6
Una gestione efficace del personale diviene, quindi, sempre più per l’impresa un
obiettivo primario e le attività di ricerca, selezione e formazione assumono un
ruolo importante.
Ricercare, selezionare, formare, organizzare, motivare, incentivare ossia
valorizzare le risorse umane rappresentano la chiave del successo di ogni azienda
moderna che vuole essere competitiva in un mercato in cui il cambiamento
costituisce un elemento costante. Le imprese devono acquisire persone qualificate,
valide e in grado di crescere ed entrano, per tale motivo, in competizione tra loro
per attrarre il candidato migliore. A questo scopo un ruolo critico è assunto dal
processo di reclutamento con i relativi strumenti utilizzati.
Questo lavoro di tesi si propone di tracciare, in linee generali, il ruolo delle risorse
umane sottolineando l’importanza della gestione, per poi approfondire l’analisi
del reclutamento e dei relativi strumenti con particolare attenzione ai nuovi
strumenti di recruitment come internet.
In un primo momento, si procede all’inquadramento del concetto di risorse
umane, evidenziando che con il termine “risorse umane” si fa riferimento al know
how, all’esperienza, alle capacità degli individui ossia alle competenze. Per
competenza si intende, quindi, un insieme di attributi intriseci alla persona.
Nell’attuale società le imprese che competono sul mercato devono essere in grado
di differenziare le proprie competenze da quelle dei concorrenti.
7
L’acquisizione di persone valide assume, perciò, grande valore ai fini del successo
aziendale (Cap. 1). Lo sviluppo delle risorse umane è, quindi, un elemento
necessario per crescere e la formazione può essere vista come un anello di
congiunzione tra azienda e forza lavoro, volto alla crescita personale e
professionale dei soggetti a cui si rivolge e tramite essi allo sviluppo e al
conseguimento da parte delle imprese delle competenze necessarie per gestire il
cambiamento e adeguarsi ad un ambiente sempre più competitivo (Cap. 2). Si
analizzano, inoltre, l’attività di reclutamento e selezione ponendo particolare
attenzione allo studio degli strumenti di assunzione, poiché dalla loro scelta
dipende il buon esito dell’intero processo di reclutamento e selezione. Si
sottolinea che la scelta tra i diversi strumenti dipende da molteplici aspetti ma un’
azienda che vuole competere sul mercato, nell’acquisizione del candidato
migliore, deve utilizzare internet accanto ai tradizionali strumenti di reclutamento
(Capp. 3-4). Nell’ultima parte, a sostegno delle considerazioni formulate in
precedenza, si esamina un caso studio quello della Jobpilot, che è una società di
internet recruitment (Cap. 5). La principale caratteristica di questa società è
l’offerta di una vasta gamma di servizi al minor prezzo possibile per la ricerca
“del candidato giusto, al momento giusto, al posto giusto”. In Italia, nonostante
l’esistenza di una miriade di società di e-recruitment, la principale sfida non è con
i concorrenti ma con il mercato. A conferma delle precedenti affermazioni,
sull’utilizzo di questa nuova forma di reclutamento in Italia, si riportano
statistiche e documenti vari tra cui il “Rapporto innovazione e tecnologie digitali
8
in Italia” che permette un confronto tra l’Italia e il Regno Unito evidenziando che
in Italia considerando i quattro siti di e-recruiting più utilizzati si contano un totale
di circa 2000 annunci pubblicati ogni mese mentre in Inghilterra prendendo in
esame ancora i quattro siti più noti ( dei 450 attivi) contiamo 200.000 annunci
ogni mese. Un rapporto cioè di 1 a 100!
La scelta dalla Jobpilot deriva da un’analisi del panorama delle società di
reclutamento attraverso cui si evidenzia che tale azienda offre servizi di elevata
qualità, ha un utenza più qualificata rispetto agli altri siti della Famiglia Lavoro ed
è, in Italia, il sito internet più utilizzato (67%) per il reclutamento del personale.
La metodologia utilizzata per l’analisi del caso è stata un’intervista in profondità
alla direttrice editoriale e ai dirigenti del personale di alcune società clienti,
attraverso la quale sono state raccolte informazioni significative sull’operatività di
tale azienda di e-recruitment, che anche a sostegno delle considerazioni teoriche
riportate, si presenta competitiva sul mercato in termini di utilizzo di strumenti
innovativi di reclutamento del personale, senza abbandonare gli aspetti
tradizionali di questa particolare fase del processo di gestione delle risorse umane.
9
I CAPITOLO
Le risorse umane e il loro valore
1.1 Risorse umane e capitale umano
Negli ultimi anni sono stati riconosciuti il valore e la criticità che le risorse e le
capacità interne all’impresa detengono nel determinare il successo di
un’organizzazione e si è affermata una crescente rilevanza delle risorse umane
nelle strategie di impresa. Esaminando nel dettaglio il concetto di “risorsa
umana”, si evidenzia che con il termine “risorse”
1
si indica l’insieme di elementi
di base dell’attività produttiva, che siano oggettivamente disponibili nell’impresa,
anche se non facilmente identificabili fisicamente o presenti con relativa stabilità,
quindi esse possono essere considerate come “il paniere necessario” in possesso
dell’impresa
2
mediante il quale diventano operativi i processi aziendali, le singole
aree funzionali e le unità organizzative ( Cavaliere, 1999). Le risorse possono
avere natura diversa. Si suddividono, infatti, in risorse tangibili e intangibili.
Le prime sono costituite dai macchinari, dagli impianti, dalle immobilizzazioni,
dalle persone intese come elementi che incrementano o diminuiscono l’attività di
1
Secondo la Penrose: “ le risorse sono strutturate come entità discrete, come bundles di servizi
possibili più ampi rispetto al particolare uso che può aver originato un fabbisogno per quella
risorsa; vi possono essere molti modi di impiegare una macchina o uno strumento tecnico così
come le competenze e le energie di una persona possono fornire molti diversi servizi”.
2
L’impresa cerca di dotarsi di nuove e diverse risorse che le permettono di trovare nuove
opportunità di sviluppo. Tali risorse si costruiscono principalmente, ma non esclusivamente, su
quelle già possedute.
10
impresa, in generale da quell’insieme di fattori produttivi concretamente
individuabili e visibili nell’organizzazione aziendale. Le seconde, invece, sono
rappresentate dalla reputazione del prodotto, dal know-how dell’organizzazione,
dalle capacità di apprendimento, dalle reti di comunicazione informali interne ed
esterne all’impresa, dalle abilità, dalle competenze ecc.. cioè da tutta una serie di
elementi di difficile identificabilità fisica
3
. Esse hanno in comune la caratteristica
di incorporare informazioni e/o conoscenze. Nell’ambito delle risorse intangibili
si ritrovano le risorse umane intese come l’insieme di conoscenze
4
e competenze.
Esse vanno distinte dalle persone che sono gli attori
5
che possiedono tali risorse.
Tuttavia le risorse essendo fisicamente incorporate nelle persone sono
difficilmente distinguibili dagli attori e difficilmente trasferibili.
Le risorse umane pur nella difficoltà di attribuire loro una precisa quota di reddito
di impresa, possono essere considerate un bene capitale. T. Stewart
6
definisce il
capitale umano come il mezzo che consente al sapere aziendale di produrre i suoi
3
Vincenzo Cavaliere (1999), Le competenze come strumento di valutazione dei differenziali di
competitività, Casa editrice dott. Antonio Dilani, pag. 12 e 13.
4
La conoscenza è l’insieme di informazioni che si hanno e che poste in relazione guidano le
scelte. Le informazioni sono diverse dai dati (notizie, dati di fatto, rapporti, ecc…) in quanto solo
dopo che i dati sono percepiti da un soggetto, selezionati, immagazzinati e posti in relazione tra
loro diventano informazioni. Si parla di:
- conoscenze paradigmatiche (che sono quelle acquisite in modo non critico e accettate per
convenzione; sono cioè quelle basate sulle esperienze di vecchi maestri);
- conoscenze esperenziali ( che sono quelle acquisite dall’attore attraverso la propria
esperienza, enactive, o attraverso l’osservazione dell’esperienza altrui, vicarious learning,
sono conoscenze facilmente codificabili e trasferibili tra soggetti);
- conoscenze esplicite ( che sono quelle acquisite tramite procedure razionali di ricerca e
apprendimento, codificabili e facilmente trasferibili (Grandori 1998, Organizzazione e
comportamento economico, Il Mulino, Bologna).
5
Si definisce attore l’individuo o i gruppi di individui caratterizzati da percezioni e competenze
omogenee rispetto al problema in esame(Grandori 1998, Organizzazione e comportamento
economico, Il Mulino, Bologna).
6
Thomas A. Stewart (1997), Intellectual capital. The new wealth of organization, Nicholas
Brealey Publishing, Londra.
11
frutti, dato dalla sommatoria integrata di competenze individuali suddivise in
conoscenze e capacità, e precisa, che se una parte dei collaboratori è
effettivamente un capitale, un’altra rappresenta solo un costo. A questo proposito
propone la seguente matrice:
Figura 1.1
Fonte A. T. Stewart, Intellectual capital
Nel primo quadrante si collocano addetti, i quali svolgono attività ripetitive.
Trattandosi di semplici costi è conveniente automatizzare il più possibile queste
mansioni.
Nel secondo quadrante si ritrovano coloro che svolgono le attività cosiddette
obbligatorie (contabilità, sicurezza, ecc..) o necessarie (controllo di gestione,
auditing, ecc..).
Facili da sostituire Difficili da sostituire
Alto
valore
aggiunto
apportato
3
Attività apprezzate dalla
clientela, ma svolte in modo
esclusivo
4
Attività svolte da persone il cui
talento e la cui esperienza
consentono il presidio
dell’evoluzione dei prodotti e dei
servizi
Basso
valore
aggiunto
apportato
1
Attività non specializzate o
semi-specializzate che
necessitano di brevi tempi di
formazione
2
Attività complesse che richiedono
specializzazione, ma non percepite
dalla clientela (di supporto o
servizio interno)
12
Trattandosi comunque di costi, occorre verificare la possibilità di migliorare il
livello di utilizzo, sviluppando la specificità professionale di certi servizi oppure,
se è possibile, facendo apprezzare in qualche modo il contributo di questi addetti
alla clientela.
Nel terzo quadrante si collocano coloro che svolgono attività apprezzate dai clienti
ma non con modalità specifiche. Sono dei costi che possono essere esternalizzati
ma in alternativa, l’azienda può trasformare il sapere generico in qualcosa da
sfruttare in modo esclusivo, quindi differenziante.
Gli addetti che svolgono attività fortemente apprezzate dai clienti e che richiedono
talento ed esperienza particolare, sono quelli che motivano i clienti a non
rivolgersi ai concorrenti si collocano nel quarto quadrante.
La ripartizione non è rigida: tra il terzo e il quarto quadrante e tra il secondo e il
quarto si individuano il capitale umano misconosciuto o in fase di maturazione.
Naturalmente se l’impresa non ha adeguato capitale umano (caratterizzato da
know-how), come per qualsiasi tipo di altro capitale, la produzione del reddito
auspicato non è realizzabile; in altri termini il reddito di impresa deriva dalle
azioni messe in atto dai componenti dell’impresa stessa (rendimento), ma per
mettere in atto i necessari comportamenti gli attori aziendali devono possedere
determinati requisiti di conoscenze e capacità che vengono genericamente
chiamate “competenze individuali” (valore)
7
.
7
Gian Carlo Cocco (2001), Valorizzare il capitale umano di impresa. Il talento delle persone
come competenza distintiva delle imprese, Etas, Milano, pag. 10.
13
Il concetto di risorse acquista importanza nell’analisi organizzativa come
potenziale di azione, di generazione di valore accumulabile, relativamente
indipendente dagli specifici impieghi (Becker 1964, Burt 1997, Perrone 1996).
Tuttavia, nel corso del tempo, è maturata una considerazione: non è possibile
ipotizzare un sistema valutativo esaustivo ed efficiente del capitale umano. E’
cambiata, infatti, la concezione di capitale umano. Da “ conoscenze che gli
individui acquistano nel corso della loro vita e utilizzano per produrre beni,
servizi o idee in circostanze legate al mondo dei mercati” ( Nobel Theodore
Schultz in Organisation for Economic Co-operation and Development ) a “ le
attitudini che i lavoratori applicano alla produzione di beni e servizi per il
proprio datore di lavoro” ( ricercatori Harry Scarbrough e Juanita Elias ). In
quest’ultima definizione si sposta il focus sull’individuo e la sua sfera personale e
non più sul valore meramente economico del lavoratore
8
; attribuendo al termine
capitale umano maggiore aridità, tecnicismo e limitazione concettuale.
8
Alessandra Santangelo (2004), Il valore del capitale umano, www.biweb.it.
14
1.2 La gestione delle risorse umane: i primi studi accademici
I primi studi relativi alle tecniche e alle politiche di gestione delle risorse umane
hanno avuto carattere prevalentemente operativo e rientrano nel filone definito
“teoria dell’organizzazione”, collocato in uno spazio interdisciplinare che è il
risultato di un lungo e travagliato dibattito che ha coinvolto per buona parte del
novecento le scienze umane (Pfeffer 1982, Burrel e Morgan 1979, Rugiadini
1983, Maggi 1990, Martinet 1990)
9
.
Successivi studi sulla teoria dell’organizzazione hanno consentito di acquistare
dimensione economica e consistenti filoni dell’economia politica hanno
focalizzato la loro attenzione sull’organizzazione. Tuttavia, le possibilità di
integrazione tra le prospettive economiche della teoria dell’organizzazione e le
altre prospettive non sono ancora pienamente chiarite. Queste incertezze si
riflettono sulle discipline di studio delle risorse umane. I primi corsi universitari,
in una posizione subordinata rispetto alle altre discipline, si tennero alla Columbia
University, mentre, in Italia le problematiche delle risorse umane risultano un po’
più presenti nelle facoltà di psicologia e sociologia, infatti, i primi corsi sulla
gestione del personale, in facoltà economiche, sono stati avviati solo agli inizi
degli anni Settanta nelle università Bocconi e Cà Foscati
10
.
9
Anna Grandori (1998), Organizzazione e comportamento economico, Il Mulino, Bologna.
10
Giovanni Costa (1997), Economia e direzione delle risorse umane, Utet, Torino.
15
Si registra, quindi, un grave deficit di elaborazione teorica e conoscenza empirica
che si accentua con l’affermarsi di una rilevanza strategica della gestione delle
risorse umane. La crescente importanza delle risorse umane, inoltre, porta
all’esigenza di una richiarificazione e di una ridefinizione dello status delle
discipline. Per ovviare a questi problemi, alcune scuole di formazione hanno
cominciato ad offrire programmi di gestione del personale di buon livello; riviste,
centri di ricerca universitari, sindacali, imprenditoriali e aziendali si sono
impegnati in ricerche e attività di tipo innovativo e, infine, associazioni
professionali e società di consulenza contribuiscono alla crescita delle
conoscenze.
16
1.3 Il capitale intellettuale: origini e diffusione del concetto
Si è affermato che il termine capitale umano è, oggi, considerato arido, tecnico,
limitativo, infatti, ormai sempre più spesso, si preferisce parlare di capitale
intellettuale. Con il termine “intellettuale” si fa riferimento al know how,
all’esperienze, alle capacità. Queste sono le caratteristiche che ci mostrano le
risorse umane come risorse uniche che hanno un ruolo critico nel successo
aziendale. Al contrario delle politiche di gestione delle risorse umane per cui,
come si è già affermato, si registra un grave deficit di elaborazione teorica , gli
apporti teorici sul tema del capitale intellettuale sono numerosi. David Teece
sottolinea le componenti tacite ed esplicite del capitale intellettuale
suddividendolo in risorse intellettuali, che risiedono nelle menti degli individui e
prendono la forma di Know–how, capacità ed esperienza collettiva ed in assets
intellettuali che rappresentano la conoscenza sulla quale l’impresa può esercitare
diritti di proprietà.
Particolare importanza, inoltre, assumono gli studi di Thomas A. Stewart
11
che è
stato tra i primi al mondo ad occuparsi di capitale intellettuale.
“Il capitale intellettuale è la somma di tutto ciò che tutti i dipendenti di un’
azienda sanno e che le assicura un margine di competitività. E’ il sapere di una
forza lavoro: la formazione e l’intuizione di un équipe di chimici che scopre un
11
Thomas A. Stewart scriveva per la rivista americana Fortune e con una serie di articoli sul
capitale intellettuale si è guadagnato la fama internazionale di esperto assoluto del settore ed ha
avuto importanti riconoscimenti dall’Istituto Planning Forum e dal gruppo di ricerca britannico
Business Intelligence.
17
nuovo farmaco da un miliardo di dollari, oppure il Know-how di operai che
inventano mille modi diversi di aumentare l’efficienza di una fabbrica. E’ la
collaborazione, l’insieme delle conoscenze condivise fra un’azienda e i suoi
clienti”. T. Stewart definisce, quindi, il capitale intellettuale come l’asset a
maggior valore per l’impresa. La conoscenza è intagibile ma può essere misurata:
il mercato azionario, ad esempio, reagisce spesso con un incremento delle
quotazioni azionarie agli annunci di investimenti in Ricerca e Sviluppo (Stewart,
1994). T. Stewart suscita l’interesse dei manager perché fa del capitale
intellettuale l’attributo di un organizzazione; così, nel corso degli anni ’90 alcune
imprese affiancano alla contabilità tradizionale sistemi di reporting volti ad
evidenziare il ruolo dinamico delle risorse intangibili nella creazione di valore. Il
gruppo svedese Skandia
12
rappresenta il caso più significativo è la prima impresa
ad aver istituito, nel 1991, il ruolo di “Intellectual Capital Director”, incaricando
Leif Edvisson ed un team di specialisti di evidenziare le componenti del capitale
intellettuale. Il reporting della Skandia suddivide il capitale intellettuale in
capitale umano, che a sua volta comprende le competenze, le relazioni e i valori
delle risorse umane e in capitale strutturale rappresentato dai clienti (customer
capital) e dal capitale organizzativo (organizational capital) che comprende l’
innovazione (innovation capital), i processi (process capital) e la cultura. Uno dei
principali compiti dei manager del capitale intellettuale è quindi quello di
trasformare le risorse umane in beni intellettuali.
12
La Skandia enfatizza le proprietà statiche della conoscenza. La staticità rappresenta un limite dei
sistemi di reporting , il cui superamento avviene con l’analisi dei flussi.
18
Figura 1.2 Schema del valore e della rappresentazione del capitale intellettuale.
Fonte: Skandia, Intellectual Capital Report (1996)
Altri contributi condividono le logiche alla base dello schema Skandia e ne
arricchiscono la componente legata agli individui.
T. Stewart arrichisce tale concezione affermando che i clienti non sono di
proprietà dell’impresa e colloca i customers capital allo stesso livello del capitale
umano e di quello strutturale.
VALORE
Capitale finanziario
Capitale intellettuale
Capitale umano Capitale strutturale
Capitale organizzativo
Capitale “clienti”
innovazioni
processi
competenze
relazioni
valori
cultura
proprietà intellettuali
asset intangibili
19
Le componenti del capitale intellettuale sono quindi:
1) il capitale umano costituito dalle competenze individuali, le relazioni, i
valori, le attitudini, le motivazioni, i comportamenti e le agilità intellettuali, intese
come abilità nel trasferire la conoscenza da un contesto all’altro, il saper collegare
tra loro le diverse informazioni ed il saper migliorare la conoscenza ed il loro
prodotto nell’impresa attraverso processi di innovazione e adattamento. Le
competenze individuali per essere vero capitale e fonte di valore devono essere
“amplificate” a livello organizzativo (Lipparini 2002) c’è, quindi, bisogno di un
piano di interventi a sostegno dello sviluppo delle conoscenze e dei singoli e della
traduzione delle conoscenze ad uso organizzativo. Si coglie il legame tra capitale
intellettuale e strategia;
2) il capitale relazionale rappresentato dai clienti, i fornitori o altri patner. Esso
consente di ridurre i costi legati alla generazione di conoscenza ma è una forma di
capitale nel momento in cui non viene utilizzato come meccanismo temporaneo
per compensare la mancanza di capacità da parte di un’ impresa, quanto come
mezzo per sostenere la formazione di conoscenza collettiva (Spender 1996) in
una logica di apprendimento reciproco (Powell 1996) che genera ulteriore valore
ed occasione di crescita;
3) il capitale strutturale costituito dall’infrastruttura e ricomprende forme
codificate di conoscenza di proprietà dell’impresa quali, ad esempio, i brevetti, i
software applicativi, i manuali di processo.
20
Questa tipologia di capitale consente la piena valorizzazione del capitale
umano, promuovendo ed agevolando la trasformazione di conoscenza in
azione e rendendola una forma durevole di capitale (Lipparini 2000).
Alla luce di queste considerazioni, ogni organizzazione dovrebbe essere in grado
di identificare e valutare i componenti del capitale intellettuale, attraverso alcuni
indicatori e la loro combinazione, in modo tale da orientare i comportamenti e le
strategie di impresa e fornire una motivazione degli investimenti in capitale
umano, relazionale e strutturale. Bisogna in pratica consolidare le differenti
misure di capitale intellettuale in un singolo indicatore, o in un ridotto numero di
indicatori, e correlare i cambiamenti intervenuti a livello di capitale intellettuale
con i cambiamenti intervenuti nel valore di mercato
13
.
13
Questo approccio analizza i flussi del capitale intellettuale e rientra in quella che viene definita
la “seconda generazione” delle pratiche di capitale intellettuale ( Ross 1997).