alla graduale immissione nell’elettorato di generazioni crescentemente più secolarizzate delle
precedenti. Inoltre alcune ricerche suggeriscono che si è verificato anche un parziale distacco della
dimensione religiosa da quella politica: i sentimenti di religiosità non si traducono più
automaticamente, come avveniva un tempo, in determinati comportamenti politici. Infine in tempi
recenti l’appoggio della Chiesa alla DC si è fatto più tiepido e meno esplicito, e i messaggi della
gerarchia non hanno più l’efficacia di un tempo.
Tuttavia permane un nocciolo duro testimoniato dalla vitalità di alcuni movimenti cattolici, come
“Comunione e Liberazione. Ciò quindi dimostra come il problema del mondo cattolico è dunque
quello di una erosione delle frange esterne mentre il nucleo centrale è ancora in buona salute.
La subcultura rossa invece si dibatte in una crisi più grave in quanto, ad essere intaccati, sono
proprio i miti che costituivano il nucleo centrale della tradizione: la centralità della classe operaia
nel processo di liberazione dell’uomo; il ruolo di avanguardia dei partiti comunisti e l’esaltazione
dei loro leader; il rifiuto del mercato come meccanismo per l’allocazione delle risorse e il rilievo
dato alla pianificazione; la condanna della proprietà privata dei mezzi di produzione e altri ancora.
La crisi del “socialismo reale” ha costituito un trauma per quello che resta della subcultura
socialista proprio perché essa ha colpito al cuore il nucleo normativo (o di ideali) di quella
tradizione. Inoltre, scartato e screditato il vecchio modello, esso non è stato ancora rimpiazzato da
nuovi “miti” egualmente forti e persuasivi.
1.2 Il disfacimento del sistema dei partiti
Il 17 febbraio 1992 le indagini della magistratura portano all’arresto di Mario Chiesa, socialista e
presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano. Prende avvio l’inchiesta Mani Pulite e, con essa,
Tangentopoli. Nel grave scandalo vengono coinvolti i più grossi nomi dell’industria e della politica,
dai presidenti di Fiat, Olivetti, ENI, IRI ai massimi esponenti politici del pentapartito. L’opinione
pubblica è scossa e chiede ai magistrati del pool Mani Pulite, e soprattutto all’uomo che più lo
rappresenta, Antonio Di Pietro, di procedere, inesorabilmente. Non c’è scampo per nessuno:
politici, leader e portaborse, imprenditori, magistrati, rappresentanti del mondo dell’informazione,
del settore pubblico quanto privato, sono tutti coinvolti nello scandalo; persino Carnevale, giudice
di Cassazione, è indagato per corruzione. Le attività illecite di corruzione e collusione, a tutti i
livelli, si rivelano tanto diffuse da essere connaturate al sistema socio - politico italiano.
Per quanto riguarda i politici, con il 15 dicembre 1992, data in cui Bettino Craxi riceve il suo primo
avviso di garanzia per i reati di corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento
pubblico dei partiti, inizia lo smantellamento del cosiddetto CAF: il 27 marzo 1993 sarà infatti la
volta di Giulio Andreotti, che riceve un avviso di garanzia dalla Procura di Palermo per
associazione mafiosa, e il 5 aprile 1993 anche ad Arnaldo Forlani verranno ipotizzati i reati di
ricettazione e violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Craxi si dimette da
segretario del PSI l’11 febbraio 1993, dopo oltre sedici anni di protagonismo politico indiscusso e,
dopo avere ricevuto ormai ben sei avvisi di garanzia. I vari segretari dei diversi partiti, così come
numerosi ministri, vengono citati come testimoni o indagati per corruzione.
Nella primavera del ’93 rassegnano le dimissioni ben sette ministri dell’uscente governo Amato
(giugno 1992-aprile 1993) per effetto delle indagini in corso sul loro conto (subentra il governo
Ciampi, che vede per la prima volta come primo ministro un non - parlamentare e che è costituito
da un certo numero di tecnici e di esponenti di più partiti). Il processo a Sergio Cusani (maxi
tangente Enimont; condanna a otto anni di carcere), che coinvolge quasi tutti gli esponenti dei
principali partiti, vede l’opinione pubblica nutrire una forte riprovazione morale soprattutto nei
confronti dei politici, più che degli imprenditori. L’alto numero di deputati inquisiti ormai
delegittima il parlamento e non resta che assistere al tracollo della prima Repubblica. La
magistratura diventa un soggetto politico di primo piano e viene vista come il principale artefice e
simbolo del cambiamento italiano.
Viene da fare una considerazione: il sistema delle tangenti è largamente diffuso tanto nel mondo
occidentale quanto in quello orientale; in alcuni casi è il prodotto di un sistema di partiti perverso,
che per mantenere i propri mastodontici apparati si ritrova nella necessità di reperire finanziamenti
con la creazione di una sorta di sistema fiscale parallelo fondato, appunto, sulle tangenti. L’Italia
non ha inventato nulla di nuovo; vi è però una differenza rispetto agli altri paesi: quando altrove
scoppia uno scandalo, chi è più direttamente e visibilmente responsabile rassegna le dimissioni,
mentre da noi si è reso necessario l’intervento massiccio e deciso della magistratura. Il sistema ad
alta corruzione fortemente alimentato dalla politica del laissez-faire degli anni ottanta si manifesta,
quindi, negli anni novanta, in tutta la sua virulenza e viene reso visibile ai più attraverso
Tangentopoli. Anche la mafia dà il suo contributo, con l’assassinio dei giudici Falcone e Borsellino.
Il terrorismo, da parte sua, è anch’esso tristemente protagonista con gli attentati di via dei
Georgofili, di via Fauro...
Il terreno è fertile per proposte innovative che consentano un rinnovamento della classe dirigente
politica; è prevedibile quindi il successo di Mario Segni e di ogni sua proposta di riforma elettorale:
non che il dibattito sulle riforme elettorali non fosse già stato aperto dagli stessi parlamentari fin
dagli anni ottanta, ma è solo ora ed è solo con iniziative provenienti dall’esterno del parlamento
(magistratura e Movimento referendario) che il tutto si concretizza.
1.3 Il sentimento antipartitocratico
Il 18 aprile 1993, con il referendum promosso da Segni sull’introduzione del sistema maggioritario
al Senato, ben l’82 % dei votanti risponde sì: viene meno il tradizionale ruolo dei partiti, da sempre
filtro parlamentare tra la volontà popolare e il governo.
Lo stesso sentimento antipartitocratico rende il clima sociale favorevole all’affermazione, a capo
del governo, della figura di un uomo forte, fuori dai partiti. “Nelle intenzioni della gran parte degli
opinion makers era l’identikit di Mario Segni. Ma la nota eterogenesi dei fini - o ironia della storia -
ha voluto che l’identikit si adattasse anche a Silvio Berlusconi” (Calise, 1995).
Una cosa certa è che appare forte e chiara la volontà di cambiare degli elettori.
All’origine della crisi che ha investito i partiti tradizionali (oltre a fattori come la secolarizzazione,
l’indebitamento pubblico e l’affermazione dei nuovi valori postmaterialisti che avevano portato alla
conseguente crisi di rappresentanza dei partiti), vi sono ragioni che per alcuni studiosi hanno radici
di tipo culturale. La mancanza nostra e dei nostri rappresentanti di senso civico fa sì che l’analisi
della nostra storia politica veda da sempre una certa propensione al trasformismo, a quella che
Sergio Romano chiama partitocrazia consociativa; a quel consociativismo occulto (tra le forze di
governo e quelle di opposizione che hanno nominato commissioni parlamentari che in sede
deliberante si sono scambiate favori emettendo leggine corporative a vantaggio delle rispettive
clientele), che secondo Pizzorno ha sempre operato fin dai tempi dell’immediato dopoguerra,
nell’Esarchia, nel partito dell’Uomo Qualunque, nei Governi di Solidarietà Nazionale, nel
Compromesso Storico, insomma alla cooptazione dell’opposizione e alla logica propria del
compromesso (nella sua accezione più negativa). Se è vero che per ragioni storico-antropologiche,
riscontrabili fin dall’Unità d’Italia nella classe politica del nostro paese, si sono radicate e diffuse
pratiche clientelari, è comprensibile allora che nell’elettorato sia maturata nel tempo la convinzione
crescente che il “male” stia tutto nei partiti e nella politica condotta nel modo più tradizionale; di
qui la voglia di cambiamento, di uomini nuovi, di regole nuove, di qui il successo di partiti come la
Lega, che si è proposta come una vera forza di opposizione, data l’impossibilità di esserlo tanto per
la destra, relegata alla sua acostituzionalità per effetto delle sue profonde radici fasciste, quanto per
la sinistra “consociata”. Le fratture della società civile, che negli anni avevano determinato anche le
divisioni politiche, avevano riguardato per decenni le realtà dicotomiche Nord - Sud, città -
campagna, centro - periferia, industria - agricoltura, proprietari della forza lavoro - proprietari dei
mezzi di produzione, laicismo - cattolicesimo. Ora il cleavage vecchio-nuovo, che sembra dominare
su tutti gli altri, è anche quello che allo stesso tempo accomuna una grande fascia elettorale: al di là
di ideologie e interessi da difendere, ciò che quasi tutti vogliono, ormai, è il “nuovo”.
Tuttavia il confronto dei risultati di indagini demoscopiche condotte a distanza di decenni, illustra
come i sentimenti di distacco, di indifferenza, e le immagini negative della politica non sono affatto
una novità degli ultimi tempi.
Agli inizi degli anni Sessanta la cultura politica italiana veniva descritta da attenti osservatori
stranieri in termini di alienazione, cinismo, diffidenza, passività, ignoranza, disinteresse. Gli studi
degli anni Settanta e Ottanta hanno modificato solo in parte questo quadro. Risulta che, rispetto al
primo dopoguerra, sono in diminuzione, per quanto tuttora maggioritari, quegli atteggiamenti di
estraneità, indifferenza e passività che erano un tempo prevalenti. Contemporaneamente sembrano
essere aumentati atteggiamenti più forti, e negativi, di critica, insofferenza e a volte di rabbia nei
confronti della politica e dei suoi protagonisti: partiti, leaders, istituzioni. Da una ricerca condotta
agli inizi degli anni Novanta risulta che le reazioni più frequentemente suscitate dalla politica sono
ancora sentimenti di “indifferenza”, “noia” e “diffidenza”, espressioni citate da una metà circa degli
elettori intervistati. Le reazioni negative più forti (“rabbia”, “disgusto”) costituiscono un quarto del
totale, come anche i sentimenti positivi (“impegno”, “interesse”, “passione”)
1
.
1
G. Sani, (1994), Elezioni e comportamento elettorale. Note e materiali, Pavia.
Che un cittadino su quattro sia su posizioni decisamente critiche nei confronti della politica e dei
suoi protagonisti tradizionali costituisce certo un segnale sconfortante. Bersaglio preferito degli
atteggiamenti critici diffusi in questi ultimi anni sono i partiti politici. Ma anche rispetto ai partiti gli
orientamenti di massa non rappresentano una grossa novità. Atteggiamenti di consenso e di critica e
sfiducia sono sempre esistiti; tutt’al più sono cambiate le proporzioni.
Un altro aspetto della questione sta nel fatto che un tempo i partiti costituivano le principali, se non
addirittura le uniche, strutture di partecipazione e i più efficaci veicoli di rappresentanza di interessi
e valori. Da almeno un decennio il monopolio di queste funzioni da parte dei partiti non esiste più.
Lo sviluppo di movimenti di vario genere impegnati su problemi particolari e la crescita di comitati
locali a difesa degli interessi più diversi sembra essere basato sulla “scoperta” fatta da alcuni settori
della cittadinanza che, per ottenere dei risultati, occorre organizzarsi al di fuori dei vecchi canali
istituzionali. L’inabilità dei partiti a svolgere efficacemente alcune loro funzioni viene considerata
da molti osservatori un altro sintomo della loro crisi. E tuttavia occorre mettere l’accento anche
sugli aspetti positivi del fenomeno. La capacità e la volontà dei cittadini di assumersi responsabilità
in prima persona, ricorrendo a nuovi (e legali) strumenti collettivi, vanno sottolineate in modo
positivo. Lo sviluppo di un maggior grado di autonomia da parte dei diversi sottosistemi
rappresenta un cambiamento, e un passo in avanti, che non vanno sottovalutati.
Si deve rilevare come frattanto continui il successo personale di Mariotto Segni, vincente ad ogni
referendum da lui proposto.
Con due referendum, del 9 giugno ’91 e del 18 aprile ’93, viene abolito il voto di preferenza e la
legge elettorale è modificata al punto da avere trasformato il sistema elettorale da proporzionale
puro a uninominale “misto”. Nel maggio del 1993 si vara la legge per l’elezione diretta del sindaco,
con sistema elettorale a doppio turno. Ad ogni nuovo referendum o nuove elezioni abbiamo partiti
rivestiti a nuovo: il PCI è diventato PDS dopo la divisione da Rifondazione comunista; la DC, con
le sue diverse correnti, si trasforma in CCD (Centro cristiano democratico, corrente di destra), in
PPI (Partito popolare italiano, corrente di centro), in Cristiano-Sociali (corrente di sinistra); si
costituiscono formazioni trasversali come Alleanza democratica e il Patto per l’Italia di Segni; il
MSI si trasforma in Alleanza nazionale, eccezion fatta per pochi nostalgici che invece continuano a
identificarsi con la vecchia ideologia fascista e mantengono in vita la Fiamma Tricolore;
sicuramente nuovi soggetti politici sono la Lega Nord e la Rete di Leoluca Orlando, ma la novità
assoluta si ha con le elezioni politiche del ’94 e, cioè, con l’apparizione e affermazione come primo
partito italiano di qualcosa che fino a tre mesi prima neanche esisteva: Forza Italia, il partito
“istantaneo” (definizione di Marco Revelli)
2
.
2
M. Revelli, (1994), Forza Italia: l’anomalia italiana non è finita, in P. Ginsborg (a cura di), Stato dell’Italia, Milano, Il
Saggiatore.
1.4 Un mercato aperto
La maggioranza degli osservatori ha considerato i risultati delle elezioni del 27 e 28 marzo 1994
come una rottura rispetto al passato: una svolta che ha rovesciato equilibri politici, sociali e
territoriali consolidati. Si è parlato di “terremoto” e ancor più di “rivoluzione”. Tuttavia queste sono
formule che vengono utilizzate da almeno vent’anni, in coincidenza con ogni tornata elettorale. Si è
fatto uso della definizione “terremoto” in riferimento alle elezioni amministrative del 1975 (da
Celso Ghini
3
); ma il termine è stato in seguito ripreso con molta enfasi per le elezioni politiche del
1983 e, successivamente, anche per le elezioni amministrative del 1990. Quanto alla “rivoluzione”,
a partire dalle elezioni politiche del 1992, pare essere divenuta una regola, confermata da tutte le
elezioni amministrative anticipate svoltesi nei due anni successivi. Dietro a questa sequenza
ricorrente di svolte e fratture c’è un filo comune, un “mutamento” più sostanziale, di cui i diversi,
specifici “mutamenti” costituiscono, in realtà, le implicazioni, le ricadute, sempre più rilevanti sul
piano politico, ma non sulle logiche di fondo del sistema politico italiano.
La sostanza di questo “mutamento” generale, che le elezioni del 1994 hanno reso manifesto, può
venire, in sintesi, riconosciuta nella progressiva trasformazione del confronto elettorale in Italia, il
quale è divenuto “aperto” e “competitivo”, mentre in precedenza appariva “chiuso” e “statico”.
Fino agli anni settanta il comportamento elettorale degli italiani è stato contrassegnato da un elevato
grado di continuità. Il voto degli italiani faceva infatti osservare spostamenti molto limitati da
un’elezione all’altra. Esso era determinato, in ampie aree del paese (definite per questo aree “rosse”
e “bianche”), più dall’appartenenza a tradizioni politiche, ideologiche e religiose, che da scelte
consapevoli e realistiche, effettuate in base alle singole situazioni. Altrove, soprattutto nel Sud,
dove il retroterra sociale e culturale delle forze politiche appariva meno solido, si faceva ricorso,
soprattutto da parte dei partiti di governo, alla leva della “spesa pubblica”, sia ordinaria che
3
C. Ghini, (1976), Il terremoto del 15 giugno, Milano, Feltrinelli.
straordinaria, facendone un meccanismo essenziale di controllo del consenso. Questa “fissità” del
voto, tuttavia, è andata progressivamente affievolendosi.
Le elezioni del 1994, del resto, non hanno fatto che confermare quella tendenza alla
destrutturazione del mercato elettorale italiano (Sani,1992) che già si era manifestata nelle elezioni
del 5 aprile 1992.
Gli elementi che definiscono il grado di strutturazione di un mercato elettorale sono
4
:
1) una configurazione relativamente stabile dell’offerta. Possono cambiare i contenuti della
politica, ma i gruppi politici in competizione sono sempre gli stessi.
2) la persistenza nel tempo dei principali cleavages sociali politicamente attivati e di quelli più
strettamente politici.
3) un forte e stabile allineamento tra formazioni politiche e forze sociali organizzate. Queste
ultime nella fase elettorale forniscono risorse alle prime, indirizzano consensi a favore di
particolari gruppi politici beneficiandone poi in termini di policy outputs.
4) alti livelli di identificazione partitica e/o forte incidenza delle appartenenze subculturali sul
voto. Ciò ha diverse implicazioni in quanto porta ad una ridotta mobilità elettorale individuale, a
scarse variazioni nel radicamento differenziale dei partiti sul territorio ed alla prevalenza di
strategie e tattiche elettorali difensive al fine di mantenere i consensi sicuri.
5) una definizione dello spazio della competizione largamente condivisa dagli attori di élite e di
massa.
6) scarsa incidenza sulla dinamica delle quote di mercato dei fenomeni di ricambio del corpo
elettorale. In un mercato strutturato i meccanismi di socializzazione politica tendono a riprodurre
tra le coorti più giovani una distribuzione di orientamenti politici solo parzialmente diversi da
quelli delle vecchie generazioni che gradualmente fuoriescono dal corpo elettorale.
7) alti livelli di partecipazione elettorale.
4
G. Sani, (1992), 1992: la destrutturazione del mercato elettorale, in Rivista Italiana di Scienza Politica, XXII, n. 3, Bologna,
Il Mulino.
8) legittimazione delle forze politiche tradizionali. Nell’opinione pubblica prevalgono
orientamenti complessivamente positivi o quantomeno non fortemente negativi nei confronti
della classe politica.
In sintesi si potrebbe dire che un mercato elettorale strutturato è caratterizzato da un insieme di
relazioni tra cittadinanza e gruppi politici relativamente stabili nel tempo. Vi è tendenziale stabilità
nei protagonisti della competizione, nei comportamenti degli elettori, nelle radici socioculturali
delle scelte, nelle dimensioni del conflitto, nel radicamento geografico del consenso, nella
percezione dello spazio della competizione.
La realtà elettorale italiana ha presentato per buona parte del dopoguerra (almeno fino ai primi anni
ottanta) una configurazione in cui gli elementi di stabilità hanno generalmente prevalso. Con le
elezioni del 1992 emergono numerose novità, sia sul lato dell’offerta che su quello della risposta,
che in parte sono accentuazioni di tendenze già emerse in precedenza e in parte sono invece vere e
proprie rotture rispetto al passato. Nel 1992 si assiste ad un netto aumento del numero di liste (e di
candidati) ed appaiono sul mercato liste nuove come il PDS, Rifondazione comunista, la Lega
Nord, che rappresenta una novità nell’arena politica perché enfatizza le differenze regionali e tenta
di attivarle come cleavage politico principale teso a soppiantare le vecchie divisioni, e gruppi al cui
interno figurano esponenti con esperienze politiche precedenti ma che sono del tutto inediti e che
fanno del rinnovamento della cultura politica e della riforma delle istituzioni l’appello principale
(La Rete e il Patto per le riforme di Mario Segni). Il principale elemento di innovazione di questi
gruppi inediti è costituito dalla loro trasversalità, dal fatto che portano sotto lo stesso tetto
personalità di matrice assai diversa; ciò porta come implicazione l’indebolimento del rapporto tra
partito di appartenenza ed eletto e contemporaneamente a rafforzare la relazione tra i singoli
candidati eletti ed i loro elettori. Si assiste cioè ad una crescente personalizzazione che, a parità di
altri fattori, rende il voto più labile e più aperto ai venti della congiuntura rispetto ad una scelta che
ha come riferimento un simbolo. Tuttavia la personalizzazione non è una vera novità. È dagli anni
settanta che alcune delle maggiori forze politiche in Italia hanno espresso una leadership in grado di
caratterizzare con la loro identità l’immagine del partito. Si pensi a ciò che hanno rappresentato
Craxi per il PSI e, prima ancora, Spadolini per il PRI. Fra gli anni ottanta e gli anni novanta questo
processo si è sviluppato, ma è con le elezioni del 1994 che la personalizzazione ha cominciato a
svolgere un ruolo più rilevante, sostituendo largamente l’organizzazione partitica nel compito di
promuovere identità e consenso. Per Forza Italia ha costituito l’unico percorso praticabile, non solo
per limiti organizzativi, ma, prima ancora, perché il “prodotto” che essa intendeva “vendere” era
proprio il leader.
Ulteriori indizi di una progressiva destrutturazione del mercato elettorale italiano già a partire dalle
elezioni del 1992 possono essere individuati nella risposta fornita dai cittadini: si assiste ad una
continua erosione dei tassi di partecipazione elettorale; vi è un aumento della frammentazione del
voto parallela alla frammentazione dell’offerta; si evidenzia un brusco aumento dell’ ”indice di
volatilità” che registra l’ampiezza delle variazioni nella forza dei partiti da un’elezione all’altra.
Un’altra significativa novità del verdetto del 1992 è rappresentata dalle modifiche intervenute nella
distribuzione territoriale del voto per le principali forze politiche.
Tutti questi mutamenti hanno una netta accelerazione con le elezioni del 1994 e quindi si può
ragionevolmente parlare di un mercato elettorale aperto, destrutturato, pronto a recepire il
messaggio che una forza politica nuova come quella di Berlusconi sta per lanciare.