2
il risultato di un insieme di “risorse congelate”
1
: materie prime ed energia, unite
dal contributo di un sapere limitato. Esso è rappresentabile, invece, da un “sapere
congelato”: un contenuto intellettuale racchiuso e vendibile in un involucro fisico.
Tale passaggio sta influenzando ogni settore dell’economia, da quello industriale
a quello dell’informazione e della comunicazione. Un’automobile, una scarpa, un
ortaggio modificato geneticamente, ecc., diventano esclusivamente dei contenitori
di un sapere scientifico applicato alla produzione. Quindi, l’azienda che si sta
affermando è costituita da cervelli, esperienze, patrimoni intellettuali: essa è, cioè,
fondata sull’individuo ed inserita in un contesto ipercompetitivo
2
.
Nell’impresa della conoscenza, l’attenzione si sposta sulle capacità
manageriali di riconoscere l’importanza del capitale intellettuale, e la strategicità
dell’investimento nelle sue potenzialità. In altri termini, il valore che tale capitale
può sviluppare è decisivo per l’evoluzione aziendale, ma è altrettanto estraneo alle
leggi economiche classiche ed ai modelli di gestione tradizionali. La conoscenza è
governata, infatti, da leggi ancora non formalizzate, e la sua gestione prevede leve
d’intervento che agiscono su parti differenti del sistema aziendale: sistema
premiante, processi, cultura e valori, modelli di comportamento, contabilità, ecc.
Con l’affermarsi della risorsa conoscenza, si può sostenere che alcune variabili,
considerate tradizionalmente utili ma accessorie, assumono un ruolo necessario.
1
A. Stewart, Intellectual Capital. The New Wealth of Organizations, Doubleday, New York,
1997, intevista ad A. Brian, pag. 53.
2
“L’ipercompetizione è un ambiente caratterizzato da azioni competitive intense e veloci, in
cui i concorrenti devono muoversi rapidamente per costruire i propri vantaggi e per intaccare
quegli degli avversari…Il comportamento ipercompetitivo è il processo che vede una continua
produzione di nuovi vantaggi competitivi e la distruzione, l’obsolescenza o la neutralizzazione di
quelli degli avversati, creando perciò uno squilibrio, distruggendo la concorrenza perfetta e
sconvolgendo lo status quo del mercato”, in R. D’Aveni, Hypercompetition: Managing the
Dynamics of Strategic Maneuvering, Free Press, New York, 1994; trad. it., Ipercompetizione: le
nuove regole per affrontare la concorrenza dinamica, Il Sole-24Ore Libri, Milano, 1995, pag. 266.
3
Nell’economia della conoscenza, ad esempio, un sistema premiante inadeguato,
non rallenta ed ostacola soltanto il raggiungimento dei risultati prefissati. Esso
potrebbe anche provocare danni maggiormente consistenti, come la perdita
irreversibile di capitale (cognitivo) scarso.
Si sviluppa, quindi, un ramo nuovo di studi manageriali collegato alla gestione
della conoscenza. Date queste premesse, la tesi in oggetto cerca di approfondire le
dinamiche di questo cambiamento, e presenta dei modelli di gestione coerenti con
la natura particolare della conoscenza.
Questo lavoro presenta, inoltre, una struttura che consente di evidenziare un
percorso di lettura basato su quattro temi principali (figura 1).
Figura 1 Il Knowledge Management: percorso di lettura
Nella parte prima, che si può definire d’inquadramento, l’analisi si focalizza
sul concetto di conoscenza e sulle cause che favoriscono il cambiamento in atto.
In particolare, si evidenziano i problemi principali che si affrontano nell’assegnare
Comprensione dello scenario
economico
Comprensione dello scenario
economico
Comprensione del significato
del termine conoscenza
Co prensione del significato
del ter ine conoscenza
Analisi delle transazioni della
conoscenza
Analisi delle transazioni della
conoscenza
Analisi del processo circolare
della conoscenza
Analisi del processo circolare
della conoscenza
Analisi della composizione
del Capitale aziendale
Analisi della co posizione
del Capitale aziendale
Misurazione del Patrimonio
conoscitivo
isurazione del Patri onio
conoscitivo
Lo stato attuale del
Knowledge Management
Lo stato attuale del
Knowledge anage ent
Il trade off costi-benefici
prospettive future
Il trade off costi-benefici
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Capitoli 1 e 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
4
una definizione univoca al termine conoscenza (capitolo 1) e le classificazioni che
essa assume in campo aziendale. Inoltre, dopo una premessa iniziale sullo
scenario economico-sociale in cui si inserisce l’argomento, si sviluppano in
maniera analitica gli effetti economici delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, nel favorire il consolidarsi di un’economia della conoscenza
(capitolo 2).
La parte seconda affronta, invece, il tema centrale della ricerca. Questa
sezione, infatti, si propone di evidenziare i comportamenti che governano le
transazioni aziendali della conoscenza (capitolo 3), ed il suo processo circolare di
autorigenerazione (capitolo 4). Ciò consente la formulazione di alcuni modelli e
strumenti ipotetici di gestione delle dinamiche del capitale cognitivo.
Nella sezione terza, si sviluppa il problema della misurazione e
quantificazione delle conoscenze aziendali. In particolare, si analizzano le
dimensioni diverse del capitale aziendale, ed il loro peso nella determinazione del
valore di borsa di una società (capitolo 5). Inoltre, la necessità di aiutare il
management nel prendere decisioni coerenti, anche in tema di gestione della
conoscenza, introduce il tema della contabilizzazione del patrimonio conoscitivo.
Oggi, il capitale materiale non è più in grado di definire la capacità competitiva di
un’azienda. Ciò che risulta critico è, invece, la professionalità e l’intelligenza con
cui tale capitale è utilizzato, ossia la qualità del capitale conoscitivo. Con tale
ottica, si affronta il problema del bilancio della conoscenza (capitolo 6).
Infine, la parte quarta delinea la situazione attuale del Knowledge
Management, e ipotizza le prospettive future di questo ramo di ricerca. Inoltre, tali
riflessioni si concludono con un’analisi dei costi e dei benefici generati dalla
gestione della conoscenza, al fine di verificare anche la fattibilità economica di un
tale progetto.
5
CAPITOLO I
IL KNOWLEDGE MANAGEMENT E LA CONOSCENZA
AZIENDALE
1.1 Lo scenario economico di riferimento
La visione di una società basata sulla conoscenza inizia a svilupparsi alla fine
degli anni Ottanta. In quel periodo si affermano i principi della Learning
Organization
1
, e nel 1987 si svolge una delle prime conferenze internazionali sul
tema della conoscenza
2
. Di seguito, negli anni Novanta, articoli e libri iniziano a
delineare una tendenza che porta a coniare il termine accademico Knowledge
Management (KM)
3
.
In realtà, nonostante l’enfasi dei teorici, l’impiego intensivo della conoscenza,
come fattore produttivo, non è una prerogativa esclusiva del ventennio ultimo
scorso. Infatti, già nell’esperienza pratica dei cacciatori pre-agricoli o nelle
botteghe artigianali, il sapere svolge una funzione notevole nella trasformazione
della natura. Una discontinuità nel modo di usare la conoscenza è, però,
1
Il termine learning organization nasce in Giappone come sviluppo dei principi
dell’Organizzazione Snella. Il Toyotismo, apprezzato inizialmente per la capacità di ridurre ogni
forma di spreco (tempo, materiali, risorse finanziarie), mostra come l’apprendimento,
l’autocontrollo, la socialità e l’integrazione tra mansioni siano le leve per raggiungere un
vantaggio competitivo durevole.
2
Managing the Knowledge Assets into the 21th Century, Usa 1987, conferenza internazionale
sulla conoscenza.
3
Tra gli esponenti di questa tendenza in modo particolare si distinguono: I. Nonaka e H.
Takeuchi, T. Danveport e L. Prusak, T.A. Stewart, S. Strassmann, Y. Malhotra, K. Sveiby.
6
riscontrabile alla fine dell’Ottocento
4
. In particolare, in concomitanza dello
sviluppo dei sistemi di comunicazione, si innescano due processi di periodo lungo
che potenziano in maniera considerevole l’efficacia nell’uso del sapere.
Il primo processo consiste nella separazione e specializzazione progressiva di
ambiti cognitivi, che in precedenza esistevano confusi all’interno della pratica
operativa. In una fase iniziale, si normalizza e si estende l’applicazione del sapere
scientifico alla produzione: nelle imprese di dimensioni grandi si istituiscono i
dipartimenti di Ricerca & Sviluppo, al fine organizzare in modo consapevole i
processi innovativi. Con Taylor, poi, le cognizioni relative ai processi di lavoro si
separano dall’esecuzione, assumendo un’autonomia organizzativa
5
. Proseguendo,
negli anni Venti con il marketing si formalizza un corpo specializzato di nozioni
sui comportamenti di consumo, che retroagisce e orienta le scelte di produzione e
di vendita. In fine, negli anni Ottanta si realizza un salto evolutivo ulteriore nel
processo di gestione separata della conoscenza: da un lato, la crescita di scala e di
complessità delle imprese multinazionali richiede sistemi di gestione delle
conoscenze capillari e potenti; dall’altro lato, la distribuzione e la logistica
scindono dal trasporto fisico una quota crescente di operazioni ed informazioni.
Il secondo processo consiste nella riduzione progressiva degli ostacoli alla
circolazione libera della conoscenza. In una prima fase, la comunicazione
divulgativa aziendale viene diffusa capillarmente, permettendo così ad un numero
crescente di consumatori di ottenere informazioni maggiori a costi contenuti. In
4
A. Pilati, prefazione a, Il sapere al lavoro, documento web collocato in,
http://www.aidp.it/Hamletonline/danveport_prousak.htm.
5
Con il termine Taylorismo si descrive il fenomeno della gestione scientifica dell’azienda. In
particolare, lo studio analitico dei tempi di produzione e la separazione netta delle funzioni
aziendali, sono gli aspetti più interessanti dello Scientific Management.
7
una fase successiva, la grande distribuzione organizzata (GDO)
6
concentra in uno
stesso luogo prodotti diversi del largo consumo, abbassando le barriere fisiche alla
comparazione di prezzi, marche e notizie di prestazione. Questa tendenza è oggi
sostenuta dallo sviluppo di Internet. La rete mondiale di comunicazione interattiva
ottimizza il processo di raccolta delle informazioni e delle conoscenze rilevanti
per l’acquisto e l’investimento, richiedendo un dispendio di risorse minimo. In
questo modo, i vincoli alla circolazione delle informazioni necessarie per il
funzionamento dei mercati tendono ad annullarsi.
La sintesi dei due processi genera delle conseguenze sullo svolgimento delle
attività economiche:
™ l’assetto dei mercati diventa più efficiente. Le rendite di posizione,
determinate da concentrazioni e accessi costosi alle informazioni, stanno
diminuendo progressivamente. Ciò determina l’aumento del tasso di
competizione;
™ si affermano modelli nuovi di business: la separazione della conoscenza
dai processi produttivi e distributivi incentiva lo sviluppo di campi nuovi
di attività;
™ le attività tradizionali si riorganizzano: il ruolo nuovo assunto dalla
conoscenza influenza anche i settori maturi dell’economia. Questi possono
ottenere incrementi di efficienza ed efficacia, adottando profili
organizzativi basati sul sapere.
1.1.1 La prevalenza del capitale intellettuale
I beni ed i servizi prodotti e consumati sono sempre più immateriali; questo è
reso possibile dal loro contenuto elevato di conoscenza. Quest’ultima diventa il
6
Per un’analisi più approfondita dei temi riguardanti la Grande Distribuzione Organizzata
(GDO), si veda, G.L. Gregori, Aspetti economici e gestionali delle relazioni tra imprese industriali
ed intermediari commerciali, Giappichelli, Torino, 1995.
8
cardine della new-economy, che può essere definita anche la “economia della
conoscenza”
7
. In tale contesto, la fonte del vantaggio competitivo è data dalla
capacità di innovare e di sfruttare i mercati nuovi. Quindi, i metri tradizionali di
valutazione dell’impresa non sono più sufficienti. I mercati finanziari già
riconoscono il valore della conoscenza e degli altri fattori intangibili nel processo
di creazione del valore. Infatti, il contenuto fisico di un bene sta diminuendo
progressivamente. Le industrie manifatturiere stanno realizzando prodotti che
contengono sempre meno materiali tangibili e lavoro umano in senso tradizionale.
Tale quota del peso totale di un bene viene sostituita dal sapere e dalla ricerca,
cioè da risorse intangibili. Ad esempio, i prodotti industriali a base di ferro negli
anni sono convertiti con leghe di alluminio sempre più leggere; inoltre, i
miglioramenti continui nei processi produttivi riducono i tempi di consegna di tali
beni al mercato. Il risultato di tale processo è un prodotto che “pesa” circa il 70%
in meno e con tempi di consegna più che dimezzati, rispetto allo stesso prodotto
degli anni Cinquanta
8
. Questo non significa che il materiale ed il tempo si siano
annullati, ma che gli stessi sono stati sostituiti dal sapere innovativo delle risorse
umane. Quindi, i beni ed i servizi che oggi si consumano contengono meno
materia prima e più scienza.
La prevalenza della conoscenza nella composizione di un prodotto aiuta ad
interpretare fenomeni apparentemente inspiegabili dell’economia odierna.
Innanzitutto, si spiega il prezzo elevato richiesto per certi beni, che se valutati
in termini di componente fisica avrebbero un costo tendente allo zero
9
. Questi
7
A. Webber, “What’s So New About New Economy?”, Harward Business Review, Gen.-Feb.
1993, pagg. 34-40.
8
T.A. Stewart, Intellectual Capital. The new Wealth of Organizations, Doubleday, New York,
1997, pagg. 38-40.
9
Esempi sono il valore materiale del chip (formato da quantità irrisorie di silicio), o di un
software contenuto su di un supporto cd-rom.
9
sono, infatti, per la parte maggiore realizzati utilizzando l’intelligenza delle risorse
umane. Quindi, il primo effetto è che le metodologie tradizionali di valutazione di
un bene possono risultare fuorvianti in un’economia fondata sulla conoscenza.
In secondo luogo, si spiega il valore elevato di mercato spesso assegnato ad
aziende che presentano bilanci tradizionali in perdita. Anche in questo caso, la
conoscenza appare la causa di tale fenomeno. Innanzitutto, in quanto gli
investitori valutano le prospettive di crescita futura, anche in funzione del
contenuto di capitale intellettuale di una società. In secondo luogo, in quanto i
criteri di redazione dei bilanci tradizionali non sono in grado di rappresentare il
contributo effettivo offerto dalla conoscenza. Ciò è particolarmente evidente
quando un’impresa è costretta ad imputare la formazione del personale al conto
economico, o dall’impossibilità di evidenziare nella voce degli investimenti
immateriali alcune conoscenze implicite. Questi criteri determinano, così,
l’incremento delle perdite di esercizio e la riduzione del patrimonio netto, di
imprese a contenuto elevato di sapere.
Infine, dato che il valore dei beni e delle aziende è determinabile in termini di
conoscenza, le strutture produttive tendono ad annullarsi. Tale fenomeno è
definito con il termine outsourcing. Si tratta della strategia aziendale di
esternalizzazione dei processi che non risultano critici per il conseguimento del
vantaggio competitivo. Con tale politica, si organizzano aziende che non
controllano direttamente alcuna fase produttiva e commerciale, che ricorrono alla
fornitura di servizi professionali (contabili, legali, ecc.), e che si focalizzano
esclusivamente sulla R&S e sul marketing
10
. Peraltro, alla proprietà ed alla
10
Circa tre gruppi grandi americani su dieci affidano oltre la metà della produzione
all’outsourcing. Inoltre, nel 1995 l’azienda media americana spendeva quasi cinque volte in più
per l’acquisto di pezzi di ricambio, forniture, e servizi di quanto facesse nel 1991. Attualmente, le
industrie automobilistiche americane non producono l’acciaio che utilizzano, e meno della metà
dei pezzi di cui si compongono le loro auto.
10
vendita, si sostituiscono modi diversi di accesso all’uso di un bene. Questi ultimi,
si fondano su contratti come l’affitto, il noleggio, il leasing, l’abbonamento, i
quali determinano un rapporto nuovo di compartecipazione economica tra
fornitori ed utenti. L’azienda della conoscenza tende, quindi, progressivamente a
dematerializzarsi, sostituendo il magazzino con l’informazione ed il capitale fisso
con il capitale intellettuale
11
.
Questi cambiamenti determinano, oltre ad un’evoluzione del concetto di
ricchezza, anche una distribuzione nuova del potere (tabella 1.1). Infatti, la
conoscenza diventa la risorsa chiave nella creazione del valore. La terra ed il
capitale finanziario assumo, invece, un ruolo secondario e complementare in tale
processo. Quindi, i lavoratori, cioè il capitale intellettuale di un’impresa,
diventano i possessori di tale ricchezza ed i centri nuovi del potere aziendale.
In tale scenario, si sviluppa il bisogno di adottare metodi nuovi di gestione,
che comprendano il ruolo della conoscenza e, quindi, la organizzino
sistematicamente in un ottica di valore.
Tabella 1.1 Le fonti di ricchezza e i loro possessori
Era Fonte di ricchezza Possessore
Agricola Terra Proprietari terrieri
Prima era ind.le. Capitale Finanziario Banche
Era ind.le avanzata Mercato Manager
New-Economy Conoscenza Individui
Fonte: F. D’Egidio, Il bilancio dell’Intangibile, Franco Angeli, Milano, 2000
11
AA.VV., Knowledge Management, Ipsoa, Amministrazione & Finanza Oro, n. 2/2000, pag.
34.
11
1.2 Il Knowledge Management (KM)
Il KM è, inizialmente, un modello gestionale che si focalizza sulle conoscenze
aziendali, al fine di sfruttare meglio le loro potenzialità in termini di efficacia e di
efficienza. Peraltro, i suoi principi determinano un cambiamento reale, ed
incrementale, solamente se diventano parte integrante della strategia,
dell’organizzazione e dei valori aziendali. Infatti, il KM viene generalmente
definito come “un sistema che combina contemporaneamente tre variabili: cultura,
organizzazione e tecnologia”
12
, richiedendo un approccio complesso alla gestione
d’impresa.
La cultura diventa, in particolare, il fattore chiave di questo cambiamento.
Ogni progetto di KM ha, in una prima fase, l’obiettivo di consentire
l’affermazione di valori centrali quali la condivisione, la cooperazione, la fiducia.
Questi sono, infatti, il requisito fondamentale affinché la conoscenza si trasferisca
e venga diffusa all’interno dell’azienda. Tali comportamenti determinano, così, la
generazione di un processo di generazione, trasferimento, utilizzo del sapere
centrale per l’innovazione.
La diffusione di tali valori richiede, a sua volta, un cambiamento
dell’organizzazione nel suo complesso: strutture interconnesse, meccanismi
operativi tendenti a valorizzare chi trasferisce il proprio sapere, circolazione libera
delle informazioni, ecc. Attraverso la riorganizzazione, il vertice aziendale riesce
anche a manifestare la volontà reale al cambiamento, incoraggiando i
comportamenti desiderati tra gli operatori.
L’aspetto tecnologico assume un ruolo critico, esclusivamente se il progetto di
KM ottiene il cambiamento culturale e organizzativo. La tecnologia in tale
approccio rappresenta solo un mezzo per raggiungere il risultato ultimo. L’errore
comune di alcune esperienze di KM è, invece, quello di considerare la dimensione
12
C. Sorge, Gestire la conoscenza, Sperling & Kupfer, Milano, 2000, pag. 26.
12
tecnologia come l’obiettivo della gestione della conoscenza. Comunque, studiosi
rilevano che il tema del KM si sviluppa in concomitanza dell’affermazione delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ciò significa che la gestione
della conoscenza potrebbe essere realizzata tecnicamente anche basandosi su dei
supporti cartacei tradizionali, ma che in tal caso l’efficacia della stessa sarebbe
limitata. Quindi, la tecnologia è necessaria ma non sufficiente e, soprattutto, non
collegata in maniera stretta con l’obiettivo di creare un’impresa fondata sulla
conoscenza.
L’adozione dei principi, degli strumenti e delle tecniche di gestione del KM
dovrebbe completarsi, infine, con un cambiamento nella visione strategica
dell’azienda. Si tratta del passaggio da una strategia fondata sui mercati da servire
(cosa/per chi produrre), ad una focalizzata sul proprio sapere (cosa sappiamo
fare). Il cambiamento è ovviamente radicale ma, come dimostrano alcuni casi
eccellenti, necessario se si vuole competere in maniera coerente in un mercato in
evoluzione continua.
Al fine di comprendere, capitalizzare e creare valore con la conoscenza, il
management aziendale dovrebbe sviluppare un approccio gestionale fondato su:
1) le regole ed i principi governanti l’economia della conoscenza. La
conoscenza è, infatti, una risorsa che non rispetta le leggi tradizionali
dell’economia dei beni fisici;
2) i mercati della conoscenza, cioè sugli aspetti sociali, politici ed economici
che influenzano lo scambio del sapere all’interno dell’azienda;
3) i processi che governano la dimensione conoscitiva dell’azienda. In
particolare, il management dovrebbe valorizzare e gestire i sotto-processi
che influenzano la creazione, la codificazione, il trasferimento e l’utilizzo
del sapere;
4) le tecniche nuove di valutazione e misurazione del valore aziendale,
coerenti con la tesi che la conoscenza crea, anche se in maniera intangibile,
13
ricchezza. Ciò conduce al miglioramento dei report interni per il controllo
di gestione, ed esterni per l’informazione ai portatori d’interessi.
I capitoli successivi, come evidenziato anche nell’introduzione, si focalizzano
su queste dimensioni principali del modello della conoscenza, proponendo anche
le esperienze iniziali di alcune imprese precorritrici nel campo del KM.
Infine, si deve precisare che il KM è un modello gestionale sviluppatosi negli
anni ultimi. Esso propone delle teorie e degli strumenti organizzativi, che tuttora
sono oggetto di riflessione tra gli studiosi delle discipline manageriali ed
informatiche. In particolare, il dibattito internazionale è animato, spesso, dalla
definizione stessa del KM, prima ancora che dalla validità dei suoi contenuti. Ciò
è dovuto al fatto che il termine conoscenza (knowledge), per il suo significato
astratto e filosofico, risulta definibile con difficoltà.
Quindi, prima di sviluppare l’esposizione analitica, i paragrafi che seguono si
focalizzano sul termine “conoscenza” e sui significati differenti che esso assume
all’interno di un’azienda. In tal modo, si cerca di delineare il confine dell’oggetto
di analisi, ed un’impostazione coerente con la trattazione successiva.
1.3 L’etimologia del termine conoscenza
La radice indoeuropea gn-/gen-/gne-/gno- indica “l’apprendere con
l’intelletto” ed il “sapere qualche cosa”
13
. Da essa, con il passare del tempo, si
sviluppano il termine sancrito janati (conoscere), quello greco gignaskein
(conoscenza) e gnasis (conoscere), quello latino cognosco (conosco), gnarus (che
conosce) ed ignarus (che non conosce)
14
.
13
Le considerazioni che seguono, fanno riferimento costante al lavoro di: F. Varanini , “Il
Knowledge, questo sconosciuto”, http://www.bloom.it/sommario_g.htm.
14
Cfr Robert J. Stemberg, Wisdom: Its Nature, Origins, and Development, Cambridge
University Press, New York, 1989.
14
Nell’inglese antico si usa il verbo gecnawan per indicare lo stato di sapiente,
che con il tempo diventa cnawan, e quindi know
15
. L’evoluzione linguistica
conduce al termine knowledge solo intorno al 1200. In questo periodo, infatti, si
aggiunge a cnawan la desinenza leacan, la quale introduce il concetto di “azione”
e “processo” al verbo sapere. Quindi, come già nel latino cognosco (“comincio ad
accorgermi”), c’è un richiamo all’aspetto costruttivo e dinamico della conoscenza.
Questa non esiste, infatti, a priori, ma è il risultato di un processo creativo ed
intellettuale. Inoltre, la conoscenza è possibile coglierla solo nella dinamicità delle
attività umane, essendo la fonte dei comportamenti e delle attitudini al fare delle
risorse umane.
A partire dal 1200, al termine knowledge, si affianca anche il significato di
“confessione”: la conoscenza, nella sua immaterialità, si esternalizza solo se si
ammette di possederla. Essa è, quindi, un sapere distintivo di un individuo o un
gruppo, destinato a rimanere riservato, ed in qualche caso “segreto”
16
. Da questo
periodo in poi, la conoscenza diventa una fonte di potere e di prestigio, che gli
individui utilizzano per governare e controllare la comunità in cui sono inseriti.
Infatti, alla radice gn-/gen- risalirebbe anche il termine attuale “gloria”, che in
origine descrive la situazione onorevole di “colui che può vantarsi di sapere”. Da
queste considerazioni emerge in modo chiaro, la dimensione “sociale” della
conoscenza. Ciò significa che l’apprendimento di sapere nuovo può avvenire
attraverso l’interazione tra gli individui attraverso, cioè, la condivisione delle
proprie capacità ed esperienze. L’individuo che ascolta è anche colui che
apprende. Questo concetto è presente chiaramente nel verbo latino gnarare (che
ha la stessa radice indoeuropea di conoscere) che indica il “perpetuare” e
“trasmettere” un sapere distintivo attraverso il racconto e la narrazione.
15
Da cnawan deriva anche l’ausiliare can (sapere, potere).
16
Cfr F. D’Egidio, Intuito e conoscenza. Le nuove frontiere del Management, Franco Angeli,
Milano, 1997.
15
Di seguito, intorno al 1600, il termine conoscenza assume il significato anche
di “scoperta” e comprensione del nuovo
17
. La conoscenza è considerata, infatti, il
risultato finale di un percorso intellettuale che, partendo dal dubbio, genera la
scoperta
18
. Il confronto con l’incertezza risulta, così, uno stimolo alla riflessione e
alla ricerca della verità, che conduce l’individuo ad apprendere e creare
conoscenza nuova.
Il termine know-how
19
appare, infine, nella prima metà dell’ottocento. Il
contesto storico di riferimento è quello della Rivoluzione Industriale e
dell’affermazione della tecnologia, quale applicazione sistematica della scienza ai
processi produttivi. Di fronte alla complessità maggiore del lavoro, si avverte
l’esigenza di conservare le informazioni relative al “come fare” (know-how)
correttamente le mansioni legate alla produzione. Il trasferimento orale delle
competenze, come avviene nella bottega artigianale, risulta inadeguato alle
formalità e razionalità maggiori richieste dalla fabbrica. Quindi il know-how,
rappresenta la “conoscenza scientifica”, codificata, descritta da rigorosi modelli
operativi e distribuibile facilmente, in quanto conservata in maniera formale negli
archivi aziendali.
17
C. Sorge, Gestire la conoscenza, Sperling &Kupfer, Milano, 2000, pag. 2.
18
Dubium Sapientiae Initium, ossia il dubbio è l’inizio della conoscenza, è un’intuizione
filosofica da attribuirsi a Cartesio.
19
Si usa il termine know-how per la prima volta, stando all’Oxford Dictionary, sul New
Yorker del 14 luglio del 1838: “To do the duties of the office to the best of my know-how, and
have a stouter man than myself to help me”.