5
questo, a maggior ragione in considerazione del fatto che la ormai
venticinquennale Constitución Española è in molte disposizioni
debitrice a quelle di dette democrazie.
E’ questo un dato comune alle esperienze costituzionali moderne,
che i giuspubblicisti inquadrano nella teoria dell’imitazione e
circolazione dei modelli.
Nello studio della forma-stato, della cui aggressione e difesa si
tratta, il diritto pubblico muove dalla osservazione delle «figure
assunte dagli ordinamenti statali positivi appartenenti ad una stessa
fase di civiltà», procedendo quindi «ad operazioni di comparazione
allo scopo di rilevare gli aspetti del modo di essere e di funzionare
di ciascuno che appaiono somiglianti agli altri, per giungere, sulla
base di tale procedimento di astrazione dei caratteri analoghi
riscontrati, a classificazioni di gruppi o di categorie, … utilizzabili
come sono per la migliore conoscenza dei singoli ordinamenti
statali».
1
Si fa uso, appunto, del concetto di modello, mutuato
dall’economia, intrinsecamente legato all’idea di classificazione,
di «sintesi della complessità attraverso categorie logiche»
2
, avendo
cura di «metter ordine fra ordinamenti ed istituti appartenenti ad
ordinamenti soltanto apparentemente simili»
3
. E nella stessa parola
“modello” è altresì inclusa l’accezione di «forma esemplare»: per
sua stessa natura il modello si presta quindi all’imitazione. La sua
circolazione è un postulato della sua stessa esistenza: un istituto si
qualifica come “modello”, proprio perché imitato.
Ciò si può comprendere semplicemente osservando come la nascita
di una forma-tipo, che si possa definire originale, sia
statisticamente un avvenimento più raro dell’imitazione.
4
L’adozione di principi ed istituti “presi in prestito” integralmente o
parzialmente da altri ordinamenti mira al miglioramento del
proprio diritto, e la scienza comparatistica viene in aiuto in questo
1
C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, 10. ed., 1991, 137–138.
2
L. Pegoraro, A. Rinella, Introduzione al diritto pubblico comparato, Cedam, Padova, 2002, 63.
3
G. de Vergottini, Diritto costituzionale comparato, 5. ed., Cedam, Padova, 1999, 42.
4
R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, 5. ed., UTET, Torino, 1999, 142.
6
senso, in quanto fornisce gli strumenti necessari alla loro
conoscenza e al loro inserimento nel contesto normativo nazionale.
«Non è dubbio che in moltissimi casi la comparazione accelera lo
sviluppo del diritto, poiché favorisce la circolazione di modelli
giuridici».
5
Per comprendere a fondo le disposizioni giuridiche di altri
ordinamenti, dovremo però compiere una valutazione che va oltre
la semplice analisi delle disposizioni legislative e costituzionali.
Innanzitutto, nel metodo comparatistico risulterà fondamentale
tentare di distaccarsi, nell’analizzare istituti e documenti
appartenenti ad ordinamento straniero, dall’insieme di elementi
che influenzano il nostro modo di pensare e di fare diritto, per
poter così essere più obiettivi. E al fine di comprendere affondo il
complesso delle leggi straniere, bisognerà tenere conto di quegli
elementi che contribuiscono a formare il pensiero ed il metodo
giuridico del paese di cui si tratta. Prima di esaminare i dati
formalmente giuridici di un ordinamento, è necessario quindi
comprendere il contesto in cui essi si formano e vengono
interpretati, osservando attentamente gli elementi storici, sociali,
culturali, linguistici, politici e quanti altri contribuiscano a
caratterizzare un sistema.
Per quanto riguarda poi l’analisi più specificamente giuridica,
risulta utile prendere in considerazione i cosiddetti “formanti”
dell’ordinamento giuridico: i diversi «insiemi…di regole e
proposizioni» che contribuiscono a generare l’assetto legale di un
ordinamento, ciò che genericamente si definisce «regola
giuridica». I formanti principali negli ordinamenti moderni sono,
accanto alle formali disposizioni normative, prime fra tutte quelle
costituzionali, l’interpretazione che ne dà la giurisprudenza,
attraverso la loro applicazione, e l’insieme delle opinioni della
dottrina. E proprio ad essi, tenendo in considerazione anche i
«crittotipi» – formanti diversi da quelli «verbalizzati», modelli
5
R. Sacco, ibidem, 19.
7
impliciti – bisognerà fare riferimento per comprendere il diritto
nella sua dimensione “viva”.
6
Per questo motivo le opinioni dei giuristi saranno di centrale
importanza nell’analisi da affrontare, in quanto riflettenti il dato di
contesto giuridico-culturale in cui le decisioni legislative e
giurisprudenziali vengono prese, ed essendo quindi a queste
intrinsecamente connesse.
Fatta questa premessa metodologica, risulterà utile, allo scopo di
avere una panoramica quanto più ampia possibile sulla questione,
dare previamente uno sguardo alla storia politica delle
rivendicazioni basche, all’introduzione della suddetta legge e agli
avvenimenti che hanno portato alla “illegalizzazione” di un partito
politico che in venticinque anni di democrazia è riuscito a restare
in vita nonostante chiare connessioni con la tristemente nota ETA.
Successivamente passeremo al trattamento dei partiti politici
nell’ordinamento spagnolo a livello costituzionale e normativo, ed
alla connessa questione sull’inquadrabilità o meno di esso nelle
cosiddette democrazie protette (cap. II), e finalmente analizzeremo
dettagliatamente come i dottori del diritto hanno accolto la LOPP
(cap. III), effettuando una panoramica sulle critiche ad essa mosse
così come sulle opinioni che l’hanno accolta con favore.
6
Ibidem, 43 ss.
8
CAPITOLO 1
LA QUESTIONE BASCA E BATASUNA.
1.1 – La politica nazionalista basca: profili storici
La nascita del movimento nazionalista si può far risalire alla fine
del secolo XIX, con la nascita del Partido Nacionalista Vasco
(PNV)
7
. Simbolico in tal senso è il discorso del 3 giugno del 1893
tenuto a Larrazàbal da Sabino Arana, padre del movimento, nel
quale si rivendica l’indipendenza della Vizcaya
8
. L’anno dopo i
fratelli Arana fondano Euzkeldun Baztokija, presunta associazione
ricreativa che nascondeva il nucleo primordiale del partito, che nel
1895 si organizza in Consiglio regionale della Vizcaya, con a capo
lo stesso Arana. Fra i dati storici che egli porta a fondamento della
propria rivendicazione c’è la abrogazione dei Fueros Vasko –
Navarros, privilegi autonomici tradizionalmente concessi dal
sovrano ad alcune province. Questi sarebbero stati, a suo parere,
leggi elaborate da popoli con libertà originaria, con piena potestà
sovrana, popoli poi conquistati dagli spagnoli. L’identità basca è
per Arana fondata su una comunanza di leggi, istituzioni e
costumi, ma soprattutto di lingua e di razza; egli muove da una
concezione naturalistica della nazionalità, influenzato dalle sue
idee ultracattoliche, antiliberali e xenofobe, oltre che dagli ideali
patriottici del romanticismo. L’idea di una nazione basca (Euskadi,
in lingua basca) che comprenda anche le altre province confinanti
comincia a prendere piede negli ultimi anni del secolo, mentre la
Spagna subisce la disfatta nella guerra ispano americana e in
Catalogna avanza il movimento nazionalista.
7
Cfr., sulla storia completa dell’indipendentismo basco, A. Botti, La questione basca, Mondadori,
Milano, 2003.
8
Attualmente nella comunità autonoma dei Paesi Baschi sono compresi 3 dei 7 territori
storicamente rivendicati dai nazionalisti:Vizcaya, Guipuzcoa e Alava. Gli altri sono la Navarra,
comunità autonoma del Regno di Spagna, e tre regioni in territorio francese.
9
Negli ultimi anni della sua vita, terminata precocemente nel
1903, il capo del PNV si apre allo “spagnolismo” e
all’accettazione della Costituzione. I suoi successori si divideranno
fra un’ala più conservatrice, che si riflette nel programma di
partito del 1906 e, in cui si fa rinuncia al nazionalismo e un’altra
più radicale, portata avanti dall’altro fratello Arana, Luis, e
dall’ala giovanile del PNV. Negli anni della Grande Guerra il
radicalismo continua a spaccare il PNV al suo interno e nel ’18 il
partito cambia nome in Comunidad Nacionalista Vasca. I seguaci
di Luis e i giovani si raccoglieranno invece nel nuovo PNV
aberriano, che riscuoterà larghi consensi negli anni ’30, con una
maggioranza conquistata in due delle tre province basche
nell’epoca della seconda repubblica, dopo essere stato perseguitato
e bandito dalla dittatura di Primo de Rivera.
Gli anni successivi saranno ancora segnati da una profonda
instabilità politica: la prima autonomia, conquistata con la
Costituzione repubblicana, l’avvento di Franco e la seconda guerra
civile non potevano che inasprire le posizioni degli indipendentisti.
Durante il conflitto civile il nazionalismo vede da un lato Arana
che voleva sfruttare la guerra civile, considerata come un problema
spagnolo, per conseguire l’indipendenza basca, dall’altro il PNV,
che è costretto a fare causa comune con i democratici contro il
franchismo.
Al termine della guerra civile il movimento indipendentista è
costretto a rifugiarsi sotto l’ala delle democrazie: il governo
autonomo di Aguirre si rifugia prima a Barcellona, poi in Francia;
Londra diviene sede, nel ’40, del Consejo nacional de Euskadi ;
dal ‘42 Aguirre riprende le redini del movimento dal suo esilio
statunitense, continuando a sostenere il diritto all’autodetermina-
zione.
Gli anni del regime militare e l’oppressione che ne derivò,
soprattutto nei confronti dei movimenti rivendicanti il
riconoscimento di culture a nazionalità diverse dalla spagnola, si
10
possono considerare fondamentali per la nascita di ETA (Euskadi
ta Askatasuna), che farà la sua prima comparsa nel ‘59 come
gruppo scissionista dal PNV. Il manifesto dell’organizzazione
appare tuttavia parecchio moderato e ben lontano da quello che
sarà il suo modo di attuare successivo: ETA si dichiara un
movimento apolitico, aconfessionale e democratico, in difesa del
diritto all’autodeterminazione dei popoli e dei diritti umani in
genere.
La prima azione organizzata degna di nota risale al ’61. Il 18
Luglio l’organizzazione, non ancora strutturata come paramilitare,
tentò di far deragliare un treno di ex combattenti franchisti diretti
ad una manifestazione celebrativa.
Nel nuovo manifesto del ’62, redatto dai pochi sfuggiti all’ondata
di arresti per l’attentato, si afferma ancora di più la volontà di
ottenere l’indipendenza, con l’uso dei mezzi più appropriati ai
tempi, e nasce l’idea di una nuova Europa in cui i nuovi popoli
autodeterminati si associno liberamente e non sotto il dominio
”colonialista” degli antichi stati.
A partire dalla III assemblea, nel ’64, ETA lega stabilmente
l’obiettivo dell’indipendenza a quello della lotta di classe
anticapitalista e della insurrezione, avvicinandosi alle posizioni
marxiste. Sul finire della decade si intensifica l’attività
dell’organizzazione e si arriva ai primi scontri a fuoco e i primi
attentati alla vita dei loro oppositori. La reazione di Franco non si
fa attendere: circa duemila indipendentisti e antifranchisti furono
imprigionati e fra di essi molti dirigenti di ETA; nel ’70 a Burgos
vengono condannati a morte 6 dei 16 militanti imputati.
Intorno alle proprie vittime si stringe l’organizzazione con
manifestazioni di massa. Tuttavia, dalle successive assemblee il
gruppo uscirà diviso in più orientamenti politici: i non scissionisti
si ritoveranno in ETA (V Assemblea), dal carattere notevolmente
nazionalistico e paramilitare, in rottura con la tradizione cattolica
del PNV, e che trova largo appoggio fra gli antifranchisti e
11
democratici europei.
Nel ’73 la nuova ETA mette a segno un colpo importante:
provoca la morte del braccio destro di Franco, l’ammiraglio
Carrero Blanco; l’anno dopo il regime arriva alla rottura con la
chiesa, quando in tutto il Pais Vasco viene letta un’omelia che
appoggia la causa degli indipendentisti. Nello stesso anno un
evento che provocherà un’ulteriore rottura all’interno
dell’organizzazione: una bomba in un bar di Madrid, che, colpendo
per la prima volta civili indiscriminatamente, produce 14 vittime e
84 feriti. A partire da questo evento, l’ETA si dividerà in due
tronconi: il Politico – Militare, tendente a dare sostegno armato ad
azioni politiche di massa e il Militare, che invece vuole formare
una forza politica che appoggi la lotta armata.
Dalla morte di Franco si passa gradualmente, e non senza altre
repressioni da parte dei vecchi apparati del regime, ancora
funzionanti, alla democrazia e alla Costituzione del 1978, che
sancisce il diritto all’autonomia nel suo art. 2 e lascia che le
province limitrofe con caratteristiche storiche, culturali ed
economiche comuni possano accedere al proprio autogoverno e
costituirsi in Comunità Autonoma (art. 143). Agli organi collegiali
“preautonomistici” è dato il compito di redigere i nuovi statuti e
presentarli al governo centrale. I contrasti interni a ETA (politico–
militare), fra radicalisti e non, hanno nel frattempo portato a altre
scissioni. Dalla VII Assemblea si decide una separazione dell’ala
politica dall’organizzazione da quella militare e l’avvio verso una
pacificazione della questione che porterà a trattare la tregua col
governo centrale e a dichiarare la fine della lotta armata, non più
necessaria alla luce dei nuovi valori democratici, e la propria
dissoluzione volontaria nel 1982. Un altro settore continuerà la
lotta armata fino all’84, quando una ulteriore scissione porterà una
parte a abbandonare e l’altra a fondersi con ETA militare, che nel
frattempo si era organizzata nel KAS, Coordinamento patriottico
socialista, cui obiettivo primario resta la lotta armata per
12
l’autodeterminazione.
E’ in questo contesto che, dal movimento ETA militare, fa la sua
prima comparsa Herri Batasuna, che da ora in poi rappresenterà
l’ala politica più radicale dell’indipendentismo basco. Alle prime
elezioni amministrative il partito è la seconda forza nei paesi
baschi, dopo il PNV, il cui successo segna una chiara vittoria
nazionalista. Batasuna però si pone in contrasto col progetto di
statuto, presentandone uno per proprio conto e, in definitiva, non
accetta il nuovo ordine costituzionale unitario, non partecipando
alle sedute delle Cortes Generales, né a quelle del parlamento
locale.
Questo rifiuto della Costituzione emerge chiaramente anche da
un altro dato: i primi anni di vita della carta fondamentale
corrispondono a un intensificarsi dell’attività terroristica, la quale
produce 68 vittime nel ’78, 76 nel ’79 e 91 nel 1980. Gli anni della
transizione vedono la questione basca come il principale ostacolo
alla formazione della democrazia: grandi spargimenti di sangue
sono provocati da una parte dalla nuova linea indipendentista, che
tiene come obiettivo fondamentale non più guidare il popolo basco
alla rivoluzione, ma fare pressione sullo stato per poter intavolare
trattative, e dall’altra dai gruppi antiterroristi di liberazione, eredi
delle strutture repressive franchiste. Tuttavia dall’86 si dà avvio a
una nuova fase, dovuta al governo basco di coalizione fra PNV e
Socialisti, fase che culmina con l’accordo per la normalizzazione e
pacificazione dei Paesi Baschi. Il documento accetta la
democrazia e lo Statuto di Gernika, invita al dialogo con il
governo centrale e isola coloro i quali continuano a sostenere la
linea dura (ETA e HB).
L’arrivo degli anni ’90 non vede purtroppo arrivare anche la
conciliazione.
Sul piano politico il PNV, in un primo momento, ritorna
sulla linea dell’autodeterminazione, quindi, in seguito alla grande
manifestazione del 14 luglio del 1997, in cui il popolo spagnolo
13
scende in piazza massiccio contro l’ennesimo atto di violenza
terroristica, il sequestro e la barbara uccisione di un consigliere
comunale della città di Eruma, ritorna a stringere con i
democratici. Si parlerà di “spirito di Eruma” per esprimere la
fermezza dei cittadini e delle forze politiche, che andranno fare un
fronte comune contro i radicalisti e i ricatti criminali dell’ETA.
Quindi, ancora un cambio di posizioni. Il presidente del governo
Basco Ardanza, un anno dopo, muovendo dalla convinzione che il
problema riguardi fondamentalmente la società basca, e non quella
spagnola, decide di avviare le trattative con HB e con i terroristi, a
condizione che essi dichiarino la tregua; logicamente conseguente
la rottura del patto di governo con i socialisti e l’avvicinamento di
tutti i partiti nazionalisti, che firmano nello stesso anno il Patto di
Estella. Nel documento si afferma la constatazione del fallimento
della strada autonomistica e la volontà di dare finalmente ai baschi
la possibilità di decidere da soli del proprio futuro politico, in
nome della loro identità e lontano dall’omologazione culturale che
a loro avviso produce il processo di integrazione europea.
In settembre ETA annuncia la tregua patteggiata e il governo
Aznar si dimostra aperto al dialogo, in cambio di un abbandono
definitivo delle armi. Tutto ciò alla vigilia delle elezioni per il
Parlamento basco, dalle quali ci si attende una risposta dei
cittadini alla nuova linea seguita verso l’indipendenza.
La partecipazione al voto è più elevata che in passato e detta la
vittoria dei nazionalisti, con incremento di consensi per Batasuna
(che nel frattempo, temendo una possibile messa al bando, ha
cambiato il suo nome in Euskal Herritarok ). Dal voto nasce di una
coalizione di governo fra PNV, EH, EA con a capo Ibarretxe. La
tregua degli etarras dura fino al 28 novembre 1999, quando
perviene al quotidiano “Gara” un documento
9
annunciante la
ripresa degli attentanti per il successivo 3 Dicembre.
9
Texto integro del comunicado de ETA.”El proceso sufre un claro bloque y se pudre” , in “El
Pais”, 29 Novembre 1999.