanza esaustiva risposta la forniscono Barbero e Terzoli
quando affermano che
I Triumphi, a cui Petrarca attese per più di vent’anni, dal 1352/56 circa fino alla
morte (1374), rappresentano in un certo senso un compendio, un’estrema
sintesi del pensiero, degli studi e delle passioni che marcarono l’esistenza del
poeta: una sorta di biografia o forse di disperato testamento intellettuale e
letterario.
170
Dunque i Triumphi, accogliendo tutti i temi e le riflessioni dell’opera
petrarchesca ed essendo stati scritti e rivisti sino alla morte del poeta,
possono essere considerati a ben ragione il campo privilegiato per
condurre un’analisi quale è quella che qui ci si propone di fare. Inoltre
Ariani dice che:
I Trionfi rispondono ad un versante dell’intelligenza petrarchesca, ad un assillo
primario e fondante, e cioè il confronto tra la propria, individuale, storia
170
Muriel Maria Stella BARBERO e Maria Antonietta TERZOLI, Breve introduzione ai
Trionfi, in I Trionfi di Petrarca. Indagini e ricognizioni, a cura di Maria Antonietta TERZOLI
e Muriel Maria Stella BARBERO, Roma, Carocci, 2020, p. 13.
74
amorosa e tutte le storie d’amore dell’antichità (e anche moderne, ma poche).
Se nel Canzoniere il romanzo è assolutamente autosignificante, nei Trionfi
vuole e deve commisurarsi ad una fantasticata mitografia erotica, ricalcarsi
sull’esemplarità dei grandi uomini e delle grandi donne, a ritagliare il margine
di eccezionalità e novità della propria, inconfondibile, storia.
171
Emerge dunque anche la volontà di validare la propria esperienza da
meramente personale a universalmente esemplare per mezzo della
rappresentazione letteraria. È «[...] un poema che si situa al confine tra
emblematica rappresentazione della condizione umana e rilettura
allegorica della propria vicenda personale»
172
.
A questo punto è lecito collocare idealmente l’opera a una tappa
successiva rispetto all’ideazione dei Fragmenta nel percorso letterario-
esistenziale di Petrarca
173
. Si tratta, tuttavia, di un’opera nella sua
struttura incompiuta, la cui stesura è stata costantemente puntellata
dalla fluctuatio degli stati d’animo del poeta: alacrità si alternò a
perplessità, urgenza di scrivere a vergogna e disgusto
174
, a probabile
testimonianza di «un ordito poematico che forse non vedeva risolto»
175
.
Ma tali ragioni non devono indurci a ignorare e a precluderci la
possibilità di riflettere e di condurre un’analisi sull’opera in quanto,
come sottolinea anche Santagata, «incompiutezza non significa
automaticamente incompletezza, o meglio, non significa che il poema
potesse ancora prestarsi a ulteriori, imprevedibili ampliamenti»
176
e,
soprattutto, «[...] nonostante gli scompensi e i difetti evidenti, i
Triumphi hanno una loro organicità»
177
. In più, sono proprio la fatica e
il tormento che hanno contraddistinto la composizione dell’opera che
171
ARIANI, Introduzione, cit., p. 19.
172
Muriel Maria Stella BARBERO e Maria Antonietta TERZOLI, Breve introduzione ai
Trionfi, in I Trionfi di Petrarca. Indagini e ricognizioni, a cura di Maria Antonietta TERZOLI
e Muriel Maria Stella BARBERO, Roma, Carocci, 2020, p. 13.
173
Inoltre: «il poema funziona da collettore di materiali fantastici che nei Fragmenta
non potevano trovare stanza», ARIANI, Commento ai Triumphi, cit., p. 253.
174
ARIANI, Introduzione, cit., pp. 5-7.
175
Ivi, p. 5.
176
SANTAGATA, Introduzione, cit., pp. XVI-XVII.
177
Ivi, p. XVIII.
75
ci danno ulteriore conferma dell’assoluta importanza dei Triumphi nella
produzione letteraria di Petrarca.
Oltre al fatto che i Trionfi costituiscono una summa dell’opera
petrarchesca e che ambiscono a una valenza universale, un altro
elemento fondamentale per ricercare in essi la risoluzione delle grandi
ossessioni petrarchesche è il fatto che essi si delineano come una sorta
di percorso sapienziale atto a condurre il poeta alla cognizione del
peccato e alla salvezza, in una prospettiva etico-religiosa, poiché il
«moto trionfale implica [dunque] un percorso finalizzato
moralmente»
178
.
Il Triumphus Eternitatis sarà qui considerato il componimento chiave
del tentativo di risoluzione dei nodi terreni petrarcheschi, in virtù del
fatto che esso è stato composto e/o revisionato fino a poco prima la
morte del poeta
179
. Infatti, all’inizio e alla fine del capitolo sono poste
due postille: «1374 dominico ante cenam 15 Ianuarii ultimus cantus» e
«dominica carnis privii 12 februarii 1374 post cenam», che testimoniano
quanto affermato. In particolare, in riferimento a quell’«ultimus cantus»
Pacca mostra come, tra le altre cose, possa essere
[...] riferimento alla natura del cigno, che secondo i bestiari affina il suo canto
in prossimità della morte [...], come forse intravisto oscuramente da
Beccadelli, p. 72: “l’anno estremo della sua vita, del 1374, compose il Trionfo
della Divinità, come quello che desiderio sentiva di parlarne, avicinandose a lei
e al rivedere la sua madonna Laura, che ricorda il cigno nel fine dolcemente
cantando”.
180
178
ARIANI, Commento ai Triumphi, cit., p. 75. Su tali ragioni cfr. anche: «Più ancora del
Canzoniere, che pure conferisce a un racconto autobiografico un valore esemplare, i
Triumphi aspirano a una dimensione universale. Come la Commedia dantesca, anch’essi
percorrono, o quanto meno intendono farlo, l’intero destino del genere umano lungo
la parabola che dalla finitezza terrestre e dalle tenaci illusioni che pure essa suscita
approda alla certezza trionfante della vita terrena», SANTAGATA, Introduzione, cit., p.
XVIII.
179
Sulla datazione del Triumphus Eternitatis v. PACCA, Commento ai Trionfi, cit., p. 508.
Inoltre, Ariani afferma che: «TE sarebbe così l’ultimo componimento poetico di P.»,
ARIANI, Commento ai Triumphi, cit., p. 381.
180
PACCA, Commento ai Trionfi, cit., pp. 508-509.
76
Il tentativo di risoluzione dei desideri terreni petrarcheschi, se c’è, è
dunque da ricercare nell’ultimo capitolo dei Triumphi, ovvero nel
Triumphus Eternitatis, appunto, in quanto in esso avviene il fine
escatologico di tutto quanto – dei labili e caduchi amore e fama in
primis. Infatti in quest’ultimo trionfo, sia il tempo che la morte, che sono
i due elementi distruttori del mondo, non esisteranno più, in quanto il
primo è ridotto a un eterno presente («Non sarà piú diviso a poco a
poco, / ma tutto inseme, e non piú state o verno, / ma morto il tempo»
181
)
e il secondo perché i corpi che aveva distrutto saranno risorti e resi
immortali
182
:
e ’l Tempo, a disfar tutto cosí presto,
e Morte, in sua ragion cotanto avara,
morti inseme seranno e quella e questo;
e quei che fama meritaron chiara,
che ’l Tempo spense, e i be’ visi leggiadri,
che ’mpallidir fe’ ’l Tempo e Morte amara,
l’oblivion, gli aspetti oscuri et adri,
piú che mai bei tornando, lascieranno
a morte impetuosa, a’ giorni ladri:
ne l’età piú fiorita e verde avranno
con immortal bellezza eterna fama.
183
In questi versi del Triumphus Eternitatis assistiamo al trionfo della
fama vera («chiara»), di chi fu virtuoso in vita e che fu vinta
provvisoriamente dal tempo, e della bellezza dei visi deturpati prima
dagli effetti tetri della morte e che nell’eternità gloriosa riacquisteranno
splendore.
Per quanto riguarda i corpi gloriosi, chiaro è il riferimento alla
dottrina paolina dei corpi così come espressa, ad esempio, in I Cor. 15,
51-53:
Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo
trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba.
181
TE, 76-78.
182
PACCA, Commento ai Trionfi, cit., p. 534.
183
TE, 124-134.
77
Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo
trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta
d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità.
184
È soprattutto da questa insistenza sulla corporeità, sulla materialità,
sulla natura terrena, che non dobbiamo mai distogliere la nostra
attenzione, in quanto essa si rivelerà centrale nell’argomentazione
finale di questo lavoro, come si andrà dimostrando ora partendo dal
tentativo di risoluzione dell’amore per Laura e della di lei morte.
184
Testo biblico secondo la traduzione CEI (Conferenza Episcopale Italiana) del 2008.
79
3.1. Corpo glorioso di Laura nel Triumphus Eternitatis
Scilicet omne sacrum mors inportuna profanat,
omnibus obscuras inicit illa manus!
185
Ovidio, Amores III 9, 19
Tra i versi dei Triumphi emerge talvolta una sorta di horror mortis: ci si
riferisce qui soprattutto all’opera distruttiva compiuta dalla morte che
consegna all’oblio le gesta compiute dall’umanità e alla putredine e alla
polvere i corpi degli uomini. Proprio su quest’ultima amara
constatazione della morte che profana e distrugge si apre il TM I:
«Quella leggiadra e gloriosa donna / ch’è oggi ignudo spirto e poca terra
/ e fu già di valore alta colonna», tanto più che il marciume della morte
va a intaccare fino a far scomparire del tutto la bellezza materiale del
volto tanto amato: «Oïmè, terra è fatto il suo bel viso»
186
.
“Son questi i capei biondi, et l’aureo nodo,
– dich’io – ch’ancor mi stringe, et quei belli occhi
che fur mio sol?” “Non errar con li sciocchi,
né parlar – dice – o creder a lor modo.
Spirito ignudo sono, e ’n ciel mi godo:
quel che tu cerchi è terra, già molt’anni,
ma per trarti d’affanni
m’è dato a parer tale; et anchor quella
sarò, piú che mai bella,
a te piú cara, sí selvaggia et pia,
salvando inseme tua salute et mia”.
187
185
«Certo la morte crudele sconsacra tutto; su tutto getta le sue mani nere», OVIDIO,
Opere, a cura di Adriana DELLA CASA, Torino, UTET, 1997 [1982], pp. 184-185.
186
Rvf 268, 34. Cfr. anche Rvf 302, 10-11: «et quel che tanto amasti / e là giuso è rimaso,
il mio bel velo. –».
187
Rvf 359, 56-66.
80
In questi versi di Rvf 359, quando nella finzione poetica Laura dice al
poeta «quel che tu cerchi è terra, già molt’anni» si può avvertire come,
anche dopo la morte dell’amata, il poeta sia ossessionato dalla sua
immagine corporea, tradendo così ancora una volta un attaccamento
alla dimensione propriamente più terrena del sentimento amoroso, in
quanto il corpo rappresenta solo la parte più caduca dell’uomo, a
differenza dell’anima che è immortale. Da notare come l’io lirico
designa con aggettivi che rimandano all’immagine del sole (dopotutto
Laura stessa è per il poeta un sole) il proprio sentimento e gli attributi
fisici della donna, a evidenziare la loro natura eccezionale e
magnificente, mentre, di contro, Laura si definisce «Spirito ignudo».
Altro segno del forte attaccamento del poeta alla dimensione terrena
e della sua incapacità di accettare completamente ed esclusivamente la
prospettiva ultraterrena in cui trova compimento la soluzione
escatologica del credo cristiano lo troviamo in questi versi di TM II:
Et ora il morir mio, che sí t’annoia,
ti farebbe allegrar se tu sentissi
la millesima parte di mia gioia.
188
Come conferma Ariani
189
, il poeta non sente la millesima parte di
quella gioia (notare come il termine è in rima in un rapporto di
contrasto con «t’annoia») dei beati, ossia non riesce a condurre la
propria vita terrena in prospettiva unicamente di quella eterna, anche
perché è troppo concentrato e terrorizzato dalla fisicità della morte
190
.
Se nei versi iniziali del TM I l’io lirico si sofferma sull’azione
profanatrice e distruttrice della morte, i versi finali di questo medesimo
capitolo del poema danno un’immagine degli effetti che la morte ha sul
corpo di Laura appena spirata ben diversa dalla normalità.
Lo spirto per partir di quel bel seno
188
TM II, 37-39.
189
ARIANI, Commento ai Triumphi, cit., p. 257.
190
TM II, 30: «dimmi se ’l morir è sí gran pena».
81
con tutte sue virtuti in sé romito,
fatto avea in quella parte il ciel sereno.
Nesun de gli adversarii fu sí ardito
ch’apparisse già mai con vista oscura
fin che Morte il suo assalto ebbe fornito.
Poi che deposto il pianto e la paura
pur al bel vólto era ciascuna intenta,
per desperazion fatta sicura,
non come fiamma che per forza è spenta,
ma che per se medesma si consume,
se n’andò in pace l’anima contenta,
a guisa d’un soave e chiaro lume
cui nutrimento a poco a poco manca,
tenendo al fine il suo caro costume.
Pallida no, ma piú che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne’ suo’ belli occhi,
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman li sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso.
191
Come chiarisce Pacca, in questi versi, tra i più lirici dell’intera opera,
si esprime «una vera e propria antitesi tra l’usuale colore livido dei
cadaveri e il candore di Laura morta»
192
, il suo è un «dolce dormir», e
«non solo la Morte non riesce a sfigurare la bellezza di Laura, ma al
contrario è Laura che rende gradevole la stessa Morte»
193
e, ancora,
Ariani precisa che «nivea bellezza e dolce sonno assottigliano
l’orrore»
194
, figurando per Madonna «un exitus di irrepetibile dulcedo,
estrema attenuazione eufemistica dell’orrore fisico»
195
. Infatti, la
similitudine del lume che non si spegne improvvisamente, ma
gradualmente consuma l’olio che alimenta la fiamma, rende un senso
di serenità e di delicatezza allo stesso modo in cui avviene il trapasso
di Laura, così come l’immagine della neve che cade evoca una scena di
191
TM I, 151-172.
192
PACCA, Commento ai Trionfi, cit., p. 299.
193
Ivi, p. 301.
194
ARIANI, Commento ai Triumphi, cit., p. 227.
195
Ivi, p. 232.
82
pacatezza e dolcezza. Da notare anche la significativa rima interna
«dormir» / «morir». Non si dimentichi, inoltre, che la morte non può
esercitare la propria opera profanatrice su Laura anche perché questa,
vincendo in vita le passioni mondane – così come nella finzione poetica
dell’opera avviene nel Triumphus Pudicitie –, aveva già attuato quella che
nella cultura medievale era chiamata mors mystica, ovvero la capacità di
anticipare la morte liberandosi dai vincoli del corpo e delle passioni
terrene.
Questo tormento scaturito dall’orrore fisico provocato dalla morte
acquista maggiore significato se si considera, come precedentemente
già accennato, che il corpo rappresenta solo la parte più effimera
dell’uomo nella prospettiva cristiana e dunque non degno di tutta
l’attenzione che il poeta invece gli riserva e il tormento che ne deriva.
Tanto più che l’horror mortis, come il poeta stesso afferma in un passo
del Secretum, può altresì rappresentare un’occasione per condurre una
riflessione profonda su quanto sia caduca la vita terrena, quando si
osserva direttamente il disfacimento della materia:
[...] immorari diutius oportet atque acerrima meditatione singula morientium
membra percurrere; [...] ut scilicet triste miserandumque spectaculum oculis
subiectum et memoriam semper admoneat et animos superstitum ab omni
spe mundi fugacis exterreat.
196
D’altronde, nella lirica petrarchesca il corpo è spesso inteso come
carcere dell’anima
197
. Specificatamente nei Trionfi troviamo la
constatazione fatta da Laura, la quale afferma che chi conduce la propria
esistenza terrena si trova in realtà in una costante condizione mortale,
mentre chi è morto è consegnato alla vita eterna:
196
«Occorre fermarcisi a lungo e passare in rassegna ad una ad una, con intensa
concentrazione, le parti del corpo di chi sta per morire[...] affinché lo spettacolo triste
e miserevole posto sotto i loro occhi sia sempre vivo nella memoria e atterrisca
l’animo dei superstiti, privandoli di ogni speranza nel mondo fugace», PETRARCA,
Secretum. Il mio segreto, cit., pp. 126-129.
197
Cfr. Rvf 214, 19-20: «Ma, lasso, or veggio che la carne sciolta / fia di quel nodo ond’è
’l suo maggior pregio»; 256, 9-10: «L’alma, cui Morte del suo albergo caccia, / da me si
parte, et di tal nodo sciolta»; 305, 1: «Anima bella da quel nodo sciolta».