Le misure di difesa commerciale dell’Unione europea: i dazi antidumping
nei rapporti con gli Stati Uniti
indesiderabili, se non ampiamente giustificate da ragioni di squilibri interni o
fenomeni imprevedibili, ma in ogni Paese molti sono gli operatori che ricorrono
alle autorità nazionali con lo scopo di ottenere maggiori garanzie protezionistiche
per il proprio prodotto ed il proprio mercato.
Questa situazione risulta ancor più preoccupante se inquadrata in una crisi
economica e finanziaria, quale quella che stiamo attraversando, che invoglia
ciascun Paese ad adottare misure dirette a proteggere il mercato interno.
Possiamo, infatti far riferimento al “Buy American”, una legge emanata nel 1933
dal parlamento statunitense ed ancora in vigore, tornata attuale in quanto inserita
nel piano dell’amministrazione Obama allo scopo di proteggere le imprese
manifatturiere nazionali, limitando l'acquisto di prodotti finiti stranieri per
commesse pubbliche all'interno del territorio nazionale.
Non è la prima volta, però, che il commercio internazionale si trova a fare i
conti con il fenomeno del protezionismo. Già nel 1929, data di inizio della
“Grande crisi” scoppiata negli Stati Uniti e poi diffusasi presto in tutta l’Europa,
ha preso avvio un periodo caratterizzato da protezionismo economico e
dall’intervento unilaterale dello Stato nelle relazioni economiche internazionali.
Basta, in tal caso, ricordare lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, un
provvedimento statunitense che, introdotto nell’intento di salvaguardare il
mercato americano, non ha fatto altro che aggravare la crisi ed espanderla a livello
globale.
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nei rapporti con gli Stati Uniti
Questi dati fanno capire l’importanza delle misure di difesa commerciale e, in
tale contesto, il ricorso al dumping ed alla legislazione antidumping è, forse, il più
frequente caso di uso delle legislazioni nazionali e sovranazionali a fini difensivi.
Il ribasso del prezzo di un prodotto (elemento caratterizzante il fenomeno del
dumping), quale espressione della strategia commerciale delle imprese, rientra
perfettamente tra gli obiettivi dell’economia di mercato. Sono i diritti
antidumping, cui gli Stati ricorrono per neutralizzare il dumping, a costituire un
ostacolo al commercio internazionale se applicati in maniera arbitraria e a fini
protezionistici. L’arbitrario ricorso alle procedure antidumping da parte
dell’autorità di uno Stato, infatti, può trasformare l’applicazione di tale disciplina
– che di per sé tenderebbe ad evitare comportamenti scorretti del mercato - in
forme più o meno occulte di protezionismo, con conseguenti distorsioni del
commercio internazionale. Vedremo quindi nell’elaborato quali sono state le
scelte dell’Unione europea per fronteggiare un fenomeno così diffuso, cercando di
inquadrare le caratteristiche principali della normativa comunitaria e di quella a
livello multilaterale (Accordo antidumping).
Muovendo da tali premesse, il lavoro che intendo svolgere avrà inizio con la
descrizione dell’ambito in cui vanno ad inserirsi le misure antidumping, cioè la
politica commerciale comune, prevista dall’art. 133 del Trattato CE. Oltre a
valutare la ripartizione delle competenze tra Stati membri e Comunità, vedremo
quali sono gli aspetti che caratterizzano le varie forme di misura commerciale
(misure di salvaguardia, misure antisovvenzione e misure antidumping).
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L’analisi poi proseguirà con la descrizione delle varie normative in vigore.
Partendo dall’Accordo antidumping, che regola tale aspetto a livello multilaterale,
vedremo quali sono i principi base e soprattutto come sono state risolte le
controversie in ambito dell’OMC, sorte tra Unione europea e Stati Uniti; saranno
considerati soprattutto i casi in cui gli Stati Uniti si sono mostrati più restii nel
modificare una normativa nazionale, nonostante la stessa fosse stata già dichiarata
illegittima dagli organi dell’OMC (ad esempio il caso dell’”Antidumping Act” del
1916 e il “Byrd Amendment”). Anche nell’applicazione stessa della disciplina
dell’Accordo antidumping, avremo modo di vedere il comportamento tenuto dagli
Stati Uniti, la reazione della Comunità europea e la decisione finale dell’OMC
(ad esempio, l’applicazione del metodo cd. “Zeroing” per la determinazione del
margine di dumping).
L’ultimo capitolo sarà dedicato agli atti comunitari che sono diretti a regolare
la materia, quindi cercheremo di ricostruire qual è, attualmente, il consueto modo
di agire della Comunità, in ipotesi di dumping. Dopo un’analisi dettagliata del
regolamento n. 384/96 (regolamento-base), vedremo quali sono le differenze più
significative rispetto all’Accordo antidumping, facendo un confronto delle due
normative. Verranno anche esposti i mezzi di tutela a disposizione del singolo nei
confronti di un regolamento comunitario. Sarà infine analizzato, con l’obiettivo di
verificare rispetto ad una vicenda concreta il modo di procedere della Comunità,
un caso recente di prassi, che ha portato all’emanazione di un regolamento
antidumping nei confronti degli Stati Uniti.
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Con questo lavoro mi propongo di svolgere una valutazione sulla prassi e
l’evoluzione che ha caratterizzato l’ambito dei rapporti commerciali fra Unione
europea e Stati Uniti, dal 1953 (data in cui furono inviati dagli Stati Uniti alcuni
osservatori presso la Comunità europea di difesa e la Comunità europea del
Carbone e dell’Acciaio) ad oggi.
Un risultato importante è stato raggiunto con la sottoscrizione della Nuova
Agenda Transatlantica, avvenuta a Madrid nel 1995, con la quale Stati Uniti e
Unione europea si sono impegnati a cooperare nel modo più aperto e leale per la
soluzione di tutti i possibili conflitti che possano mettere in pericolo la pace, la
stabilità, la democrazia e lo sviluppo in tutto il mondo.
Altra tappa importante è stata rappresentata dalla quarta conferenza in ambito
OMC, la cd. Conferenza di Doha, che si è svolta dal 9 al 14 novembre 2001,
durante la quale è stata annunciata la decisione di avviare il 1° gennaio 2002 un
nuovo round triennale di negoziati in alcuni settori economici da liberalizzare dal
punto di vista commerciale con regole concordate e condivise da tutti i Paesi
membri dell’OMC. È proprio sul fronte dei negoziati di Doha, attualmente in
corso, che un’intesa tra Unione europea e Stati Uniti, appare cruciale per il
raggiungimento di un accordo multilaterale soddisfacente.
In una situazione in cui i negoziati sembrano essere in una fase critica, sia per
l’impossibilità di conciliare le posizioni dei membri più influenti dell’OMC, che
per dare maggiore spazio alle soluzioni prospettabili per fronteggiare la crisi
economica, cercherò di evidenziare i risultati conseguiti e gli obiettivi che, se
raggiunti, potranno portare ad miglioramento dell’economia globale.
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Le misure di difesa commerciale dell’Unione europea: i dazi antidumping
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CAPITOLO 1
LA POLITICA COMMERCIALE COMUNE
IN PARTICOLARE IL DUMPING
1. POLITICA COMMERCIALE COMUNE
1.1 GLI ACCORDI E LE POLITICHE COMMERCIALI DELLA
COMUNITA’ EUROPEA
L’Unione Europea pone in essere accordi commerciali, o accordi in cui una
parte sostanziale del contenuto riguarda il commercio, con quasi ogni paese del
mondo.
Questi accordi possono assumere tre forme principali:
1. ACCORDI COMMERCIALI: negoziati sulla base dell’art. 133 TCE (ex
art. 113) in base al quale la Comunità deve porre in essere una politica
commerciale comune fondata su principi uniformi. Gli accordi conclusi in base
all’art. 133 sono tutti soggetti al quadro generale di norme commerciali
internazionali che sono state stabilite nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale
del Commercio.
Gli accordi commerciali internazionali più importanti sono l'Accordo che
istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e gli accordi
commerciali multilaterali conclusi nel quadro di quest'ultimo, in particolare
l'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT 1994), l'Accordo
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generale sugli scambi di servizi (GATS), e l'Accordo relativo ai diritti di proprietà
intellettuale attinenti al commercio (TRIPS).
2. ACCORDI COMMERCIALI E DI COOPERAZIONE ECONOMICA:
negoziati sulla base dell’art. 300 (ex art.228): “Quando le disposizioni del
presente trattato prevedano la conclusione di accordi tra la Comunità e uno o più
Stati ovvero un'organizzazione internazionale, la Commissione sottopone
raccomandazioni al Consiglio, che la autorizza ad avviare i necessari negoziati. I
negoziati sono condotti dalla Commissione, in consultazione con i comitati
speciali designati dal Consiglio per assisterla in questo compito e nel quadro delle
direttive che il Consiglio può impartirle”.
Viene fatto riferimento a tale tipologia di accordi anche in materia di
cooperazione economica, tecnica e finanziaria con i Paesi terzi. Secondo l’art. 181
A, infatti, gli accordi tra la Comunità e i terzi interessati, concernenti le modalità
di cooperazione della Comunità, vengono negoziati e conclusi conformemente
all’art. 300.
Accordi di questo genere sono stati conclusi dalla Comunità con gli Stati del
Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia), gli Stati del Mashrak (Egitto, Giordania,
Libano, Siria) e Israele.
3. ACCORDI DI ASSOCIAZIONE: sono basati sull’art. 310 TCE (ex art. 238)
ai sensi del quale “La Comunità può concludere con uno o più Stati o
organizzazioni internazionali accordi che istituiscono un'associazione
caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure
particolari”.
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“Nella loro forma tipica tali accordi comportano un accesso altamente
preferenziale ai mercati della Comunità europea, la prospettiva finale di un’area di
libero scambio da costituirsi tra i firmatari, nonché vari tipi di cooperazione
economica e tecnica, aiuto finanziario da parte della Comunità e, in alcuni casi,
anche la prospettiva per i paesi associati di entrare a far parte dell’Unione
Europea”
1
. Un esempio di quest’ultima ipotesi è rappresentato dall’accordo
concluso nel 1964 con la Turchia.
Si è sottolineato in dottrina la vicinanza di questi accordi con quelli
commerciali
2
; di regola, però, va osservato che gli accordi di associazione
implicano una collaborazione più intensa rispetto a quelli puramente commerciali,
sia per l’istituzione di organi comuni, sia perché mirano al raggiungimento di una
maggiore integrazione con l’economia comunitaria
3
.
1.2 GLI ACCORDI COMMERCIALI
La necessità di attuare una politica comune, secondo quanto prescritto
dall’art. 133 TCE, nell’ambito degli scambi commerciali della Comunità europea
è strettamente collegata all’instaurazione, nel 1968, dell’unione doganale, che ha
previsto, da un lato, il divieto di dazi doganali all’importazione e all’esportazione
e il divieto di tasse aventi effetti equivalenti ai dazi (art. 25 Trattato CE) ;
1
Nugent N., Governo e politiche dell’Unione Europea, Bologna, 2001, p.470 e ss.
2
Piva P., La politica commerciale, cit., p.457.
3
Piva P., La politica commerciale, cit., p.457.
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dall’altro, l’adozione di una tariffa doganale comune (TDC
4
) applicata da tutti gli
Stati membri ai prodotti importati dai paesi terzi (art.26 Trattato CE).
In sostanza, le importazioni di prodotti da paesi terzi devono essere
sdoganate una sola volta da uno qualsiasi degli Stati membri e, da quel momento,
tali prodotti sono considerati suscettibili di circolare liberamente sull’intero
territorio comunitario
5
. Le merci si trovano a questo punto in una condizione detta
di “libera pratica” nel mercato interno (art. 24 Trattato CE
6
) ed è proprio questa
caratteristica che vale a differenziare le unioni doganali da quella forma di
integrazione economica, molto diffusa, costituita dagli accordi di libero scambio.
Con tali accordi gli Stati contraenti acconsentono a liberalizzare il commercio
reciproco, ma ciascuno di essi mantiene il proprio regime commerciale e tariffario
nei confronti dei prodotti originari dei Paesi terzi, sui quali impone
autonomamente dazi doganali.
Una “perfetta” unione doganale comporta la sostituzione di più territori
doganali con un unico territorio dove nessuna sua regione possa essere
discriminata dall’operatore estero. Si rendono allora necessarie, oltre alla tariffa
comune, misure protezionistiche comuni che a loro volta comportano omogeneità
nelle politiche commerciali ed un certo coordinamento delle politiche economiche
4
La tariffa doganale comune indica l’insieme dei dazi sui vari beni, e quindi consiste nell’elenco
di tutte le merci soggette a dazio e delle varie aliquote ad esse applicabili a seconda del Paese di
origine.
5
Piva P., La politica commerciale, cit., p.436.
6
Art 24 TCE “Sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da
paesi terzi per i quali siano state adempiute in tale Stato le formalità di importazione e riscossi i
dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno
totale o parziale di tali dazi e tasse”.
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interne che condizionano le politiche commerciali stesse
7
. Per garantire agli Stati
membri una tutela in tal senso si è arrivati dunque all’attuazione di una politica
comunitaria volta all’adozione di misure uniformi, applicabili in tutti gli Stati
membri, che regolino gli scambi commerciali tra questi e gli Stati terzi.
1.3 POLITICA COMMERCIALE “LIBERALE”
E PROTEZIONISMO
L’Unione Europea si presenta come impegnata a perseguire una politica
commerciale “liberale” e, nella sfera dei suoi negoziati commerciali esterni,
l’obiettivo prioritario è quello dell’apertura dei mercati, come si ricava
dall’art.131 del Trattato istitutivo
8
. I più importanti negoziati commerciali
internazionali degli ultimi anni (Uruguay Round), vengono visti come una prova a
sostegno di questa visione della posizione negoziale dell’Unione europea. Fra le
sue priorità durante i negoziati figuravano infatti: la riduzione dei dazi doganali
internazionali, la rimozione delle barriere non tariffarie al commercio e l’apertura
di sfere di attività commerciali fino a quel momento limitate
9
.
Questa politica commerciale di stampo liberale, tuttavia, non viene sempre
perseguita con totale coerenza e uniformità. Il protezionismo è sempre pronto a
riaffiorare quando gli Stati membri si trovano ad affrontare circostanze
economiche nazionali “speciali” e le pressioni politiche che le accompagnano. La
7
V. di Chiara, L’antidumping nella politica commerciale della Cee, Padova, 2002, p. 53.
8
Art. 131 (ex articolo 110) TCE: “con l'instaurare un'unione doganale fra loro, gli Stati membri
intendono contribuire, secondo l'interesse comune, allo sviluppo armonico del commercio
mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali ed alla riduzione
delle barriere doganali”.
9
V. di Chiara, L’antidumping nella politica commerciale della Cee, cit., p.56.
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nei rapporti con gli Stati Uniti
recente crisi economica e finanziaria globale, a conferma di quanto detto, sta
avendo un impatto significativo sul commercio internazionale. Si stanno, infatti,
diffondendo nuove forme di protezionismo che rischiano di rinvigorire e
prolungare la crisi economica in atto. Si pensi in proposito alla recente misura
protezionistica “Buy American”, attuata dall’amministrazione Obama con il
programma di stimolo all’economia (Recovery and Reinvestment Plan)
10
. Tale
misura prevede che gli acquisti di acciaio, ferro e beni manifatturieri, connessi ai
lavori edili e infrastrutturali finanziati dal pacchetto di misure, debbano interessare
solamente i prodotti di origine americana. Lo scopo è quello di assicurare un
positivo impatto delle spese e degli investimenti previsti dal piano
sull’occupazione americana, in forte difficoltà, ma le reazioni che ha raccolto, in
particolare dall’Unione europea, sono state durissime, fino alla minaccia di una
denuncia all’OMC per violazione degli accordi internazionali, secondo quanto
affermato da Peter Power, un portavoce della Commissione
11
.
Coloro che si oppongono a tale misura hanno espresso più volte la necessità
di riflettere sulle esperienze precedenti. Non è infatti la prima volta che gli Stati
Uniti, di fronte ad un periodo di crisi, attuano una politica protezionistica, che si è
poi dimostrata disastrosa. Mi riferisco allo Smoot-Hawley Tariff Act, di cui
parlerò in maniera più dettagliata nel capitolo 3. Si tratta di un provvedimento
approvato nel luglio del 1930 dal Congresso degli Stati Uniti, che innalzò i dazi di
importazione su oltre ventimila prodotti ad uno dei livelli più alti della storia. Le
conseguenze di una simile azione, in quanto posta in essere dalla potenza
10
Fracasso Andrea, in www.nelmerito.com
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Platerio Mario, UE all’attacco del “Buy American”, in www.ilsole24ore.com.
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nei rapporti con gli Stati Uniti
commerciale più grande del mondo, si sono riprodotte a livello globale causando
il crollo del commercio internazionale e trasformando la crisi di quel periodo in
una guerra commerciale
12
.
Le misure protezionistiche nascono da un sentimento comprensibile, quello
di proteggere la propria popolazione dalla crisi, sostenendo le imprese nazionali e
cercando di assegnare il maggior numero di posti di lavoro. In tali situazioni, però,
quello che si rende necessario è l’impegno a non mettere a repentaglio i mercati
aperti e il libero scambio, cioè tutti quei risultati che sono stati faticosamente
raggiunti nel corso dei vari negoziati internazionali.
E’ proprio questo il pericolo che l’Unione europea ha cercato di fronteggiare
grazie anche all’impiego delle misure di difesa commerciale, in particolare
attraverso i dazi antidumping di cui tratterò in questo elaborato. Vedremo, infatti,
nei prossimi capitoli che nel corso degli anni gli Stati Uniti hanno posto in essere
più volte misure di questo genere, spesso attuate con lo scopo di mettersi al riparo
da periodi di crisi, che, analogamente a quello che stiamo attraversando, hanno
reso necessario un intervento legislativo.
Non posso però affermare che l’Europa sia rimasta immune dall’ondata
protezionistica; basti, infatti, pensare alle sovvenzioni statali concesse agli
agricoltori e alle misure a favore delle industrie automobilistiche.
Un esempio di misura protezionistica, attuata recentemente in Europa, è
quella presentata dal presidente francese Nicolas Sarkozy per salvare l’industria
automobilistica. Tale misura, articolata in un piano quinquennale, prevede
12
Antonio Martino, in www.brunoleoni.it
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