Introduzione
VII
prospettive con cui è possibile guardare queste realtà: quella del diritto con quella
della economia aziendale, della statistica, dell’economia politica ecc. Tale
impostazione si rende necessaria al fine di integrare una prospettiva di tipo
manageriale che renda più agevole la sua comprensione.
Pertanto, prima di entrare nel vivo della discussione sui soggetti giuridici che
caratterizzano il panorama di quello che viene definito il terzo settore, sarà
necessario fornire un quadro generale sulla caratterizzazione dello stesso e dei
suoi fondamenti.
A tal fine, nel primo capitolo del presente elaborato, si è inteso definire il
settore sia in termini dimensionali che qualitativi, per poi ricercare nella
Costituzione Italiana i fondamenti valoriali e giuridici che giustificano
l'importanza del non profit in Italia.
Per una più semplice e schematica illustrazione della disciplina di tali fenomeni
giuridici, abbiamo poi suddiviso l’intera trattazione della disciplina non profit.
Più dettagliatamente nel secondo capitolo abbiamo analizzato le caratteristiche
dagli enti sottoposti a legislazione civilistica (Associazioni riconosciute e non,
Fondazioni e Comitati) e a legislazione tributaria (le cd. ONLUS), per poi
continuare la trattazione nel terzo capitolo di quelle organizzazioni non profit
sottoposte a legislazione speciale. Tali enti sono le organizzazioni di
volontariato (L. 266/1991), le organizzazioni non governative (L. 47/1987), le
associazioni di promozione sociale (L.387/2000), le cooperative sociali (L. 381
Introduzione
VII
del 1991) e la nuova figura introdotta di recente con il D. Lgs. 155/2006 dell’
impresa sociale.
Nel quarto capitolo, infine, sono state richiamate ed esaminate le specifiche
funzioni aziendali fondamentali del governo e della gestione di
un’organizzazione non profit.
In particolare saranno analizzate la strategia, la programmazione, il controllo e
l’attività di fund raising (raccolta di capitale di rischio). Inoltre verrà evidenziata
la necessità dell’adozione di un sistema informativo e contabile con il quale sarà
possibile trasmettere maggiore affidabilità e garanzia, soprattutto al pubblico, con
il quale il terzo settore ha un rapporto di “dipendenza”.
La specificità di dette funzioni rispetto alle funzioni aziendali tipiche è da far
risalire alle “alterità” che caratterizzano tali organizzazioni operanti nel “terzo
settore”. Alterità collegate alla tipologia dei servizi prestati: servizi alla persona,
alla modalità di acquisizione dei fondi e, soprattutto, agli obiettivi finalizzanti
l’agire di tali organizzazioni che viene identificato nel beneficio collettivo.
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Capitolo 1
IL NON PROFIT NELLA REALTA’ ITALIANA
1.1) Rilevanza del fenomeno
1.1.1) Aspetti definitori
Prima di iniziare una qualsiasi analisi sul settore del non profit italiano ritengo
fondamentale capire quali siano i soggetti coinvolti e che caratteristiche essi
assumano. Cercare di dare una definizione precisa del fenomeno non è impresa
facile in quanto la realtà del non profit è in divenire e la dinamicità che
caratterizza il settore non aiuta certamente a qualificare entro rigidi schemi il
fenomeno.
A comprova di ciò si consideri che oltre al termine " non profit " esistono altri
cinque diversi modi per indicare la realtà di cui stiamo parlando:
a) Terza dimensione
b) Terzo settore
c) Privato sociale
d) Terzo sistema
e) Azione volontaria.
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Barbetta G.P., Senza scopo di lucro. Dimensioni economiche, legislazione e politiche del
settore non profit in Italia., Il Mulino, 1996.
Il non profit nella realtà italiana
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Si tratta di espressioni che non identificano realtà diverse, ma che esprimono
semplicemente punti di vista differenti riguardo a uno stesso composito
fenomeno. La ricerca di una definizione per il settore non profit passa
necessariamente attraverso una correlazione dei vari aspetti (sociologico,
economico, giuridico, ecc.), implicando la necessità di un'analisi che tenga in
considerazione problematiche diverse e a volte disomogenee fra di loro.
Probabilmente proprio per questo motivo una definizione del settore che si
concentri su certe funzioni di base o su certe finalità, che sono considerate parte
della missione di una organizzazione non profit, richiederebbe la stesura di
lunghe liste di funzioni/scopi che dovrebbe essere continuamente aggiornata vista
l'estrema mutevolezza nel tempo delle forme assunte da questo tipo di
organizzazioni.
Per cercare di superare questi limiti definitori risulta più efficace ricercare una
definizione per principi primi basata sull'individuazione di alcune caratteristiche
basilari delle organizzazioni del terzo settore riscontrabili empiricamente.
Questi criteri sono cinque:
1) La costituzione formale;
2) La natura giuridica privata;
3) L'autogoverno;
4) L'assenza di distribuzione di profitto;
5) La presenza di una certa quantità di lavoro volontario.
Il non profit nella realtà italiana
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L'organizzazione deve essere formalmente costituita. La necessità di una
costituzione formale deve venir intesa con la previsione di uno statuto, di un atto
costitutivo o di un altro documento che regoli l'accesso dei membri, i loro
comportamenti e le relazioni fra di essi. In questo modo si punta ad evidenziare
la consistenza organizzativa e la stabilità nel tempo dell'ente.
L'organizzazione non deve far parte del settore pubblico. L'indipendenza dai
poteri pubblici viene postulata dalla necessità di una natura giuridica privata di
modo che l'attività svolta e l'organizzazione interna sia a discrezione dei membri
dell'ente. Nella pratica una linea di demarcazione netta fra pubblico e privato è
difficile da tracciare, sia in relazione al processo di privatizzazione di diversi enti
pubblici in atto, sia perché certe organizzazioni pur avendo una natura
privatistica perseguono fini di interesse pubblico.
L'organizzazione non deve essere controllata nella formazione dei suoi processi
decisionali né da parte dello Stato, né dalle imprese con scopo di lucro. La
verifica di questo requisito avviene tramite l'osservazione della composizione dei
consigli di amministrazione. Nei casi in cui il numero di amministratori nominati
da enti pubblici o da imprese a scopo di lucro sia prevalente è chiaro che il
requisito non risulta soddisfatto.
Il non profit nella realtà italiana
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Proprio per questo motivo si ritiene di dover escludere dal settore non profit, e
quindi da questa trattazione, le fondazioni bancarie
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in quanto nella maggior
parte dei casi il potere di nomina degli amministratori spetta ad organismi
pubblici. Il governo interno deve infine garantire la democraticità dei rapporti
interni e la trasparenza nella conduzione dell'attività.
L'organizzazione non deve distribuire, ai propri soci, gli utili derivanti dalla
propria attività; sia che ciò avvenga in modo diretto che indiretto. Ciò non vieta
l'ottenimento di risultati positivi nella gestione, ma obbliga il loro pronto
reinvestimento nell'attività dell'organizzazione. La legislazione italiana, a
differenza di quella statunitense, non prevede questo requisito nel qualificare
determinati tipi di organizzazioni. Si ritiene che gli enti regolati dal libro primo
del codice civile (associazioni, fondazioni e comitati) siano quelli che,
nonostante la mancanza di una previsione specifica in tal senso, più si adattino al
rispetto del criterio della non distribuzione del profitto.
Infine, l'organizzazione deve poter beneficiare in qualche misura del lavoro
volontario o della filantropia. I volontari possono svolgere la loro attività a
qualsiasi livello nell'organizzazione, operativo o dirigenziale che sia. Si
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Sono comunque da registrare recenti cambiamenti per quanto riguarda la disciplina delle
fondazioni bancarie che puntano verso un’azione sociale e privata e allo stesso tempo
imprenditoriale delle proprie attività. Si veda al riguardo: G. Fiorentini., Decalogo per
fondazioni bancarie., Sole 24 Ore del 14 agosto 1999. O. Carabini., Fondazioni verso il
privato., Sole 24 Ore del 8 agosto 1999.
Il non profit nella realtà italiana
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qualificano come lavoro volontario anche le attività retribuite in maniera
omogenee minore, rispetto alla media del mercato per categorie professionali.
La definizione di organizzazione non profit che si evince da questi criteri risulta
decisamente più solida rispetto all'eventualità di dover sviluppare una lista di
attività cui far rientrare il terzo settore. Presenta però ancora un aspetto che deve
essere chiarito in modo da non creare confusione con i temi che andremo a
trattare. Essa porta ad includere all'interno del settore sia organizzazioni che
hanno scopi di utilità sociale sia organizzazioni che, per utilizzare la terminologia
americana, vengono definite mutual benefit. Quest'ultime si caratterizzano
perché, tra le proprie finalità, annovera l' utilità dei propri membri. Un confine
ben preciso fra utilità sociale e utilità mutualistica non esiste sia perché un
aspetto non esclude l'altro, sia perché il concetto di benessere della società, da
contrapporre a benessere dei membri, è difficile da chiarire e labile nel tempo. In
relazione a questo problema si ritiene di dover porre comunque dei limiti
definitori. Per far questo è necessario dover introdurre due categorie di
organizzazioni che costituiscono l'ossatura del non profit italiano.
La prima di queste è quella degli enti non commerciali. Una definizione di essi
deriva dal disposto del Testo unico sulle imposte dirette, ma la forma giuridica
che rivestono è quella che deriva dal libro primo, titolo II, del codice civile. Enti
non commerciali sono quindi propriamente associazioni, riconosciute e non,
Il non profit nella realtà italiana
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fondazioni e comitati. Questi enti soddisfano i requisiti definiti precedentemente
e includono sia le pubblic benefit che le mutual benefit.
Con il D. Lgs. 460/97 è stato ridefinito il concetto di enti non commerciali, ma la
novità più importante è stata l'introduzione delle organizzazioni non lucrative di
utilità sociale (Onlus). Le Onlus, come analizzeremo più approfonditamente in
seguito, non sono altro che quella parte di enti non commerciali che svolgono
attività di utilità sociale (pubblic benefit). Vedremo che, da quest'ultima
categoria, verranno escluse tutte le associazioni di categoria, i partiti politici, le
organizzazioni sindacali e religiose; vi verranno incluse tuttavia quelle
organizzazioni ad esse legate che svolgano attività d'interesse pubblico. Per
quanto riguarda le cooperative, l'esclusione deriva sia dal carattere mutualistico
dell'attività sia dalla possibilità prevista di distribuire, seppur parzialmente, utili.
Discorso diverso deve essere fatto per le cooperative sociali che rientrano di
diritto fra le Onlus.
Per concludere questo aspetto possiamo dire che: una definizione
strutturale/operativa ci ha portato all'individuazione del settore non profit negli
enti non commerciali per cui un analisi di questo settore non potrà prescindere da
essi. Successivamente in base ad un analisi più approfondita dei tipi di attività e
un armonizzazione con il disposto del decreto legislativo 460 del 1997 si è giunti
ad individuare un concetto di non profit in senso stretto che si identifica nelle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale.