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Introduzione
Se è vero che sono gli avvenimenti storici, le scoperte scientifiche e
tecnologiche, gli artisti, i filosofi e i poeti a determinare l‟unicità di un
secolo, allora si può dire che a caratterizzare il secolo XXI è la crescente
necessità di saperi, competenze, beni immateriali. Non a caso si usa definire
questo secolo come il “secolo della conoscenza”. La conoscenza diventa un
fattore distintivo in grado di portare cambiamenti in tutti i contesti socio –
economici: dalle persone ai consumatori, dalle imprese alle istituzioni. Ma
soprattutto la conoscenza diventa ciò che contraddistingue oggi il lavoro.
Già nel 1858 Marx scriveva che, anche se in quella fase storica il tempo
di lavoro immediato e la quantità di lavoro impiegato costituivano i due
fattori determinanti per la creazione di ricchezza, in futuro, con lo sviluppo
della grande industria, queste due variabili sarebbero diventate sempre
meno importanti. Il progresso della scienza e della tecnologia, e la loro
applicazione nei processi produttivi sarebbero diventati i fattori decisivi per
la produzione di ricchezza. Ad un certo punto quindi il lavoro si riduce a
pura astrazione. La ricchezza, allora, non dipende più dal tempo di lavoro
immediato, ma dallo sviluppo scientifico, dallo sviluppo dell‟individualità.
È con il Fordismo che avviene una prima vera e propria rivoluzione sia
dal punto di vista della produzione industriale sia per quanto riguarda il
modo di intendere il lavoro. Il fordismo, grazie a un tipo di organizzazione
basata sulla parcellizzazione e integrazione di comportamenti, operazioni,
lavorazioni meccaniche e la centralizzazione delle informazioni e delle
decisioni, realizza un regime di uso della conoscenza completamente
differente rispetto al passato. La conoscenza cambia natura, diventando firm
specific, sostanzialmente non trasferibile ad altri contesti e ad altre imprese.
L‟impresa può essere considerata quindi come il “contenitore” delle sue
conoscenze. Agli inizi del Novecento Taylor teorizza, e la società
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industriale mette in pratica, la divisione del lavoro fra chi progetta e
controlla e chi fa, esegue operazioni semplici, pensate da altri, che si
possono fare anche senza pensare. Sostanzialmente prevede che nelle
fabbriche, accanto ai lavoratori manuali siano presenti e attive altre figure,
che non sono gli operai. Sono le figure che progettano il lavoro, gli
strumenti di lavoro, i processi e le tecnologie con cui si fanno i prodotti, e i
prodotti stessi. Sono gli ingegneri.
È però alla fine del XX secolo che si comincia a parlare dell‟emergere
della knowledge society e della circostanza per cui in futuro la conoscenza
avrebbe rappresentato una risorsa importante per tutta la società. La terra, il
lavoro e il capitale sarebbero diventati fattori produttivi secondari rispetto
ad essa. È in questo contesto che il successo delle imprese e delle sue
attività comincia a dipendere dalle strategie di Knowledge Management
ovvero l‟insieme degli strumenti e delle metodologie che facilitano
un‟efficiente creazione e scambio di conoscenza a tutti i livelli
dell‟organizzazione con il fine di creare valore per l‟impresa.
Nella società della conoscenza si sviluppa una nuova categoria di
lavoratori definiti knowledge worker (lavoratori della conoscenza). I
lavoratori della conoscenza sono quelli che operano su processi immateriali
e per i quali la conoscenza è il principale input e output dei processi di
lavoro, che impiegano diversi tipi di conoscenza per svolgere il lavoro e
producono diverse forme e gradi di conoscenza nuova. Essi sono quei
lavoratori la cui funzione è produrre conoscenza a mezzo di conoscenza. I
lavoratori della conoscenza sono tanti, sono ormai pari al massimo
raggiunto dagli operai quando la società industriale ha toccato, negli anni
Cinquanta, il suo apice. Se gli operai intanto sembrano diventati trasparenti,
invisibili, al contrario, i lavoratori della conoscenza appaiono oggi come
identità sociali e professionali visibili, dominanti.
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Lavoratori della conoscenza sono ovviamente i ricercatori, i docenti,
gli scienziati. Ma anche i professional (o esperti dotti), ossia figure dotate di
conoscenze teoriche e tecnologiche strutturate e spesso certificate che
contribuiscono allo sviluppo o all‟integrazione di conoscenze rilevanti per i
processi dell‟ente in cui operano, si assumono responsabilità professionali
verso l‟organizzazione e verso la clientela. Lavoratori della conoscenza
sono anche i tecnici ed esperti pratici, ossia figure con formazione meno
teorica ma con elevata esperienza pratica.
Emblema di questo nuovo scenario sono i call center definiti oggi come
vere e proprie “organizzazioni della conoscenza” (knowledge based
organization). Le ragioni che portano a definire il call center come
“organizzazioni della conoscenza” o meglio “fabbriche della conoscenza”
risiedono nel fatto che la natura del lavoro svolto dagli operatori è tale che
essi possano essere categorizzati tra i lavoratori della conoscenza, poiché
svolgono un lavoro soprattutto comunicativo. Altre ragioni sono identificate
nella natura e nel ruolo dei call center nel processo di comunicazione tra
l‟impresa e il mercato. L‟operatore stesso è inserito in un processo di
apprendimento continuo e contribuisce al tempo stesso a generare nuova
conoscenza. Anche l‟oggetto della transizione tra cliente e call center è
caratterizzato da un elevato contenuto di conoscenza e il call center stesso è
una sorta d‟imbuto in cui precipitano informazioni e conoscenza sui
problemi, le abitudini, le domande più frequenti, le percezioni, i dati
anagrafici e professionali dei clienti.
Maltrattati, sfruttati, sottopagati, umiliati: così gli operatori vengono
spesso descritti dalla cronaca quotidiana. Reclutati con inserzioni sui
giornali, senza specificare qual è la mansione da ricoprire, “addestrati” e
trasformati in telefonisti o venditori. Iniziano la giornata con l‟inno
nazionale, canti e slogan per motivarli a raggiugere risultati inarrivabili. I
“migliori” vengono premitati con gadget o attestati di lode firmati
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dall‟azienda, i “peggiori ” umiliati e nelle peggiori delle ipotesi addirittura
frustati. Il nuovo bracciante del Duemila è lui: l‟operatore del call center.
Questa tesi si pone come obiettivo quello di mostrare quali sono le
trasformazioni avvenute nel mondo delle imprese e di conseguenza nel
mondo del lavoro fino ad arrivare all‟analisi di un vero e proprio call center:
quello della Regione Molise. Attraverso questa analisi sul campo si è
cercato di capire se il call center sia una “fabbrica di servizi” che presenta
affinità con le organizzazioni tayloriste, caratterizzate dalla ripetitività del
lavoro, dai ritmi scanditi da tempi stringenti e della concentrazione in uno
stesso luogo di una gran massa di lavoratori. O se dall‟altro risponde alle
logiche della società post-fordista, una società dove la parola d‟ordine è
flessibilità, ma soprattutto dove l‟importanza non è posta più sul prodotto
ma sul lavoratore. Nei moderni luoghi di lavoro la macchina compie la
parte fisica, ripetitiva, solitaria. Il lavoratore cognitivo, invece, conosce,
immagina, comunica. Il lavoro umano diventa sempre meno “opera” e
sempre più “servizio”.
Il lavoro è strutturato in quattro capitoli.
Nel primo capitolo viene affrontato il tema del Fordismo come nuovo
modello di produzione. Dalla catena di montaggio allo scientific
management teorizzato da Taylor, il fordismo rivoluziona completamente il
modo di produrre e di lavorare all‟inizio del Novecento. Questo modello
rivoluzionario per l‟epoca entra in crisi negli anni Settanta, quando una
serie di congiunture negative portano ad abbandonare il paradigma fordista.
Si comincia a parlare di post – fordismo. Il post – fordismo è stato spesso
inteso come un vero e proprio superamento del modello precedente, come
un ribaltamento delle logiche e delle pratiche adottate dalle imprese, dunque
un mutamento profondo, ampio, con conseguenze importanti non solo sul
piano manageriale, ma anche sociale e culturale.
11
Nel secondo capitolo viene affrontato il passaggio da un‟economia
prevalentemente industriale a un‟economia basata soprattutto sulla
conoscenza. Il tema della conoscenza viene affrontato sia nella concezione
occidentale sia nella concezione orientale, in particolare attraverso il
“modello di conversione della conoscenza” di Nonaka e Takeuchi. La
conoscenza come tema cruciale della nuova società porta alla nascita di un
nuovo modello di gestione definito Knowledge Management. Immagine di
questa società è il lavoratore della conoscenza: il “knowledge worker”.
Nel terzo capitolo l‟attenzione si concentra sulla fabbrica della
conoscenza per eccellenza: il call center. Nato come ufficio reclami il call
center si trasforma in breve tempo in un nodo di vendita o contact center
strategico. Il contact center integra l‟utilizzo del mezzo telefonico con altri
strumenti/canali di comunicazione e adotta un approccio strategico al
cliente definito Customer Relationship Management. Sono le risorse umane
a rappresentare il fattore determinante e decisivo nella gestione del rapporto
con il cliente. La tecnologia anche più avanzata non può sostituire le risorse
umane e la loro capacità di comunicare professionalmente, di servire il
cliente, e di anticipare e risolvere problemi.
Nell‟ultimo capitolo l‟attenzione è posta sulla struttura dei call center
nella Pubblica Amministrazione. In questo caso il call center è pensato
come uno strumento in grado di gestire in maniera efficace ed efficiente il
rapporto con i cittadini. In particolare viene analizzato il call center della
Regione Molise. Un servizio che permette ai cittadini di avere informazioni,
supporto e aiuto nei rapporti con l‟Ente. È attraverso la somministrazione di
un questionario strutturato che si è cercato di capire come gli operatori
concepiscono il loro essere “lavoratori della conoscenza” ma soprattutto di
comprendere quali sono i fattori che contraddistinguono l‟ambiente
organizzativo e sociale e di conseguenza il loro grado di benessere
lavorativo.
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A questo proposito si ringrazia l‟amministratore della Digis s.r.l.,
dottore Luigi Ricciardi per la sua disponibilità e per avermi dato la
possibilità di eseguire l‟analisi sul campo presso il contact center che dirige.
Voglio inoltre ringraziare la Responsabile del Contact Center,
dottoressa Stefania Simone che mi ha supportato nella somministrazione dei
questionari e ovviamente tutti gli operatori e i dipendenti della Digis che
pazientemente hanno accettato di rispondere al questionario.
Un ringraziamento privato va ai miei genitori Martino e Angela e a mia
sorella Patrizia che in questi anni di studio mi hanno supportato e
“sopportato”. Un grazie va alle mie amiche di sempre, Giusy e Monica, e
alle amiche di avventure e di sventure di questi anni di università,
Antonella, Elena, Francesca, Sonia e Rossella. Ma soprattutto un pensiero
speciale va a Stefania e Tonia: semplicemente grazie amiche. E poi un
pensiero speciale a loro: Alessandra, Noemi e Francesca.
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Capitolo 1
Dal Fordismo al Post-fordismo
Orologi e automobili sono gli strumenti attraverso i quali l‟uomo ha
iniziato a mutare il rapporto con i riferimenti essenziali della propria
esistenza: tempo e spazio. Con gli orologi, l‟uomo ha cominciato a misurare
il tempo, e a farne l‟oggetto del proprio processo decisionale. Il tempo è
diventato così oggettivo, standardizzato, una risorsa scarsa, che va gestito e
usato in maniera razionalizzata. Con la macchina a vapore, con il treno e
poi con l‟automobile, l‟uomo ha cominciato a liberarsi dai vincoli dello
spazio e delle distanze. Nel settore dell‟automobile la prima svolta epocale
si è avuta con l‟ideazione e la realizzazione da parte di Henry Ford di una
modalità di produzione radicalmente differente rispetto ai sistemi produttivi
precedenti, processi che erano di tipo artigianale e discontinuo. Nel 1914 a
Highland Park (Michigan) fu avviata da Ford la prima linea continua di
assemblaggio del celebre “Modello T”, la prima automobile realizzata
attraverso questa nuova modalità produttiva. Nel nuovo stabilimento si
utilizzava un processo basato sulla standardizzazione dei compiti e la
serialità della linea produttiva: fu l‟inizio dell‟era della produzione di
massa, e l‟inizio del “fordismo”. Esistono diversi modi per descrivere il
fordismo. Spesso viene caratterizzato per quanto riguarda l‟introduzione e
lo sviluppo dell‟automazione industriale, nonché la taylorizzazione dei
processi di lavoro. L‟elemento chiave del fordismo fu l‟adozione di un
approccio all‟ingegnerizzazione dei processi produttivi centrato sull‟idea,
allora rivoluzionaria, di standardizzazione. Ford comprese che
omogeneizzando i componenti, le operazioni e lo stesso prodotto finale, e
sfruttando le nuove possibilità tecniche offerte dalle prime forme di
automazione industriale, sarebbe stato possibile strutturare il processo di
lavoro in modo molto più efficiente rispetto alla tradizionale strutturazione
di tipo discontinuo e artigianale.
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Ai cambiamenti tecnici del processo produttivo furono associati
altrettanto radicali cambiamenti nell‟organizzazione del lavoro di impresa e
negli strumenti gestionali. Negli stessi anni, infatti, Frederick W. Taylor
avviò una riflessione sull‟organizzazione del lavoro che portò
all‟elaborazione dei principi dello “scientific management”. Tale approccio
di basava sulla consapevolezza che conducendo un‟analisi scientifica del
lavoro industriale, migliorando le performance dei lavoratori e delle
macchine, studiando un sistema unico per ogni mansione, la produzione
sarebbe aumentata.
Il perfetto “matrimonio” tra le idee relative alla ingegnerizzazione di
processo di Henry Ford e le idee relative all‟organizzazione del lavoro di
Frederick W. Taylor produsse ciò che conosciamo come “fordismo”. Da un
lato, lo scientific management consentiva di accrescere notevolmente la
produttività individuale dei lavoratori, dall‟altro, la riconfigurazione del
processo produttivo in linee di assemblaggio continue e articolate in
compiti seriali e standardizzati, stabiliva un approccio al coordinamento e al
controllo che consentiva di incrementare le economie di scala e l‟efficienza
complessiva del processo.
La trasformazione del fordismo in qualcosa di completamente diverso
ebbe inizio negli anni Settanta, quando cominciarono a mutare rapidamente
le condizioni dello scenario economico internazionale. Un primo elemento
di crisi fu la saturazione dei mercati nazionali, e il conseguente inizio della
ricerca, da parte delle imprese, di nuove possibilità di espansione verso i
mercati internazionali. Furono i primi passi di quella che oggi viene
chiamata globalizzazione dell‟economia. A questi fattori andavano aggiunti
naturalmente anche la crisi petrolifera e la recessione degli anni Settanta
che certamente contribuirono a velocizzare la transizione verso un sistema
economico differente. Oggi il post- fordismo nella sua versione pienamente
“globalizzata” può essere descritto attraverso alcuni punti cardine:
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- Una notevole liquidità dei flussi finanziari a livello globale, resa
possibile dalla forte deregolamentazione dei mercati finanziari e da
tecnologie dell‟informazione che hanno semplificato le transizioni;
- Una crescente integrazione dei mercati, facilitata dalla progressiva
deregolazione del commercio e dall‟innovazione tecnologica e dallo
sviluppo dei trasporti;
- Una crescita cospicua e una dominanza delle attività economiche da
parte delle grandi multinazionali;
- Una progressiva riduzione della sindacalizzazione e della forza
contrattuale del lavoro nei paesi industrializzati;
- Una crescita del tasso di disoccupazione e di flessibilizzazione del
lavoro, ossia la diffusione di occupazioni precarie (di vario tipo) con
salari bassi, e la parallela polarizzazione fra un “centro” ristretto di
lavoro qualificato, con elevati livello di incentivo e di sicurezza, e
una “periferia” crescente a basso livello di qualificazione, con pochi
benefici e poca o nessuna sicurezza; parallelamente, si riscontra una
generale riduzione dell‟impegno dei governi nelle politiche di
welfare;
- Una significativa propagazione di “nuove” forme di organizzazione
della produzione, caratterizzate da “specializzazione flessibile”
e soluzione organizzative orientate alla flessibilità, al decentramento,
alla partecipazione, alla valorizzazione delle persone e delle
competenze.
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Le “nuove forme organizzative”, intese come insieme di caratteri comuni e
di soluzioni diffuse nelle imprese attuali, non segnano un distacco netto,
una rottura rispetto alle soluzioni che vengono solitamente attribuite
all‟impresa fordista. Al contrario, le “nuove” imprese sono interpretabili, in
termini organizzativi, come la continuazione, e spesso come il
perfezionamento, della logica organizzativa precedente. Le “nuove”
imprese replicano, perfezionano, talvolta ampliano ed estremizzano le
medesime logiche, i medesimi obiettivi che caratterizzavano le imprese
fordiste.
1.1. Il Fordism o
Con l‟espressione “Fordismo” si usa indicare una specifica forma di
produzione egemone dagli anni Venti del Novecento, che prende il nome da
Henry Ford, padrone dell‟omonima casa automobilista americana, basata
principalmente sull‟utilizzo della tecnologia della catena di montaggio
(assembly-line) al fine di incrementare la produttività. Tale modello di
produzione, che si ispirava alle teorie dello “Scientific Management” di
Frederick Winslow Taylor, dopo aver ottenuto successo nell'industria
automobilistica ebbe poi un considerevole seguito nel settore dell'industria
manifatturiera, tanto da rivoluzionare notevolmente l'organizzazione della
produzione a livello globale e diventare uno dei pilastri fondamentali
dell'economia del XX secolo.
L‟America all‟inizio del XX secolo era dominata da un‟ideologia
positivista
1
e pragmatica, strettamente collegata al pensiero puritano e
calvinista che interpretava i mali della società come il risultato delle azioni
1
Il termine “positivo” comparso per la prima volta nel “Catechismo degli industriali” di Saint-
Simon indica tutto ciò che è reale e sperimentale, in opposizione a tutto ciò che è astratto e
metafisico ma anche ciò che appare utile e funzionale in opposizione e a ciò che è inutile e
superfluo. Il positivismo si propone come strumento concettuale di interpretazione di tutta la
realtà, garantendo scientificamente il sicuro progresso dell‟umanità.
17
di un‟umanità corrotta, pigra ed indolente e perciò bisognosa di guida e di
regole, ma anche come manifestazione di una personalità che ha fatto di un
metodo di vita un modello organizzativo. Il pensiero e il lavoro di Ford
ovviamente subirono l‟influenza di tale contesto socio-culturale. È per
questo motivo che nelle sue osservazioni spesso si trovavano riferimenti
alla produzione di ricchezza intesa come benessere della nazione, al ruolo
di “missionario” assegnato al capitalista, ad una concezione del tutto
razionale e strumentale della classe lavoratrice cui attribuiva oltre alla
funzione di produrre anche quella di consumare. È proprio nel fordismo che
il lavoratore divenne anche “consumatore”. Questo fu l‟elemento che
permise la nascita della produzione di massa, che se da un lato dava
l‟opportunità a molti di acquistare beni di vario genere, dall‟altro era il
modo in cui l‟imprenditore poteva “riempire il mercato dei prodotti”. Infatti
l‟aspetto principale di quella che potrebbe essere definita la “filosofia”
fordista è rappresentato dalla sconfinata fiducia in una crescita illimitata sia
della quantità di prodotti da immettere nel mercato, e quindi nella capacità
illimitata di assorbimento del mercato stesso, che del numero e delle
dimensioni degli insediamenti produttivi. Uno degli elementi che infatti ha
contraddistinto il fordismo è stato il “gigantismo industriale”. Lo sviluppo
della produzione di massa fu favorito dalla convinzione largamente diffusa
che una riduzione dei costi, grazie ad un‟economia di scala, avrebbe
consentito un‟espansione del mercato. Ciò a cui si dava particolare
importanza non era né la qualità del prodotto, né tanto meno l‟innovazione,
quanto invece una visione delle preferenze e delle scelte del consumatore.
I due capisaldi del fordismo possono essere identificati nel paradigma
industriale tayloristico, accompagnato da una spinta all‟automazione
(riflesso della meccanizzazione) e la concessione di retribuzioni più elevate
di quelle mediamente riconosciute dalla prassi delle relazioni industriali
dell‟epoca. Questo secondo aspetto era la premessa della produzione di
18
massa. I due principi erano connessi anche sul piano funzionale: la
razionalizzazione del ciclo produttivo aveva come prerequisito un‟intensa
sottomissione dei lavoratori alla disciplina organizzativa (quasi maniacale)
del fordismo, cha arrivava a calcolare con esattezza i minimi movimenti
corporei del dipendente: questo regime alienante doveva trovare almeno
una forma di riparazione nel salario più generoso, che saggiamente infatti
veniva assegnato all‟operaio Ford.
Il fordismo, come detto, deve il suo successo al modello di
organizzazione del lavoro teorizzato da Taylor. Spesso nell‟uso comune il
lavoro e l‟opera di Taylor e quelli di Ford, vengono erroneamente
sovrapposti. È da chiarire che Taylor è stato un teorico del management
mentre Ford un teorico dell‟imprenditorialismo. Si tratta, è vero, di due
modelli innovativi di intendere l‟organizzazione del lavoro che
difficilmente si sarebbero potuti avere prescindendo l‟uno dall‟altro.
Tuttavia se quello di Taylor è principalmente uno studio su come
organizzare il lavoro, con Ford si realizza una vera parcellizzazione dei
movimenti degli operai in fabbrica attraverso la catena di montaggio.
Frederick Taylor perseguì i suoi obiettivi in un contesto storico in cui si
stava cominciando a prendere coscienza del fatto che l‟industria, dalle
potenzialità produttive sempre più in crescita, era condotta con metodi
ormai arcaici e superati. Il taylorismo promosse il sorgere di una
rivoluzione che interessò l‟intero settore aziendale attraverso
un‟organizzazione aziendale più definita e l‟attuazione di alcuni nuovi
principi metodologici quali quello dell‟ “one best way” e de “l’uomo giusto
al posto giusto”.
La frantumazione del lavoro e la mancanza di interesse per l‟individuo
hanno portato alla sottomissione dell‟uomo alla scienza incorporata nella
macchina, all‟alienazione e alla produzione di massa. Tutto questo trovò la
sua realizzazione nel “fordismo” e nella nascita della catena di montaggio
19
con la quale Ford intese così perfezionare il taylorismo imponendo alla
manodopera un preciso ritmo di lavoro. Questo aspetto fu, tra l‟altro, uno
dei principali argomenti di critica all‟approccio tayloristico, che, in realtà,
fu prevalentemente accusato di aver creato un sistema organizzativo
eccessivamente meccanicistico dove l‟uomo non rappresenta altro che
un‟estensione della macchina ed acquisisce comportamenti che riflettono
questa sua condizione.
Alla base del modello di Ford e di Taylor può essere ricondotto il
celebre esempio della “fabbrica degli spilli” di Adam Smith. Smith sostenne
la necessità di dividere il processo lavorativo in operazioni semplici in
modo da far realizzare a ciascun operaio una parte del prodotto finito
piuttosto che l‟intero prodotto. Ciò avrebbe comportato un risparmio di
tempo e di costo di lavoro con conseguente vantaggio per la produzione. In
sostanza può farsi risalire proprio a Smith l‟ipotesi della separazione del
lavoro in differenti fasi, ideazione, controllo ed esecuzione, ciascuna delle
quali affidata ad un soggetto produttivo differente. Tale ipotesi, fu appunto
razionalizzata in un rivoluzionario modello di organizzazione del lavoro
attribuito a Taylor e applicata su vasta scala dalla intelligente
imprenditorialità di Ford.
1.1.1. La nascita del Fordismo : Henry Ford e la
produzione di massa
Henry Ford nacque nel 1863 in una fattoria di Dearborn (vicino Detroit)
nel Michigan da genitori benestanti di origine irlandese. Già in
giovanissima età si dilettava a montare e a smontare qualunque oggetto gli
capitasse tra le mani per capirne il funzionamento, ma la vera
“illuminazione”, arrivò nel momento in cui vide per la prima volta una
20
vettura che si muoveva senza aver bisogno di essere trainata dai cavalli. A
Detroit trovò impiego inizialmente in un‟officina che costruiva tram, per
cambiare successivamente e frequentemente lavoro, dando origine alla sua
fama di esperto nel settore. Costruì la prima automobile nel garage della sua
casa; fondò, insieme ad altri soci, la prima compagnia automobilistica per
diventare, nel 1906, il proprietario della Ford Motor Company. Dopo pochi
anni e dopo vari sperimenti lanciò sul mercato la famosissima “modello T”.
Con il Modello T comincia la produzione in serie vera e propria; molti degli
elementi sperimentali degli altri modelli confluirono in questo nuovo tipo di
auto che rappresentava la vettura universale. Le caratteristiche che Ford
individuava come peculiari della vettura universale erano:
Qualità del materiale che doveva garantire le migliori prestazioni al
momento dell‟uso dell‟auto;
La semplicità del funzionamento perché le masse non erano composte
da meccanici;
Assoluta affidabilità;
Leggerezza;
Controllo della velocità, in quanto doveva essere facile per il conducente
padroneggiare i sistemi di accelerazione.
La carrozzeria del Modello T sarebbe stata identica per tutte le vetture:
<<Ogni cliente può volere la macchina del colore che preferisce, purché sia
nero>>.
2
L‟obiettivo era di trasformare l‟automobile da un bene di lusso,
prodotto su ordinazione a un prodotto di massa, standardizzato per il grande
pubblico.
A partire da questo momento la produzione industriale negli Stati Uniti
risultò impostata su nuovi fattori che, oltre ad esplicitare il modo distintivo
che ebbe Ford di progettare il funzionamento della sua azienda,
2
Cfr. Ford, H., 1982, Autobiografia, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano
21
caratterizzarono anche un modello di sviluppo definito appunto
“Fordismo”.
1. L’innovazione tecnologica applicata al principio della divisione del
lavoro con conseguente aumento esponenziale della produttività.
La separazione tra fase di ideazione, organizzazione ed esecuzione
del lavoro, con conseguente scomposizione in compiti elementari di
ciascuna attività, fu il principio fondamentale dell‟Organizzazione
Scientifica del Lavoro di Taylor il quale, però, immaginò al
contempo un‟attenzione tutta particolare all‟intervento di
addestramento, cosa che avrebbe comportato sacrifici in termini di
costi e di tempi produttivi. Ford introdusse nel processo produttivo la
catena di montaggio, utilizzando componenti standardizzate ed
intercambiabili, che inglobavano in sé tempi e modalità di lavoro,
privando di fatto gli operai anche della più elementare forma di
apprendimento. La tecnologia dominava definitivamente il lavoro
umano.
2. La struttura manageriale di tipo gerarchico funzionale.
In sostanza applicò uno dei principi di Taylor: l‟organizzazione
assunse forma piramidale, le informazioni procedevano dalla base al
vertice e le decisioni dal vertice alla base. Il vertice possedeva il
massimo delle informazioni per elaborare le decisioni strategiche. Il
controllo è quindi fortemente centralizzato: tutte le funzioni
riportavano alla direzione generale che da sola prendeva decisioni
interfunzionali valide per tutta l‟azienda.
3. La diminuzione del costo dei prodotti dovuta all’economia di scala.
Ford si propose l‟obiettivo di contenere i prezzi dei beni prodotti
mediante l‟aumento delle quantità, ottenuto con la riduzione dei
tempi di lavorazione. Tale politica si realizzò con l‟uso della catena
di montaggio che, se limitava ancor più l‟intervento intelligente