Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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la produzione di nuovi prodotti, incluse produzioni intermedie, che
sono sufficientemente differenti dalle produzioni precedenti e che
implicano, quindi, qualche differenza rilevante nei programmi di
produzione o di distribuzione” includendo in questa definizione
incrementi di varietà del prodotto finale, operazioni di integrazione
verticale e incrementi del numero di “basic areas” di produzione in cui
l’impresa opera.
La diversificazione viene, spesso, trattata nei manuali di
economia a proposito dei processi di crescita delle imprese. La
crescita di un’impresa è il modo in cui essa acquisisce, mantiene e
sviluppa il proprio vantaggio competitivo. Secondo Ansoff (1965) la
crescita di un’impresa può prendere essenzialmente due “vettori” o
“direzioni”: l’espansione pura e semplice o la diversificazione . La
prima opzione di sviluppo, definita anche sviluppo intensivo (Kotler,
’93) o sviluppo del core business (Mintzberg, Quinn, ’96), comprende
la strategia di penetrazione del mercato, la strategia di sviluppo del
prodotto, e la strategia di sviluppo del mercato; la seconda direzione
comprende le diverse alternative di diversificazione: diversificazione
orizzontale, integrazione verticale, diversificazione concentrica e
diversificazione conglomerata.
Tralasciando le strategie per lo sviluppo del core business, in
quanto non interessa ai fini del presente lavoro, disponiamo di una
prima classificazione del fenomeno diversificazione che è possibile
osservare all’interno di un impresa.
Con le strategie di diversificazione l'impresa si inserisce in
nuove combinazioni funzioni-tecnologie di prodotto in nuovi segmenti
di mercato.
A seconda delle interrelazioni che queste nuove combinazioni
hanno con quelle attuali possiamo individuare tre diverse
configurazioni di espansione diversificata: diversificazione
orizzontale, diversificazione concentrica, diversificazione
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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conglomerata, diversificazione verticale
1
La diversificazione orizzontale è un processo di crescita
caratterizzato dall'introduzione, sugli stessi segmenti di mercato in cui
l'impresa è attualmente presente, di nuove funzioni-tecnologie di
prodotto che interpretano sostanziali discontinuità tecnologiche con
quelle attuali.
La diversificazione concentrica si manifesta quando le nuove
combinazioni funzione-tecnologia di prodotto presentano dei
significativi legami di complementarietà, sul piano tecnologico o
commerciale, con quelle attuali. L'obiettivo è quindi quello di
allargare il mercato dell'impresa beneficiando di effetti sinergici
derivanti dalla complementarietà tra le attività (Lambin).
La diversificazione conglomerale indica il processo di crescita
dimensionale mediante il quale l'impresa sviluppa prodotti che non
hanno nessun rapporto con le attività tradizionali ne sul piano
tecnologico ne su quello commerciale.
La diversificazione verticale è una particolare forma di
diversificazione che consiste nell'estensione dell'attività dell'impresa
in un'altra a monte o a valle della catena del valore. In tale strategia di
espansione l'impresa è cliente di se stessa (Penrose, 1959).
Possiamo allora definire la diversificazione come la scelta
strategica di innovare il rapporto prodotto/mercato. Essa viene
realizzata aumentando il numero di attività produttive intraprese e
modificandone la specie, ampliando il portafoglio prodotti o
occupando posizioni in mercati diversi da quelli attuali. Nel presente
lavoro non considereremo la diversificazione verticale (integrazione)
come strategia di diversificazione
2
, e assumerà importanza la
1
Ansoff, 1968 e Sicca 1969, coerentemete a quanto esposto da Penrose, "The teory of the growth of the
firm" (1959) pag 110
2
La dottrina economica tratta infatti distintamente la diversificazione e la integrazione verticale date le
diverse specificità che presentano le due opzioni strategiche.
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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classificazione che distingue tra forme di diversificazione correlate e
conglomerali.
Parleremo di diversificazione correlata se esistono affinità,
collegamenti o sinergie - di tipo tecnologico, organizzativo,
manageriale o di marketing - tra le nuove attività produttive e quelle
preesistenti. La diversificazione correlata è motivata da uno sviluppo
economico dell'attività d'impresa.
Si parla invece di diversificazione conglomerale se non esistono
tali legami e le nuove attività sono radicalmente distinguibili dalle
specializzazioni funzionali di quelle preesistenti. In questo caso la
diversificazione deriva prevalentemente da motivazioni di efficienza
finanziaria.
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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1.2 Cenni storici
Guardando indietro nel tempo si possono identificare dei periodi
in cui la diversificazione sembrava andare “di moda” e dei periodi in
cui si è riscontrata una tendenza contraria. In particolare si può
osservare il fenomeno della diversificazione dall’inizio del
diciannovesimo secolo, quando le imprese più grandi iniziano ad
estendere la propria attività estendendo le aree geografiche in cui
operavano, estendendo le attività svolte all’interno della propria
catena del valore, ed ampliando la propria gamma di prodotti. Ma è
dopo la seconda guerra mondiale che si registra la consacrazione delle
strategie di diversificazione a strumento di crescita preferito dalle
imprese di grandi dimensioni.
Gli anni del “boom” sono quelli che vanno dagli anni ‘50 agli
anni ’70 fino alle crisi inflazionistiche e petrolifere degli anni ’70-’80.
Lo strumento preferito dalla maggior parte delle imprese sembra
essere l’acquisizione che similmente alla diversificazione presenta un
andamento ciclico ad ondate nel tempo
3
. Viene naturale chiedersi
perché questa voglia di diversificazione? E quali fattori hanno influito
nel rendere tale strategia così popolare tra le imprese di grandi
dimensioni negli anni ‘50-‘70.
Come sempre nelle realtà complesse non esiste una spiegazione
univoca ma un insieme di fattori che agiscono simultaneamente.
Innanzi tutto, sotto la spinta della società di consulenza Mc Kinsey e
di altre società, tra gli anni ’50 e ’60 si diffuse la forma organizzativa
multidivisionale che rende possibile aggiungere nuove divisioni senza
sovraccaricare il management.
3
Le acquisizioni potrebbero quindi essere osservate in relazione con la diversificazione; come infatti
come già nel ’59 denunciava la Penrose “molti autori si propongono di parlare di diversificazione e
parlano di acquisizioni”.
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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Questo contribuì a creare l’idea che l’attività manageriale
risiedesse nell’applicazione di regole di carattere generale e che la
gestione di attività molto lontane le une dalle altre non desse
particolari problemi gestionali.
Le decisioni di fondo erano comuni a tutti i settori e quindi la
funzione manageriale veniva ad essere slegata dal settore di
appartenenza e diveniva adattabile ad ogni nuova attività che la
grande impresa decidesse di intraprendere. L’evoluzione teorica delle
tecniche di gestione del portafoglio portò la Mc Kinsey in
collaborazione con General Elettric e la Boston Consulting Group ad
elaborare le famose matrici ASA/attrattività del settore e Tasso di
crescita del mercato/quota mercato relativa (figura 1.1).
Tale sviluppo del contesto teorico ha fornito una visione più
ampia all’impresa ed uno strumento standard per prendere decisioni
strategiche quali la diversificazione prima e il disinvestimento poi,
l’allocazione delle risorse tra le varie aree di affari e le strategie da
seguire a livello di business.
Figura 1.1
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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Questo contesto, come ricordato, viene osservato dagli anni
‘50-’70 ossia a partire dagli anni che in Italia saranno definiti del
“miracolo italiano”. Sono quindi anni di congiuntura molto
favorevole in cui era facile ottenere rendimenti superiori al costo del
capitale. Questa facilità nell’ottenimento di profitti rendeva anche gli
azionisti molto meno vigili sul comportamento dei managers.
La corsa alla diversificazione registrò un rallentamento quando
negli anni ’70-’80 la congiuntura cambiò e con le crisi petrolifere, le
spirali inflazionistiche e le impennate dei tassi di interesse le imprese
trovarono meno facilità nell’ottenimento di rendimenti sul capitale
investito superiori al costo. Il controllo degli azionisti si intensificò
spingendo i manager a mettere l’accento sulla creazione di valore per
gli shareolders.
Le imprese prendevano coscienza di una turbolenza ambientale
destinata a crescere che penalizzava maggiormente le imprese
multibusiness rispetto alle imprese specializzate. Questi eventi anno
messo in luce la, spesso, minore efficienza e redditività delle imprese
diversificate causata anche dal miglioramento dei mercati dei capitali
e del lavoro che, diminuendo i costi di accesso al mercato, e quindi
delle transazioni, agevolano le imprese che vi fanno ricorso. La teoria
economica ha registrato il fallimento o la non adeguatezza
dell’applicazione delle stesse tecniche manageriali a business diversi
tra loro. L’attenzione, come vedremo, si sposta sulle risorse interne e
sui punti di forza che possono rendere una strategia di diversificazione
un modo per creare valore e non per disperderlo.
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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1.3 Perché le imprese diversificano?
Le imprese diversificano per molte ragioni alcune interne ad
esse altre dovute condizioni esterne a delle opportunità che si
presentano sul mercato.
Le motivazioni che possono spingere un’impresa a diversificare
possono essere sia di natura offensiva che di natura difensiva anche se
nella maggior parte dei casi il movente sembra essere di natura
offensiva. Molti autori si sono interessati di trovare una spiegazione
alle motivazioni sottostanti ad una scelta di diversificazione. In questo
capitolo cerchiamo di dare una panoramica delle principali chiavi di
lettura con cui è possibile spiegare cosa spinge un'impresa verso la
crescita diversificata ed in particolare tali spiegazioni sono
riconducibili a quattro diverse prospettive
4
:
1. Power market view
2. Risk view
3. Agency view
4. Resource based view
1.3.1 Power market view
Tradizionalmente gli economisti si sono interessati alla
diversificazione interessandosi innanzitutto al suo potenziale effetto
anticompetitivo. Hill (‘85, pag. 828) argomenta che un’impresa
diversificata prospererà non in virtù di una sua maggiore efficienza
ma grazie all’accesso ad una particolare forma di potere che egli
definisce “potere conglomerato”
4
La Montgomery in "Corporate Diversification"(journal of economic perspectives, vol 8-n. 3- 1994) ne
identifica tre: power market view, agency view, resource based. A queste tre prospettive abbiamo
aggiunto, coerentemente con Grant e Sicca tra gli altri, la prospettiva risk based
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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Questa posizione era stata anticipata da C. Edwards (1955,
p.331-360) il quale scrisse che:
“un impresa che produce molti prodotti e opera su molti mercati
non ha bisogno di guardare alla massimizzazione dei profitti in tutti i
mercati in cui opera come lo schema tradizionale presupporrebbe […].
Essa può possedere potere in un particolare mercato non solo virtù
dell’importanza che ricopre nell’organizzazione di quel mercato ma
anche in virtù dell’ampiezza e delle tipologia delle sue attività in
qualche altro mercato. Può essere in grado di sfruttare e di estendere o
di difendere il suo potere tramite tattiche che tradizionalmente sono
associate all’idea del monopolista”.
Studiosi che hanno sposato il punto di vista di Edwards
concentrano i loro studi sui modi in cui le imprese conglomerate
possono ottenere potere di mercato con politiche lesive della
concorrenza.
Tali imprese possono attuare politiche di dumping ed usare,
quindi, i loro profitti in un mercato per sostenere prezzi predatori atti
ad eliminare un concorrente su un altro; inoltre il fatto che due
imprese rivali si incontrino su molti mercati può stimolare la loro
cooperazione e ridurre, di fatto, la concorrenza e precludere l'ingresso
al mercato ad imprese minori.
Gli autori che hanno guardato alla diversificazione in
quest’ottica hanno enfatizzato molto i potenziali effetti
anticompetitivi della stessa. Questo filone della ricerca economica ci
ha dato una possibile spiegazione degli effetti della diversificazione
ma non ci dice molto sulle cause e sui meccanismi che portano le
imprese ad intraprendere questa via. Inoltre basandoci solamente su
queste argomentazioni deduciamo una relazione positiva tra
diversificazione e performance delle imprese diversificate.
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
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1.3.2 Risk view
La scelta di diversificare il proprio portafoglio di attività per
ridurre il rischio totale di impresa ricorre in letteratura sin da quando
si è iniziato a discutere di diversificazione. Edith Penrose (1959)
prospettava la opportunità di diversificazione in risposta a particolari
condizioni di mercato. In particolare in risposta alle fluttuazioni
imprevedibili e temporanee della domanda di mercato argomentando
che in queste particolari situazioni le imprese, spinte dal rischio
associato all’incertezza circa l’intensità e la durata della fluttuazione
di domanda, hanno incentivo a diversificare il proprio portafoglio
prodotti nel tentativo di stabilizzare la loro performance totale.
L’autrice cita tra gli esempi il caso delle imprese produttrici di
"luxury goods" che potrebbero avere interesse a diversificare in
attività meno dipendenti dal reddito dei clienti.
La teoria che spiega la diversificazione in relazione alla
riduzione del rischio, che è innanzitutto inerente alla diversificazione
di tipo conglomerale, è riconducibile alla famosa espressione di vita
domestica secondo cui: <<non è conveniente tenere tutte le uova
dentro un cesto per evitare, se si rompe il cesto, di fare una frittata>>.
Come, tra gli altri, Goold e Luchs (1996) hanno spiegato secondo
quest’impostazione un’impresa che voglia garantirsi la stabilità dei
profitti futuri, distribuisce le proprie attività in più settori con diversi
livelli di rischiosità e con diversi cicli economici. Un andamento
mediocre di alcune attività trova compensazione nel positivo
andamento di altre, assicurando così stabilità reddituale. Questa linea
di condotta sembra non contrastare con gli obbiettivi degli investitori
e quindi degli azionisti. Ma gli studi condotti dai teorici di finanza
hanno messo in discussione questa impostazione sostenendo che gli
investitori possono agevolmente diversificare i propri portafogli di
propria iniziativa ed in maniera più efficiente (ad esempio usando un
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
21
fondo comune di investimento). Quindi l’impresa diversificata non
svolge alcun ruolo economico nel diversificare i rischi per gli
azionisti come confermato dal modello del CAPM e da numerosi studi
empirici. Ma è anche vero che gli azionisti non sono la totalità degli
stakeolders, i lavoratori di un’impresa possono beneficiare del fare
parte di un’impresa diversificata perché in caso di crisi di un settore
potrebbero essere ricollocati in attività dell’impresa in altri settori.
Smilth e Stulz (1985) puntualizzano che non necessariamente
riduzione del rischio implica diminuzione del valore dell’impresa.
Dipendenti, clienti e fornitori avversi al rischio potrebbero desiderare
una diminuzione del rischio totale di impresa; ciò implica che se il
costo di riduzione del rischio (tramite la diversificazione ad esempio)
è minore del beneficio che ne traggono gli stakeolders, il valore totale
dell’azienda non necessariamente diminuirà.
La teoria secondo la quale le imprese diversificano le proprie
attività nel tentativo di ridurre il rischio per gli azionisti sembra,
quindi, non dare una visione univoca e di insieme dell’argomento
diversificazione. Nonostante alcune categorie di stakeolders
potrebbero in certi casi ottenere dei benefici dalla diversificazione non
sembra un movente forte al punto da spingere l'impresa in settori
nuovi e talvolta sconosciuti.
1.3.3 Agency view
Negli anni ’80 si è assistito a bruschi cambiamenti nei vertici
delle imprese (corporate control) ed all’inizio di un vigoroso dibattito
circa l’opportunità o meno dell’esistenza di imprese di grandi
dimensioni e diversificate. Molti studiosi, soprattutto teorici della
finanza, accolgono l’impostazione suggerita dalla teoria dell’agenzia.
Interpretare la diversificazione tramite questa ottica significa studiare
la relazione di agenzia che lega gli azionisti (il principale) al top
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
22
management (l’agente). Nel 1932, Berle e Means avevano ammonito
contro la separazione della proprietà dal controllo; Vishny (1988, p.
293) spiega che “quando i managers hanno un pò di utili e gli
azionisti sono abbastanza dispersi da non poter perseguire una politica
di massimizzazione del valore, gli assets possono essere impiegati a
beneficio dei manager piuttosto che degli azionisti” e insieme ad altri
autori quali Mueller (1969) e Jensen (1986) continuava dicendo che se
gli azionisti non mettono dei limiti significativi all’attività dei
manager questi perseguiranno delle strategie che distruggeranno
valore, invece di crearlo, a vantaggio proprio piuttosto che della
proprietà. Lo strumento conveniente per queste operazioni sembrano
essere le fusioni tra società conglomerate. In altri termini l’obiettivo
di crescita dell’impresa è mutuato ed esasperato da obiettivi personali
dei managers che, spinti da obiettivi di status, da incentivi finanziari e
da aspirazioni ad un maggiore potere sociale, antepongono obbiettivi
di crescita dimensionale a quelli di profittabilità. Questo
comportamento è giustificato, secondo Mueller (1969), dal fatto che i
compensi agli amministratori sono legati alla dimensione delle
imprese.
Dietro al puro piacere di creare imperi C. Montgomery (1994)
individua almeno altre due ragioni per cui i manager perseguono
espansione eccessiva: la prima è che tramite la diversificazione essi
aumentano la domanda per le proprie competenze manageriali la
seconda è che se gli azionisti possono efficientemente diversificare il
proprio rischio di portafoglio i managers non possono diversificare il
loro rischio impiego. Quindi essi potrebbero agire anche nel tentativo
di diminuire il rischio delle attività dell’impresa in modo aumentare la
stabilità del loro impiego. Gli effetti di tale comportamento possono
essere considerati un costo di agenzia. Teece
5
, suggerisce di
confrontare la teoria di Mueller con la teoria dei mercati efficienti
5
Teece, D.J. "Towards an economic theory of the Multiproduct firm" Journal of economic behavior
and organization 1982, da pag 38
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
23
affermando che se i managers intraprendono scelte di investimento
che generano tassi di rendimento, per gli stockolders, al disotto del
tasso di rendimento di equilibrio del mercato, gli investitori possono
indirizzare i loro fondi verso imprese più redditizie. Questo
costituisce gia un disincentivo per gli amministratori a perseguire
obiettivi personali. Ed inoltre i manager che non raggiungono risultati
soddisfacenti possono essere estromessi dagli azionisti o da terzi
acquirenti
6
. Questa chiave di lettura del fenomeno diversificazione
contrariamente alla visione del potere di mercato, che enfatizza i
danni che possono essere arrecati ai consumatori ed ai competitori,
punta il dito sugli effetti negativi che la diversificazione genera in
capo agli azionisti.
Tale visione, conseguentemente, sembra predire una relazione
negativa tra diversificazione e valore dell’impresa. La agency view
concentra la propria analisi principalmente sulle cause delle fusioni ed
acquisizioni piuttosto che valutare la diversificazione come un
argomento complesso e vasto ma ci da un'importate spiegazione del
perché le imprese potrebbero eccedere in diversificazione
(Montgomery 1994).
1.3.4 Resource based view
Questa chiave di lettura della diversificazione è basata
essenzialmente sul, già citato, lavoro di Edith Penrose (1959) che,
nonostante l’anno di pubblicazione, non ha immediatamente riscosso
molti consensi all’interno del dibattito economico sulla
diversificazione. Questo approccio introduce importanti differenze e
parte dal riconoscere l'eterogeneità delle imprese non una loro
6
In particolare questo rischio estromissione che corrono i manager in caso di acquisizioni ostili è la
motivazione per cui le imprese dismettono le loro attività diversificate quando queste non producono
utili o quando sono minacciate da offerte i acquisti (Porter "From competitive advantage to corporate
strategy" in Harvard business review maggio-giugno 1987)
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
24
omogeneità, l'impresa va osservata in un'ottica di crescita e di
evoluzione continua e non di ricerca di un equilibrio (Montgomery,
1994). La prospettiva basata sulle risorse argomenta che un'impresa,
in cerca di profitti, diversifica in presenza di eccesso di fattori
produttivi, le risorse appunto.
Il concetto di risorsa include fattori acquisiti, noleggiati,
prodotti per proprio uso interno dall'impresa, servizi che l'impresa
crea da tali fattori e la conoscenza accumulata nel corso del tempo
7
.
La Montgomery continua dicendo che il mancato raggiungimento di
quello che la Penrose (1959, p.68) definisce "state of rest", ossia
posizione di equilibrio in cui l'impresa cessa di "domandare"
diversificazione, è riconducibile a tre ostacoli. In primo luogo
l'indivisibilità delle risorse; esse sono spesso disponibili in quantità
discrete ed è possibile quindi che un loro utilizzo in più business ne
garantisca un totale sfruttamento. In secondo luogo la diversa
possibilità di impiego di una risorsa in diverse circostanze; alcune
tipologie di risorse prevalentemente quelle intangibili crescono sia in
valore che in capacità se usate, con giudizio in diversi settori. Come
avremo modo di approfondire, basta pensare per esempio al "brand"
che trae beneficio da una sempre maggiore esposizione (Montgomery,
1997). In terzo luogo perché all'interno di un'impresa vengono sempre
create e generate nuove risorse. In quest'ottica l'espansione
dell'impresa deriva dal desiderio di fare un uso più profittevole delle
risorse sottoutilizzate dall'impresa, che ha quindi un incentivo ad
espandersi in settori in cui questo eccesso di risorse può conferirgli
dei vantaggi competitivi.
Come avremo modo di approfondire nelle pagine seguenti, la
teoria suggerisce che le stesse caratteristiche che rendono le risorse
difficili da trasferire tra le imprese (la specificità) le rendono, al
7
Montgomery C. Corporate diversification in Journal of economic perspectives Volume 8 Numero 3
Estate 1994; similmente a quanto detto da E. Penrose (1959)
Capitolo 1 - La Strategia di Diversificazione
25
tempo stesso, difficili da imitare, e quindi possibili fonti di un
vantaggio competitivo nel mercato in cui sono impiegate
8
. Secondo
Teece (1980, p. 226) il valore dell'impresa, dipende proprio da queste
risorse ed aumenta quando queste non obbediscono alla legge della
conservazione. I marchi, ad esempio, possono essere oggetto di
diverse applicazioni senza che il loro valore ne risulti danneggiato
(Montgomery e Wernefelt, 1992)
L'importante merito della prospettiva resource based sta nel
riconoscimento del fatto che le imprese sono diverse le une dalle altre,
e ogni impresa ha un diverso livello ottimale di diversificazione.
Imprese con assets meno specifici massimizzeranno i loro profitti con
relativamente alti livelli di diversificazione e imprese con risorse più
specifiche con livelli relativamente minori (Montgomery 1994 e
1997).
Da quanto detto sinora si evince che non esiste un punto di vista
"giusto", ognuno degli approcci visti ci da una visione parziale delle
motivazioni che possono indurre un'impresa a diversificare. Non
possiamo negare che gli obiettivi personali dei manager giocano un
ruolo nelle loro scelte di strategiche, o che un'impresa potrebbe essere
allettata da un aumento del proprio potere di mercato e non c'è ombra
di dubbio che questo potrebbe danneggiare la competizione e i
consumatori. Non ci sentiamo di negare ne che la riduzione del rischio
potrebbe essere desiderabile per alcuni stakeolders ne che le imprese
potrebbero diversificare nel tentativo di impiegare meglio le loro
risorse. Ma possiamo fare attenzione ad un contributo molto
importante dell'approccio resource based: esso è l'unico che individua
una relazione tra diversificazione e il vantaggio competitivo, e che si
interroga su come è possibile creare valore all'interno di una strategia
di crescita
8
Montgomery 1994 e, tra gli altri ad esempio, Lippman e Rumelt, 1982.