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INTRODUZIONE 
 
 
 
 
Molte trattazioni riguardanti il tema della pubblicità iniziano col cercare di 
dare una risposta a una domanda tanto semplice da formulare quanto difficile 
da soddisfare con una spiegazione chiara, concisa e sintetica. Questa 
domanda è “Cos’è la pubblicità?”. 
Trovare una definizione che riesca spiegare un fenomeno tanto complesso, 
che abbraccia discipline eterogenee tra loro spaziando dall’economia all’arte, 
dal diritto alla psicologia fino ad avventurarsi nel terreno dei più recenti 
sviluppi del marketing e dell’information technology risulta essere un compito 
estremamente arduo, che la presente ricerca non pretende in alcun modo di 
assolvere; ci si avvarrà, pertanto, del contributo di molti studiosi che, oltre a 
tentare di definire brevemente l’intricato fenomeno pubblicitario, hanno 
effettuato ricerche mirate su alcuni aspetti di tale fenomeno che hanno 
fortemente suscitato l’interesse di chi scrive. Tali ricerche hanno costituito le 
basi per orientare il presente lavoro di tesi su un aspetto specifico del 
fenomeno pubblicitario: la cosiddetta pubblicità occulta, o meglio ancora 
“clandestina”
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. Il termine descrive appropriatamente le insidie che si 
nascondono dietro la pratica, frequentemente utilizzata, di inserire messaggi 
pubblicitari in contesti non appositamente creati a tale scopo ma anzi spesso 
estranei ad esso, uno fra tutti quello di tipo informativo. 
                                                 
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  Si prende a prestito un’espressione dell’avvocato Federico Unnia:  La pubblicità 
clandestina. Il camuffamento della pubblicità nei contesti informativi, Giuffré, Milano, 1997
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Un inserimento di siffatta natura rende impossibile al consumatore il 
riconoscimento della valenza promozionale del messaggio e, di conseguenza, 
va ad inficiare la sua capacità di innescare quei meccanismi di difesa che 
naturalmente si attivano quando si è consapevoli di essere sottoposti ad un 
messaggio pubblicitario. 
L’evoluzione del panorama mediatico ha consentito una poderosa evoluzione 
del fenomeno, in quanto i contesti in cui è possibile effettuare inserimenti 
pubblicitari clandestini si sono moltiplicati e continuano incessantemente a 
proliferare.  
L’avvento del World Wide Web ha avuto in questo senso un impatto di 
straordinaria importanza: è proprio sulla rete che nascono continuamente 
nuovi spazi ibridi che consentono la sovrapposizione di finalità informative, 
divulgative, commerciali, e promozionali. In questo senso è d’obbligo 
indagare le implicazioni derivanti dal crescente utilizzo di strumenti del 
marketing non convenzionale che si avvalgono del cyber-spazio per amplificare 
il loro potere virale. Si ricordi a tal proposito l’efficacia del Word-of-Mouth 
Marketing, che innesca un passaparola tra gli utenti circa gli argomenti più 
disparati, generando un continuo rilascio di feedback su prodotti e servizi 
utilizzati che, se non effettuato con disinteresse e in autonomia, può celare un 
fine occulto frutto di un accordo economico con le aziende produttrici. 
Ma l’insidia della “clandestinità” si cela anche al di fuori degli spazi virtuali: 
verranno analizzate infatti le implicazioni che possono derivare dall’uso 
scorretto di pratiche pubblicitarie che meritano attenzione ed elogio per la 
loro creatività, ma che facilmente possono trascendere in fattispecie di 
pubblicità clandestina a causa della loro natura ambigua e non chiaramente 
definita e regolamentata dalla legge. 
L’obiettivo della presente tesi è infatti quello di scovare e indagare le nuove 
forme che la pubblicità clandestina può assumere grazie all’avvento delle 
nuove tecnologie e agli sviluppi della comunicazione Below The Line, che non
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si declina più solo nelle sue forme convenzionali  (promozione, 
sponsorizzazione, pubbliche relazioni) ma va ormai ad abbracciare le 
tendenze più innovative della pubblicità fino a comprendere le forme più 
rivoluzionarie di marketing non convenzionale. 
Per poter raggiungere tale obiettivo il primo passo è stato quello di analizzare 
le forme classiche della pubblicità clandestina, ovvero la pubblicità 
redazionale e la pubblicità subliminale, per poter individuare quei tratti 
distintivi che in seguito, per analogia, si è cercato di rintracciare in formati 
pubblicitari di recente invenzione, borderline tra il palese e l’occulto. 
Nel primo capitolo, dopo aver chiarito il significato dell’espressione 
“pubblicità clandestina” e averne rilevato la potenziale pericolosità, si 
prosegue con l’individuazione della pubblicità redazionale come punto di 
partenza della trattazione, in quanto essa esprime, per eccellenza, quella 
sovrapposizione di finalità (informativa/commerciale) propria 
dell’inserimento promozionale in contesti normalmente estranei alla 
pubblicità. Un simile ragionamento si potrebbe applicare al fenomeno del 
product placement, in quanto inserimento di prodotto in contesti narrativi, ma 
ad un’attenta analisi emerge come le due fattispecie non siano del tutto 
paragonabili poiché, mentre la pubblicità redazionale mette in gioco la figura 
del giornalista e l’ipotesi di sfruttamento di una professionalità prestigiosa a 
fini ingannevoli nei confronti del pubblico, il product placement è un 
fenomeno che non riguarda la delicata sfera dell’informazione e non rischia 
di inficiare alcun contratto di fiducia, come quello che si instaura invece tra 
giornalista e lettore. Pertanto, con l’introduzione del Decreto Urbani nel 
2004, tale pratica commerciale è stata regolamentata e resa ammissibile a 
patto che rispetti precisi criteri di riconoscibilità che mettano il pubblico nella 
condizione di non essere aggredito e colto alla sprovvista. Il product 
placement è stato spesso paragonato anche alla cosiddetta pubblicità 
subliminale; non mancano infatti, specie sul web, esempi di inserimento di
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prodotto a carattere subliminale, la cui efficacia nel condizionamento dei 
comportamenti del consumatore non è però mai stata dimostrata in sede 
scientifica. 
Date le analogie tra le tre fattispecie pubblicitarie (pubblicità redazionale, 
pubblicità subliminale e product placement) si è pensato inizialmente di 
trattare i tre argomenti nello stesso capitolo, ma si è poi scelto di separare le 
trattazioni in differenti sezioni della tesi proprio per evidenziare le differenze, 
più che le similitudini, che esistono tra i fenomeni; non è parso infatti 
opportuno inserire l’argomento del product placement in un capitolo che 
tratta le forme classiche di pubblicità clandestina, in quanto esso, seppur 
criticabile dal punto di vista etico in quanto non si possa asserire con certezza 
che gli accorgimenti previsti dalla legge siano sufficienti a preservare 
l’autonomia di scelta del consumatore, non è indicato dalla legge  stessa come 
fattispecie di pubblicità occulta.  
Per completezza informativa nel primo capitolo è stata sviluppata, come già 
accennato, una breve trattazione sul fenomeno della pubblicità subliminale, 
che ha fatto scalpore alla fine degli anni ’50 negli Stati Uniti, e ha suggerito 
numerose teorie circa la manipolazione dell’inconscio dei consumatori a fini 
commerciali, prima fra tutte quella che ha portato alla stesura del celeberrimo 
saggio “I persuasori occulti” del sociologo Vance Packard
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.  
Pur essendo considerata una pratica scorretta e del tutto illegale, dopo 
l’iniziale allarmismo eminenti studi hanno dimostrato la sua sostanziale 
infondatezza, in quanto incapace di indurre un vero e proprio effetto 
persuasivo. In Italia non esistono casi accertati che dimostrino l’utilizzo di 
tale tecnica; pertanto, fermo restando il divieto di farne uso imposto dal 
Legislatore, l’utilizzo della pubblicità subliminale a fini manipolatori viene 
considerato ormai alla stregua di una leggenda metropolitana. 
                                                 
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  PACKARD, V., The Hidden Persuaders, McKay Company, New York, 1957; trad. it. 
I persuasori occulti, Torino, Einaudi, 1958
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Nel secondo capitolo, una volta individuato il significato dell’espressione 
“Below the Line Advertising”, si tenta di entrare in medias res proseguendo, 
dopo la breve trattazione riguardante il fenomeno del product placement, 
con l’individuazione di nuovi strumenti pubblicitari oggi utilizzati per colpire 
l’immaginario del consumatore, che tentano di superare la staticità e l’esosità 
delle più note forme di pubblicità tradizionale. Molte di queste forme, seppur 
interessanti dal punto di vista della creatività e meritevoli di generare un 
circolo virtuoso per le aziende in termini di costi pubblicitari, nettamente più 
bassi rispetto a quelli della pubblicità tradizionale, se usate in modo scorretto 
generano facilmente il rischio, per il consumatore, di non riconoscerle nella 
loro natura pubblicitaria e ricadono pertanto nella fattispecie di pubblicità 
clandestina. Si analizzeranno a tal proposito le Promofiction, o Promoserial, spot 
che ripropongono l’ambientazione e il contesto della fiction dopo la quale 
vengono trasmessi tanto da non risultare chiaramente distinguibili da essa e 
generare confusione presso lo spettatore, contravvenendo all’obbligo di 
trasparenza della pubblicità dettato sia dal Legislatore che dal Codice di 
Autodisciplina della Pubblicità. Si studierà inoltre il fenomeno del Word-of-
Mouth Marketing, che sfrutta il potere del passaparola generato dagli utenti per 
pubblicizzare prodotti e servizi in modo non sempre disinteressato come 
apparentemente potrebbe sembrare: se è vero che molte delle opinioni dei 
consumatori sono genuine e frutto di seria volontà di condividere le proprie 
esperienze d’acquisto con altri consumatori, è anche vero che con estrema 
facilità, soprattutto online dove l’identità è nascosta, si possono infiltrare voci 
meno disinteressate che cercano di diffondere messaggi pubblicitari 
mascherati da informazioni oggettive. Questo rischio diviene addirittura una 
certezza nel caso del ricorso alla tecnica dell’Article Marketing, che punta a 
raggiungere il target prefissato attraverso la redazione di articoli dal 
contenuto promozionale apparentemente frutto di autonome considerazioni 
di chi li pubblica.
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In chiusura del secondo capitolo verrà analizzata la tecnica dell’Ambient 
Marketing, che consiste nello sfruttamento dello spazio per imporre la 
pubblicità al consumatore, superando i limiti fisici del testo pubblicitario. 
Questa tecnica ha il notevole merito di proporsi al consumatore in modo 
totalizzante, tanto da diventare quasi un’esperienza sensoriale che lo 
coinvolge negli spazi della quotidianità; anche in questo caso, però l’utilizzo 
scorretto derivante dall’impossibilità del consumatore di difendersene può 
causare un abbassamento della sua soglia di attenzione e difesa tale da 
pregiudicare l’autonomia dei suoi comportamenti economici. 
Nel terzo capitolo si analizzano invece le insidie derivanti dall’evoluzione 
della tecnologia, facendo riferimento in particolare alle problematiche relative 
all’utilizzo scorretto della pubblicità online, al potere che le aziende 
assumono grazie alla raccolta dei dati personali degli utenti che consentono 
loro di tracciarne un accurato profilo e sottoporli a pubblicità mirate ma non 
sempre richieste e all’invasività delle campagne pubblicitarie veicolate tramite 
e-mail, blog, social network e telefoni cellulari. Si fa inoltre cenno alla recente 
scoperta dei videogiochi come nuovo canale comunicativo attraverso il quale 
sottoporre ai consumatori messaggi promozionali non sempre del tutto 
palesi. 
Nell’ultimo capitolo l’attenzione si sposta verso un diverso campo di 
indagine: quello che riguarda la pubblicità sociale. A prima vista potrebbe 
sembrare un accostamento improprio, ma dopo aver analizzato l’effettiva 
influenza che la pubblicità clandestina ha sui consumatori e averne deprecato 
le implicazioni ingannevoli, non si può far a meno di notare come essa sia, 
nonostante la sua deplorevolezza, un fenomeno diffuso e difficilmente 
controllabile e arginabile. Si tenterà quindi, senza alcuna pretesa di fornire 
risposte definitive ma, al contrario, con la speranza di porre interrogativi utili 
a possibili sviluppi futuri del tema, di tracciare la possibilità di rendere 
“produttivo” in senso sociale l’uso della pubblicità clandestina. Dal momento
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che il consumatore è circondato di messaggi pubblicitari, non sempre palesi e 
corretti, dai quali difficilmente riesce a difendersi, si ipotizzerà 
provocatoriamente la possibilità di applicare a campagne di Social Advertising 
alcune delle tecniche clandestine analizzate nel corso della tesi per 
raggiungere, avvalendosi di un mezzo illecito, una finalità positiva per il 
benessere sociale: quella di sensibilizzare gli utenti su temi spesso ostici ma di 
assoluta rilevanza per la collettività, come quelli proposti dalla pubblicità 
sociale.