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Mappa storica albanese
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Identità familiari, lignaggio e clan:
Nell’insieme delle società della frangia occidentale della Penisola balcanica, le appartenenze ad una
famiglia e ad un lignaggio, erano valori molto forti. Il sistema era patriarcale, patrilineare e
patrilocale. All’appartenenza ad un lignaggio corrispondevano sia delle regole di esogamia2 più o
meno rigorose che di solidarietà in caso di vendetta. Malgrado questa apparente uniformità, la
struttura parentale variava da regione a regione, riguardo alla grandezza di una famiglia, la
profondità del proprio lignaggio e il grado di solidarietà. Se nell’Albania del sud, l’esistenza delle
famiglie allargate, (nuclei familiari uniti nelle loro abitazioni, nella produzione e nei loro consumi)
sfumava nel corso del XIX secolo, nelle popolazioni del nord, nel Kosovo e nella Macedonia,
ancora oggi si riscontra la presenza di tale fenomeno. Queste unità familiari chiamate shpi,
comprendevano fino ad ottanta persone. Parecchie shpi, formavano un mehalle, realtà che era
presente all’interno di un quartiere di villaggio, dove ognuno rispettava l’esogamia e la solidarietà
in caso di vendetta. Più mehalle formavano un fratrie esogamo. In certe regioni, più fratrie,
formavano un fis (clan), il quale controllava un’unità territoriale, all’interno della quale vigeva una
solidarietà sociale. Questi lignaggi esogami, occupavano un territorio determinato, diretto da un
insieme di anziani. Secondo Rrok Zojzi3 , etnologo albanese, il sistema dei clan esisteva solamente
nell’estremo nord albanese confinante con il Montenegro e il Kosovo, pertanto è superficiale
descrivere l’intera società albanese come clanica o tribale. Infatti già nel XIX secolo, l’Albania
centrale, l’Albania del sud, il Kosovo, la Macedonia, non erano più zone claniche.
In particolare nelle regioni meridionali, il termine fis, aveva il significato di famiglia, di lignaggio,
ma non di clan, poiché in tale contesto la pratica della vendetta iniziò ad interrompersi. Tuttavia si
pensa che nel processo di albanizzazione, alcune popolazioni di origine non albanese, adottarono
un’origine clanica per mitizzazione. Fino alla fine dell’epoca ottomana, questa origine implicava
2Clayer Nathalie, op.cit.p.22
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Clayer Nathalie, op.cit.p.26
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un’esogamia, ma non conteneva più una solidarietà assoluta in caso di vendetta, come nei territori
dell’Albania del nord. Le unità superiori di raggruppamento ai fis, erano le bayrak 4, unità
territoriali instaurate dalle autorità ottomane per mobilitare queste popolazioni in caso di guerra.
Esse erano dirette dai bajraktier. La maggior parte delle reti di solidarietà, tuttavia si costruirono
attorno ad altri personaggi, dei capi che riuscivano ad avere un ascendente nella società, utilizzando
le solidarietà del lignaggio, paesane e regionali.
Solidarietà di villaggio e identità regionali:
L’appartenenza ad un villaggio (katund, fshat), o ad un quartiere di città, univa gli individui in
modo assai forte. Gli affari comuni erano regolati da un consiglio degli anziani (Pleqesi) che,
secondo la legge consuetudinaria, si occupava ad esempio della protezione delle terre, delle
coltivazioni. Chi trasgrediva alle regole era punito, in base alla gravità. Nella seconda metà del XIX
secolo il consiglio degli anziani, regolava le questioni relative alla chiesa e alla scuola e le piccole
rivalse. Il Pleqesi, si occupava di difendere l’onore del villaggio o del quartiere. La solidarietà tra i
paesani, si manifestava anche al momento dell’emigrazione temporanea kurbet 5(esilio). Essi
partivano assieme, aiutandosi nel loro luogo d’esilio, salvaguardando i vincoli stretti della comunità
paesana alla quale avevano da sempre fatto parte. Ancora dopo la fine dell’epoca ottomana, i
villaggi albanesi, in Macedonia, costituivano delle vere unità sociali, con lavori, beni e doveri in
comune. Benché la popolazione albanese, fosse legata alla propria realtà paesana, l’individuo
albanese si identificava con la propria regione di appartenenza. Tant’è che i paesi facevano parte di
regioni geografiche, economiche, amministrative, persino religiose. Dunque nella costruzione delle
reti che unirono gli individui albanesi tra loro nella società, fu di fondamentale importanza, il livello
regionale. Al di sopra del livello regionale, esistevano due grandi sottogruppi dialettali e culturali, la
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Clayer Nathalie, op.cit.p.28
5Clayer Nathalie, op.cit.p.29
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realtà Ghega al nord e la realtà Tosca al sud. All’inizio del XX secolo, la differenza tra i due
insiemi era marcata. Tra le due realtà, divise dal fiume Shqumbi vi era un antagonismo forte, per la
diversità nel modo di parlare, nella cultura, nella religione. La religione professata dalla
popolazione Ghega era quella musulmana sunnita e cristiano cattolica, mentre tra la popolazione
Tosca vi era una forte presenza di musulmani bektashi6 e di cristiani ortodossi. Dunque i due
insiemi erano lontani dall’essere omogenei, per via delle differenze di fondo tra i due contesti.
Tuttavia questo non fermò quel processo che portò alla formazione di un’identità albanese comune.
Capitolo primo
Gli inizi
La pubblicazione di Pelasgos7 nel 1860, nel contesto della fine della guerra in Crimea e la
proclamazione dell’editto imperiale ottomano, del 1856, rappresentarono una tappa decisiva per la
nascita dell’albanismo. In realtà qualche libro era già stato pubblicato prima del 1800, ma si trattava
di libri religiosi scritti in differenti lingue, rivolti alla popolazione con lo scopo di avvicinarla alla
dottrina cristiana. Si trattava di riviste circoscritte al clero e a qualche commerciante del nord
Albania. Pertanto considerare queste ultime come parte della produzione albanista sfocia
nell’anacronismo. Nei primi decenni del XIX secolo, si manifestarono dei processi che
contribuirono alla costruzione delle prime definizioni di un’albanità in senso moderno. Questi
processi furono parzialmente dipendenti gli uni dagli altri, legati alle evoluzioni politiche e sociali
6Quella bektashi è una delle numerose sette che compongono la galassia del sufismo, il quale a sua
volta, insieme a quella sunnita, e quella sciita, all’orientamento kharigita e a quello della falasifa, è una
componente dell’universo islamico. Il Bektashismo, nel pieno spirito della tradizione sufi, propone un
approccio mistico e meditativo all’Islam, ricco di elementi sincretici e slegato dai dogmi dei sacri. I mistici
bektashi hanno dimostrato più volte di essere largamente aperti al progresso in ogni sua forma, che
consistesse nell’utilizzo di nuove tecniche per l’agricoltura o nel dialogo e la tolleranza verso le altre fedi.
tratto da Serge Métais, Histoire des albanais – Des Illyriens, à l’indépendence du Kosovo, Editions Fayard ,
2006 p.21
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Nathalie Clayer. Op. cit. p. 157
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che si verificarono in Europa occidentale e nell’est europeo. Infatti la prima metà del XIX secolo fu
ricca di cambiamenti politici e confronti armati, che a partire dal 1830, cambiarono
considerevolmente la carta politica dei balcani, sia socialmente che economicamente. Fino alla
conclusione della guerra in Crimea, le guerre Russo Turche, si ripeterono, consacrando l’avanzata
Russa e la conseguente perdita di territori dalla tutela ottomana. A seguito delle continue pressioni
delle grandi potenze europee, il potere dell’impero ottomano, veniva eroso sempre più, sia a causa
di un’azione esterna ai propri territori, sia a causa di un’azione interna, da parte delle popolazioni
sottomesse. Tale processo, portò a vere e proprie rivolte autonomiste, da parte delle popolazioni
Serbe, Greche, Bulgare, che provocarono l’indipendenza di tali nazioni. A riguardo la Conferenza
di Londra nel 1830, sancì l’indipendenza della Grecia, sotto la garanzia delle grandi potenze e
l’autonomia della Moldavia e della Valacchia, queste ultime in realtà sotto una forte dipendenza
Russa. In tale scenario, le autorità ottomane non restarono inerti a queste minacce. I sultani
ingaggiarono un treno di riforme radicali, sia nell’ambito militare, che nella gestione interna
dell’impero. Con l’editto imperiale di Gulhane nel 1839 venne sancito l’inizio di un periodo
chiamato di riorganizzazione (Tanzimat)8. In questo periodo furono varate riforme caratterizzate da
una politica di centralizzazione del potere, tese ad una centralizzazione dell’amministrazione, una
riorganizzazione della giustizia, dell’educazione e delle finanze. Sul piano economico dal 1831 al
1841, furono conclusi svariati trattati commerciali con numerosi paesi occidentali. Questo
liberalismo, contribuì a sviluppare un’economia ottomana, sotto l’influenza delle grandi potenze.
Tale fenomeno si consolidò maggiormente, a seguito della fine della guerra in Crimea, con la
disfatta Russa ad opera della coalizione Francese, Inglese e Ottomana. Parallelamente a questa
dipendenza, si assistette alla penetrazione nei territori dell’impero delle missioni cristiane, sia
protestanti che cattoliche. Fu in questo contesto che emersero dinamiche, le quali contribuiranno
nella prima metà del XIX secolo, a formare quelle che sono le premesse dell’albanismo. Esse
furono la formulazione di un’albanologia occidentale, l’affermazione identitaria di alcuni albanesi
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Nathalie Clayer. Op. cit. p. 159
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d’Italia “arberesh”, la diffusione di scritti in lingua vernacolare da parte dei missionari protestanti e
l’innesco di un’emancipazione politica delle nazioni Rumena, Serba e Greca. Per ciò che concerne
la dominazione ottomana in Albania, essa fu molto lunga e l’adesione all’islam fu molto elevata,
ma non bisogna credere che il popolo albanese si fosse consegnato con rassegnazione
all’assimilazione turca. Come detto le conversioni all’islam furono numerose, tanto da cambiare
radicalmente la fisionomia confessionale del paese, ma gli albanesi avevano fatto i loro calcoli: il
pericolo più inquietante per loro era storicamente rappresentato dai vicini slavi, mentre i turchi
erano percepiti come invasori tutto sommato nuovi e relativamente tolleranti, e ciò li rendeva ai loro
occhi meno pericolosi. Inoltre, nel sistema ottomano, ai soli musulmani erano consentiti l’esercizio
della professione pubblica ma soprattutto l’accesso alla carriera militare nell’esercito del sultano;
convertirsi offriva dunque la possibilità a molti albanesi di diventare membri stimati e apprezzati
nella società ottomana, così nella storia dell’esercito turco dei giannizzeri è rimasto sicuramente
molto importante il contributo in termini di quantità e di qualità fornito dai combattenti provenienti
dalla terra di Skanderbeg9. Va specificato dunque, che durante i cinque secoli di dominazione
ottomana in Albania, i Turchi non godettero mai della padronanza totale e integrale della regione; in
più occasioni anzi dovettero scendere a compromessi: la gente delle montagne si rifiutava spesso e
volentieri sia di pagare le imposte dovute al sultano che di convertirsi all’Islam; nella regione dei
Gjiomarkaj, ai discendenti diretti dei Dukagjini, Istanbul concesse addirittura all’esercito locale di
rimanere in armi e di conservare la propria religione cattolica e le norme del Kanun, a patto di
prestare lealtà al sultano e di fornirgli l’aiuto militare necessario all’occorrenza, comunque non agli
ordini diretti di generali turchi e mai contro altri albanesi. Il Kanun era un insieme di norme
tramandate, raccolte in un codice di leggi scritte, costituendo l'unica fonte del diritto per
regolamentare una società che non aveva altre leggi. Il riconoscimento della patria potestatis, la
tutela della proprietà privata, la successione e la promessa come patto da rispettare al costo di
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Skanderbeg, Gjergj Kastrioti, personaggio carismatico, è stato un grande condottiero, capace di unificare le forze
albanesi contro gli Ottomani. Successivamente è stata costruita su di lui un’epopea, che ne ha fatto l’eroe nazionale per
antonomasia. Tratto da Antonello Biagini, Storia dell’Albania contemporanea, Edizioni Bompiani p.17