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Capitolo 1
Introduzione e Obiettivi
1.1) Introduzione.
L’epatite cronica da virus C è considerata oggi un problema rilevante per la sanità
pubblica. L’Italia è il paese in Europa con il più alto numero di malati legati all’epatite
cronica da virus C. Molti casi restano non diagnosticati, visto che il numero di pazienti
in cura è circa il 2,2 % corrispondente a circa 130 milioni di persone HCV positive in
tutto il mondo, la maggior parte della quale è cronicamente infetta [1].
La prevalenza stimata da infezione da HCV in Europa varia dallo 0,6% al 5,6%. [2].
Questo dato è sostanziale, poiché l’HCV è la causa principale sia della cirrosi sia del
carcinoma epatocellulare (HCC) nei paesi occidentali. La prevalenza della cirrosi HCV
- correlata a complicanze - continuerà a crescere durante il prossimo decennio,
principalmente nei pazienti di età superiore ai sessanta anni [3].
L’impatto economico della progressione della malattia costituisce, di fatto, un grave
onere per il Servizio Sanitario Nazionale. Tutto ciò è dovuto al fatto che i portatori
cronici asintomatici possono continuare ad essere contagiosi anche in assenza di segni
clinici e laboratoristici di malattia epatica. Le epatopatie incidono sensibilmente sulle
somme di denaro che le Regioni devono investire nella sanità ospedaliera e territoriale.
Nel nostro paese, lo screening per HCV e la sua sorveglianza sono minimi a livello
nazionale; la maggior parte delle informazioni proviene da studi regionali o locali.
Per i pazienti, affetti da epatite cronica di tipo c, risulta difficile effettuare subito una
diagnosi, dato che la fase acuta della malattia decorre quasi sempre in modo
asintomatico. L’evoluzione verso la cirrosi e le sue gravi complicanze sono lente e per
lo più silenti. È possibile essere in uno stadio avanzato di malattia e non saperlo, quindi
ricorrere troppo tardi a quelle cure che potrebbero salvarci la vita.
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Pertanto, risulta complesso stimare in modo attendibile la prevalenza e l’incidenza del
virus e delle patologie HCV - correlate. L’alta incidenza di infezioni, in Italia, ha
caratteristiche particolari: deriva dalla coorte di soggetti che sono entrati in contatto con
il virus nei decenni scorsi, soprattutto prima degli anni ’90 quando il virus dell’epatite C
non era ancora stato identificato e la malattia era chiamata epatite non-A e non-B.
La tossicodipendenza, trasfusioni e rapporti sessuali a rischio, ma anche trattamenti
estetici come piercing e tatuaggi, effettuati in condizioni igienicamente non idonee,
rappresentano i maggiori fattori di rischio. A questi, negli ultimi anni, si deve
aggiungere il contatto con persone immigrate da regioni come l’Africa e il Mediterraneo
Orientale, dove purtroppo la prevalenza delle infezioni da virus epatici è
particolarmente elevata.
Analisi condotte su fattori di rischio, confermano che tra le primarie vie di trasmissione
virale si annoveri quella ospedaliera e sanitaria associata. Vi è, infatti, una marcata
distribuzione della prevalenza, che risulta età specifica e sottoposta a rilevante
variabilità geografica. Secondo uno studio del 2011 è stato dimostrato un chiaro
gradiente nord-sud, con una prevalenza riferita e aggiustata per età dell’ 1,6 % al Nord,
del 6,1 % al Centro e del 7,3 % nel Sud Italia. [4].
Il numero di pazienti con epatite cronica in Italia varia anche per area geografica ed età,
e va in controtendenza rispetto alle caratteristiche del resto d’Europa [5-6]. Raggiunge,
infatti, punte particolarmente elevate nella popolazione anziana del Sud. In Campania,
per esempio, muoiono sette persone ogni ventiquattro ore, stroncate dalla cirrosi epatica
o dal tumore al fegato. I dati forniti dall’Istat descrivono una realtà sanitaria
drammatica e peculiare, che pone le nostre regioni meridionali stabilmente ai primi
posti, in Italia e in Europa, per numero di casi di epatite C [7].
Anche dal punto di vista economico, quindi, i numeri indicano l’importanza e
l’onerosità delle malattie epatiche per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN).
Per tutti questi motivi, occorre predisporre misure volte a limitare i danni che la malattia
produce in ambito sanitario, sociale ed economico. Analisi condotte su fattori di rischio,
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confermano che tra le primarie vie di trasmissione virale, si annoveri quella ospedaliera
e sanitaria associata. C’è una marcata distribuzione della prevalenza, che risulta età –
specifica e sottoposta a rilevante variabilità geografica.
Finora vi è stato un grave ritardo da parte del Ministero della Salute e dell’Agenzia
Italiana del farmaco (AIFA) nell’autorizzare l’uso di due farmaci innovativi, inibitori
della proteasi, che possono addirittura raddoppiare la possibilità di guarigione con tassi
di risposta vicini all’80% (rispetto al 40% assicurato dalle terapie attualmente
disponibili nel nostro Paese).
Tra agosto e settembre 2011 l’EMA ha approvato due nuovi inibitori dell’integrasi
virale, Boceprevir e Telaprevir, che aggiunti alla terapia standard, hanno dimostrato un
notevole incremento del tasso di risposta in pazienti affetti da HCV genotipo 1, sia al
primo trattamento, che reduci da fallimento della terapia standard.
L’imminente arrivo sul mercato nazionale di questi due principi attivi ha suscitato un
enorme interesse tra gli stakeholders in Italia, dove la prevalenza della patologia è
notevolmente superiore rispetto agli altri Paesi europei [7]. Soprattutto per i pazienti più
problematici, come i trapiantati di fegato con recidiva aggressiva da epatite C, o co-
infettati da HIV, il fattore tempo è fondamentale e ogni ritardo allontana la speranza di
guarigione.
A oggi, finalmente, i farmaci saranno disponibili anche nei nostri ospedali dopo che ad
Agosto 2012 Il Boceprevir e Telaprevir, sono stati dichiarati dall’AIFA ammessi al
rimborso da parte del SSN. I due farmaci sono disponibili già dall’anno 2011 in altre
nazioni che hanno una prevalenza d’ infezione assai più bassa rispetto a quella italiana:
Germania, Francia, Scandinavia, Inghilterra, Olanda, Austria, Canada.
Negli Stati Uniti, è stata appena lanciata una campagna di sensibilizzazione a cura
dei Centers for Disease Control and Prevention, mirata alla popolazione dei baby
boomers, vale a dire le persone nate, subito dopo la seconda guerra mondiale, fra il
1945 e il 1965, che pur rappresentando soltanto il 27% della popolazione complessiva
raccolgono il 75% dei casi di epatite C.
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Il rischio di aver contratto il virus per questo gruppo è cinque volte più alto che per altre
fasce di età ma la consapevolezza resta pericolosamente bassa.
Secondo le autorità sanitarie americane, la nuova campagna permetterà di identificare
ben 800 mila nuovi casi. Si calcola, infatti, che circa il 3% dei baby boomers può essere
positivo al test: per questo sono necessari esami di verifica.
L’invito a sottoporsi alle analisi necessarie mira a ridurre il numero di morti causate
ogni anno dal virus HCV: 15 mila nel 2007, un numero che dovrebbe far riflettere le
nostre autorità sanitarie poiché è assimilabile al dato italiano seppure riferito a un
territorio molto più esteso e popoloso del nostro [8].
1.2. Obiettivi della tesi.
Una patologia come l’epatite cronica da virus C necessita che siano analizzate tutte le
implicazioni cliniche, economiche, organizzative, sociali ed etiche di questa malattia e
di condividere con il mondo scientifico le nuove strategie di trattamento quali i recenti
farmaci inibitori della proteasi [9].
Considerando l’elevato costo dei nuovi trattamenti risulta fondamentale identificare
quali siano i sottogruppi di pazienti che possono realmente beneficiare delle nuove
terapie e quali invece non ne trarrebbero beneficio, ed opportunamente che continuino
con le terapie attuali.
I drammatici dati di prevalenza e di complicanze cliniche rilevano quanti siano
importanti e onerosi per il Sistema Sanitario Nazionale i pazienti affetti da epatite di
tipo C. Pertanto, diventa prioritaria una strategia volta all’ identificazione precoce,
all’ottimizzazione del percorso diagnostico-terapeutico e di assistenza, che possa
prevenirne la grave evoluzione della patologia e che richiederà, nel prossimo futuro,
costi aggiuntivi al SSN. Attraverso una descrizione dei trials clinici e farmacologici del
trattamento terapeutico ottimale e un’ analisi farmaco economica, soprattutto rivolta alla
terapia con i farmaci Boceprevir e Telaprevir, si descrivono tutte le indagini costo-
efficacia delle varie strategie terapeutiche.
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Allo scopo si utilizzeranno i nuovi strumenti di reportistica farmacologica e di
valutazione economica. Inoltre si cercherà di dimostrare l’utilità di figure professionali
multidisciplinari relative alle strategie per il trattamento dell’epatite C in maniera tale da
cogliere il valore reale dell’ innovazione in Sanità e tentare di costruire un modello
farmaco-economico che possa guidare l’assistenza sulla base dell’impact budget
analysis.
1.3. Contenuto della tesi.
Lo studio ha avuto come tema centrale i nuovi trattamenti di cura per i pazienti affetti da
epatite C. sono stati indicati le principali metodologie di valutazione economica utili
nell’effettuare tale analisi. In particolare nel capitolo due è stato descritto il modello di
analisi HTA (Health Technology Assesment) e in particolar modo il nuovo progetto
applicato alle realtà sanitarie europee (modello Eu.net.hta). Lo studio si è avvalso di tale
strumento per stabilire quali siano i più importanti aspetti clinici, farmacologici,
organizzativi, etici e farmaco economici. Il secondo capitolo comprende le principali
valutazioni economiche utilizzate nei lavori che hanno riguardato i trattamenti
terapeutici sia della terapia classica sia quella con antivirali (Boceprevir, Telaprevir).
Il terzo capitolo, dopo una breve analisi sull’incidenza del virus HCV e sul trattamento
con ribavirina e interferone, analizza in maniera sistematica la nuova terapia (aggiunta
di farmaci antivirali quali Boceprevir o Telaprevir). Dalla più recente letteratura
scientifica sono stati descritti i risultati delle varie strategie di trattamento, soprattutto in
chiave economica e dai quali sono emersi i valori di costo-efficacia, anche riguardo
l’attesa di vita e di benessere Qaly. Abbiamo descritto le differenze legate al confronto
tra la terapia classica e la terapia con inibitori delle proteasi (DAA), anche alla luce di
efficaci modelli gestionali, livelli di accreditamento dei centri di cura e l’ appropriatezza
etica delle scelte. Infine, è stato evidenziato anche il ruolo che le associazioni dei
pazienti svolgono nel confronto con le società scientifiche e i decisori istituzionali.