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munizioni e i carburanti occorrenti ai combattimenti. Fare fare arrivare il tutto, non solo ai
porti d’imbarco ma persino in zone d’operazione, diventava problematico.
L’A.O.I. risultava un immenso territorio geograficamente isolato dalla madre patria e dalla
più vicina colonia italiana (confinava con possedimenti inglesi e francesi). Date queste
premesse andremo a raccontare ed analizzare le condizioni in cui si trovò ad agire dal 1939
il nuovo viceré d’Etiopia, il Duca d’Aosta, che tentò disperatamente di rinviare quella che
era una sconfitta già annunciata in partenza.
Le operazioni che si susseguirono dal 10 maggio 1940 fino al 17 maggio 1941 ci
consentiranno di effettuare una riflessione su come la superiorità numerica non si trasformò
in vittoria. Molti potrebbero notare al riguardo quanto aliena dal sentimento popolare fosse
la guerra e la dittatura fascista.
Altri suggerirebbero che la colpa di tutto è da attribuire ad uno stato maggiore sempre
pronto ad assecondare Palazzo Venezia per ragion di Stato e/o per mero interesse personale.
Attraverso una narrazione il più possibile obiettiva cercheremo di mettere in luce una pagina
della storia italiana troppo frettolosamente archiviata.
Non tralasceremo di affrontare, in questo lavoro di tesi, la trattazione della guerra in Africa
settentrionale che determina la perdita della Libia e conseguentemente dell’Impero. Uno
scontro, troppe volte, circoscritto ad un unico episodio: El Alamein. Qui in migliaia caddero
in tre epiche battaglie, tra il luglio e il novembre 1942. Per anni i resti straziati vennero
cercati nel deserto e ricomposti con religiosa pietà. Qui ogni duna, ogni metro di sabbia
furono conquistati, difesi, vinti e persi. Tra i memoriali, al km 111, una lapide ricorda:
mancò la fortuna, non il valore. A nessuno mancò il valore. E’ difficile immaginare che la
migliore gioventù d’Italia, di Germania, del Regno Unito e del Commonwealth si sia
affrontata, e duramente combattuta, in quella che si può considerare a tutti gli effetti una
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delle ultime lotte fratricide combattute per il dominio del mondo. Ad oltre sessant’anni i
nemici di ieri sono oggi uniti nel dare vita al grande progetto di unità e di integrazione
dell’Unione Europea
1
.
Al di là di ogni retorica il NordAfrica è stato il punto di svolta nella storia americana, il
luogo in cui gli Stati Uniti hanno iniziato a comportarsi da grande potenza a livello militare
e sul piano diplomatico. E’ il luogo in cui la Gran Bretagna perde la sua leadership. D’ora in
avanti Londra rivestirà il ruolo di un partner minore in un’alleanza che dura ancora a
tutt’oggi. Il NordAfrica stabilì gli schemi e le motivazioni di quanto accadde nei due anni
successivi. Fu qui che la controversa strategia di affrontare l’Asse, in un teatro periferico (il
Mediterraneo), venne messa in atto a scapito di un attacco immediato contro l’Europa
nordoccidentale. Nell’ex Mare Nostrum Hitler interviene in soccorso di Mussolini: a Tripoli
sbarca l’Afrika Korps diretta da un carismatico ufficiale, già distintosi in Francia e in
Polonia. Il generale Erwin Rommel è il protagonista di una campagna che lo porterà avanti
e indietro tra Libia, Egitto e Tunisia. Un uomo, che nonostante il mito che lo circonda, ha la
sfortuna di essere inascoltato da politici malati di eccessivo protagonismo.
1
Ciampi Carlo Azeglio, Discorsi al Sacrario dei caduti di El Alamein del 16/02 e del 20/10/2002,
http://www.quirinale.it/ex_presidenti/ciampi/discorsi/discorso.asp2.id=9759/20581.
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CARTA GEOGRAFICA DELL’IMPERO ITALIANO NEL 1936
IL TEATRO DELLE OPERAZIONI MILITARI IN AFRICA ORIENTALE
IL TEATRO DELLE OPERAZIONI MILITARI IN AFRICA SETTENTRIONALE
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CAPITOLO
I˚
LA SITUAZIONE MILITARE NELL’A.O.I.
ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE:
ANALISI DEI CONTENDENTI
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I. 1. Le tappe di avvicinamento dell’Italia alla seconda guerra mondiale: i destini
dell’Impero dipendono da Roma e dall’Europa.
Non era passato molto tempo da quando era stato letto in tutte le città e i paesi d’Italia il
telegramma del maresciallo Pietro Badoglio che annunciava: “Oggi 5 maggio alle ore 16
alla testa delle truppe vittoriose sono entrato in Addis Abeba”.
Mussolini proclamò tra ovazioni fervide e spontanee che la guerra era finita, che la pace era
ristabilita
1
. Alle 22.30 del 9 maggio il Duce annunciava la nascita dell’Impero finalmente
riapparso sui colli fatali di Roma. “Ne sarete voi degni?” chiese il capo del Governo con una
di quelle interrogazioni retoriche di cui tesseva sovente il suo dialogo tra le folle. Gli rispose
un formidabile: “Sì”.
Vittorio Emanuele III˚, Re d’Italia e d’Albania, assumeva per sé e per i suoi successori, il
titolo d’Imperatore d’Etiopia.
Ben presto per dar corso alla “pacificazione” delle terre abissine divenne viceré il generale
Graziani che era assai più vicino
2
al regime della maggior parte degli alti comandi, perché
per origine e per carriera non faceva parte dell’establishment monarchico dell’esercito
(proveniva dagli ufficiali di complemento e non aveva fatto l’accademia né la scuola di
guerra).
Le linee guida della politica fascista per queste colonie sono fondamentalmente due: la
politica di diretto dominio e l’autonomo sostentamento nel caso di una guerra che dopo la
Conferenza di Monaco appariva, ai più, come imminente (di questo parleremo in maniera
approfondita nei prossimi capitoli).
L’autorità di Governo tramite il Ministro Lessona si espresse nel modo seguente: “Abbiamo
escluso di fronte alle manovre di Ginevra e dei singoli Stati esteri qualsiasi forma di
1
Montanelli Indro, Storia d’Italia – L’Italia Littoria (1925/1936), Milano, Edizioni Superbur Saggi, 1999, pag. 241.
2
Rochat Bruno, Guerre italiane in Libia e in Etiopia – Studi militari (1921/1939), Padova, Edizioni Pagvs, 1991, pag. 55.
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governo indiretto. Ciò non significa che vogliamo fare una politica di repressione anche
contro i ras sottomessi e che lealmente possono coadiuvarci. Anzi Vostra Eccellenza può
largheggiare se lo crede in spese politiche e onorificenze ma le popolazioni devono avere in
ogni momento la netta sensazione che esse dipendono dalle autorità italiane e che i capi
villaggio che noi nominiamo sono soltanto funzionari indigeni senza alcuna autorità
politica”. Questa era la punizione per chi non aveva accettato una pace di compromesso e si
era rivolto alla Società delle Nazioni. Il Ministero delle Colonie ribadiva attraverso questo
discorso politico la possibilità di un eccezionale ampliamento di ruoli e di poteri: un viceré
che avesse avuto ai suoi ordini solo funzionari coloniali non sarebbe stato più di tanto
autonomo da Roma. Il massimo rappresentante dello Stato nell’A.O.I. doveva affrontare una
resistenza etiope che era legata in parte al negus ma che veniva rinfocolata dall’incapacità
dell’autorità militare in loco di sfruttare il malcontento dei giovani autoctoni (di formazione
culturale europea che essi contestavano la vecchia classe dirigente ignorante, decadente,
corrotta e indolente). Una nazione indipendente, membro della Società delle Nazioni non
poteva essere paragonata a territori governati da sultanati (Somalia), acquisiti da compagnie
marittime (Baia di Assab) o tramite accordi con Londra per prendere possesso di un
territorio dell’Impero Ottomano (Massaua).
L’attentato del 19 febbraio 1937 contro il rappresentante di Vittorio Emanuele III˚ in
occasione di una distribuzione di elemosine per celebrare la nascita del primogenito del
Principe Umberto deve essere letto ed interpretato per quello che è stato: una banalissima
scusa per avviare una resa dei conti che serviva a rinsaldare il precario dominio italiano. Un
genocidio sistematico praticato anche nei confronti di cantastorie, di indovini e stregoni che
avevano un ruolo di primo piano nella diffusione delle notizie. Anzi il pericolo che qualche
notizia sfuggisse alla censura poteva avere esiti negativi per un regime che cercava la sua
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forza nel consenso delle masse cattoliche. Quale sarebbe stata la reazione, dopo la firma del
concordato con la Chiesa Cattolica, nell’apprendere che “l’Uomo della Provvidenza”
inviava dispacci per autorizzare omicidi di stato contro altri cattolici anche se di rito copto?
Il rimedio è rappresentato dal Duca d’Aosta che, quale membro di Casa Savoia, è
maggiormente vincolato ad assecondare con la dovuta obbedienza gli ordini impartiti. A
nulla serve il suo operare per chiedere quei mezzi che si rendono necessari per la difesa
dell’A.O.I.
A Roma si pensa a tutt’altro visto quanto si sta profilando in Europa. Liquidata l’Austria, la
Cecoslovacchia e la Polonia, le armate di Hitler erano impegnate nell’offensiva di occidente
senza incontrare particolari resistenze neppure tra le file dei Franco-Inglesi. Proprio questo
attacco portato con successo aveva decretato la non fattibilità della neutralità. Il problema,
seppur semplificato, presentava due grosse incognite tutte da svelare, ovvero il quando e il
come. Il generale Badoglio nella sua nota inviata a Mussolini ribadiva quanto segue
3
: “La
nostra preparazione attuale è al quaranta per cento. E’ necessario, avvenuto lo scontro tra
Germania, Francia e Inghilterra, prendere atto dello stato di prostrazione delle due potenze
democratiche per essere pronti ad intervenire quando fosse opportuno a noi e non agli alleati
tedeschi”. L’occupazione della Norvegia e della Danimarca spingevano il capo dello Stato a
rafforzare la sua convinzione che il poderoso apparato bellico del Terzo Reich avrebbe
posto fine alle ostilità entro settembre/ottobre 1940
4
. Era necessario avere alcune migliaia di
morti per presentarsi come vincitori al tavolo della pace. Una vittoria facile faceva mettere
in secondo piano la preparazione militare. La vittoria facile (l’arrivare cioè a cose fatte) era
forviera di smodate richieste di compensi territoriali in terra d’Africa. Il Conte Galeazzo
3
Montanelli Indro e Cervi Mario, Storia d’Italia – L’Italia dell’Asse, Milano, Edizioni Superbur Saggi, 1999, pagg. 298/310.
4
Montanelli Indro e Cervi Mario, Storia d’Italia – L’Italia dell’Asse, Milano, Edizioni Superbur Saggi, 1999, pagg. 298/310.
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Ciano si precipitò a Berlino per presentare i desiderata
5
dell’Italia fascista: l’annessione
della Somalia inglese, di Gibuti, di Aden, dell’Africa equatoriale fino al Lago Ciad, il
protettorato su Tunisi e su parte dell’Algeria e per finire il subentrare in Egitto e nel Sudan
nella stessa posizione dell’Inghilterra.
I. 2. La situazione della Marina e dell’Aeronautica alla vigilia del conflitto.
Nel 1936, il Comando Supremo della Marina Italiana, si pose il problema, complesso ma
ineludibile, di creare lungo le coste del Nuovo Impero d’Africa Orientale una serie di
strutture ed infrastrutture portuali in grado di consolidare e proteggere le nuove vaste
conquiste africane
6
. Il Genio Militare della Marina e dell’Esercito avevano provveduto a
ristrutturare almeno in parte i vecchi approdi di Massaua e di Mogadiscio, ma questi lavori
(che inclusero, tra l’altro, l’allestimento di una stazione di carica per sommergibili,
l’installazione di 20 serbatoi di nafta, la costruzione di due bacini galleggianti per unità da
7.500 e 1.600 tonnellate) non risultarono comunque sufficienti in vista dei nuovi impegni
derivanti dall’evolversi, per nulla positivo, dei rapporti diplomatici con Francia e Inghilterra
che, come è noto, non vedevano di buon occhio l’allargamento della presenza italiana sulle
rive dell’Oceano Indiano. E’ da notare che la flotta era stazionante nel Mar Rosso mentre
l’Italia non disponeva per la difesa delle coste somale di alcuna nave militare degna di nota,
salvo qualche antidiluviano dragamine ed alcuni sambuchi o velieri armati di mitragliatrici.
Il porto di Chisimaio, data la pochezza dei suoi impianti, non venne utilizzato al contrario di
quello di Massaua dove si riuscì ad allestire una piccola rete di centri cognitivi di difesa
(stazioni di vedetta e segnalazione, stazioni radiotelegrafiche, di identificazione e di
5
Del Boca Angelo, Gli Italiani in Africa orientale – La caduta dell’Impero, Bari, Edizioni Laterza, 1982, pag. 355.
6
Rosselli Alberto, I porti militari e le difese costiere anti nave e anti aeree italiane in Africa orientale (1936/1941),
http://www.regiamarina.net.
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avvistamento contraereo) collegati ad un sistema di batterie antinave e antiaeree. Si decise
viceversa di destinare alcune mitragliere alla difesa del Porto di Assab che data la sua
vicinanza ad Aden, subirà numerosi attacchi da parte dell’aviazione inglese. Nei due scali
italiani d’Eritrea trovarono la base d’appoggio sia le 8 unità di sommergibili dotate di
impianti di refrigerazione di bordo primordiali, il cui malfunzionamento finì per provocare
la morte e una serie di gravi attacchi di demenza da intossicazione, sia le 15 navi costituenti
la squadra italiana (nel computo sono stati inseriti il posamine Ostia, le due ex bananiere
Ramb I˚ e Ramb II˚ riadattate allo scopo e la nave coloniale Eritrea)
7
. Una flotta di
superficie e sottomarina esigua in numero e in mezzi per contrastare gli inglesi che usavano
la linea di comunicazione del Mar Rosso per far transitare la maggior parte dei rifornimenti
diretti alle forze armate del Commonwealth in Egitto. Le navi da guerra italiane avevano
anche una ridotta capacità di manovra a causa della carenza di materie prime, nafta, pezzi di
ricambio, munizioni. L’impossibilità di ricevere alcun aiuto consistente dall’Italia, la
mancanza del radar e dell’appoggio dell’aviazione, faranno il resto. Ben altro esito, forse, ci
sarebbe stato se i convogli fossero stati protetti dall’Aeronautica, elemento determinante
anche nei bombardamenti ai danni di truppe e materiali, nell’aggressione contro i ribelli e le
popolazioni che opponevano resistenza. Da un punto di vista tecnico il peso delle operazioni
sarebbe stato sostenuto, mantenendo l’equipaggiamento e la medesima dotazione organica,
da 300 aerei (efficienti ce n’erano solo trenta) in parte in via di sostituzione nei reparti
metropolitani e sottoposti a forte logoramento
8
. Nelle basi di Asmara, Addis Abeba, Dire
Daua e Mogadiscio verranno dislocati mezzi in grado di assicurare il trasporto di persone tra
i centri dell’Impero, il lancio di rifornimenti e munizioni a colonne in movimento e a presidi
isolati mentre di fronte ad un avversario modernamente armato ogni azione e il suo esito
7
Rosselli Alberto, Le operazioni militari della flotta italiana nel Mar Rosso giugno 1940-aprile 1941, http://www.regiamarina.it.
8
Rochat Giorgio, op. cit., pagg. 127/131.
- 22 -
erano scontati sin dall’inizio
9
. Questa lacuna non venne sovvertita neppure con l’invio di
alcuni bombardieri e caccia che vennero smontati e caricati su grossi apparecchi da
trasporto prima di giungere a destinazione.
I. 3. La situazione dell’esercito alla vigilia del conflitto.
Il Duca d’Aosta, come del resto il generale Graziani, convenivano sulla richiesta di
assegnazione di armi che si dimostravano essenziali ed indispensabili alla difesa ovvero 3
brigate corazzate, 24 batterie controcarro, 3 gruppi di artiglieria contraerea, 6 battaglioni
carri armati e autoblindo, 5 autogruppi. Le risposte che l’attuale viceré e il suo predecessore
ricevettero furono le stesse, ma con motivazioni diverse. Nel 1937 si dava priorità all’ordine
interno, vista la forte resistenza fiaccata ricorrendo solo col ricorso all’uso dei gas. Nel
1939 ci si accontentò di approntare un piano delle misure da prendere per raggiungere
l’autosufficienza di 900 milioni di Lire contro i 4.800 preventivati. Alla base di questa
decisione c’era un’asintonia tra Roma e Addis Abeba
10
. Amedeo di Savoia, pur trovandosi a
godere di condizioni eccezionalmente favorevoli dal punto di vista della libertà d’azione
dovette cedere alla via che gli indicò Badoglio. L’A.O.I., anziché avere un ruolo di primo
piano nel quadro della strategia globale italiana veniva sminuita e declassata a teatro di
operazioni di difesa e solo raramente si sarebbero preparate azioni offensive a obiettivo
limitato, da realizzare dietro ordine esplicito di Roma, allo scopo di migliorare la sicurezza
della frontiera, nel Sudan, a Gibuti e nella Somalia britannica.
Per comprendere meglio le difficoltà che si potevano incontrare nell’impresa, enuncerò le
carenze maggiori:
9
Montanelli Indro e Cervi Mario, Storia d’Italia – L’Italia della disfatta (10 giugno 1940/8 settembre 1943), Milano, Edizioni
Superbur Saggi, 2000, pag. 100.
10
Del Boca Angelo, op. cit., pagg. 351/353.
- 23 -
• L’organizzazione delle forze terrestri era adatta fondamentalmente alle esigenze della
sicurezza interna. Le operazioni di polizia richiedevano in prevalenza la disponibilità di
unità leggere di entità variabile in relazione ad obiettivi di volta in volta differenti;
• Scarsa disponibilità di autocarri, di gomme e carburante con scorte sufficienti per un
periodo oscillante tra i due e i sei mesi. La conseguenza più evidente e sotto gli occhi di
tutti fu la scarsa mobilità delle truppe che avevano a disposizione circa la metà del
quantitativo necessario per le armi leggere mentre mancavano totalmente di quelle
contraeree e controcarro
11
. Per essere ancora più veritieri ricorderò che tutto
l’armamento era costituito da residuati della prima guerra mondiale e molti reparti
annoveravano tra le dotazioni l’antico 70/87 a un solo colpo: nell’artiglieria erano stati
riesumati perfino i 75/A di bronzo, ufficialmente dichiarati fuori uso da trent’anni;
• La consistenza armata alla vigilia della partecipazione al conflitto contava su 285.000
uomini, di cui 85.000 nazionali e 200.000 coloniali. La critica ritiene che nonostante gli
eritrei fossero tra i più fedeli e motivati compagni d’avventura, la loro presenza non era
in grado di compensare le defezioni dei somali, degli arabi e degli uomini di Aden che
passavano al nemico man mano che si profilava la vittoria degli alleati
12
. Per quanto
riguarda i nazionali, dal canto loro, sono quasi tutti uomini fra i trenta e i quarant’anni, e
anche se generalmente hanno preso parte alla guerra di conquista non hanno più
ricevuto alcuna istruzione;
• Durante il periodo della non belligeranza erano stati compiuti alcuni lavori per
migliorare le vie di comunicazione. Complessivamente la situazione era molto precaria,
data la quasi impossibilità di movimento, tranne che sulle pochissime strade principali.
Le enormi distanze da percorrere finivano per amplificare il problema di un esercito
11
Biagioni Roberto, Africa orientale la caduta dell’Impero, http://www.storico.org/africa-orientale.html.
12
Del Boca Angelo, op. cit., pag. 348.