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Introduzione
L’ispirazione per questo lavoro nasce dalla constatazione della
crescente inadeguatezza di strumenti e convinzioni con cui si è soliti
affrontare i problemi sociali. Il mondo è cambiato, le dinamiche
all’interno della società non sono più le stesse, le necessità emergenti
variano, e nonostante tutto ci si ostina a trattare questi temi
prevalentemente con gli stessi schemi culturali in voga da decenni. Una
risposta vecchia, per quanto felice possa essere stata a suo tempo,
difficilmente calzerà a pennello a una domanda nuova e mutevole.
Nonostante la netta sofferenza che pervade il sistema sociale si fatica a
guardare le cose con un occhio diverso, anzi si rifuggono modi di
pensare differenti, arroccandosi su vecchie e rassicuranti certezze, anche
quando queste diventano inconsistenti e rarefatte.
Ricordo come fui subito colpito dalle idee proposte
dall’economia civile, o meglio dalla sua rifondazione, dal suo riaffiorare
dopo secoli di accantonamento. Un mondo basato sulla relazionalità e
non sui rapporti quantitativi, sulla reciprocità e non sull’egoismo, non
sarebbe forse migliore, più vivibile, più umano? Eppure sono ancora
pochi coloro che non guardano a questi temi con rassegnazione cercando
di immaginare un futuro differente. E’ partita da queste considerazioni
la voglia di conoscere meglio questi argomenti e di provare ad applicarli
a casi concreti per cercare di comprenderne i risvolti pratici.
Gran parte della trattazione verte sulle Organizzazioni della
Società Civile, quelle che i più conoscono come “non profit” o “terzo
settore”. Un mondo affascinante, composto da una moltitudine di
soggetti così simili, ma al tempo stesso così diversi e complementari. Il
loro limite principale è forse di comunicare poco tra loro e di non farsi
conoscere propriamente. Questo a partire dalle definizioni che si
citavano prima: il termine “non profit” ha un che di filantropico, di
meramente volontaristico, e mal si sposa con realtà ad alto contenuto
imprenditoriale come quelle che stanno emergendo con sempre maggior
spinta propulsiva; “terzo settore” ha un che di residuale, di intrusione in
un mondo non suo, e finisce per risultare fuorviante e riduttivo. Sono
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necessarie profonde riflessioni in proposito, perché ancora sono troppe
le potenzialità poco esplorate e le preziose ricchezze non sfruttate.
Lo scritto si compone di quattro capitoli. Il primo cerca di
cogliere i principali elementi alla base dei più diffusi modelli di ordine
sociale, per poi concentrarsi sulle criticità che affliggono le moderne
società; problemi emergenti e strutturali, che i sistemi di welfare
novecenteschi ignorano, hanno tollerato per lungo tempo accuendone le
negatività o hanno contribuito a diffondere. Il secondo capitolo è
dedicato ai principali spunti offerti dall’economia civile sui temi del
welfare e dei servizi alla persona; vengono presentati concetti come la
welfare society, servizi e mercati di qualità sociale, considerazioni su
nuovi approcci a temi come la questione occupazionale e il capitale
sociale, cercando di coglierne implicazioni e ostacoli applicativi. Il terzo
capitolo riguarda le organizzazioni della società civile, le motivazioni
alla base della loro diffusione, la loro evoluzione nel panorama italiano,
le dimensioni del fenomeno, il ruolo che ricoprono e i problemi che
devono affrontare; questo insieme di realtà è in costante movimento, si
proverà dunque a cogliere le principali mutazioni in atto, di descrivere le
organizzazioni più innovative e i caratteri distintivi rispetto alle
istituzioni pubbliche e di mercato. Infine il quarto capitolo scende nel
dettaglio di uno specifico settore dei servizi alla persona, il sistema
sanitario, cercando di inquadrarlo da un punto di osservazione differente
da quello tradizionale e dedicando particolare attenzione al contributo
delle organizzazioni della società civile; il centro dell’analisi sono le
strutture più complesse, quelle ospedaliere, delineando non solo i tratti
fondamentali della questione, ma anche le possibili dinamiche future e i
principali ostacoli che si frappongono tra il sistema odierno e una sua
alternativa socialmente preferibile.
Si è trattato di un lavoro molto arduo quanto appagante: sforzarsi
di guardare alle cose con occhi diversi, in profondità, oltre stantii retaggi
culturali, è un esercizio salutare per la mente e per lo spirito. Ci attende
un futuro incerto e l’unico appiglio cui ci si può ancorare è un pensiero
elastico, una spiccata reattività mentale che permetta di ragionare
criticamente senza accontentarsi di formulette che banalizzano la realtà.
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CAPITOLO 1
I MODERNI SISTEMI DI WELFARE:
RADICI, CRISI E PROSPETTIVE
11
Questo capitolo inizia presentando brevemente gli elementi salienti che
caratterizzano un sistema di welfare, cercando poi di capire come la loro
iterazione ha dato luogo ai sistemi moderni. Si analizzano poi le varie
combinazioni evidenziando punti comuni e differenze, confrontando
punti di forza e di debolezza.
Il lavoro prosegue poi focalizzandosi sul sistema italiano, i tratti
generali, i vincoli contingenti e le questioni strutturali alla base delle
odierne difficoltà.
Nell’ultima parte infine si riflette sull’opportunità di perpetrare una
visione novecentesca del welfare nel mondo di oggi, sottolineando i
limiti e l’inefficacia di questo modo di vedere le cose e di interpretare
l’azione pubblica e privata.
Questo primo capitolo è pensato per sollevare il problema, identificare
le criticità sulle quali si pone l’attenzione e introdurre concetti che
verranno sviluppati oltre. Nei capitoli successivi si presenteranno vie
alternative per scendere poi più nello specifico dell’analisi.
1.1 ORDINE SOCIALE E SISTEMI DI WELFARE
Welfare ha come equivalente in italiano “benessere”, ma il
termine è ormai comunemente usato per indicare quel sistema unificato
di sicurezza sociale (ossia di intervento statale al cittadino “from cradle
to the grave”, dalla culla alla tomba) attivato dall’ente sovrano di una
società in risposta alle difficoltà e alle necessità fondamentali della vita
come malattia, invalidità, vecchiaia e istruzione.
Punto di partenza dell’analisi che si propone è discutere quali
siano i principi fondanti sui quali fanno perno le architetture sociali che
conosciamo, gli ingredienti la cui combinazione genera una società
capace di svilupparsi e di avere un futuro. Possiamo individuare principi
regolativi che caratterizzano il concetto di ordine sociale
1
. Questi
principi sono distinti, ma non indipendenti, tanto che la bontà di un
1
Per approfondimenti sulla materia si fa riferimento a questi contributi:
L. Bruni, S. Zamagni, Economia civile, Bologna, 2004
L. Bruni, S. Zamagni (a cura di), Dizionario di Economia Civile, Roma, 2009
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sistema sociale dipende in modo determinante da quanto il mix di questi
elementi è armonioso e bilanciato. L’elenco è il seguente:
- Scambio di equivalenti di valore: gli scambi di beni di vario
genere che intercorrono tra i diversi agenti di un sistema economico
avvengono secondo il principio che un‘entità viene ceduta in cambio di
un’altra di pari valore. In un’economia di mercato ciò significa che
ogni merce ha un prezzo che si viene a formare sul mercato stesso, ma
tale concetto può essere applicato anche nell’ambito del baratto.
Obiettivo di tale principio è l’efficienza in senso paretiano, cioè evitare
che ci siano sprechi di risorse che vadano a impoverire l’economia. Nel
corso della storia la mancanza di efficienza ha comportato per diverse
civiltà l’estinzione o il mancato sviluppo.
- Ridistribuzione della ricchezza: un sistema economico deve
essere in grado di produrre ricchezza in modo efficiente, ma deve
anche sapere ridistribuirla il più equamente possibile tra coloro che a
qualunque titolo abbiano contribuito a generarla. Tale principio mira
all’equità, e trova saldissimi fondamenti non solo etici, ma anche di
natura prettamente economica: i soggetti sprovvisti di risorse non
possono accedere al sistema di mercato, né come produttori di
ricchezza, né come consumatori, con il risultato che i mercati si
restringono e la produzione fatica ad essere assorbita
2
.
- Dono come reciprocità: come per lo scambio di equivalenti
anche alla base di questo principio c’è una relazione bidirezionale fra
due o più soggetti. La differenza risiede nelle modalità con le quali
avviene tale relazione: nello scambio di equivalenti nasce
un’obbligazione per le parti contraenti; prima di accordarsi non c’è
alcun obbligo, ma una volta stipulato il contratto ogni parte deve
rispettare quanto pattuito. In particolare viene fissato antecedentemente
il bene o il prezzo che ciascuna parte deve corrispondere all’altra, con
2 Paesi con un’ampia dotazione di capitale fisico e umano, come ad esempio
l’Argentina, hanno conosciuto gravi problemi socio-economici proprio a causa di
una ricchezza ingente, ma distribuita in modo sperequato e iniquo.
13
norme formali che vanno a sanzionare chi non adempie. Invece quando
si parla di reciprocità, i vincoli sopra descritti non esistono: un soggetto
si avvicina a un altro non mosso dal perseguimento del proprio
interesse individuale, bensì da un atto di gratuità che nasce da un
esercizio di empatia verso chi gli sta di fronte, attraverso il quale l’uno
avverte e comprende il bisogno dell’altro decidendo di agire in suo
soccorso. Chi offre il proprio aiuto non lo fa in modo paternalistico, ma
al contrario nutre l’aspettativa che in futuro l’altro soggetto reciprochi,
cioè si comporti allo stesso modo a parti invertite. E’ qui che risiede
l’elemento distintivo del comportamento reciprocante: alle prestazioni
non viene associato un valore economico che deve pareggiare quanto
ricevuto e non si vanta un vero e proprio diritto nei confronti dell’altro,
bensì sono le motivazioni intrinseche al gesto che caratterizzano il
rapporto e che rendono la controprestazione adeguata
3
. Anche qua è
prevista una sanzione nel caso una parte non reciprochi, ma non è una
sanzione legale o pecuniaria, è una sanzione sociale, di esclusione dal
circuito di reciprocità: in concreto significa che se un soggetto si sente
sfruttato non presterà aiuto in una futura situazione di bisogno di chi
non ha reciprocato, oppure che verrà interrotta una relazione
continuativa di mutuo soccorso (l’esempio classico è l’amicizia). Da
queste considerazioni consegue che le relazioni fra i diversi soggetti
non sono chiuse, emerge un forte senso di appartenenza alla comunità
che può arricchire la dinamica reciprocante e per questo un ulteriore
peculiarità della reciprocità è che questa può essere transitiva (o
indiretta): quando un soggetto soccorre un altro, quest’ultimo può
reciprocare andando in soccorso di un terzo soggetto, diverso da colui
che per primo è venuto in suo aiuto; oppure una terza parte può
osservare un soggetto soccorrere un altro, e rendendosi conto che il
primo a sua volta ha un bisogno, può intervenire per effetto di una
sorta di empatia che scatta sulle motivazioni per le quali i soggetti in
questione agiscono. Insomma la reciprocità può assumere molte forme,
è un fenomeno difficile da cogliere e definire in modo esaustivo.
3 Citando Marx: “Da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i
propri bisogni”
14
L’obiettivo che caratterizza questo principio è la fratellanza le cui
peculiarità sono quelle da una parte di incrementare la fiducia
generalizzata e lo spirito di cooperazione insiti in una comunità,
dall’altra di dare impulso alla libertà in senso positivo, cioè
all’opportunità per ciascuno di dare attuazione al proprio piano di vita
e di raggiungere la felicità nel senso aristotelico del termine. Purtroppo
il termine fratellanza è stato un po’ accantonato dopo la rivoluzione
francese finendo per perdere parte del proprio contenuto esplicativo,
tanto che viene spesso confuso con altri concetti che hanno un
significato dalle implicazioni assai diverse. In particolare si tende a
confondere fratellanza con filantropia, altruismo, solidarietà: queste
parole evocano relazioni unidirezionali, cioè quelle circostanze in cui
un soggetto aiuta un altro in difficoltà, senza il seguito di reciprocità
sopra descritto. Ciò comporta che in queste situazioni è forte l’aspetto
paternalistico e assistenzialistico, che rischia di produrre effetti
perversi tra coloro che ricevono senza poter reciprocare, perché questo
modo di aiutare offende la dignità delle persone: Seneca 2000 anni fa
scriveva che chi non è messo nelle condizioni di reciprocare un dono
finirà per odiare chi ha donato. Anche altre peculiarità della fratellanza
come l’esaltazione della libertà e il valore aggiunto insito nella
specificità dei rapporti non trovano invece riscontro in comportamenti
solidaristici o filantropici.
Due sono le riflessioni principali da sviluppare. La prima è che
mai nelle nostre società moderne i tre principi sopra elencati hanno
potuto coesistere con pari dignità e forza, contagiandosi fino a fondersi
per formare un prototipo di efficienza, equità e fratellanza; nella pratica
ne vediamo applicati al massimo due alla volta con un terzo un po’ in
disparte. Il secondo elemento fondamentale nasce dalla considerazione
che l’economia politica, o comunque la teoria economica tradizionale
che caratterizza lo scenario da ormai molti decenni, si basa su concetti
che dipingono l’uomo come un agente economico razionale che si
comporta in modo strumentale al perseguimento esclusivo del self-
interest (l’Homo oeconomicus); in questi termini è impossibile spiegare
la reciprocità senza svilire completamente il suo significato. Questa
15
ragione ha portato troppo spesso a discutere di welfare e ordine sociale
in termini dicotomici Stato-Mercato, trascurando il principio di
reciprocità; i risultati insoddisfacenti di questa visione hanno diffuso
l’opinione secondo la quale è necessario ragionare su tre principi per
trovare un mix armonioso, e non più su una dicotomia di
contrapposizione: ciò è alla base di un rinnovato interesse verso
l’economia civile che si propone oggi non come superamento, ma come
completamento dell’economia politica.
1.1.1 I MODERNI SISTEMI DI WELFARE
Sulla scorta di quanto affermato prima circa i modelli sociali
basati su due dei principi individuati, possiamo elencare tre diversi
assetti. Il primo è quello dei cosiddetti comunitarismi (ad esempio gli
Amish) che oggi trovano poco spazio, ma che in passato erano molto più
diffusi. Queste società sono molto eque e reciprocanti, ma escludono la
logica contrattuale di mercato con gravi inefficienze e miserie terribili.
Poi c’è il modello associabile a gran parte dell’Europa dal
secondo dopoguerra a oggi: il mercato produce ricchezza nel modo più
efficiente possibile, poi c’è l’intervento statale che ridistribuisce quanto
prodotto fra i cittadini secondo qualche canone di equità. Forze
reciprocanti come quelle del terzo settore (il non profit, le associazioni,
le imprese sociali …) sono sì presenti, ma alle dirette dipendenze
dell’autorità statale e quindi prive di molto del loro valore sociale e
simbolico. Negli ultimi anni in questi contesti si è affermato un sistema
chiamato welfare mix, dove lo Stato si avvale della collaborazione di
questi soggetti nell’erogazione di determinati servizi, senza però
coinvolgerli nella fase di programmazione e senza metterli nelle
condizioni di divenire soggetti indipendenti e autonomi a tutto tondo. E’
però da notare che l’applicazione di tali principi e i risultati ottenuti
sono diversi nelle varie zone di Europa
4
.
4 l’Europa settentrionale, in particolar modo la Scandinavia, offre un livello di
protezione sociale ai propri cittadini più elevato rispetto a quanto accade nella fascia
16
Infine c’è il modello USA o nordamericano che esalta la logica
del mercato e dello scambio, nella convinzione che solo questa sia la
strada per raggiungere obiettivi socialmente desiderabili. Accanto a
questo concetto c’è una forte società civile che al sorgere di un problema
non aspetta che sia lo Stato a intervenire, ma al contrario cerca di
organizzarsi per far fronte ai propri bisogni, secondo logiche fortemente
reciprocanti. Questa caratteristica che differenzia queste società rispetto
a tante altre è da ricercarsi nella storia nel Nord America: la sua
popolazione è costituita da immigranti, persone dinamiche e vogliose di
fare; inoltre questi territori sono fra i pochissimi al mondo che non
hanno mai conosciuto monarchie e dittature, ma solo la democrazia, il
che non ha radicato retaggi culturali di uno Stato forte e autoritario
5
. Lo
Stato chiaramente è sì presente, ma il suo compito è di garantire servizi
fondamentali e un contesto ordinato che sia funzionale ai mercati; le
logiche ridistributive non sono prerogativa statale, o almeno non come
s’intende in Europa. E’ invece diffuso il cosiddetto capitalismo
filantropico: l’imprenditore che concentra nelle proprie mani ingenti
ricchezze ha il dovere morale di condividere parte di queste con la
comunità che gli ha permesso di avere successo o con zone del mondo
povere e sfruttate; a tale scopo vengono istituite le Foundations, le quali
si propongono di combattere le cause di miseria e tensioni sociali.
Invero l’operato di questi soggetti non è esente da dubbi e dibattiti circa
la loro opportunità e il metodo con il quale operano
6
.
meridionale; pure i livelli di efficienza e l’integrità morale della macchina statale
sono notevolmente differenti.
5 Su queste considerazioni da ricordare il trattato politico-sociale Tocqueville, La
democrazia in America, pubblicato tra il 1835 e il 1840.
6 Pare legittimo chiedersi se non sia più indicato che queste risorse siano trasferite
dal magnate a un soggetto pubblico che si occupi poi di perseguire tali finalità, ma
negli USA c’è scarsa fiducia nelle macchine burocratiche statali, ritenute
inefficienti, mentre c’è il convincimento che chi ha avuto successo negli affari possa
ottenere grandi risultati applicando le proprie capacità per scopi caritatevoli. In
realtà, è vero anche che le iniziative private rischiano di intervenire sui problemi ‘a
pioggia’ senza aggredire le cause strutturali dei malesseri sociali che richiederebbero
interventi capillari e di ampio respiro; inoltre spesso operano senza reciprocità, e chi
17
Questa breve carrellata pone almeno un paio di domande: quel’è
l’origine di queste differenze fra i sistemi di welfare nelle diverse parti
del mondo? Uno di questi sistemi è migliore degli altri o l’applicazione
di ogni modello è condizionata al contesto socio-economico?
1.1.2 LE RAGIONI DELLE DIFFERENZE EUROPA-USA
La teoria economica tradizionale giustifica l’adozione di politiche
ridistributive come prodotto del sistema democratico con diritto di voto
universale: da una parte c’è il principio del self-interest, secondo il quale
coloro che percepiscono un reddito inferiore a quello medio hanno
interesse a sostenere tali provvedimenti perché ampliano le risorse a loro
disposizione; dall’altra è ormai riconosciuto che nelle votazioni a
maggioranza vige il teorema dell’elettore mediano, il quale afferma che
se ogni cittadino ha un proprio sistema di preferenze (con determinate
caratteristiche) circa una particolare politica, come quella ridistributiva,
un candidato per essere eletto deve soddisfare l’elettore mediano e
quindi offrire la configurazione che egli preferisce. Considerati questi
due punti, se aggiungiamo che nelle società moderne la distribuzione del
reddito è tale per cui l’elettore mediano ha un reddito inferiore a quello
medio dei cittadini, ecco spiegato perché in un sistema democratico
vengono implementate politiche che prelevano risorse dai più ricchi per
impiegarle in favore dei più poveri. A sostegno di questa visione c’è la
costatazione che nella storia il lievitare della spesa pubblica per politiche
ridistributive è relativamente recente (fine ’800 o inizio ‘900 a seconda
dei Paesi), e avviene con il diffondersi delle democrazie elettive.
Questo ragionamento risponde solo in parte alla domanda iniziale,
in quanto non si può di certo sostenere che negli USA lo Stato
ridistribuisca meno rispetto a quanto avviene in Europa perché la società
americana è meno sperequata. Bisogna introdurre altri elementi e a tal
riceve si sente offeso nella propria dignità, senza contare che molti segmenti della
società non sono disposti a tollerare metodi poco civili di certi uomini d’affari solo
perché parte dei profitti viene impiegato nelle Fondazioni.