1.2 Definizione scientifica ed etico-filosofica di ambiente; evoluzione culturale del
concetto di ambiente
L’obiettivo di una soddisfacente definizione di ambiente può essere raggiunto solo se i
giuristi accettano di fare riferimento alle nozioni delle altre scienze; pertanto è necessario
utilizzare i principi dell’ecologia approfondendoli in due distinte direzioni. Da un lato occorre
tenere presente il rapporto tra biocenosi, vale a dire una comunità plurispecifica di popolazioni,
3
e biotopo, inteso quale porzione dello spazio in cui le condizioni dominanti dell’ambiente per la
maggior parte delle specie sono abbastanza omogenee per poter ospitare una determinata
biocenosi. Dall’altro, si deve fare riferimento al fatto che i fattori ambientali possono essere
distinti in fattori abiotici e fattori biotici.
4
I primi si distinguono in climatici (temperatura, piovosità,
umidità, vento, ecc.), idrografici (ossigeno, sali. pressione, correnti, luce, ecc.), edafici (fattori
chimici e meccanici); i secondi si distinguono in intraspecifici o demografici (densità;
competizione intraspecifica; strutture demografiche), interspecifici diretti (competizione,
predazione, parassitismo, simbiosi) e interspecifici indiretti (modificazioni dell’ambiente abiotico).
Pertanto un significato autonomo ed unitario della nozione di ambiente può essere trovato solo
accogliendo la prospettiva ecologica; quindi l’ambiente va inteso come equilibrio ecologico, di
volta in volta, della biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimento. L’ambiente naturale è
fortemente attaccato da azioni volontarie e involontarie dell’uomo che per lungo tempo è stato
guidato da una cultura e da una filosofia di vita basate sull’antropocentrismo, sulla crescita
economica e sul progresso scientifico. Dobbiamo chiederci se i filosofi e gli scienziati hanno
colpe per questo degrado.
3
R. DAJOZ, Manuale di ecologia, Milano 1977, p. 291
4
Per fattore ambientale o ecologico si intende “ogni elemento dell’ambiente suscettibile di agire direttamente sugli esseri viventi almeno
durante una fase del loro ciclo di sviluppo”, R. DAJOZ, op. cit. p. 13
Potremmo dire che i filosofi per lungo tempo non si sono preoccupati di intraprendere una
revisione di quella cultura che, se non ha provocato, ha certamente favorito e accompagnato la
degradazione ambientale. È noto infatti che dal tempo della Grecia antica il pensiero occidentale
è stato principalmente antropocentrico e che solo nel nostro secolo i filosofi hanno avvertito i
limiti di questa posizione, criticandola vivacemente.
É sufficiente riportare le taglienti parole di Karl Popper, il maggiore filosofo della scienza
del nostro tempo secondo il quale: ”A mio parere il più grande scandalo della filosofia è che,
mentre tutt’intorno a noi il mondo della natura perisce, i filosofi continuano a discutere
sulla questione se il mondo esiste”.
5
Ma è anche vero che proprio nel periodo in cui Popper si
scusava a nome dei filosofi, altri pensatori avevano cominciato e rivolgere la loro attenzione al
problema del rapporto uomo-natura e a demolire l’antica concezione antropocentrica riflettendo
sul fenomeno dell’alterazione ambientale come uno dei mali più gravi del nostro tempo.
Restando in Italia ricordiamo che Mathieu, Abbagnano e Rossi, tra gli altri, hanno svolto
questa critica. Il lungo silenzio dei filosofi sul problema della degradazione ambientale e sulle
responsabilità dell’uomo moderno trova la sua ragion d’essere nella storia del pensiero filosofico
europeo degli ultimi duecento anni. Da Kant in poi i maggiori pensatori occidentali altro non
hanno fatto che negare la natura come realtà: la negazione della natura come espressione
massima dell’essenza dell’umano. Si è infatti affermato che l’uomo è tanto più autentico e vero
quanto più è libero e purificato dagli oppressivi condizionamenti della natura. “L’uomo artifex” e
quanto egli costruisce sembravano fino a ieri dominare il mondo. Storici e filosofi hanno
considerato l’uomo moderno “faber fortuna suae”, per usare un’espressione cara ai dotti del
Rinascimento. In epoca recente questo motto è stato assunto a simbolo di orgogliosa
autosufficienza, di pieno dominio dell’uomo sul mondo naturale. Ancora oggi questa rimane l’idea
prevalente, almeno tra gli intellettuali umanisti.
5
K. POPPER., Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, a cura di A. ROSSI, Roma 1983, pp. 57-58
Bisogna però riconoscere che dai filosofi greci fino agli illuministi non è stato questo il filo
conduttore del pensiero occidentale; anzi per oltre duemila anni gli uomini di pensiero si sono
sforzati di comprendere la vita e l’intelligenza umana entro l’orizzonte della natura. Se vogliamo
affrontare il problema del rapporto uomo-ambiente è necessario definire l’essenza filosofica delle
due entità. Cerchiamo di definire l’ambiente nella sua realtà. La parola può indicare “ciò che sta
intorno”, oppure “ciò di cui si è in mezzo”.
Ovviamente si allude al fatto che ogni individuo, - ma ciò vale anche per un’intera società
o un qualsiasi complesso vitale organizzato, - è immerso in un proprio ambiente. In sintesi
possiamo dire che riusciamo a dare un’accettabile definizione di ambiente quando consideriamo
“l’insieme delle condizioni fisiche, fisico-chimiche e biologiche che permettono la vita dei
vegetali, degli animali e dell’uomo stesso”. É evidente che così si limita la definizione di
ambiente a quelli che sono gli aspetti materiali.
Quando consideriamo l’uomo facente parte dell’ambiente, allora bisogna considerare
anche le sue idee, i suoi giudizi, la sua capacità di operare delle scelte. I filosofi
dell’esistenzialismo, a riguardo, sostengono la tesi secondo cui il raggiungimento di una certa
comprensione del mondo naturale circostante rappresenta un momento fondamentale per l’uomo
sulla via dell’autocomprensione. Solo il vivere attivo dell’uomo (cioè il pensare) fa sì che il mondo
circostante diventi ambiente.
In altri termini “l’ambiente esterno” - come dice A. Vallega, esplicitando il pensiero
dell’esistenzialismo - “è definito in base alla realtà esistenziale dell’uomo”. In virtù della propria
sensibilità ogni uomo diventa consapevole di essere inserito nella natura, di far parte di questo
vasto complesso fisico-biologico che è l’ecosistema planetario, dato che “l’uomo è natura e
l’esistenza umana è parte della vita della natura”.
6
Possiamo affermare che questa
particolare origine dell’uomo deve condizionare i suoi atteggiamenti di fronte al mondo.
6
A. VALLEGA, Esistenza, società, ecosistema, pensiero geografico e questione ambientale, Milano, Ed. Mursia 1990, p. 239
A tale riguardo si può ritenere che la recente esplosione della problematica ambientale e
lo stesso grande interesse per l’ecologia possano avere anche una lettura di carattere
psicologico. In effetti il comportamento dell’uomo è il risultato di una complessa dinamica
interiore che vede il continuo confronto tra parte raziocinante e una serie di pulsioni inconsce ed
eredità ancestrali che ci giungono dai comportamenti istintuali dei nostri più antichi predecessori.
Questa seconda componente è legata a una visione del tutto naturale dell’ambiente esterno,
poiché risale ad un’epoca nella quale l’uomo viveva a contatto diretto con un mondo intatto, del
quale egli stesso si sentiva parte.
Pertanto il nostro grande entusiasmo per i paesaggi incontaminati non è il frutto soltanto di
un pensiero razionale e della nostra cultura, ma anche di certe immagini di una natura simbolica
che sono rimaste radicate nel profondo della nostra psiche e che ci legano alla nostra storia
evolutiva compiutasi nel passato.
Tra gli uomini di pensiero le colpe del dissesto ecologico sono state attribuite di volta in volta alle
cause più disparate: il capitalismo, il consumismo, l'indifferenza
della classe politica, ma anche la scienza e la tecnologia, la filosofia e perfino la tradizione
religiosa giudaico-cristiana. Per un esame sintetico è opportuno prendere le mosse dalla filosofia
greca. Dalle opere di Platone non emerge un vero apprezzamento per la natura anche se da
alcuni passi dei suoi scritti filosofici si evince che egli aveva una buona conoscenza dei numerosi
problemi ambientali dell’epoca. Ad esempio mostra di conoscere bene il fenomeno di erosione
dei suoli dopo che i terreni erano stati deforestati.
Eppure in Platone non vi è alcuna traccia di preoccupazione di ciò in quanto secondo la
sua filosofia il mondo fisico non è altro che pura illusione e quindi è illusione anche il mutamento
ambientale.
7
Il grande allievo di Platone, Aristotele, fu il solo tra i maggiori filosofi greci che si
accostò alla natura con vero interesse scientifico. Egli infatti affermò nell’opera “De partibus
7
PLATONE, Crizia, traduzione di G. Garratano, Bari, Ed. Laterza 1996, pp. 556-557
animalium” che la ricerca delle sostanze prime doveva essere integrata dallo studio delle rocce,
degli animali e delle piante che si incontrano nel mondo della natura.
Merita di essere ricordato un suo allievo, Teofrasto di Ereso; il quale respinse la tesi di
Aristotele secondo cui i vegetali, gli animali e la terra stessa esistono per il solo interesse
dell’uomo, ma affermò che tutti gli esseri viventi e le cose avessero una propria ragion d’essere,
indipendentemente dalle esigenze dell’uomo.
Nell’alto medioevo, con l’affermarsi della religione cristiana, l’Occidente europeo andò
incontro a una profonda rivoluzione culturale, dato che l’attenzione dei dotti dell’epoca era rivolta
esclusivamente a cercare l’essenza metafisica del mondo, ignorando del tutto la sua realtà fisica
e biologica. Lo studio dell’ambiente e del rapporto tra uomo e natura vennero del tutto trascurati
poiché le risposte ai problemi riguardanti la vita e i destini dell’umanità si cercavano al di là del
mondo fisico percepibile. L’uomo, diceva Agostino, non appartiene alla natura, anzi la trascende,
perché appartiene alla grazia che è soprannaturale.
Ancora in piena armonia con questa tradizione è il pensiero di Francesco d’Assisi, il cui
entusiasmo con il quale esalta la natura e che si esprime in maniera impareggiabile con il
Cantico delle Creature, non è dovuto soltanto alla sua grande sensibilità poetica ma anche alla
sua profonda religiosità. La verità è che Francesco volendo esaltare il Creatore ma non
potendolo fare in maniera diretta per non peccare di superbia, lo fa in maniera indiretta cantando
ed esaltando le cose da Lui create, alle quali si sente fraternamente legato.
8
Quando però nell’Occidente si delinea quel periodo di fioritura culturale e scientifica che gli
studiosi del medioevo indicano come “Rinascita del XII secolo”, ritorna l’interesse per la natura.
Con i grandi dotti della chiesa come San Tommaso d’Aquino e Alberto Magno, la natura per
secoli ignorata e disprezzata riacquista il suo valore oggettivo. Nonostante gli incoraggianti
sviluppi però, la filosofia di Kant, che faceva della natura “un mondo pensabile ma non
8
S. PINNA, La Protezione dell’Ambiente, Ed. FrancoAngeli 1996
conoscibile”, era destinata a troncare sul nascere qualsiasi possibilità di utilizzare le conoscenze
già raccolte dagli scienziati per fondare una vera e propria filosofia della natura.
Nell’Ottocento gli scienziati, ignorando le elucubrazioni dei filosofi avevano percorso una
propria strada, dando grande sviluppo allo studio geofisico della terra. E. Haeckel getta le basi
dell’ecologia come scienza destinata a studiare i rapporti tra gli esseri viventi e l’ambiente
circostante.
Durante la prima metà del 900 è perdurato il disinteresse della filosofia nei riguardi del
rapporto uomo-natura e solo negli ultimi decenni, in virtù di un ripensamento culturale, i filosofi
hanno dimostrato una forte attenzione alla problematica ambientale.
L’idea della natura come “res nullius” contribuiva a limitare il rapporto dell’uomo con gli altri
esseri viventi; poi è subentrata nell’umanità la piena consapevolezza sia del carattere esauribile
e non rinnovabile delle principali risorse naturali, sia della profonda azione modificatrice
esercitata dall’uomo sull’ambiente circostante e su quella natura che rappresenta pur sempre il
substrato essenziale per la sua vita.
Scienziati, intellettuali, umanisti e movimenti ecologisti hanno dato un contributo
determinante perché l’intera popolazione, almeno nei paesi evoluti, prendesse coscienza di
questa realtà. I filosofi in particolare hanno esaminato il rapporto tra l’uomo e l’ambiente dal
punto di vista dell’etica filosofica, affrontando il problema se, e su quali basi, possa essere
sviluppata una nuova linea di pensiero che riconosca un certo valore morale alla natura e se
abbiano fondamento etico gli obblighi che ci inducono a rispettarla.
Merita di rilevare che già intorno alla metà del secolo scorso l’atteggiamento da tenersi di
fronte agli animali e a tutto il mondo vivente era andato mutando profondamente. I filosofi che si
sono soffermati su tali punti hanno cercato di spiegare le ragioni per cui gli uomini avrebbero
dovuto prendersi (moralmente) cura dell’ambiente.
Il problema risulta strettamente connesso con quest’altro quesito: gli oggetti naturali, gli
animali e le piante hanno una loro propria rilevanza morale, e in tal caso questa rilevanza da che
cosa trae la sua giustificazione? Esaminando le opere degli uomini di cultura che hanno
sostenuto la necessità di gettare le basi di un '’etica ambientale”, è possibile individuare in esse
due distinti indirizzi di pensiero.
Nel primo possiamo includere quei filosofi i quali, dopo aver contestato radicalmente l’idea del
“dominio umano della natura”, affermano che il problema del rapporto tra l’uomo e l’ambiente è
così nuovo e di così ampia portata da esigere un’etica nuova e una nuova gerarchia di valori:
un’etica fondata sui concetti di “interdipendenza degli esseri viventi e non viventi” e di “equilibrio
della natura”, che ci vengono dalla scienza ecologica. Del secondo gruppo fanno parte invece
quei filosofi che non ritengono necessario trasformare la teoria etica per includere la nuova
problematica del rapporto uomo-ambiente essendo sufficiente estendere le categorie dell’etica
tradizionale per inserirvi questi nuovi temi.
In questo secondo gruppo troviamo almeno due filoni tra loro assai differenti:
a) vi sono da un lato coloro che considerano gli elementi della natura (gli animali, le piante
e la stessa terra) come dotati di un valore in sé; è la teoria dei “diritti della natura” o dei
“diritti biotici”, che avrebbero gli organismi, le specie e gli ambienti di continuare a
esistere indipendentemente dall’uomo e soprattutto senza essere alterati o distrutti
dall’uomo;
b) vi sono poi quei filosofi che considerano gli elementi della natura come entità il cui
valore deve essere considerato solo in una visione antropocentrica, in funzione della vita e
del benessere dell’uomo.
L’etica antropocentrica ci dice poi che il rispetto della natura deve essere fondato anche
su certi ideali della persona umana come ad esempio quello di non distruggere nulla
immotivatamente.
Tra i filoni di studio che hanno contribuito alla creazione di un’etica ambientale vi è quello
che prende l’avvio dalle basi del pensiero cristiano. Alcuni filosofi hanno cercato di dedurre dalle
Sacre Scritture un comportamento morale nei confronti della natura o piuttosto se questi libri
sacri contengano una sorta di avallo alla dominazione e allo sfruttamento incontrollato delle
risorse naturali.
Lo studioso americano Lynn White Jr. ha affermato che nella tradizione giudaico-cristiana si
possono trovare le radici dell’attuale contrapposizione uomo-natura e addirittura dell’attuale
alterazione ambientale.
9
In sostanza White critica quel passo della Genesi (Gen. I, 26-30) in cui
si afferma che l’uomo, per volere di Dio, ha il dominio assoluto di tutta la terra; tale principio
avrebbe autorizzato la specie umana alla trasformazione dell’ambiente. Sempre secondo questa
tesi, il Cristianesimo, riducendo tutti gli esseri viventi e tutte le cose presenti nel mondo naturale
a semplici “risorse” a disposizione dell’uomo, avrebbe distrutto “l’animismo primitivo” (lo spirito
del bosco, lo spirito del fiume, ecc.) che della natura costituiva la più valida protezione.
A questa tesi di White si possono rivolgere varie critiche. Anzitutto appare inconcepibile
esaltare le culture pre-cristiane e considerarle ideali in quanto non antropocentriche e rispettose
della natura. Tale presupposto fa pensare ad un rifiuto del sapere e della scienza moderne in
nome di una presunta “sacralità” della natura. Quanto poi ai disastri ecologici è facile rispondere
a White che questi non sono una caratteristica dei paesi a religione cristiana, ma anche dei
popoli di altra fede religiosa. Ricordiamo poi che la Bibbia non solo vieta di sfruttare la terra in
modo sconsiderato, ma attraverso la maledizione divina fa conoscere le conseguenze nefaste di
un simile sfruttamento.
9
L. WHITE Jr., The Historical Roots ..., pp. 1203-1207
Questi principi sono stati riaffermati nel Nuovo Testamento dove si esalta la natura
considerata come compagna degna di partecipare alla vita dell’uomo. Vi si dice esplicitamente
che Dio chiederà conto del modo in cui è stato utilizzato il patrimonio di risorse naturali che Egli
ha affidato agli uomini per una saggia e intelligente amministrazione, e punirà coloro che invece
di “dominare e custodire” la natura l’avranno “sfruttata”.
La scienza ecologica invece afferma con particolare forza che al concetto di specie umana
dobbiamo sostituire quello di “comunità biotica”, dato che “le altre specie viventi e gli altri
enti naturali” - come ha detto A. Leopold - “sono i nostri compagni di viaggio nell’odissea
dell’evoluzione”. Il problema della fondazione di un’etica ambientale si è posto nel corso degli
anni sessanta principalmente nel mondo culturale americano.
Tra gli umanisti e gli scienziati di quel paese si è particolarmente distinto lo studioso di
scienze forestali e filosofo Aldo Leopold che ci ha lasciato un saggio rimasto poi famoso.
10
In
esso l’autore ha gettato le basi della sua “etica della terra” (land ethics).
Secondo Leopold il sistema educativo e quello economico del mondo occidentale sono
stati costruiti sull’idea di fondo del distacco dell’uomo dalla natura, anziché su quello
dell’appartenenza reciproca. Una radicata tradizione filosofica ha sempre suggerito che la natura
va “negata” o “trascesa”, che l’uomo per non rimanerne schiavo la deve conquistare e
soggiogare e infine che lo sfruttamento della natura è il presupposto essenziale per riaffermare la
civiltà dell’uomo.
Ora però l’ecologia ci ha dimostrato che la nostra vita è legata a quella di tutte le
componenti del mondo naturale. Tre insegnamenti principali, - dice ancora Leopold - ci vengono
dall’ecologia. Anzitutto essa ci dice che l’uomo non è un’entità puramente spirituale, perché egli è
anche parte della biosfera; inoltre che i mutamenti apportati dall’uomo sulla natura, essendo più
rapidi e violenti dei movi-
10
A. LEOPOLD, Sand County Almanac and Schetches Here and There, Oxford 1968
menti evolutivi naturali, hanno un forte impatto sull’ambiente; infine che le civiltà umane hanno le
loro radici in complesse interazioni fra territorio, popolazione e risorse.
Da questi fondamenti dell’ecologia, che in sostanza degradano l’uomo da “vertice della
creazione” a semplice “cittadino biotico”, discende la necessità di estendere la considerazione
morale a tutte le componenti del mondo, esseri viventi e non.
La concezione di Leopold ha suscitato critiche severe da parte di vari filosofi: S.
Bartolommei ha rilevato che i presupposti della land ethics sono moralmente assurdi e
paradossali in quanto si finirebbe per ridurre drasticamente l’area della presenza umana fino a
determinarne la scomparsa, mentre Tom Regan ha bollato l’etica della Terra come fascismo
ecologico.
Lasciamo ora l’idea dell’etica ecologica per rilevare che alcuni filosofi contemporanei
hanno compiuto vari tentativi per creare un’etica ambientale partendo non dai principi
fondamentali dell’ecologia ma assumendo il presupposto che tutti gli elementi della natura sono
soggetti morali e che hanno pertanto dei diritti, il primo dei quali è quello puro e semplice di
esistere (l’etica dei diritti della natura). Altri uomini di pensiero hanno limitato questa
caratteristica alle sole piante e animali, sostenendone il valore morale in base al principio della
santità della vita in tutte le sue forme (l’etica della santità della vita):
L’etica della santità della vita ha avuto come caposcuola il medico missionario alsaziano
Albert Schweitzer, premio Nobel per la pace. Schweitzer parte dall’assunto che un qualsiasi
essere vivente per il solo fatto di vivere, è sacro ed ha il diritto al rispetto.
Bisogna dire però che il principio della santità della vita in tutte le sue forme non può
essere sostenuto in sé e per sé, indipendentemente da certe concezioni religiose congeniali al
mondo asiatico ma estranee alla cultura del mondo occidentale secondo cui soltanto l’uomo è
soggetto morale e portatore di diritti. La norma etica impegna la coscienza della persona umana
e la obbliga a valorizzare soprattutto l’uomo ma anche la realtà effettiva di ogni essere nella
ricchezza della sua propria natura. La norma etica valuta ogni azione dell’uomo inteso sia come
singolo individuo che nel gruppo sociale e valuta anche il comportamento degli Stati. A tal
proposito, dai fatti risulta che i crimini ambientali sono soprattutto ascrivibili alla responsabilità
degli Stati, pertanto per prevenirli in maniera adeguata è necessario controllare la loro attività
legislativa e le loro politiche ambientali. Dal punto di vista etico bisogna far acquisire all’uomo la
consapevolezza che la sua vita è intimamente legata a quella delle altre componenti della
biosfera e quindi arrecare un danno ad essa significa in definitiva compromettere la propria
esistenza sulla terra.
11
11
Padre M. RASTRELLI in “Approccio etico”, Conferenza Permanente Intergovernativa Crimini Ambientali-ECPP, Napoli 1997
1.3 Definizione giuridica di ambiente
L’esigenza di precisare la nozione di ambiente è tanto più sentita ed evidente da quando
si sono sviluppate le tematiche ambientali ed è emersa una caotica, frammentaria attività
legislativa sia a livello italiano che internazionale. Dottrina e giurisprudenza hanno offerto
numerose teorie sull’argomento
12
giungendo a nozioni e significati di “ambiente” diversi e
ritenendo impossibile pervenire ad un concetto giuridico unitario.
13
La recente dottrina, sensibile ai nuovi modelli culturali di più ampia tutela ecologica e
spinta da nuovi principi morali, politici e religiosi, è diretta invece verso una concezione unitaria e
globale dell’ambiente e la configurazione di un “diritto ambientale” distinto ed autonomo.
14
Dal
punto di vista giuridico si individuano almeno due nozioni di ambiente, una interna agli
ordinamenti dei singoli Stati e legata ai concetti di paesaggio, beni ambientali e culturali,
urbanistica, salute, e l’altra internazionale riguardante i beni comuni dell’umanità, le risorse
naturali, lo sviluppo sostenibile e tutti i problemi di carattere globale.
Bisogna accogliere la tesi secondo cui l’ambiente è un bene unitario e va inteso come
equilibrio ecologico dei singoli ecosistemi di riferimento e della biosfera.
15
Il bene ambiente è
unitario in quanto composto da un insieme di beni che sono tra di loro in una complessa
relazione ed in continuo processo di evoluzione, sì da costituire un sistema; il bene ambiente
acquista valore perché è essenziale alla vita dell’uomo ed alla sua qualità, nei limiti in cui assume
i caratteri del bene economico in senso lato, cioè scarsità, utilità, accessibilità.
Fino a quando si riteneva che le risorse naturali fossero illimitate e che fossero meritevoli di
tutela soltanto i beni economici, il criterio per decidere della giuridicità di un bene era quello
dell’appropriazione. L’ordinamento giuridico tutelava soprattutto la proprietà privata mentre i beni
12
SALVIA, L’Inquinamento, Padova 1984; Ed. Comporti
13
POSTIGLIONE, Ambiente: suo significato giuridico unitario, in Riv. Trim. Dir. Publ. 1985, p. 32 e ss.
14
MADDALENA, Danno pubblico ambientale, Rimini 1990
allo stato naturale erano considerati illimitati e quindi privi di interesse, cioè res nullius. Diversa
è la situazione attuale in cui i beni naturali sono diventati relativamente scarsi e oggetto di
concorrenza da parte della collettività. In questa prospettiva l’ambiente reclama una sua tutela
giuridica in quanto oggetto, per così dire, di appropriazione collettiva, usato e conservato a
beneficio della presente e delle future generazioni. Emerge così la nozione nuova di patrimonio
ambientale dell’umanità inteso come proprietà collettiva, naturale evoluzione ed estensione di
quella “global commons” introdotta dal Rapporto Brundtland delle Nazioni Unite. In esso gli
oceani, lo spazio cosmico, l’Antartide sono considerati beni comuni globali, prime voci di un più
ampio elenco in cui rientrano tutti i beni ambientali e la cui funzione supera gli interessi del
singolo Stato.
Un altro problema è quello di individuare i soggetti titolari del dominio su tali beni. Oggi in
seguito agli sviluppi del diritto internazionale i beni e le risorse ambientali sono considerati
dominio dell’intera collettività che può vantare su essi propri ed autonomi diritti o comunque una
contitolarità. Il diritto di utilizzazione di tali beni è riconosciuto a ciascuno Stato purché l’uso risulti
ragionevole e non pregiudichi gli usi da parte degli altri Stati. Le generazioni presenti concorrono
nella utilizzazione delle risorse ma non possono apportare modificazioni irreversibili e devono
consentire alle generazioni future di poter usufruire allo stesso modo dei beni ambientali.
L’ambiente si propone come un bene da preservare nel suo valore perché dalle risorse
ambientali dipendono la salute e la vita dell’uomo. Per il diritto italiano il rapporto uomo-
ambiente si è andato delineando nel tempo attraverso una progressiva evoluzione legislativa,
giurisprudenziale e dottrinale. Per lungo tempo l’ambiente è stato tutelato solo se contraddistinto
da peculiarità paesaggistiche, artistiche o storiche.
16
Nella Costituzione italiana l’ambiente
rientra tra i diritti fondamentali quando si configura come diritto alla salute (art. 32) oppure
quando viene considerato come paesaggio (art. 9, co. 2).
15
WCED, Our Common Future, Oxford 1987
16
Legge 29 giugno 1939 n. 1497: “Protezione delle Bellezze Naturali”
Attualmente esso è studiato nella sua globalità quale habitat dell’uomo e come condizione
indispensabile per la vita umana che serve da base giuridica per l’affermarsi dell’esistenza di un
“diritto fondamentale” appartenente a tutta la comunità.
17
Alcuni autori utilizzano una definizione ancora più aperta abbandonandone la lettura in
chiave strettamente antropologica e privilegiandone la prospettiva ecologica; in questo senso per
ambiente si intende “l’equilibrio ecologico della biosfera o dei singoli ecosistemi di
riferimento”..
18
Una definizione pertinente del concetto di “ambiente” viene data dalla
Commissione delle Comunità Europee che lo definisce come “l’insieme degli elementi che
nella loro complessità costituiscono gli spazi, gli ambienti e le condizioni di vita
dell’uomo e della società nella forma in cui si presentano o si manifestano”.
19
Il legislatore italiano ha positivizzato la nozione di ambiente con la Legge 8 luglio 1986 n.
349, istitutiva del Ministero dell’Ambiente, che all’art. 1, comma 2, dispone: “É compito del
Ministero assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione ed il recupero delle
condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della
vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa
delle risorse naturali
dall’inquinamento”. Da queste enunciazioni si ricava che l’interesse alla tutela dell’ambiente
globalmente inteso, non appartiene ad un soggetto unico e differenziato ma riguarda “tutti” ed ha
per oggetto un bene non suscettibile di appropriazione esclusiva, rispetto al quale il godimento
dei singoli o dei gruppi non è limitato dal concorrente godimento degli altri membri della
collettività.
20
17
POSTIGLIONE, Ambiente: suo significato giuridico unitario, in Riv. Trim. Dir. Publ. 1983
18
CARAVITA, Il Diritto pubblico dell’ambiente, Ed. Mulino 1990
19
Consiglio dei Ministri per la Protezione dell’Ambiente, in G.U.C.E. n. C52 del 26 maggio 1972
20
Per una definizione del concetto “interessi diffusi”: PROTOPISANI, Aspetti preliminari per uno studio giurisdizionale degli interessi
collettivi, in Diritto e Giurisprudenza 1974, p. 801
Per tali caratteristiche la dottrina giuridica italiana, e più lentamente la stessa
giurisprudenza, hanno inquadrato l’ambiente latu sensu nella categoria degli “interessi diffusi”
intesi come contitolarità di un interesse da parte di una molteplicità di soggetti non identificabili.
Gli interessi diffusi ed in particolare l’interesse all’ambiente, sono interessi allo stato fluido che
richiedono, per poter essere rappresentati, un processo di aggregazione svolto soprattutto
mediante l’opera di associazioni.
Quanto allo strumento di tutela c’è da dire che la genericità e la natura stessa del bene
ambiente rendono, per certi versi, inadeguata la tradizionale tutela risarcitoria.
21
L’ambiente va
tutelato principalmente in via preventiva e inibitoria prima che si verifichino danni che sono, il più
delle volte, irreparabili.
21
F. GIAMPIETRO, Responsabilità per danno all’ambiente, Milano 1988