Un rilevante contributo storico-giuridico agli studi nel settore della giustizia
amministrativa è stato offerto dal dott. De Paolis per conto dell’ Associazione
Romana degli Studi Giuridici.
Lo studioso nel corso di un Convegno tenuto dalla stessa A.R.S.G. nel Marzo
2002 ha esposto un importante relazione in merito alle ordinanze cautelari, cioè
sullo strumento che tradizionalmente la giustizia amministrativa ha utilizzato, fin
dalla sua nascita, per sospendere l’efficacia di un provvedimento amministrativo
impugnato davanti al giudice amministrativo.
Non è una coincidenza che la giustizia amministrativa sia nata nel
nostro Paese nel 1889 con l’istituzione della IV Sezione giurisdizionale del
Consiglio di Stato perché, all’epoca, vi fu la necessità impellente di creare uno
stato liberale, cioè uno Stato che considerasse rilevante il principio di legalità
nell’operato della P.A.
Il principio di legalità trova applicazione anche ai nostri giorni: per garantire
l’imparzialità nell’attività svolta dalle singole amministrazioni è necessario che vi
sia un garante che tuteli il cittadino davanti alla P.A.
La garanzia doveva venire da un soggetto terzo: ecco perché Crispi creò la IV
Sezione.
Fin dalla sua nascita, la giustizia amministrativa fu il testimone privilegiato
dell’eterno contrasto tra libertà e dittatura.
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Nell’austera aula di Pompeo in Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, vi
sono due simboli che si contrappongono anche fisicamente: da una parte la
poltrona di Re Carlo Alberto, il monarca illuminato che istituì, con l’editto di
Racconigi del 1831, il Consiglio di Stato nel Regno di Sardegna, il monarca
illuminato che concesse lo Statuto, cioè la Costituzione, nel 1848, in piena
Restaurazione controllata e dominata da Vienna, dall’altra parte la statua di
Pompeo, rinvenuta durante i lavori di scavo per la costruzione della Chiesa Nuova
lungo l’attuale Corso Vittorio Emanuele II, statua presso il cui basamento venne,
secondo la tradizione, ucciso il tiranno Giulio Cesare colui che, a sua volta, aveva
ucciso la Repubblica Romana.
Due simboli: Carlo Alberto, che impersona lo stato liberale nascente, e Giulio
Cesare che simboleggia la tirannia, il passaggio dalla Repubblica al Principato
anticipatore dell’Impero.
Nel momento in cui la giustizia amministrativa cominciava a muovere i primi
passi nel Regno d’Italia, il giudice amministrativo della IV Sezione aveva, come
unico strumento cautelare, l’ordinanza di sospensiva con cui sospendere gli effetti
del provvedimento amministrativo, in attesa della definizione della causa
mediante una sentenza di merito.
Ebbene, facendo un parallelismo con il diritto romano, possiamo definire
questa fase del processo amministrativo cautelare, come quella del mittite ambo
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rem cioè sospendi, blocca tutto, congela la situazione confliggente in attesa che vi
sia la sentenza di merito con cui si definirà la causa.
Dal punto di vista cronologico c’è da dire che, dalla lontana legge istitutiva
della giustizia amministrativa ( L. n. 5992 del 1889) fino ai giorni nostri, il
giudizio cautelare amministrativo è stato interessato da poche norme: infatti, dal
1889 dobbiamo attendere il 1924, quando venne redatto il T.U. 1054 che,
all’art. 39, prevedeva le gravi ragioni come presupposto per sospendere in sede
cautelare il provvedimento amministrativo impugnato; dobbiamo giungere al
1948, quando si stabilì che la decisione cautelare dovesse vestire i panni
dell’ordinanza e pervenire al 1950 perché venisse stabilito normativamente che, in
sede di discussione delle domande incidentali cautelari, davanti al collegio, gli
avvocati difensori potessero essere ascoltati, se ne avessero fatto richiesta.
È utile ricostruire la disciplina della tutela cautelare dal tempo in cui il potere
autoritativo della pubblica amministrazione era talmente forte da limitare la libertà
dei privati, dall'istituzione nel 1889 della IV sezione del Consiglio di Stato alla
costituzione nel 1971 dei Tribunali Amministrativi Regionali, offrendo una sintesi
efficace dell'evoluzione della giustizia amministrativa cautelare.
Tale evoluzione è stata caratterizzata dal passaggio da una concezione rigida,
che limitava l'accoglimento dell'istanza cautelare alle ipotesi di atti aventi
"efficacia esecutiva", la cui attuazione era fonte di danni gravi e irreparabili
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(o difficilmente riparabili), alle feconde aperture della giurisprudenza verso
l'adozione di provvedimenti cautelari diversi dall'originario modello di misura
inibitoria.
A dare impulso all'esigenza di ampliare l'area del giudizio cautelare hanno
concorso, oltre che la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 190 del
25.6.1985, (introduttiva dei provvedimenti di urgenza nelle controversie
patrimoniali in materia di pubblico impiego), l'Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato, che, con diversi interventi, ha teorizzato la possibilità di adottare anche
misure interinali atipiche, dirette a cautelare tutte le situazioni soggettive tutelabili
in sede di merito, al fine di ovviare agli eventi dannosi derivanti dal periculum in
mora.
La predetta trasformazione, ordinata ad attuare il principio di effettività della
tutela giurisdizionale, ha inciso in modo rilevante sulla portata dell'istituto, che, da
strumento tipico di sospensione dell'attività amministrativa, ha assunto un ruolo
sempre più determinante nella tutela cautelare, oltre che degli interessi oppositivi,
degli interessi pretensivi, divenendo il baricentro del processo amministrativo.
Basti pensare alle pronunce favorevoli nel vasto campo dei provvedimenti
negativi, compresi gli atti di diniego o di rifiuto, e alle diverse tipologie di misure
inibitorie che hanno contrassegnato la produzione giurisprudenziale degli ultimi
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decenni, per evidenziare il contributo rilevante del giudice cautelare nella ricerca
delle soluzioni ritenute più idonee a contemperare gli opposti interessi coinvolti.
L'evoluzione giurisprudenziale, di cui sopra, non ha lasciato insensibile il
legislatore, il quale, dopo avere introdotto misure speciali per rendere più celere
l'iter del processo, (come, ad esempio, in tema di opere pubbliche, di cui alla
L. 23.5.1997 n. 135, art. 19), ha non solo riaffermato tali misure acceleratorie
nella legge di riforma 21.7.2000 n. 205 (artt. 3-4), ma ha informato la tutela
cautelare ad una nuova impostazione, ispirandosi, per taluni aspetti, alla
normativa corrispondente del processo civile .
L'art. 3 della predetta legge di riforma (sostitutivo del settimo comma
dell'art. 21 L. 1034/1971 che indicava nei soli “danni gravi ed irreparabili
derivanti dall’esecuzione dell’atto” il presupposto per concedere il
provvedimento), nel rimodellare il sistema precedente, ha attribuito al giudice
amministrativo il potere discrezionale di decidere le misure cautelari ritenute più
consone a garantire, in via provvisoria, "gli effetti della decisione del ricorso",
onde impedire gli eventi pregiudizievoli paventati dal ricorrente nelle more della
trattazione del merito e conferendo così al provvedimento cautelare natura
anticipatoria degli effetti della futura sentenza.
Da qui l'atipicità delle misure cautelari racchiuse nella locuzione
onnicomprensiva della citata norma -"misure cautelari …più idonee ad assicurare
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interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso"-, nella quale sono compresi,
oltre allo strumento tradizionale della sospensione diretta ad imporre
all'amministrazione un facere (specie con riguardo a quelle situazioni connesse
all'impugnazione di atti negativi o di comportamenti omissivi) o a carattere
ingiuntivo, oppure che facciano, comunque, obbligo all'Amministrazione di
riesaminare il provvedimento o il comportamento assunto, alla stregua di nuovi
documenti o fatti sopravvenuti.
Di notevolissimo rilievo quella che potremmo dire la storicizzazione del
processo cautelare, avendo l’art. 3 L. 205 cit. dato forma adeguata ad una realtà
che si era venuta stratificando sotto la spinta dell’urgenza e l’incontenibile varietà
delle fattispecie, essendosi finalmente codificato che il pregiudizio grave e
irreparabile assume rilevanza sia che derivi "dall’esecuzione dell’atto impugnato"
che dal comportamento inerte dell’amministrazione" e che per ovviare a detto
pregiudizio può chiedersi "l’emanazione di misure cautelari, compresa
l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono secondo le circostanze, più
idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso".
Si è arrivati così all’atipicità della misura cautelare, per la quale l’ordinanza è
soltanto un contenitore, mentre i limiti di contenuto sono segnati dalla funzione di
assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso .
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interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso"-, nella quale sono compresi,
oltre allo strumento tradizionale della sospensione diretta ad imporre
all'amministrazione un facere (specie con riguardo a quelle situazioni connesse
all'impugnazione di atti negativi o di comportamenti omissivi) o a carattere
ingiuntivo, oppure che facciano, comunque, obbligo all'Amministrazione di
riesaminare il provvedimento o il comportamento assunto, alla stregua di nuovi
documenti o fatti sopravvenuti.
Di notevolissimo rilievo quella che potremmo dire la storicizzazione del
processo cautelare, avendo l’art. 3 L. 205 cit. dato forma adeguata ad una realtà
che si era venuta stratificando sotto la spinta dell’urgenza e l’incontenibile varietà
delle fattispecie, essendosi finalmente codificato che il pregiudizio grave e
irreparabile assume rilevanza sia che derivi "dall’esecuzione dell’atto impugnato"
che dal comportamento inerte dell’amministrazione" e che per ovviare a detto
pregiudizio può chiedersi "l’emanazione di misure cautelari, compresa
l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono secondo le circostanze, più
idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso".
Si è arrivati così all’atipicità della misura cautelare, per la quale l’ordinanza è
soltanto un contenitore, mentre i limiti di contenuto sono segnati dalla funzione di
assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso .
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