INTRODUZIONE
L’evoluzione del concetto di tempo
Prima di affrontare la tematica su cui si incentrerà questa tesi, vale a dire le Temporary
Organization, mi soffermerò su ciò che permea e precede la materia prettamente
organizzativa, ovvero il concetto di tempo; e su come la sua evoluzione abbia
influenzato sia le culture dell’antichità che quelle moderne, dove la filosofia ed in
seguito la scienza hanno comprovato tale fattore come dimensione fondamentale della
nostra realtà.
Il tempo è stato oggetto d’indagine da parte di filosofi, storici, psicologi, antropologi e
fisici che hanno proposto diverse definizioni, mettendone in luce la complessità e la
molteplicità dei significati e delle implicazioni.
Infatti la percezione che abbiamo del tempo determina profondamente il nostro modo di
agire; il fatto che la nostra vita abbia un tempo limitato inevitabilmente incide sul nostro
modo di rapportarci con ciò che sta dentro di noi e soprattutto con ciò che ne sta al di
fuori.
Il tempo ci trasforma continuamente, muta il nostro aspetto e il nostro essere e perciò
non sembra esserci nulla di statico nella dimensione in cui lo percepiamo sia essa reale
o metafisica. Pertanto la statica in sé appare come una fotografia, la percezione di un
istante infinitesimale nello scorrere del tempo, troppo sfuggevole per essere carpita.
Inoltre, allarmati dal suo inesorabile scorrere, è indubbio che avvertiamo il bisogno di
coltivare una memoria del tempo, anche se non possiamo spingerci oltre certi limiti; ad
esempio per quanto riguarda le nostre speranze collegate al futuro, per quanto sia celato
dietro una coltre d’indeterminatezza.
¨ altrettanto fuori questione che il tempo che ci interessa maggiormente sia quello
“umano” che consideriamo superiore ad ogni altra manifestazione temporale, come
quelle collegate ai fenomeni naturali che avvengono sul nostro pianeta.
Perciò il “tempo umano” assurge al ruolo di coscienza del tempo, in quanto, secondo
una visione antropocentrica, solo con la nascita dell’uomo e del suo pensiero il resto
Le Organizzazioni Temporanee
XIV
dell’universo sembra averne preso consapevolezza. Da questo punto di vista la
conoscenza di senso comune sul tempo, che noi reputiamo propria dell’uomo
occidentale del ventunesimo secolo, è in realtà una sintesi di esperienze culturali assai
differenti. Molto diverso è, ad esempio, il valore del tempo nelle culture antiche o in
quelle orientali, dove le diseguaglianze si ripercuotono sia a livello semantico sia ai
significati intrinseci ed estrinseci ad esso attribuiti.
Questo rappresenta anche il punto di partenza dell’analisi filosofica, i diversi approcci e
l’evidenza che il tempo riveste nell’esperienza comune.
Tuttavia non appena si passa alla traduzione concettuale di quella realtà che pure appare
essere punto di riferimento centrale nella costruzione della nostra esperienza e insieme
del senso della nostra esistenza, immediatamente emerge la difficoltà di tradurre in
concetti il nostro vissuto temporale (Ruggiu, 2001, p.1).
Proprio in riferimento al significato, nella storia del pensiero si è trattato il tempo
secondo diverse accezioni di cui le principali sono quella cosmologica, quella
gnoseologica
1
e quella etica-religiosa.
Nella prima accezione il tempo è stato considerato come origine del mondo o elemento
costitutivo del medesimo; una durata fisica, misurabile e misurata; senza inizio ne fine.
La seconda è stata attribuita da chi ha ridotto il tempo a sola forma del pensiero,
dandone una spiegazione fenomenistica, soggettivistica o idealistica.
Infine nella terza il tempo è simbolo della vita umana, finita, limitata e subordinata alle
situazioni più contrastanti.
La filosofia si apre dunque con la domanda sul tempo, se esso esista o meno, come
esista e quale sia la sua natura.
Questi interrogativi hanno una caratteristica peculiare: coinvolgono lo stesso soggetto
che solleva la questione, in quanto esso stesso è contraddistinto, nel proprio essere, dal
tempo; da questo punto di vista l’essere viene concepito a partire dal tempo.
Si può notare come la questione del tempo possieda sia un valore oggettivo che
soggettivo e quindi, attraverso il tempo, si pone contemporaneamente in luce il
problema dell’essere (Abbagnato e Fornero, 2003).
Ora non è il caso di soffermarsi ulteriormente su tali tematiche, tuttavia ciò che mi
interessa è fare il punto della situazione su come il concetto di tempo sia mutato
arrivando sino a noi.
1
Relativa alla conoscenza - dal greco gnòsis (conoscenza) e lògos (discorso).
Introduzione
XV
A livello storico-filosofico si possono individuare tre principali concezioni di tempo che
hanno profondamente influenzato lo sguardo dell’uomo sul mondo e sulla realtà.
Ab origine, per quanto è dato sapere alla conoscenza odierna, il tempo si presenta ai
pensatori greci come il ritmo del cambiamento e del movimento collegato direttamente
al moto degli astri; e di conseguenza la realtà stessa è funzione dell’imitazione di un
archetipo celeste.
Tale concezione a sua volta mutuata dalla tradizione orientale-iranica, si ritrova nei
primi filosofi naturalisti della Grecia antica, nei pitagorici, negli stoici e in Eraclito (solo
per citarne alcuni). Tuttavia le diverse declinazioni conferite non differiscono nel
comune concetto sottostante di ciclicità.
L’apocatastasi, come veniva definito tale processo nell’antichità, determina la
sovrapposizione del punto di partenza con quello d’arrivo e la rigenerazione di un
cosmo uguale a sé stesso.
Interessante risulta essere la visione stoica della ciclica creazione e conflagrazione
dell’universo caratterizzata da una concezione finita dello spazio e infinita del tempo.
In particolare l’ekpýrosis (fuoco divino) si accende e si spegne eternamente per
permettere che la sequenza della storia riprenda; determinando perciò il ciclico
ripresentarsi del mondo sempre uguale a sé stesso
2
.
Quindi il passato non è che la prefigurazione del futuro, nessun avvenimento è
concepito come irreversibile e nessuna trasformazione come definitiva; tutto si
ripresenta continuamente.
Si può affermare perciò che non si produce nulla di nuovo nel mondo perché tutto è
solamente la ripetizione degli stessi archetipi primordiali; questa reiterazione, in un
certo senso, mantiene il mondo nel medesimo istante. Il tempo dunque rende possibile
la comparsa e l’esistenza delle cose ma non ha nessuna influenza su quest’ultima
giacché si rigenera continuamente.
Ma questa ripetizione non è priva di significato nell’antichità, come sottolineato
precedentemente gli avvenimenti imitano il moto celeste, e perciò la perfezione degli
2
Non a caso la parola ekpýrosis è costituita dalla particella [ ek -] che significa consumazione e [ pýr -] che
vuol dire fuoco ed indica la conflagrazione univers ale che dovrebbe avvenire alla fine di ogni anno
cosmico.
Le Organizzazioni Temporanee
XVI
astri è riproposta impoverita in una realtà limitata e fallace
3
.
Può sembrare bizzarro ma questo mito era addirittura reputato confortante infatti il
fuoco divino rinnovava il mondo sottraendolo alla sua decomposizione rigenerando
l’uomo nell’eternità e nella beatitudine.
In definitiva questo mito dell’eterna ripetizione, variamente reinterpretato dalla
speculazione greca, ha il senso finale d’immobilizzare il divenire e l’irreversibilità del
tempo. Infatti come sostiene Eliade (1968, p.161) “nella prospettiva dell’infinito ogni
momento e ogni situazione restano fermi e acquistano così il regime ontologico
dell’archetipo”.
Lo stoicismo e successivamente la letteratura giudaico-cristiana prendono questo mito
come base per la determinazione della loro escatologia (dal greco antico Øskhatos
[ultimo], dottrina degli ultimi destini riservati all’uomo, all’umanità e all’universo).
Altrettanto interessante risulta una seconda visione, collegata alla circolarità, proposta
da Aristotele che prospetta l’abbinamento spazio finito e tempo infinito. Anche
Aristotele volgeva lo sguardo al cielo per esporre il suo pensiero; il filosofo di Stagira
pensava che il movimento delle stelle fosse eterno e il tempo fosse una proprietà di
questo movimento.
Essendo il movimento un continuum per essenza, il tempo è uno e solo ed appartiene a
tutti i movimenti del cosmo. In questo senso la fisica che si interessa solo al
cambiamento non può riguardare l’eternità. Per il filosofo il tempo è dunque secondario
poiché non esiste autonomamente ma come predicato del movimento – cambiamento.
Pur essendo distinguibile, dotato di parti (passato, presente e futuro) e quindi divisibile
il tempo rimane inafferrabile e sembra dissolversi.
Passato e futuro sembrano appartenere al nulla più che all’essere in quanto il primo non
è più e il secondo non ancora; e tuttavia l’uno costituisce il distendersi e l’accumularsi
3
Questa considerazione può essere direttamente colle gata alla concezione platonica del tempo
rintracciabile nel Timeo, dove il filosofo ateniese definisce il tempo come “ l’immagine mobile
dell’eternità” ad essa gerarchicamente inferiore, p oiché il mondo sensibile è imitazione di quello
intellegibile. Per Platone il tempo è misura del mo vimento del mondo materiale in cui valgono i concet ti
di passato, presente e futuro; l’immagine del tempo è individuata nel cielo che dà la misura dell’avve nire
temporale. Non a caso è introdotta la figura circol are dove il movimento riporta al punto di partenza.
Questo per sottolineare come il tempo torni sempre su sé stesso con il succedersi dei giorni, dei mesi e
degli anni e possa solo riprodurre parzialmente l’o rdine dell’eternità. Bisogna tuttavia sottolineare come
Platone diverga dagli altri filosofi antichi, propo nendo la visione creazionista del mondo con il mito del
Demiurgo e affermando quindi come prima della creaz ione del mondo non ci fosse tempo (Abbagnato e
Fornero, 2003).
Introduzione
XVII
dell’esperienza nella nostra memoria, il nostro vivere; l’altro si pone come apertura
dell’orizzonte del nostro agire secondo i bisogni, le paure e le speranze.
Infine lo stesso presente, nella sua riduzione a punto senza estensione, mostra di non
potere avere nessun carattere di permanenza e di stabilità come sembra richiedere la
nostra ingenua concezione di esso. Aristotele perciò sottolinea la condizione aporetica
del tempo (l’impossibilità di dare una risposta precisa).
Proprio nel libro IV della Fisica Aristotele inizia la sua disamina sul tempo con un
paradosso secondo il quale il tempo non esiste in quanto il passato non è più, il futuro
non è ancora ed il presente non è nel tempo perché separa ciò che è passato da ciò che è
futuro (Giannantoni, 1973).
Pur non sciogliendo appieno tale paradosso Aristotele giunge a concludere che il tempo
è come “numero del movimento secondo il prima e il poi” (Aristotele, Fisica, IV (D),
11, 219b 1-2)
4
ma tale numerazione presuppone come condizione indispensabile
l’anima (o mente), poiché soltanto l’intelligenza che è nell’anima ha la capacità di
numerare. Pertanto il Peripatetico conclude che è impossibile l’esistenza del tempo
senza quella della mente. Ancora una volta si può ravvisare il collegamento del tempo
con l’uomo come parte della sua coscienza e consapevolezza.
La seconda concezione che ha influenzato notevolmente il pensiero è quella di “tempo
kairologico”. Anche questa proviene dall’antica Grecia (tra il VI e il V secolo a.C.) ed
indica l’attimo giusto, decisivo; per analogia tale pensiero si può affiancare al Carpe
Diem del poeta latino Orazio.
I greci avevano due parole per nominare il tempo: Krònos per indicare il tempo logico,
sequenziale e quantitativo e Kairòs per indicare un tempo speciale, qualitativo, nel quale
accade qualcosa di rilevante.
Queste due tipologie di tempo, pur essendo diverse, non sono prive di relazione; anzi, la
prima richiede la seconda. L’attimo richiede il tempo quantitativo come precondizione
necessaria per sottolineare la sua essenza qualitativa.
D’altra parte il Krònos, preso singolarmente, non riesce a rendere comprensibili quei
momenti critici dell’esperienza umana, dove le opportunità si manifestano e richiedono
destrezza per saperle cogliere; e qui che interviene il Kairòs dove ogni istante del
presente ferma e condensa tutti gli ora che scorrono inesorabilmente, offrendo una
chance.
4
Tratto da Giannantoni, 1973.
Le Organizzazioni Temporanee
XVIII
Perciò le due categorie, ricondotte all’unità, forniscono una preziosa griglia attraverso la
quale la realtà e la storia possono essere tracciate, interpretate e comprese.
Non a caso la raffigurazione del tempo qualitativo (in un frammento di età romana
imperiale giunto sino a noi) è un personaggio alato con il cranio rasato e ciuffi di capelli
protesi in avanti, che con la mano sinistra regge in bilico sulla lama di un rasoio la staffa
di una bilancia
5
. Tale rappresentazione sta ad indicare la natura sfuggente dell’attimo
che può essere colto solo nel momento in cui si presenta dinnanzi a noi, ma una volta
passato non può essere riconquistato.
Tuttavia bisogna precisare come il Kairòs escluda la previsione come forma di possesso
indebito e quindi il futuro, come trama non ancora svelata, non può essere anticipato ed
avvertito, ma richiede invece una predisposizione all’evento che ne rende possibile
l’accoglimento.
Ciò che prevale è l’obiettivo che l’individuo si pone; in un certo senso la fine coincide
con il fine, ma la prima non si identifica più con la morte ma con il raggiungimento
della meta ed il secondo perciò può essere determinato dall’uomo.
Non bisogna dimenticare che l’individuo vive la sua vita in una temporalità cronologica
dove sono presenti anche la libertà e la responsabilità connesse alla scelta.
Dunque si può cogliere la caratteristica d’irreversibilità nello svolgersi dell’esistenza
all’interno della dimensione temporale, peculiarità che sta alla base dell’ultima
prospettiva del tempo qui trattata, ovvero quella lineare.
Questa terza ed ultima concezione può essere illustrata tramite la tradizione ebreo-
cristiana, il tempo è legato alla creazione e, come nel mito del Demiurgo platonico, il
tempo è creato con il mondo (Fabris, 2005). Da questo punto iniziale esso si sviluppa
unilateralmente in avanti verso un futuro che avrà un limite; la temporalità è così una
realtà che ha un inizio ed una fine, compresa fra due punti e rappresentabile come una
linea retta o meglio un segmento.
Questa concezione basata sulla cosmogonia creazionista si trova nel primo libro della
Genesi: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Viene così a cadere la concezione del
tempo senza inizio e allo stesso modo la rappresentazione di eventi collocati in un
tempo prima del tempo reale e che sono visti come l’archetipo degli avvenimenti che si
compiranno nella storia
6
.
5
Immagine disponibile su: http://www.sikyon.com/sicyon/lysippos/lysip_egpg07. html
6
Come accadeva nel Neoplatonismo e in alcuni sistemi gnostici .
Introduzione
XIX
D’altra parte se la nozione di tempo viene inserita in quella della durata delle cose, il
tempo tende alla synteleia, cioè al suo compimento (o fine) insieme a tutte le realtà
oggettive (Abbagnato e Fornero, 2003).
¨ questa idea che viene espressa nell’Apocalittica ebraica e nel cristianesimo
dell’Apocalisse di Giovanni; il tempo è finito ed in esso scorre la storia del mondo.
Si viene così rompendo la figura ciclica del tempo che ruota su sé stesso e si delinea
anche la differenza tra la linea del tempo e l’eternità. Prima del tempo e dopo il tempo
non c’è che Dio nella simultaneità della sua esistenza eterna (Fabris, 2005).
Quindi l’eternità non consiste tanto nell’assenza di successione, del prima e del poi,
quanto nell’essere tutta nello stesso momento; non c’è che Dio come entità
assolutamente trascendente rispetto al cielo e la terra da lui creati.
La concezione biblica di un tempo lineare ha sostenuto il pensiero dell’uomo (e in
particolare dell’uomo occidentale) per almeno due millenni e stabilito l’idea del tempo
come unicum assoluto.
Le conseguenze di questa concezione si ripercuotono nella stessa elaborazione della
storia dell’uomo: persone e avvenimenti hanno il carattere dell’irripetibile.
Abolendo l’idea secondo la quale l’esperienza vissuta possa ritornare a ripetersi nel
ciclo del tempo; viene eliminata anche qualsiasi idea di metempsicosi (ovvero di
reincarnazione), di palingenesi e di un ritorno al passato secondo lo schema di
apocatastasi.
La religione asserendo una serie temporale monotòna offre la possibilità di un ordine
progressivo che conclude l’esistenza temporale con la sublimazione in un ordine
superiore. Il tempo così creato non è più solamente oggettivo, venendo imposto
dall’esterno sull’essenza dell’uomo, ma vive nella sua stessa interiorità (Fabris, 2005).
Il futuro rappresenta ciò a cui l’anima aspira (la salvezza), il passato è ciò che è stato
superato e il presente è la spirituale tensione del passaggio dall’uomo vecchio all’uomo
nuovo.
La disamina sul tempo viene condotta esemplarmente da Sant’Agostino, il quale,
nell’undicesimo libro de Le confessioni
7
, tratta approfonditamente l’argomento.
Dopo aver sostenuto che il mondo è stato creato da Dio, dal nulla e non da una materia
qualsiasi, il Doctor Gratiæ entra a piè pari nella concezione di tempo.
Alla domanda: “Perché il mondo non fu creato prima?” Agostino in prima battuta
7
Tratto da Marzullo e Foà Guazzoni, 1968.
Le Organizzazioni Temporanee
XX
risponde scherzosamente dicendo che il creatore preparava l’inferno per coloro che
pongono certe domande; poi risponde che la creazione, operata da Dio, di materia e
tempo è stata simultanea. Antecedentemente non c’era alcun “prima” poiché l’eternità
di Dio era, è e sarà libera da ogni rapporto con il tempo (Marzullo e Foà Guazzoni,
1968).
Da qui il quesito su cosa sia il tempo. Egli risponde “se nessuno me lo chiede, lo so
bene; ma se volessi darne una spiegazione a chi me ne chiede, non lo so. Così, in buona
fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe tempo passato e se nulla
sopraggiungesse, non vi sarebbe tempo futuro e se nulla fosse non vi sarebbe il tempo
presente” (Agostino, Le confessioni, XI)
8
.
Il filosofo cristiano si domanda come fanno esistere i due tempi passato e futuro, in qual
modo essi sono, poiché il passato, da una parte, non è più, e il futuro, dall’altra ancora
non è. Quanto poi al presente, se sempre fosse tale e non trascorresse nel passato, non
farebbe più parte del tempo che trascorre, ma sarebbe, anzi, eternità.
Infatti egli aggiunge: “Se, per conseguenza, il presente per essere tempo, intanto vi
riesce, in quanto trascorre nel passato, in qual modo possiamo dire che esso sia, se per
esso la vera causa di essere è solo in quanto più non sarà, tanto che, in realtà una sola
vera ragione vi è per dire che il tempo è, se non in quanto tende a non essere? […]”
(Agostino, Le confessioni, XI)
9
.
Questo stralcio consente di capire la difficoltà nel determinare passato, presente e futuro
e di ricondurli ad unità. La svolta per Agostino avviene quando intuisce che il tempo è
soggettivo e perciò risiede nella mente umana che attende, considera e ricorda (capitolo
30). Ne consegue che non ci può essere tempo senza un essere creato e che parlare del
tempo prima della creazione è immotivato.
Perciò è l’uomo, che conserva nella propria memoria il passato, espone nell’anima
l’attenzione per le cose presenti e attende nella propria vita il susseguirsi del futuro, ad
oggettivare il tempo conferendogli significato.
Da questo punto di vista si può sostenere come la vita dell’uomo si distenda tra
attenzione, memoria e attesa. E quindi il tempo è distensio animæ 10
; passato e futuro
esistono, sono percepiti dagli uomini, poiché sono proiezioni dell’animo umano; come
8
Tratto da Marzullo e Foà Guazzoni, 1968, p.759.
9
Ibidem .
10
Intendendo espressione dell’anima.
Introduzione
XXI
sostiene il teologo cristiano: il passato in realtà è il presente del passato, e il futuro è il
presente del futuro.
Anche in quest’ultima concezione il tempo diventa un elemento per ricondursi alla
questione escatologica e sondare l’essenza e il destino dell’uomo.
Concludendo mi preme evidenziare come queste tre elaborazioni sul tempo non siano
completamente antitetiche. Infatti le immagini di circolarità, sequenzialità e attimo
possono essere ricongiunte ad unità richiamando la rappresentazione mediante spirale.
Tramite questo tratto continuo che ciclicamente si inarca su sé stesso, ma nel contempo
avanza sempre diverso, possiamo sintetizzare le tre visioni.
In questo senso il tempo presenta caratteristiche di ripetitività, almeno per quanto
riguarda la dimensione reale, per gli avvenimenti frutto dello svolgersi naturale delle
cose, ma anche per la storia umana dove gli eventi si ripresentano simili a sé stessi
riproponendosi in diversi “presenti”.
Tuttavia la similarità non corrisponde alla perfetta identità, piuttosto la si può pensare
come ad un’equivalenza nelle conseguenze, nei significati o nell’espressione.
E questo è il senso della spirale che avanza linearmente, le ripetizioni si differenziano
dal momento che si sviluppano in un continuo progredire.
Ed allora gli eventi percepiti come uguali gli uni agli altri in realtà non lo sono, anche la
più insignificante caratteristica o impercettibile dettaglio ne determina la
differenziazione. Ecco che l’irripetibilità rientra in gioco cambiando il risultato.
Concettualmente nella progressione spiraliforme, intesa come unicità dell’accadere, non
è escluso nemmeno l’attimo; effettivamente una qualsiasi serie di eventi che si sviluppa
uguale a sé stessa nel corso del tempo comunque presenta infiniti istanti in cui la
possibilità può fare la differenza.
Con ciò intendo dire, pensando soprattutto alla libertà di scelta che caratterizza
l’umanità, che l’eventualità prospetta infinite alternative e nessuna prefigura un
percorso identico all’altro. Difatti la capacità, la destrezza e il coraggio di afferrare per i
capelli tali momenti rende le nostre vite irripetibili.
Il tempo perciò diviene una dimensione in cui l’uomo deve giocare la propria libertà; in
un certo senso è il tempo stesso, con il suo carattere di unidirezionalità, che costringe
l’uomo a tener conto dell’esistenza e dell’irreversibilità del suo svolgersi.
Aver riassunto brevemente queste concezioni mi permette di far chiarezza sul senso
attribuito al tempo durante lo scorrere della storia dell’umanità; tuttavia non posso
Le Organizzazioni Temporanee
XXII
pretendere di aver concluso la mia pur breve analisi.
Infatti il concetto di tempo declinato nelle varie discipline filosofiche deve essere
considerato e rapportato in funzione delle scoperte scientifiche, che in particolare
nell’ultimo secolo, hanno rivoluzionato ed ampliato il suo significato, gettando luce su
nuove problematiche.
¨ durante il XVI secolo, con la ridefinizione del “sistema universo”, che le nozioni di
spazio e di tempo saranno trattate scientificamente come concetti suscettibili di
misurazione e formulazione matematica; mentre prima di allora abbiamo visto come
fossero argomenti legati alle speculazioni teologiche e morali.
Quando Copernico metterà in crisi la cosmologia antica con essa s’incrinerà anche la
meccanica antica, cioè la teoria dei luoghi e del tempo.
Lo stesso Giordano Bruno, riprendendo il sistemo eliocentrico copernicano per
supportare motivazioni esclusivamente religiose, fornirà un contributo essenziale alla
scienza che influenzerà le argomentazioni successive.
Infatti Bruno nel suo testo La Cena delle Ceneri (1584)
11
arriva a sostenere tesi come
l’infinità dell’universo e l’assenza di una sphæ ra mundi che racchiude dentro di sé il
cosmo; e tesi come l’infinità delle stelle e il loro disporsi ovunque, sottendendo dunque
un cosmo acentrico.
Ma è con Newton che si ha il compimento di quella rivoluzione scientifica iniziata da
Copernico e che aveva trovato in Keplero e Galileo due rappresentati geniali e
prestigiosi.
Newton raccoglie e forgia in un tutto organico e coerente tale eredità. Lo scienziato e
filosofo inglese ha bisogno della materia e del movimento per arrivare ai concetti di
tempo e spazio, ma, una volta definiti, essi assumono un’esistenza indipendente.
Per Newton dunque è possibile concepire uno spazio e un tempo senza movimento né
materia, ecco perché introduce i due concetti di spazio e tempo “assoluti”.
“il tempo assoluto vero e matematico, in sé e per sua natura, fluisce uniformemente
senza relazione a qualcosa di esterno, e con un altro nome si chiama durata; il tempo
relativo, apparente e comune è la misura sensibile ed esterna […] della durata attraverso
il mezzo del movimento; esso è l’ora, il giorno, il mese, l’anno” (Newton, Philosophiae
naturalis principia matematica, 1687)
12
. Parimenti lo spazio assoluto rimane sempre
11
Tratto da Aquilecchia, 1955.
12
Tratto da Cohen, 1999.
Introduzione
XXIII
simile a sé stesso e per sua natura è privo di qualsiasi relazione con qualcosa di esterno;
mentre lo spazio relativo è una dimensione mobile e misurabile che i nostri sensi
definiscono in relazione alla posizione dei corpi.
Si può notare come, anche a livello della speculazione scientifica, ritorni
periodicamente il dualismo nel considerare il tempo internamente o esternamente al
soggetto e quindi come entità esistente di per sé o in relazione alla presenza dell’uomo.
Ciò nonostante queste definizioni, seppur empiricamente indefinibili, sono
indispensabili al fisico inglese per la sua legge di gravitazione universale e a tutta la
fisica classica.
Cronologicamente nel percorso di definizione sulla natura del tempo bisogna ricordare
il contributo di Kant che, attraverso la sua critica, passa da un’interpretazione
psicologica del tempo ad una fenomenologica; questo, infatti, non è secondo lui un
concetto empirico ricavato dall’esperienza, ma “una rappresentazione necessaria che sta
alla base di tutte le intuizioni” (Kant, Critica della Ragion Pura, 1781)
13
.
Kant considerava lo spazio e il tempo come due forme distinte, categorie a priori della
sensibilità. Lo spazio è euclideo e il tempo è lineare e continuo, queste sono le
condizioni imprescindibili per fare l’esperienza di qualcosa; non sono il frutto della
storia culturale.
Da questo punto di vista Kant si contrappone a Newton poiché attraverso la sua
intuizione non è più possibile determinare la verità dello spazio e del tempo assoluti.
In quanto “a priori” queste due dimensioni sono le condizioni stesse dell’esperienza
sensibile e dunque della loro stessa determinazione attraverso l’esperimento.
Il pensiero kantiano avrà notevole diffusione tra i fisici che vedranno giustificata la
posizione di preminenza da essi data ai fenomeni spazio-temporali e provocando
paradossalmente, durante il XIX ed il XX secolo, un parziale disinteresse nei confronti
del tempo come ambito del reale in cui si svolgono i fenomeni.
Ma è con la teoria della relatività di Einstein che si ha l’ulteriore rivoluzione del
concetto di tempo che non investe solo il mondo scientifico, ma anche il mondo della
filosofia, assestando un colpo di grazia al Positivismo che difendeva la concezione di un
universo regolato da leggi meccaniche e deterministiche.
Einstein ha il merito di introdurre nella scienza il concetto di relatività, mettendo in crisi
l’accettazione acritica della tradizionale nozione newtoniana di spazio-tempo assoluto.
13
Tratto da Colli, 1995.
Le Organizzazioni Temporanee
XXIV
Con il fisico tedesco si realizza un grande cambiamento nel modo di pensare queste due
dimensioni della realtà, per lui non sono più quantità assolute e distinte (o di valore
primordiale come supponeva Newton) ma intrinsecamente relative; sono gli eventi di
interazione tra energia e materia che determinano le dimensioni variabili del cronotopo
(spazio-tempo) nell’universo.
Perciò tempo e spazio diventano una cosa sola, nel senso che, grazie all’introduzione
della costante di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto
14
, essi
entrano in relazione e s'influenzano reciprocamente. Il tempo smette quindi d'essere una
questione soggettiva, dipendente dalle sensazioni e dalle opinioni dell'uomo.
Esso riconquista una propria oggettività il cui significato ultimo, per il momento, ci
sfugge. Come non riusciamo a vedere l'inizio del tempo, così non ne vediamo la fine.
Nello stesso periodo storico ai nuovi risultati raggiunti dalla scienza si contrappone
ancora una vola il pensiero, ne è fautore il filosofo francese Bergson che contesta il
tempo scientifico attraverso il “tempo della vita”, dove la durata reale vissuta
dall’individuo attraverso la sua vita spirituale assume la preminenza, continuando ad
arricchirsi di nuove esperienze e qualità (Bergson, Essai sur les donnØes immØdiates de
la conscience, 1889)
15
.
La durata, da noi vissuta nella sua immediatezza, è senza dubbio un momento che
appartiene alla realtà ma allo stesso tempo è frammentario, fuggevole e incomunicabile
se non viene condiviso con la durata degli altri individui.
Bergson contrappone al tempo misurabile dalla scienza, ovvero un tempo
spazializzato
16
, il tempo dell’esperienza concreta, una durata vissuta che si rinnova ad
ogni istante; quindi il tempo come costruzione formale di tipo fisico-matematico si
scontra con il tempo della vita come fluire della coscienza (Chia, 2002, p.864).
In questo senso durata vuol dire che l’io vive il presente conservando la memoria del
passato e intuendo l’anticipazione del futuro; non a caso il filosofo francese propone
l’immagine del gomitolo: “il nostro passato ci segue e s’ingrossa senza posa col
presente che raccoglie lungo la strada” (Bergson, Introduction à la mØtaphysique,
1903)
17
.
14
Detta anche velocità della luce ed indicata tradizi onalmente dalla lettera c .
15
Tratto da Sossi, 2002.
16
Come ad esempio quello scandito dalle lancette su u n quadrante di un orologio, che è un fenomeno
meccanico in cui ogni momento è uguale all’altro.
17
Tratto da Mathieu, 1997.
Introduzione
XXV
Con il XX secolo si è definitivamente giunti ad una definizione operativa del concetto
di tempo, spogliando tale nozione da ogni contenuto metafisico. Da causa del
movimento di un ipotetico orologio, il tempo diviene effetto del movimento di
quest’ultimo. Gli stessi concetti di passato, presente e futuro diventeranno operazionali
mettendo in discussione il concetto stesso di causalità.
Durante tutto il novecento la rivoluzione einsteiniana darà l’impulso per una nuova
visione del mondo che farà delle formulazioni concettuali la base per la comprensione
del tempo. Così le concezioni millenarie, che ho accennato nelle precedenti pagine di
questa introduzione, perdono progressivamente la loro sacralità essendo esaminate e
frantumate sotto la lente dell’empirismo.
Inesorabilmente il tempo è costretto a deporre ogni apparenza di trascendenza e di
unicità dovendo sottoporsi alla verifica “dell’osservatore dal camice bianco” (Macrì,
2008, p.6).
Infatti la relatività ristretta ha messo in discussione il concetto di tempo unico che scorre
indipendentemente dall’osservatore (tuttavia agevolando indirettamente la tesi
metafisica del fluire del tempo come illusione soggettiva). La meccanica statica ha
prefigurato la possibilità di ricondurre l’ambigua nozione di “direzione del tempo” al
concetto di entropia
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. Infine la relatività generale ha reso possibile concepire la
reversibilità del tempo; tutte le equazioni della fisica sono simmetriche rispetto al tempo
e quindi possono essere utilizzate altrettanto bene in una direzione nel tempo quanto
nell’altra. Dunque il passato come il futuro sembrano essere fisicamente corrispondenti,
poiché l’intera meccanica classica è invertibile rispetto alla variabile tempo.
Sembra manifestarsi, almeno in questo campo e in questo particolare periodo storico,
una sottomissione riverente della filosofia alla scienza, attraverso l’immenso potere
della matematica.
Tuttavia questo “calcolare” può rappresentare addirittura un rischio, come sostiene
Macrì (2008, p.9) “Nella nostra epoca, infatti, alla trasparenza del pensiero logico
razionale, impossibilitato ad apparire “nudo” per mancanza di omologazione, viene
avviluppato un esasperato formalismo matematico tale da conferire alle stesse teorie un
surplus di scientificità, prestigio, autenticità e autorevolezza, diversamente mal
riconosciute e approvate. […] Non è raro vedere uscire allo scoperto le crepe di un
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L’entropia è una grandezza che interpreta la misura del caos in un sistema fisico e in generale
nell’universo.
Le Organizzazioni Temporanee
XXVI
pensiero basato su un’apparente erudizione scientifica dietro l’involucro di un gergo
astruso, riuscendo poi a confermare che « il re è nudo» ”.
Ma allora è difficile pensare che entrambi gli approcci, quello filosofico e quello
scientifico, possano procedere parallelamente senza alcuna reciproca interferenza; ed
infatti viene periodicamente confermato che i risultati raggiunti dalla scienza si
sovrappongono e in parte si intrecciano con il discorso filosofico.
Tuttavia le dimostrazioni fenomenologiche del presente spesso mancano di ogni
rimando ad un approfondimento filosoficamente significativo; al tempo stesso le
disquisizioni filosofiche sulla temporalità sembrano prive di spessore fenomenologico.
Questa apparente frattura tra scienza ed esperienza, tra mondo oggettivo spiegato
tramite le leggi fisiche e mondo dell’uomo illustrato con concetti, sensazioni e parole,
può essere superata con una ambivalenza piuttosto che con una separazione.
Qui risiede l’ostacolo più grande ovvero riuscire a far procedere il nostro pensiero
assumendo come corretti due punti di vista antitetici.
Perciò la capacità di far coesistere la quotidianità sociale insieme a quella oggettiva vuol
dire riuscire a far convivere diverse scale temporali adeguate alla ricerca della realtà
fisica del nostro universo con il comportamento, il pensiero e la percezione degli
uomini. In sintesi conoscere il tempo vuol dire non solo misurarlo ma anche pensarlo.
La variabile temporale nell’organizzazione
La dimensione temporale non coinvolge soltanto l’uomo ma anche le sue produzioni.
Quindi intendendo l’organizzazione come una costruzione dell’intelletto umano
anch’essa subisce l’influenza di questa variabile endogena ed ambientale.
La gestione del tempo diventa tematica fondamentale nella vita dell’organizzazione e
spesso viene percepita come una delle principali fonti di tensione; come oscillazione tra
ciò che viene considerato importante e ciò che via via si presenta come urgente.
Questo contrasto tra rincorrere l’emergenza e programmare le attività in vista di
obiettivi futuri, spesso crea, negli individui all’interno dell’organizzazione, una sorta di
afflizione tra la necessità d’adempiere ineluttabilmente a certi compiti e l’impressione di
aver concluso poco rispetto a quanto pianificato.
Il problema sottostante è la duplice natura organizzativa del tempo; da una parte questa
Introduzione
XXVII
variabile può essere concepita come risorsa, quando può essere parzialmente controllata
e gestita, dall’altra può assumere la natura di vincolo quando è necessario adattarsi ai
limiti e alle scadenze da esso imposte.
Sia come risorsa che come vincolo, non si possono omettere le caratteristiche peculiari
che la differenziano sostanzialmente da tutti gli altri mezzi di cui l’organizzazione si
avvale nel suo operato: il tempo è unico, non è immagazzinabile, non si può modificare
la velocità del suo scorrere e non può essere fermato.
Stanti queste premesse si può capire la difficoltà che molte organizzazioni incontrano
nello sfruttare favorevolmente tale fattore al fine di creare valore.
Inoltre la rinnovata interpretazione del tempo come asset ha dato vita al dinamico filone
del time management, ovvero quella serie di tecniche per la gestione consapevole della
risorsa tempo spesa nelle varie attività approntate dall’organizzazione al fine di
massimizzarne l’efficienza e l’efficacia (Burt, Weststrate et al., 2010).
Da questo punto di vista possiamo oggettivare il tempo concependolo come una scatola
in cui possiamo inserire altre piccole scatole che sono le nostre attività, una volta usato
tutto lo spazio non c’è più posto per altre occupazioni e quindi l’unico modo per
migliorare la situazione è incrementare l’efficienza generale aumentando la velocità
delle nostre azioni (De Martini, 2002).
Non a caso nelle organizzazioni ha dominato a lungo una logica temporale improntata
sulle basi del taylorismo, in cui la misura delle attività umane era scandita fino al
secondo attraverso il cronometro; al fine di aumentare al massimo la produttività di ogni
singolo lavoratore e limitare al minimo i tempi di inattività degli impianti.
¨ chiaro in questo caso come al tempo venga attribuito il senso di restrizione
dell’organizzazione sull’individuo attraverso lo scientific management apportato da
Taylor.
In seguito attraverso il modello fordista si è giunti alla concezione di fabbrica
verticalizzata in cui la sincronizzazione di tutte le operazioni assicurava una pronta
risposta alle esigenze dinamiche del mercato.
Infatti la catena di montaggio ha rappresentato una forma di rottura nella logica
intellettuale del lavoro taylorista
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, in quanto implica un tempo uniforme per ogni
postazione di lavoro e un’identica lunghezza di passo senza strappi.
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Il taylorismo nella sua organizzazione del lavoro s componeva i compiti in operazioni elementari per
trovare la sequenza più efficace ed economicamente vantaggiosa.