6
della struttura. Dell’esistenza di Gladio nel corso degli anni gli unici ad
essere informati furono i Presidenti del Consiglio ed i ministri della Difesa in
carica, che venivano istruiti direttamente dal servizio segreto allorchè
entravano nell’esercizio delle loro funzioni
6
.
Le parole di Andreotti ebbero una eco fragorosa sulla stampa e
nell’opinione pubblica. Per mesi a partire da quell’ottobre 1990, la vicenda di
Gladio riempì le prime pagine di tutti i giornali alimentando innumerevoli
dibattiti e veementi scontri politici che culminarono in una richiesta di
“impeachment” mossa contro il Presidente della Repubblica Francesco
Cossiga
7
. Le illazioni che per anni erano circolate intorno all’esistenza di un
presunto servizio segreto parallelo che operava nell’ombra apparvero trovare
ora un riscontro ufficiale e Gladio sembrò così diventare la chiave per capire
ogni mistero della storia d’Italia, tanto che su di essa cominciarono ad uscire
un numero copioso di articoli ed inchieste giornalistiche tese a descriverla
come una sorta di longa manus dell’eversione se non perfino una vera e
propria centrale operativa della cosiddetta “strategia della tensione”. Fu una
campagna condotta in modo particolarmente acceso da parte della stampa di
sinistra la quale ritenne che la rivelazione dell’esistenza di Gladio fosse la
prova palese della veridicità della cosiddetta teoria del “doppio Stato”, ossia
di come, accanto alle istituzioni legalmente costituite, avessero operato
nell’ombra forze oscure, manovrate dalle istituzioni stesse ed identificabili coi
servizi deviati, coi neofascisti o con la massoneria, le quali avevano il compito
di impedire che in Italia, anche in seguito a regolari elezioni, il PCI potesse
andare al potere
8
.
6
Ibidem.
7
Il 27 ottobre 1990 Cossiga con una dichiarazione all’ANSA rivelò di essere a conoscenza fin dagli anni
sessanta dell’esistenza di Gladio ed ammise: “si è tutto vero, da sottosegreatario della Difesa ho concorso
(…) in via amministrativa alla formazione degli atti ed esattamente al richiamo in servizio temporaneo del
personale militare che veniva inviato all’addestramento per questa struttura Nato”. Poi Cossiga aggiunse, in
polemica con chi definiva Gladio una struttura illegale: “considero un grande privilegio e atto di fiducia del
Governo dell’epoca (…) il fatto di essere stato prescelto per questo delicato compito. E devo dire che sono
ammirato che il segreto sia stato mantenuto per quarantacinque anni”. In seguito a queste parole, il giornale
“il Manifesto” dette il via ad una campagna di stampa, che trovò l’approvazione di larga parte della sinistra
parlamentare, affinchè contro Cossiga venisse presentata una richiesta di impeachment e si procedesse alla
sua destituzione.
8
Di “doppio stato” si era cominciato a parlare fin dall’inizio degli anni settanta nel libro, La strage di Stato,
(Samonà e Savelli, Roma 1971), incentrato sui presunti “lati oscuri” della strage di Piazza Fontana del 12
dicembre 1969. Una prima compiuta definizione di tale teoria la si ebbe tuttavia solo nel 1984, allorchè
Norberto Bobbio ebbe a definire il “doppio stato” come un derivato dei cosiddetti “arcana imperii” presenti
in ogni sistema democratico e che consistono in quelle decisioni, anche di grande importanza, la cui
conoscenza viene sottratta alla procedura democratica sebbene ciò sia in contrasto con l’ordinamento
costituzionale (si veda in N. Bobbio, Il futuro della Democrazia, Einaudi, Torino 1984). La teorizzazione
destinata però ad incontrare la maggiore fortuna in ambito storiografico fu quella proposta a fine anni ottanta
da Franco De Felice nel saggio intitolato “Doppia lealtà e doppio stato” (pubblicato nella rivista “Studi
storici”, n.3 1989, pagg. 493-563). Partendo dagli studi giuridici sul nazismo di Ernest Fraenkel (laddove
egli definiva lo Stato nazionalsocialista come una entità dotata di una doppia struttura in cui convivevano un
primo Stato normativo/razionale con uno Stato discrezionale/irrazionale), De Felice intese sperimentare tali
teorie sul caso italiano, poiché la riflessione di Fraenkel, secondo lo storico campano, forniva categorie
analitiche valide anche al di fuori del nazismo. Analizzando la realtà italiana, De Felice individuava così il
fondamento del doppio Stato nel sistema di doppia lealtà che connotava i gruppi dirigenti democristiani:
lealtà al proprio paese e lealtà ad uno schieramento internazionale (nella fattispecie il Patto Atlantico). In
Italia, scriveva De Felice, si era sicuramente formata una democrazia parlamentare pluralista, ma essa era
7
Il 30 novembre 1990 poi, anche sull’onda di queste polemiche,
Andreotti annunciò di aver dato ordine al generale Paolo Inzerilli
9
perchè si
procedesse a sciogliere definitivamente Gladio
10
.
Da quel 1990 ad oggi sulla vicenda della Stay Behind italiana sono
usciti una enorme quantità di articoli di stampa
11
, sono stati scritti molti e
documentati libri
12
e vi sono state numerose sedute della Commissione Stragi.
anche l’unico paese europeo in cui l’opposizione veniva vista come un antagonista strategico, come il
“nemico”, in quanto soggetto che si muoveva al di fuori della lealtà al Patto Atlantico ed in conseguenza di
ciò, ad essa doveva essere impedito in qualunque modo di andare al governo, anche qualora avesse
democraticamente ottenuto la maggioranza dei voti dei cittadini italiani. Per questa ragione in Italia,
l’esistenza di un doppio stato non era da ritenersi dovuta ad un fatto “contingente”, non derivava cioè da un
uso improprio (“deviato”) dei poteri pubblici, ma era invece strutturale del sistema politico nato nel
dopoguerra, considerata appunto la doppia lealtà che il “potere democristiano” aveva verso la Costituzione,
ma anche, se non soprattutto, verso lo schieramento internazionale cui l’Italia era stata assegnata. Questa
teoria proposta dal De Felice, nei primi anni novanta conobbe una grande diffusione a livello pubblicistico e
fu fatta propria anche da importanti relazioni di Commissioni Parlamentari d’Inchiesta quali l’Antimafia e la
Stragi (si vedano a tale proposito in SRACS, atti XI Legislatura, “Relazione finale della Commissione
Antimafia presentata dal Presidente On. Luciano Violante”, 2 febbraio 1992 ed ancora in SRACS atti XII
Legislatura, “Relazione finale per i lavori della Commissione Stragi presentata dal Presidente On. Giovanni
Pellegrino”, 4 febbraio 1995). Sempre sulla teoria del doppio stato merita poi di essere citata la definizione
che è stata proposta da Paolo Cucchiarelli ed Aldo Giannuli (in Lo stato Parallelo, Gamberetti Editore, Roma
1997, pag. 18) secondo i quali: “si ha stato duale, quando una parte delle elite istituzionali, a fini di
conservazione, si costituisce in potere occulto, dotato di un proprio principio di legittimazione, estraneo e
contrapposto a quello della Costituzione formale, per condizionare stabilmente il sistema politico attraverso
metodi illegali, senza giungere al sovvertimento dell’ordinamento formale che conserva una parte della
propria efficacia”. Con tale concettualizzazione si è detto concorde anche Nicola Tranfaglia, secondo il quale
è proprio Gladio l’esemplificazione plastica della esistenza in Italia di un doppio stato (si veda il saggio “Un
capitolo del doppio stato. La stagione delle stragi e dei terrorismi” in Storia dell’Italia Repubblicana, vol. 3,
Einaudi, Torino 1997, pagg. 11-12). Negli ultimi anni tuttavia tali tesi sono state sottoposte ad alcune radicali
critiche. Si veda ad esempio quanto scrive G. Sabbattucci nel saggio “Il golpe in agguato e il doppio Stato”,
in AA-VV, Miti e storia dell’Italia unita, il Mulino, Bologna 1999, pagg. 203-216. Secondo Sabbatucci, a
partire dalla campagna giornalistica sull'affaire De Lorenzo (il cosiddetto Piano Solo): "una parte
dell'opinione pubblica italiana cominciò a familiarizzarsi con l'idea del golpe, vero o simulato, come
strumento di lotta politica usato disinvoltamente dalle componenti moderate della classe dirigente per
bloccare un'avanzata delle sinistre altrimenti inarrestabile”. Queste teorie, sostiene Sabbatucci, oltre ad
essere del tutto strumentali e sprovviste di prove, finirono di fatto col legittimare la nascita del terrorismo,
nonché una diffusa indulgenza che anche ampi ceti intellettuali ebbero nei confronti delle frange
movimentiste dell’estrema sinistra che si davano alla lotta armata. Tesi sostanzialmente analoghe sono state
espresse anche da Ernesto Galli della Loggia nell’articolo “La Tensione senza strategia”, in “Corriere della
Sera”, 8 agosto 2000. Scrive infine Paolo Mieli, criticando pure lui le teorie relative all’esistenza di un
doppio stato “credo che che sia venuto il momento di sgomberare il campo della storia dai falsi problemi. È
inutile che per ogni mistero sia necessario inventare una teoria che spieghi tutto con un complotto. La Prima
Repubblica non può essere studiata cercando una regia occulta dei fatti e delle vicende che hanno segnato la
sua storia” (si veda “Corriere della Sera”, 4 febbraio 2004).
9
Paolo Inzerilli fu l’ultimo capo di Gladio (cfr. Relazione Andreotti, cit., pag.6).
10
Si veda quanto riportato nei quotidiani “Repubblica” e “Corriere della Sera” del 1 dicembre 1990. Il
generale Inzerilli già il 29 novembre durante una seduta della Commissione Stragi aveva annunciato di aver
ricevuto da Andreotti l’ordine di sciogliere Gladio.
11
Nei circa due anni che andarono dall’ottobre 1990 all’estate del 1992 (in quello che fu il periodo nel quale
più aspre furono le polemiche sul caso Gladio, che cominciarono a placarsi solo allorchè scoppiò lo
“scandalo” di Tangentopoli che, abbastanza rapidamente, fece scomparire la vicenda di Stay Behind dalle
prime pagine della cronaca), è stato calcolato che su Gladio uscirono 2146 articoli sui quotidiani nazionali e
270 sui settimanali. Si veda a tale proposito quanto riportato in A. Pannocchia, Gladio: strategie politiche,
strategie di comunicazione, strategie di disinformazione, Tesi di dottorato, Università di Firenze, 2001,
pag.14.
12
Tra di essi sono da ricordare: G. M. Bellu, G. D’Avanzo, I Giorni di Gladio, Sperling and Kupfer, Milano
1991; E. Bettini, Gladio: la Repubblica Parallela, Ediesse, Roma 1995; G. De Lutiis, Il lato oscuro del
potere, Editori Riuniti, Roma 1996; P. Cucchiarelli, A. Giannuli, Lo stato parallelo, Gamberetti Editore,
Roma 1997; D. Genser, Gli Eserciti segreti della Nato. Operazione Gladio e terrorismo in Europa
Occidentale, Fazi Editore, Roma 2005. Vi sono poi anche due libri autobiografici scritti da due ex Capi della
8
Ma soprattutto, su Gladio hanno indagato quattro diverse procure italiane
(Venezia, Roma, Bologna e la procura militare di Padova) e sono stati istituiti
dieci procedimenti giudiziari in relazione sia a presunte deviazioni eversive di
cui tale struttura segreta si sarebbe resa responsabile (le accuse erano di
cospirazione politica e costituzione di banda armata), sia su suoi eventuali
coinvolgimenti in casi giudiziari insoluti del passato (quali il cosiddetto Piano
Solo, la strage di Peteano, l’omicidio Insalaco, la scomparsa del giornalista
Mauro De Mauro)
13
.
Tuttavia, nessuna di queste inchieste è mai sfociata in alcuna condanna
e di fatto in ogni procedimento giudiziario coloro i quali erano i
“responsabili” di Gladio all’epoca in cui la struttura venne fatta conoscere da
Andreotti (ossia i generali Paolo Inzerilli e Mariano Invernizzi, nonchè il
direttore del Sismi Fulvio Martini) sono sempre stati scagionati da qualunque
ipotesi inerente un loro coinvolgimento in fatti di tipo eversivo.
A metà anni novanta peraltro, tutte le inchieste fino ad allora condotte
dalle procure di Venezia, Bologna e Padova confluirono in quella della
Procura di Roma, che da quel momento rimase l’unica ad indagare su Stay
Behind e su un suo presunto ruolo nella “strategia della tensione”.
Nel corso del procedimento giudiziario che si aprì nella Capitale però,
furono gli stessi PM (Franco Ionta, Pietro Saviotti e Giovanni Salvi) a
giungere alla conclusione che non vi erano prove capaci di dimostrare una
sicura responsabilità di Stay Behind in trame di tipo eversivo, arrivando così a
chiedere (ed ottenere) l’assoluzione dei responsabili di Gladio per tali
imputazioni. Non solo; i suddetti PM nella loro requisitoria, ribaltando in
modo totale le iniziali posizioni della Procura, giudicarono essere stata
legittima l’esistenza di una organizzazione quale Gladio e lasciarono perciò
cadere anche le accuse di “costituzione di banda armata”.
Fu così che, a fine anni novanta, l’unica imputazione rimasta ancora in
piedi era quella relativa ad una presunta ed indebita soppressione di
documenti che sarebbe avvenuta nell’estate del 1990 e che, secondo la
Procura, poteva anche essere stata finalizzata ad occultare eventuali prove di
connessioni fra Stay Behind e movimenti eversivi di estrema destra
14
.
Stay Behind, ossia: G. Serravalle, Gladio, Edizioni Associate, Roma 1991 e P. Inzerilli, Gladio, la verità
negata, Analisi, Bologna 1995.
13
Per una sequenza cronologica delle fasi attraverso le quali le procure di Venezia, Bologna, Roma e la
procura militare di Padova arrivarono ad aprire le loro inchieste su Gladio si veda in P.Inzerilli, Gladio, la
verità negata, cit., pagg. 23-34 ed in A. Pannocchia, Gladio: strategie politiche, strategie di comunicazione,
strategie di disinformazione, cit., pagg. 6-8.
14
Si veda in SRACS, il testo del procedimento penale 19986/91 R contro Inzerilli, Invernizzi e Martini.
Sostituti procuratori Ionta, Saviotti, Salvi (documento disponibile sia in versione cartacea, sia in CD-ROM).
Si legge nelle conclusioni di tale procedimento: “per quanto rilevato, deve escludersi che la rete Gladio sia
stata utilizzata per finalità penalmente rilevanti (…). Il reato, ravvisabile [eventualmente] nelle condotte di
quanti organizzarono la Struttura, consentendone consapevolmente la torsione a fini interni, sarebbe in ogni
caso oggi prescritto e quindi è superflua la individuazione di responsabilità personali; in ogni caso, non
essendoci prova della consumazione di delitti (…) sarebbe ravvisabile la causa di non punibilità prevista
dall’articolo 309 c.p.”. Come detto, l’unico reato che i PM ritenevano essere dimostrato era quello relativo
alla soppressione di materiale che poteva essere utile alle indagini e che sarebbe stato deliberatamente
distrutto nell’estate del 1990. La Procura di Roma non escludeva a priori l’ipotesi che tale materiale potesse
9
Nel luglio 2001 tuttavia, anche per questo capo d’accusa è giunta in
primo grado una sentenza di assoluzione perché: “il fatto non sussiste”. Nella
stesura delle motivazioni, i giudici hanno scritto di ritenere non essere provata
la volontà degli imputati di distruggere documentazione riservata al fine di
impedirne l’acquisizione da parte degli inquirenti ed hanno peraltro ribadito
l’inesistenza di elementi capaci di dimostrare un sicuro coinvolgimento di
Gladio in trame eversive
15
.
Una volta rese note tali motivazioni, gli stessi PM che avevano
sostenuto l’accusa hanno rinunciato a ricorrere in appello, avallando così la
decisione della Corte d’Assise. Questa sentenza è perciò oggi passata
definitivamente in giudicato e di fatto essa ormai preclude ogni avallo
giudiziario alle teorie, che conobbero grande diffusione ad inizio anni
novanta, secondo le quali Gladio era una organizzazione illegale nonchè
pronta anche a compiere eccidi in nome dell’anticomunismo. Sebbene quindi,
come si vedrà, sulla vicenda della Stay Behind italiana restino oggettivamente
ancora dei nodi da sciogliere, occorre prendere atto che, nonostante oltre dieci
anni di indagini, secondo la magistratura italiana non sono stati portati alla
luce degli elementi capaci di provare un coinvolgimento di tale struttura in
azioni eversive.
Oggi, tutto il materiale documentale prodotto dal 1990 ai giorni nostri
dalle inchieste giudiziarie, così come da quelle parlamentari, è liberamente
consultabile e, per quanto non lo si possa certo ritenere esaustivo, esso
consente comunque di avere di Gladio una ricostruzione sufficientemente
ampia, tanto che, come si è indicato, negli ultimi anni su di essa sono stati
prodotti numerosi ed approfonditi studi.
Ma se ormai siamo in grado di ricostruire abbastanza fedelmente le
vicende che hanno accompagnato la storia di Gladio, poco o nulla tuttavia
conosciamo su quelli che ne furono gli antecedenti storici e su tutte quelle
organizzazioni prodromiche a Stay Behind operanti fin dall’immediato
dopoguerra.
Quella che nacque nel 1956 infatti, non fu un’entità creata ex novo, nè
tantomeno si trattò di un organismo con funzioni che fino ad allora in Italia
mai alcuna struttura avesse svolto. Se il compito essenziale di Gladio era
quello di attuare: “attività di informazione, infiltrazione/esfiltrazione,
propaganda, guerriglia, sabotaggio in parti del territorio occupate dal
nemico”
16
, siamo oggi in possesso di numerosi documenti che testimoniano
come fin dal 1945 nel territorio italiano nacquero una molteplicità di
organizzazioni che si erano fatte carico degli stessi identici compiti che in
quel 1956 vennero assegnati a Gladio. Il 26 novembre 1956 (giorno del varo
ufficiale della Stay Behind italiana) in sostanza, non segnò la data di nascita di
un servizio parallelo a quello ufficiale quale mai l’Italia aveva conosciuto, ma
contenere documentazione attestante un ipotetico coinvolgimento di Gladio in trame eversive, ma, in
mancanza di prove dirette, tale accusa venne lasciata cadere.
15
Si veda in SRACS, il testo della sentenza n. 18021/94 del 21 luglio 2001, Corte d’Assise di Roma.
(documento disponibile sia in versione cartacea, sia in CD-ROM).
16
SRACS, Relazione Andreotti, cit., pag. 5.
10
di una sorta di riorganizzazione di tutte quelle strutture nate per essere in
grado di reagire ad una aggressione straniera ed operanti fin dall’immediato
dopoguerra.
In base ai documenti oggi disponibili è inoltre possibile dimostrare che
le radici profonde di tali strutture risalgono ad un momento storico ancora
precedente e precisamente al periodo che fece seguito all’armistizio dell’8
settembre 1943. Fu infatti durante le settimane successive a tale data che i
neonati servizi segreti del governo di Brindisi ritennero che, nell’ottica della
guerra all’invasore nazista, costituisse un supporto di grande importanza
riuscire a creare una rete clandestina in grado di operare al di là del fronte
nemico e capace di porsi in sinergia con le nascenti formazioni partigiane.
Alcuni degli uomini che in quegli anni operarono all’interno dei servizi
segreti del governo Badoglio, adoperandosi nel sostenere la guerra dietro le
linee dell’esercito di invasione nazista, li ritroveremo poi nel dopoguerra tra
gli artefici della creazione di strutture paramilitari occulte in funzione
anticomunista ed infine anche dentro la stessa Gladio.
Nell’indagare sulle origini di Gladio si dovrà perciò partire dai convulsi
e concitati giorni post-armistizio, quando la nuova intelligence al servizio del
Governo del Sud, valutò positivamente l’idea secondo la quale, accanto alle
Forze Armate regolari, dovessero operare bande di “irregolari”, capaci di
agire contro il nemico mettendo in atto forme di guerriglia e sabotaggio.
L’attenzione dovrà poi essere rivolta al cruciale momento del passaggio
dalle prime strutture segrete sorte in funzione antinazista a quelle che,
nell’immediato dopoguerra, cominciarono ad operare in funzione
anticomunista e per far questo sarà necessario soffermarsi in modo particolare
su quanto accadde in una precisa regione geografica, il Friuli Venezia Giulia.
E’ qui infatti che si possono trovare i presupposti, tanto politico-ideologici
quanto operativi, delle formazioni Stay Behind anticomuniste, le cui radici
affondano nel drammatico ed insanabile contrasto che, a partire dall’autunno
del 1944, si venne a creare dentro alla Resistenza friulana fra i partigiani
comunisti filo-titini delle Brigate Garibaldi e i “partigiani bianchi” che
militavano nella Brigata cattolica Osoppo.
Queste primordiali strutture, nate in modo pressoché spontaneo fin dai
primi giorni dell’estate del 1945 per volontà di quegli osovani che erano
decisi a difendere il Friuli dal pericolo di aggressione titina, ricevettero ben
presto un decisivo supporto “istituzionale” da parte dei massimi vertici politici
e militari della nuova Italia democratica, i quali garantirono agli osovani
finanziamenti, armi, nonché la possibilità di essere addestrati alla tecniche di
guerriglia e sabotaggio sotto l’egida di ufficiali dell’Esercito americano. Ad
inizio 1947 così, una volta aumentata la consistenza numerica ed affinato
l’addestramento, da queste embrionali organizzazioni segrete potè nascere la
più importante struttura di tipo Stay Behind sorta in Italia prima del 1956,
ovvero la “Osoppo-Organizzazione O”, la cui vicenda dovrà essere seguita
con particolare attenzione, poiché essa a tutti gli effetti può essere considerata
11
la vera e propria progenitrice di Gladio, all’interno della quale andò a
costituire la branca principale.
Se il Friuli fu indiscutibilmente il “laboratorio” in cui vennero
sperimentate e portate a compimento le principali entità prodromiche a
Gladio, nel corso degli anni quaranta anche in altre zone dell’Italia
settentrionale numerosi partigiani cattolici e liberali, una volta conclusa la
lotta contro il nazifascismo, rimasero in armi ed entrarono a far parte di
strutture segrete create in funzione anticomunista.
Di assoluta rilevanza da questo punto di vista fu il ruolo giocato
nell’area lombarda da una organizzazione denominata: “Movimento
Avanguardista Cattolico Italiano” (MACI), originariamente fondata nel 1919
per iniziativa dell’allora arcivescovo di Milano, Monsignor Andrea Ferrari.
Sotto il fascismo però, il MACI era stato costretto a sciogliersi e soltanto nel
novembre 1945, per espressa volontà del cardinale Ildefonso Schuster e della
curia milanese, esso rivide la luce.
Ufficialmente si trattava di una organizzazione impegnata nella difesa
del cattolicesimo e dei valori cristiani e che alle elezioni politiche dell’aprile
1948, di concerto con i “celebri” Comitati Civici di Luigi Gedda, si distinse
per il grande zelo propagandistico profuso in favore dei candidati
democristiani in Lombardia e Piemonte.
Accanto a questo suo ruolo pubblico tuttavia, il MACI fin dai primi
anni post-bellici aveva sviluppato una vera e propria attività sotterranea
attraverso la creazione di una struttura segreta, che fu posta sotto il
“comando” di un ex partigiano bianco di nome Pietro Cattaneo ed i cui
compiti essenziali erano quelli di sorvegliare il “nemico comunista”, cercare
di scoprirne eventuali piani insurrezionali per essere pronti a reagire qualora
fossero stati messi in atto. A Milano vi era il “comando centrale” di tale
struttura, alla quale facevano capo numerose cellule dislocate in quasi tutte le
provincie lombarde le quali, disponendo di infiltrati sia nelle sezioni
comuniste, sia in vari luoghi di lavoro, tenevano costantemente informato
Cattaneo su ogni possibile “azione sovversiva” dei comunisti.
Il MACI non può essere “tout court” definito una organizzazione di
tipo Stay Behind, poiché le sue caratteristiche erano più consone a quelle di
una sorta di servizio segreto parallelo capace di avere un capillare controllo
del territorio al fine di prevenire eventuali atti ostili del “nemico”. Tuttavia,
anch’esso disponeva di una dimensione prettamente militare e la assoluta
maggioranza dei suoi componenti erano ex partigiani anticomunisti pronti a
riprendere le armi (molte delle quali vennero occultate anche nelle sacrestie)
qualora ciò servisse ad impedire che in Italia si affermasse un regime di tipo
sovietico.
Rispetto a quella della “Osoppo-Organizzazione O” e di Gladio, la
vicenda del MACI è molto meno nota, eppure la sua importanza deve essere
considerata assoluta in quanto tale struttura, come si vedrà, aveva come diretti
referenti sia la Democrazia Cristiana, sia le più alte autorità ecclesiastiche. Di
enorme interesse da questo punto di vista appare una missiva riservata che nel
12
1948 l’allora segretario provinciale della DC milanese, Vincenzo Sangalli,
inviò a Pietro Cattaneo, e nella quale era scritto che la DC riconosceva proprio
il MACI quale unica organizzazione armata legittimata ad agire in suo nome.
Per consistenza numerica e diffusione nel territorio, la Osoppo e il
MACI sono da ritenersi le principali strutture segrete anticomuniste a carattere
armato sorte in Italia prima del 1956. Se della Osoppo è certa la continuità
con Gladio, la stessa cosa non la si può affermare con sicurezza per quanto
riguarda il MACI, anche se non sembra essere un caso che gli ultimi
documenti in cui si parla dell’esistenza di tale rete militare cattolica siano
risalenti alla metà degli anni cinquanta. Dal 1956 in poi infatti, della
organizzazione militare del MACI non si hanno più notizie ed è perciò
verosimile ipotizzare che anch’essa, come la Osoppo, sia stata sciolta all’atto
della nascita di Stay Behind, avvenuta nel novembre di quell’anno.
Nella ricostruzione della storia di Gladio e delle strutture ad essa
prodromiche c’è infine un altro importante aspetto che deve essere affrontato
ed è quello relativo ai supposti “misteri” ed alle presunte trame oscure che
ancora oggi graverebbero intorno all’esistenza di tali entità. Sebbene infatti
Stay Behind in sede giudiziaria sia stata assolta, è oggettivamente da
riconoscere, senza per questo fare della facile dietrologia, che la sua vicenda
presenta ancora svariati nodi da sciogliere.
Si renderà quindi necessario cercare di rispondere anche ad alcuni
cruciali quesiti quali, tra gli altri, quello relativo alle eventuali collusioni fra le
suddette strutture e il neofascismo, sui possibili sconfinamenti nell’illegalità
di cui alcuni elementi ad esse organici potrebbero essersi resi responsabili,
nonché all’interrogativo, che come vedremo è verosimilmente quello di
maggiore rilevanza, se davvero oggi conosciamo per intero la storia delle
organizzazioni Stay Behind o se in realtà non vi sia un altro livello, parallelo
alla stessa Gladio, che non è ancora venuto alla luce.
Al tempo stesso però, allorchè verranno affrontate tali questioni, sarà
fondamentale ricordare che Gladio (così come le organizzazioni ad essa
affini) è uscita totalmente assolta da ogni procedimento penale. Se è quindi
pur vero che permangono zone d’ombra ed aspetti non ancora perfettamente
chiariti, è tuttavia imprescindibile avere presente quella che è ad oggi la verità
giudiziaria. Questo non significa ovviamente che essa sia di riflesso una verità
in senso assoluto, ma non si può non tenere conto che, secondo la
magistratura, una prova concreta ed inconfutabile di un coinvolgimento di
Gladio in atti di tipo eversivo non è mai emersa.
Fino a questo momento si è avuto modo di parlare di strutture
anticomuniste, ma c’è un altro tema la cui conoscenza si deve considerare una
integrazione essenziale ai fini di redigere una ricostruzione realmente
completa della storia delle organizzazioni segrete a carattere paramilitare
presenti sul territorio italiano dal dopoguerra in poi.
Se è infatti indiscutibile che fin dal 1945 in Italia nacquero una
molteplicità di formazioni armate “nemiche” del PCI e la cui esistenza era
ignota non solo all’opinione pubblica, ma anche a gran parte del Parlamento, è
13
oggi altrettanto dimostrato che in quegli stessi anni anche il Partito Comunista
Italiano possedeva una sua organizzazione militare segreta.
Si trattava di quella che, con una dicitura impropria ma divenuta ormai
di uso comune, è stata chiamata “la Gladio Rossa”
17
.
Questo termine fu usato per la prima volta nel maggio 1991 in una
inchiesta del settimanale l’Europeo firmata dai giornalisti Romano Cantore e
Vittorio Scutti, i quali, basandosi in gran parte su quanto loro dichiarato da un
ex dirigente toscano del PCI di nome Siro Cocchi, “rivelarono” che per anni, a
partire dal 1945, era esistito un apparato militare facente capo al PCI e che di
fatto avrebbe costituito una sorta di “contraltare” di Gladio. La “Gladio
Rossa” sarebbe infatti stata una specie di quinta colonna dei paesi comunisti
dislocata in Italia ed essa, in caso di invasione del territorio italiano da parte di
truppe sovietiche, avrebbe dovuto operare in loro favore, agendo attraverso
forme di guerriglia da attuare contro gli Eserciti Alleati.
Sebbene la descrizione che la suddetta inchiesta giornalistica fornì di
tale struttura armata fosse oggettivamente piuttosto generica, quell’articolo
dell’Europeo ebbe un effetto dirompente, poiché pochi giorni dopo la sua
pubblicazione, la Procura di Roma decise di aprire un fascicolo di indagine in
relazione alla presunta esistenza di una organizzazione paramilitare organica
al PCI, sui suoi possibili collegamenti coi paesi del blocco sovietico e su suoi
eventuali piani insurrezionali. Fu così che ebbe inizio l’inchiesta su quella
che da quel momento si cominciò a chiamare convenzionalmente “la Gladio
Rossa”.
Dopo che nei mesi precedenti il dibattito politico era stato in gran parte
monopolizzato dal caso di Stay Behind e dalle dure invettive che “da sinistra”
vennero rivolte alla Democrazia Cristiana, colpevole, si disse, di aver dato
copertura ad una struttura eversiva, nelle settimane seguenti a quel maggio
1991, a finire sul “banco degli imputati” furono gli ex comunisti, a loro volta
accusati di aver strumentalmente utilizzato l’esistenza di Gladio per dare una
falsa immagine della storia d’Italia. Proprio la vicenda della “Gladio Rossa”,
fu allora detto, dimostrava quanto fossero fasulle le ricostruzioni storiche che
fino a quel momento erano comparse nella “stampa progressista” e che
avevano descritto il PCI quale partito che mai deflettè dal rispetto della
Costituzione e dei valori democratici, cui dall’altra parte si sarebbe invece
opposta una DC asservita agli interessi americani e con loro complice di
qualunque artificio pur di non mandare al potere i comunisti
18
.
17
Ovviamente la struttura militare del PCI non si chiamò mai Gladio Rossa, che è solo un nome che si
cominciò ad usare nei primi anni novanta (quando uscirono i primi documenti attestanti l’esistenza di tale
struttura) per analogia con l’altra Gladio, quella anticomunista.
18
A distinguersi in modo particolare in questa campagna di stampa tesa a “rivalutare” Gladio e ad accusare i
post-comunisti di strumentalità politica, fu soprattutto il Giornale all’epoca diretto da Indro Montanelli.
Rievocando quei giorni, Montanelli ha scritto: “Gladio divenne un’arma preziosa per distogliere l’attenzione
dell’opinione pubblica dallo sfascio dell’ideologia e dei partiti comunisti e per avvalorare la tesi che l’Italia
fosse vissuta in una falsa democrazia, viziata da presenze poliziesche, autoritarie e golpiste (….) con il
risultato che unico partito rispettabile, in tanto sfascio, rimaneva il PCI poi divenuto PDS, sconfitto dalla
storia recente; ma che si pretese fosse rivalutato, grazie ad un’abile operazione trasformistica (…)” (I.
Montanelli, M.Cervi, L’Italia degli anni di piombo, in Storia d’Italia, Vol. XI, RCS Libri, Milano 2004, pag.
39).
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Occorre tuttavia dire che quanto avvenne in quei giorni fu per certi
versi paradossale, poiché a scatenare le suddette diatribe e soprattutto a
portare la procura di Roma a ritenere fosse necessario aprire una indagine, era
stato un articolo quale quello dell’Europeo che della cosiddetta “Gladio
Rossa” forniva una descrizione alquanto sommaria e basata quasi
esclusivamente sulle parole di Siro Cocchi. In realtà, come si avrà modo di
vedere, su tale struttura segreta comunista fin dagli anni settanta erano emersi
numerosi e precisi elementi documentali che sembravano attestarne
l’esistenza, senza che però essi suscitassero mai un qualche interesse né da
parte della politica, né della magistratura.
L’indagine aperta in quel 1991 peraltro si rivelò fin da subito piuttosto
complessa, anche perché la maggioranza delle personalità che cominciarono
ad essere audite dai magistrati e che, a vario livello, avevano fatto parte del
PCI, negarono (salvo rare eccezioni) che il partito avesse avuto a sua
disposizione una organizzazione militare, sostenendo che al massimo si
poteva parlare di un apparato creato a soli scopi difensivi ed i cui fini erano
quelli di proteggere l’incolumità fisica dei dirigenti.
A complicare ancor più le cose vi era poi il fatto che documentazione
di matrice comunista capace di provare l’esistenza di una Gladio Rossa non
venne fuori, tanto che ad un certo momento cominciarono a divampare pure
aspri scontri politici in merito alla presunta esistenza di un archivio segreto
del PCI mai venuto alla luce e del quale, senza che mai se ne trovasse prova,
si è continuato a parlare praticamente fino ai giorni nostri.
La assoluta maggioranza della documentazione su cui in ogni caso si
dovette basare l’indagine della Procura di Roma fu quella proveniente dagli
archivi dei servizi segreti italiani. Su ordine della magistratura infatti,
cominciarono ad essere desecratate centinaia di informative riservate risalenti
in massima parte agli anni quaranta/cinquanta e che erano state prodotte sulla
base di informazioni fornite da infiltrati del Sifar dentro al PCI, da azioni di
spionaggio o da rapporti emanati dalle prefetture e dalle Forze dell’Ordine.
Fu in tale materiale, all’epoca della sua stesura coperto da segreto di stato per
volontà dei governi democristiani, che vennero trovati ampi riferimenti alla
struttura armata comunista, ai presunti piani eversivi, ai suoi nascondigli di
armi ed alla sua diffusione nel territorio italiano.
Tutta questa documentazione per quasi tre anni venne vagliata dalla
Procura di Roma (e coperta da segreto istruttorio), finchè nel maggio 1994 i
magistrati, ritenendo non vi fossero elementi sufficienti affinchè si potesse
istruire un processo, chiesero che l’inchiesta venisse archiviata. Richiesta che
il successivo 22 luglio venne accolta dal Giudice per le Indagini Preliminari
presso il Tribunale di Roma, il quale sancì così la definitiva chiusura della
indagine sulla “Gladio Rossa”.
Come facile intuire tale decisione non mancò di creare, per l’ennesima
volta, una nuova serie di veementi polemiche politiche, con la procura della
Capitale che venne accusata di non aver avuto nei confronti della Gladio
Rossa lo stesso zelo investigativo profuso per la Gladio anticomunista.
15
Il lavoro dei PM (Luigi de Ficchy e Franco Ionta) si era tuttavia
scontrato con un ostacolo invalicabile, giacchè, come si è detto,
documentazione proveniente dagli archivi del PCI ed in cui vi fossero
riferimenti relativi alla esistenza di una organizzazione segreta comunista a
carattere armato non era emersa. Finendo quindi l’indagine per vertere quasi
esclusivamente su fonti di tipo indiretto e nelle quali spesso vi erano solo
descrizioni generiche di tale struttura, in sede penale risultò impossibile
individuare un qualche reato che potesse essere attribuito a singole persone.
I magistrati però, attraverso un controllo incrociato della
documentazione acquisita e verificando che numerose informative dei servizi
o della polizia, prodotte indipendentemente l’una dell’altra, davano della
Gladio Rossa descrizioni analoghe, ritennero che l’esistenza di tale
formazione armata fosse un dato indiscutibile. Nella loro richiesta di
archiviazione infatti, i PM non negarono che fosse esistito un “apparato
militare” organico al PCI anche se, sostennero, non erano emersi elementi che
potessero costituire reato, considerando peraltro che essi sarebbero comunque
ormai stati coperti dalla prescrizione. Ed anche il GIP (Claudio D’Angelo)
che nel luglio di quell’anno archiviò definitivamente l’indagine, nella stesura
delle motivazioni addotte per tale decisione, tenne a sottolineare come non vi
fossero dubbi in merito alla esistenza fin dall’immediato dopoguerra di una
struttura armata comunista, così come sul fatto che molti suoi militanti
venivano addestrati al sabotaggio ed alla guerriglia anche in territorio estero.
Tuttavia, pure egli ribadì che non vi erano prove tali da, a distanza di decenni,
far configurare un reato attribuibile ad alcuna persona.
Da quel 1994 ad oggi, sebbene materiale documentale proveniente dagli
archivi dell’ex PCI non sia mai emerso, alcune importanti ricerche effettuate
da storici di diversa estrazione culturale negli archivi del Ministero
dell’Interno, così come in quelli di svariati servizi segreti esteri (americano,
russo, cecoslovacco), hanno consentito di portare alla luce nuove ed
indiscutibili prove del fatto che una struttura militare facente capo al PCI è
realmente esistita.
Per questo motivo, nella ricostruzione della storia delle organizzazioni
segrete a carattere paramilitare presenti in Italia fin dall’immediato
dopoguerra, sarà necessario dedicare dei capitoli specifici anche alla Gladio
Rossa, poiché essa, così come le strutture di tipo Stay Behind, fu a tutti gli
effetti una formazione armata occulta per anni dislocata sul territorio italiano.
Ma se ormai le discussioni relative alla esistenza di tale struttura
possono dirsi superate (negli ultimi anni anche a sinistra si è ampiamente
riconosciuto che un apparato militare comunista è esistito), il dibattito resta
tuttavia aperto su quella che era la sua organizzazione interna.
La Gladio Rossa fu davvero una struttura con caratteristiche di tipo
offensivo tali da renderla teoricamente in grado anche di tentare un “putsch”?
Fino a quando è rimasta in vita tale organizzazione? Essa fu veramente
organica al PCI ed afferente ai suoi massimi dirigenti, oppure, come è stato
parimenti sostenuto, i suoi rapporti col PCI sono da definirsi “collaterali”,
16
giacchè essa faceva capo solo alla cosiddetta “ala militarista” del partito
(quella di Pietro Secchia)? Ed ancora, le teorie secondo le quali è proprio nella
Gladio Rossa che possono essere rintracciate le origini profonde del
terrorismo dell’estrema sinistra, hanno un fondamento o sono solo illazioni
prive della benché minima prova?
Questi sono solo alcuni dei quesiti cui si renderà necessario cercare di
rispondere, avendo presente che, così come avvenuto per Stay Behind,
elementi onde poter definire l’apparato militare comunista una organizzazione
eversiva, la magistratura ha ritenuto non ve ne fossero.
Le strutture segrete di tipo Stay Behind e la Gladio Rossa sono un
qualcosa che ormai attiene al passato, ad un contesto storico/politico del tutto
diverso da quello odierno, ad un’epoca nella quale, ha scritto l’ex Presidente
della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino, in Italia di fatto si combatteva
una sorta di “guerra civile a bassa intensità” fra comunisti ed anticomunisti
19
.
Ma oggi quella “guerra” può dirsi conclusa ed una riflessione critica su quelle
esperienze non può più avere alcuna ricaduta sulla polemica politica
quotidiana.
Purtuttavia, è da notare come continuino a persistere, a destra come a
sinistra, delle visioni rigidamente manichee che, insistendo a vivere la politica
come fosse una lotta fra Bene e Male, perseverano nel voler usare queste
vicende del passato come una sorta di metaforica clava per cercare di colpire
il proprio avversario. A causa di tali opposti “manicheismi”, sostiene ancora
Pellegrino, si rischiano così di avere delle chiavi di lettura degli ultimi
cinquant’anni di storia repubblicana “quasi caricaturali nella loro speculare
faziosità” poiché “condizionate ancora dagli schemi della Guerra Fredda”
20
.
Ecco quindi che ancora oggi capita di sentir parlare, da un lato, di Gladio
come di una struttura terroristica e complice, in combutta con la CIA, delle
peggiori efferatezze (stragi comprese) pur di bloccare l’avanzata elettorale del
Partito Comunista e dall’altro, dell’apparato militare comunista come di una
organizzazione criminale al servizio del KGB e la cui sola esistenza starebbe a
dimostrare che il PCI non era un partito democratico.
Seguendo invece la linea interpretativa che è stata tracciata per primo
proprio da Pellegrino durante gli anni della sua Presidenza alla Commissione
Stragi
21
, si proverà qui a dimostrare come, nel contesto della Guerra Fredda,
l’esistenza delle suddette strutture armate (da quelle “filo-atlantiche” a quelle
“comuniste”), avesse una sua logica intrinseca. Secondo Pellegrino anzi,
riconoscere la veridicità di questo assunto dovrebbe ormai essere: “il sale di
una democrazia matura”
22
. Che i servizi segreti occidentali nell’immediato
19
G. Pellegrino (con G.Fasanella), La Guerra Civile. Da Salò a Berlusconi; perché in Italia la Guerra
Fredda non si è ancora conclusa? I protagonisti e le storie di uno scontro che dura da più di sessant’anni,
Bur Editore, Milano 2005, pag. 152.
20
Ibidem, pag. 154.
21
Si veda in SRACS, il cap. 6 della “Relazione Finale per i lavori della Commissione Stragi”, proposta del
Presidente, Sen. Giovanni Pellegrino (da adesso “Relazione Pellegrino”), 4 febbraio 2001 ed anche G.
Pellegrino (con G. Fasanella e C. Sestieri), Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro, Einaudi,
Torino 2000. In particolare si vedano le pagine 5-38 e 235-240.
22
Pellegrino, La Guerra Civile, cit., pag. 155.
17
dopoguerra decidessero di dare vita ad organizzazioni, come appunto Gladio,
che avrebbero dovuto difendere l’Italia qualora essa fosse stata invasa da
truppe straniere, appare infatti una circostanza sulla cui liceità è difficile avere
qualcosa da ridire. Ed un discorso analogo vale nei riguardi della Gladio
Rossa, poiché la creazione di un apparato capace di proteggere l’incolumità
fisica dei dirigenti del PCI e di difendere l’esistenza del partito stesso qualora
negli anni della Guerra Fredda in Italia vi fosse stato un golpe reazionario,
appare una decisione altrettanto giustificata.
Non vi è dubbio che affermazioni così nette possano anche finire col
suscitare delle legittime perplessità, considerando che se si va a leggere la
Costituzione Italiana si vede che al secondo comma dell’articolo 18 essa
afferma:
“sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche
indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”.
Parole queste che sembrano suonare come una sorta di sentenza di
condanna sia delle strutture di tipo Stay Behind, sia della Gladio Rossa,
giacchè entrambe erano associazioni militari segrete e con un chiaro indirizzo
politico.
E tuttavia: quanto è soddisfacente dare una interpretazione delle loro
vicende solo in termini rigidamente giuridico/formali e del tutto avulsi da
quello che era l’ambito storico/politico nel quale quelle organizzazioni
nacquero? E non è forse vero che ogni sistema giuridico disciplina e
contempla anche azioni non suscettibili di essere preventivamente definite e
circoscritte nell’ordinamento costituzionale, le quali possono implicare anche
un elevato grado di discrezionalità, ma che, in base alle contigenze in cui esse
vengono compiute, trovano una “giustificazione”?
23
.
Anche per questo, nel tentativo di ricostruire la storia delle suddette
organizzazioni segrete, non si indugerà qui nel chiedersi se la loro esistenza
fosse o meno legittima, ritenendola giustificata qualora si consideri quello
che era il contesto del mondo diviso in blocchi contrapposti.
Il vero interrogativo cui semmai si dovrà cercare di rispondere è se
queste strutture furono davvero organismi che agirono sempre e soltanto in
funzione difensiva e che, pur avendone la possibilità, mai operarono
illegalmente per condizionare il democratico corso della vita politica italiana o
se, al contrario, vi furono determinate circostanze in cui esse finirono col
subire delle “deviazioni” che ne andarono a snaturare le ragioni per le quali
erano nate.
23
Su questo punto si vedano le riflessioni di A.Cassese in Diritto Internazionale. Problemi della comunità
internazionale, Vol. II (a cura di P. Gaeta), il Mulino, Bologna 2004, pag. 62.