IV
profughi, un numero imprecisato dei quali appartenenti alla
comunità bulgarofona.
Se ai dati del 1951 e del 1928 si associano, però, i risultati del
censimento del 1920, la Grecia cessa di essere quello stato
etnicamente omogeneo citato a modello di compattezza nazionale
da Angelopoulos. Nel 1920 solo l’80,75% della popolazione era
greca; il resto era composto da gruppi minoritari che differivano
dalla maggioranza per lingua, religione o appartenenza etnica.
Come spiegare la asimmetrie esistenti tra i dati di questo
censimento e le statistiche del 1928? Quali furono, in altre parole,
le cause della grande riduzione numerica della presenza minoritaria
in Grecia? Lo studio si propone di evidenziare gli aspetti cardine di
un processo di omogeneizzazione nazionale che, per il volume delle
persone interessate e per le soluzioni adottate, non ha precedenti né
uguali nell’Europa del primo dopoguerra.
L’interesse è rivolto ad analizzare la questione minoritaria in
cinque intervalli della storia greca. Vengono approfonditi il periodo
della formazione dello stato (1821-1881), gli anni delle due guerre
balcaniche (1910-1913), il conflitto mondiale (1914-1920), gli anni
venti e la prima parte del decennio successivo, fino alla dittatura
“metaxista” del quattro agosto (1930-1936). Due sono i livelli
dell’indagine. Da un lato si è cercato di evidenziare le linee guida
delle politiche minoritarie dei governi ellenici e l’impatto di queste
sulla società, con particolare attenzione alle risposte delle comunità
più direttamente interessate. Dall’altro si è provato a completare la
trattazione riportando, quando pareva opportuno, le opinioni, le
proposte e le critiche delle cancellerie europee e, in primis, della
diplomazia italiana.
Mi sia permesso di aprire una breve parentesi sull’uso, in
questo scritto, delle fonti dell’Archivio Storico-diplomatico del
Ministero degli Affari Esteri italiano (in seguito ASMAE). Con la
firma dei trattati di Neuilly (1919) e di Sèvres (1920), anche in
V
Grecia, come nel resto dell’Europa orientale, la questione
minoritaria, trattata fino ad allora come un fatto di politica interna,
diventa oggetto di dibattito nelle assemblee della Società delle
Nazioni. Il problema cessa di essere competenza esclusiva dello
stato per assumere nuova valenza internazionale. Lo studio del
carteggio diplomatico e para-diplomatico italiano (sul genere di
promemoria, memoriali riservati ed opuscoli a circolazione
interna), nonostante sia una fonte dichiaratamente di parte, ha
permesso di ampliare il discorso e di aprire una finestra sulla
percezione della questione da parte delle cancellerie europee.
Le difficoltà nella trattazione della questione minoritaria sono
oggettivamente notevoli. Per prima cosa non esiste, nella
storiografia contemporanea, un’analisi che si impegni con successo
in questa direzione e a tutt’oggi manca, almeno per la Grecia, una
visione generale del problema. Autorevoli saggi quali Stillborn
Republic. Social Coalitions and Party Strategies in Greece, 1922-
1936, di George Mavrokordatos
1
o The Balkan Exchange of
Minorities and its Impact upon Greece, di Dimitri Pentzopoulos
2
,
per citarne solo alcuni, appaiono limitati perché l’esame della
questione assume una valenza secondaria nell’economia di
entrambe le opere. A Mavrokordatos preme mettere in risalto gli
aspetti più significativi del regime parlamentare greco, mentre
Pentzopoulos concentra i suoi sforzi sull’analisi degli scambi di
popolazione. Altri studiosi, quali Alexandre Popovic in L’Islam
Balcanique. Les Musulmans du sud-est européen dans le période
1
G.Th. MAVROGORDATOS, Stillborn Republic. Social Coalitions and Party
Strategies in Greece, 1922-1936, University of California Press, Berkley – Los
Angeles, 1983, p.227
2
D. PENTZOPOULOS, The Balkan Exchange of Minorities and its Impact
upon Greece, Paris, Mouton & Co., The Hague, 1967.
VI
post-ottomane
1
, e Anastasia Karakasidou in Fields of Wheat, Hills
of Blood, Passages to Nationhood in Greek Macedonia, 1870-
1990
2
, hanno tratteggiato un quadro più dettagliato della questione
minoritaria in Grecia, occupandosi, però, rispettivamente di un solo
gruppo sociale (i mussulmani) e di un’unica regione (la Macedonia
ellenica).
Oltre che esaustiva, l’indagine dovrebbe essere imparziale.
Ancora nel 1982, il problema rimaneva, per Mavrogordatos, “[…] a
question heavily infused with emotion and largely obscured by the
diametrically opposed claims and interests of competing
nationalisms, for which it was of course the key issue”
3
. È un dato
di fatto che in molte opere la questione venga trattata con eccessiva
parzialità. Uno studio quale The Moslem Minority in Western
Thrace di K.G. Andreades
4
, seppur apprezzabile per la particolarità
del soggetto, consegna una descrizione della comunità mussulmana
che sembra più un depliant turistico della Tracia che non
un’inchiesta sulle condizioni di vita della minoranza. L’autore,
impegnato in prima persona nel governo della regione, aveva tutto
l’interesse ad evidenziare gli aspetti positivi e ad oscurare, quando
possibile, le mancanze dell’amministrazione ellenica. Death and
Exile. The Ethnic Cleansing of Ottoman Muslims, 1821-1922,
dell’americano J. McCarthy
5
, tradisce, nel caso opposto, un tono
eccessivamente carico nel descrivere le sofferenze patite dai
1
A. POPOVIC, L’Islam Balkanique. Les Musulmans du sud-est européen dans
le période post-ottomane, Osteuropa-Institut an der freien Universität Berlin,
Berlin, 1986.
2
A.N. KARAKASIDOU, Fields of Wheat, Hills of Blood, Passages to
Nationhood in Greek Macedonia, 1870-1990, The University of Chicago Press,
Chicago & London, 1997.
3
G.Th. MAVROGORDATOS, op.cit., p.227.
4
K.G. ANDREADES, The Moslem Minority in Western Thrace, Etairia
Makedonikon Spoudon, Thessaloniki, 1956
5
J. MCCARTHY, Death and Exile. The Ethnic Cleansing of Ottoman Muslims,
1821-1922, The Darwin Press, Inc, Princeton, New Jersey, 1995.
VII
mussulmani. Lo stesso discorso vale per Who are the
Macedonians?, del giornalista Hough Poulton
1
, il quale eccede in
toni drammatici, perdendo di vista la necessaria obiettività.
Prima di passare in rassegna le comunità analizzate, è utile
descrivere meglio che cosa si intenda per minoranza. Secondo
l’opinione di Francesco Capotorti, relatore speciale della
Sottocommissione delle Nazioni Unite per la prevenzione della
discriminazione e per la protezione delle Minoranze, il termine
definisce “[…] a group numerically inferior to the rest of the
population of the state, in a non-dominant position, whose members
– being nationals of the State – posses ethnic, religious or linguistic
characteristics differing from those of the rest of the population and
show, if only implicitly, a sense of solidarity, directed towards
preserving their culture, traditions, religion or language”
2
. La stessa
assemblea delle Nazioni Unite aveva definito la minoranza come un
gruppo non dominante (a non-dominant group) che possiede e
vuole preservare le proprie tradizioni etniche, linguistiche e
religiose. Quest’ultima formulazione si avvicina alla definizione
data dalla conferenza di pace del 1919 e, successivamente, accolta
nello statuto della Società delle Nazioni. Tutti i trattati di protezione
minoritaria, a partire da quello firmato il 28 giugno del 1919 dalla
delegazione polacca, riguardavano la tutela dei diritti delle “[…]
persone appartenenti a minoranze linguistiche, religiose o
razziali”
3
.
1
H. POULTON, Who are the Macedonians?, Hurst e Company, London, 1995.
2
Cfr. F. CAPOTORTI, Study on the Rights of Persons Belonging to Ethnic,
Religious and Linguistic Minorities, Collier-Macmillan, New York, 1991, p.96.
3
Cfr. P. CARABOTT, The Politics of Integration and Assimilation vis-a-vis
the Slavo-Macedonian Minority of Inter-war Greece: From Parliamentary
Inertia to Metaxist Repression, in P. MACKRIDGE-E. YANNAKAKIS (a cura
di), Ourselves and Others. The Development of a Greek Macedonian Cultural
Identity Since 1912, Berg, Oxford - New York, 1997, p.72.
VIII
Oltre alla definizione, in sé alquanto difficile, va operata una
distinzione tra quando una minoranza può essere considerata
nazionale e quando, più semplicemente, etnica. Una minoranza
nazionale è, per Mavrogordatos, un gruppo etnico che, oltre a
differire dalla maggioranza per linguaggio, cultura o religione,
tende ad identificarsi con un’altra nazione ed aspira
all’incorporazione in una differente entità statuale o alla secessione
per creare ex novo un proprio stato nazionale
1
.
Nonostante molte ambiguità, alcune delle quali oggetto di
studio, la posizione dei governi ellenici è sempre stata quella di
negare l’esistenza di minoranze nazionali, riconoscendo unicamente
la presenza di gruppi etnici. A partire dal 1913, in tutte le statistiche
di parte greca, vengono riportati il numero dei mussulmani e non
quello dei turchi, nel mentre le autorità ammettono la presenza di
una comunità slavofona o bulgarizzante, e non già l’esistenza di un
gruppo di lingua e, soprattutto, di sentimento nazionale bulgaro.
Non sono state prese in considerazione tutte le minoranze
residenti in Grecia, e fra quelle studiate non a tutte è stato dedicato
uguale approfondimento. Non è stata fatta menzione dei cattolici
delle isole dello Ionio, degli armeni, degli zingari e di tante altre
piccole comunità quali i pastori sarakatsani e i mussulmani
bulgarofoni (pomak) del Rodope. Allo stesso tempo, minoranze di
una certa importanza numerica, quali gli albanesi ortodossi
dell’Attica e i valacchi del Pindo, sono state solamente citate, non
ricevendo, in pratica, trattazione.
A voler tracciare una sorta di identikit dei gruppi analizzati,
l’interesse si è concentrato sulle quattro comunità di più difficile
assimilazione, ovvero i mussulmani, gli slavo-macedoni, gli
albanesi ciamurioti e gli ebrei sefarditi di Salonicco. I primi tre
gruppi vanno, a tutti gli effetti, considerati come delle minoranze
1
G.Th. MAVROGORDATOS, op.cit., p.227.
IX
nazionali, visto l’elevato grado di identificazione nei destini degli
stati nazionali confinanti e la comune riluttanza ad accettare la
fusione nella società ellenica. Pur priva di un paese straniero che ne
abbia mai reclamato la tutela, anche la comunità ebraica va
giudicata alla stregua delle altre minoranze nazionali, in virtù del
successo goduto dal sionismo e per la più che generalizzata
avversione ad accettare la sovranità ellenica.
È parso più interessante portare alla luce il rapporto
conflittuale tra questi gruppi e le istituzioni dello stato, piuttosto
che procedere alla trattazione dei casi nei quali l’assimilazione è
proceduta senza grandi ostacoli. Del resto, operando una grossolana
schematizzazione, più restio è un corpo sociale a farsi assorbire
dalla nazione dominante, tanto più grandi sono le possibilità di
distinguerlo dalla maggioranza. La popolazione valacca del Pindo,
di fede ortodossa e, tradizionalmente, di sentimenti filogreci, non ha
mai sollevato problemi a fondersi nella società ellenica, diventando
invisibile alle fonti a nostra disposizione. Nella parte dell’archivio
storico-diplomatico riguardante gli affari politici della Grecia, la
comunità valacca viene menzionata solamente in due casi, oltretutto
di scarsa importanza
1
. Per fare un raffronto, la popolazione
mussulmana della Ciamurià rappresenta l’oggetto di un numero
elevato di rapporti e di memoranda, senza contare le decine di
petizioni e le numerose risoluzioni della Società delle Nazioni sulla
questione.
Per concludere, mi sia permesso un ultimo cenno sulla
funzione e sul valore delle statistiche demografiche. Non sempre è
1
Cfr. R. Legazione in Atene a Ministero Affari Esteri (in seguito MAE),
Rapporti greco-rumeni, 17 novembre 1932-22 novembre 1932, n. 6270/833 in
ASMAE, Affari Politici Grecia 1930-1945, Pacco 3 (1932), Busta 1; R.
Legazione in Bucarest a MAE, Relazioni greco-rumene, 19 novembre 1932-22
novembre 1932, n. 2871/1075, in ASMAE, Affari Politici Grecia 1930-1945,
Pacco 3 (1932), Busta 1.
X
stato possibile accertare la veridicità dei dati in esame e, con ogni
probabilità non esiste, nella pubblicistica analizzata, una fonte tanto
manipolata e, potenzialmente, modificabile quanto l’etnografia. Gli
stessi censimenti ufficiali greci sono stati spesso soggetti a
correzioni. Si pensi all’opera dell’inglese H.R. Wilkinson, Maps
and Politics. A Review of the Ethnographic Cartography of
Macedonia
1
, nel quale scritto vengono segnalate le differenze,
spesso notevoli e non giustificabili, tra i risultati dei principali studi
cartografici sulla Macedonia, a partire dalla mappe etnografiche
dell’ottocento fino ai censimenti del secondo dopoguerra.
Il valore dei conteggi demografici deve essere considerato
relativo e non già come un fatto assoluto, da accettare
acriticamente. Così facendo la statistica diventa utile perché
contribuisce, più delle stesse parole, a fornire un’idea sulla
composizione etnica di un determinato territorio, fermo restando il
suo carattere di parzialità.
1
H.R. WILKINSON, Maps and Politics. A Review of the Ethnographic
Cartography of Macedonia, Liverpool, 1951.
11
PRIMO CAPITOLO
La formazione e la prima espansione del
regno
1.1 L’insurrezione del 1821
“Noi stiamo combattendo contro i nemici del Nostro
Signore e non potremo mai formare una società comune con loro
[…]. La nostra guerra non è offensiva ma difensiva; è una guerra
della giustizia contro l’ingiustizia, della Religione Cristiana contro
il Corano, della ragione contro l’insensatezza, la ferocia e la
tirannia”
1
.
La rivoluzione greca del marzo del 1821 ebbe inizio con
l’uccisione di un certo numero di ufficiali ottomani addetti alla
riscossione delle imposte
2
. In aprile i primi, sporadici scontri tra
1
Discorso del presidente della terza assemblea nazionale ellenica (Trizina, 9
aprile 1827). C.A. FRAZEE, The Orthodox Church and Independent Greece,
1821-1852, Cambridge, Cambridge University Press, 1969, p.69.
2
Bibliografia essenziale sul periodo della rivoluzione: G. CASTELLAN,
History of the Balkans. From Mohammed the Conqueror to Stalin, East
European Monographs, Boulder, New York, 1992; R. CLOGG, Storia della
Grecia Moderna, dalla caduta dell’impero bizantino ad oggi, Storia Paperback,
Bompiani, Milano, 1996; R. CLOGG, A Short History of Modern Greece,
Cambridge University Press, 1979; R. CLOGG (a cura di), Anatolica, Studies
in the Greek East in the 18
th
and 19
th
Centuries, Variorum Collected Studies
Series, 1996; R. CLOGG, The Struggle for Greek Independence: Essays to
Make the 150
th
Anniversary of the Greek War of Independence, Hamden Com.,
1973; D. DAKIN, The Greek Struggle for Independence 1821-1833, B.T.
Batsford, London, 1973; D. DAKIN, The Unification of Greece 1770-1923,
Benn, London, 1973; G.V. DERLITIS-K. KOSTIS, Themata Neollenikis
Istorias (18os-20os eonas), Ekdoseis Ad.N. Sakkoula, Athìna-Komotìni, 1991;
N. DIAMANDOUROS-J.P. ANTON-J.A. PETROPOULOS-P. TOPPING (a
cura di), Hellenism and the First Greek War of Liberation (1821-1830):
Continuity and Change, Institute for Balkan Studies, Thessaloniki, 1976; G.
FINLAY, History of the Greek Revolution, London, 1861; E.S. FORSTER, A
Short History of Modern Greece, 1821-1940, Methuen & Co. Ltd., London,
12
ribelli e truppe regolari si erano trasformati in uno stato di guerra
aperta tra popolazione ortodossa, pressoché totalmente identificata
con i rivoltosi, ed elemento mussulmano, sinonimo del potere
imperiale.
Gli amministratori, i soldati ed i grandi proprietari terrieri di
fede maomettana, al pari di un certo numero di ebrei e di alcuni
greco-ortodossi accusati di collaborazionismo, furono i primi
bersagli ad essere raggiunti dalla violenza cristiana. La stessa sorte
venne, però, riservata anche ai ceti mussulmani meno abbienti che
in comune all’élite ottomana avevano solo la religione professata.
Va aggiunto, in quanto degno di nota, che gran parte dell’elemento
islamico stanziato nella Morea e nelle altre zone coinvolte nel moto
insurrezionale, non era composto da turchi etnici, bensì da
convertiti grecofoni e albanofoni.
La religione professata rappresentava il fattore principale nella
differenziazione etnica. La tradizione ottomana delle millet era dura
a morire
1
. Il motto rivoluzionario lanciato nel marzo del 1821 dal
1941; C.A. FRAZEE, The Orthodox Church and Independent Greece, 1821-
1852, Cambridge, Cambridge University Press, 1969 Th. GORDON, History of
the Greek Revolution, Edinburgh and London, 1832; T.A. KOUOMOULIDES
(a cura di), Greece in Transition, Essays in the History of Modern Greece
(1821-74), London, 1977; L. MARCHESELLI-LUOKAS (a cura di), Rigas
Fereos. La Rivoluzione, la Grecia, i Balcani, Atti del Convegno Internazionale
“Rigas Fereos – Bicentenario della morte” Trieste, 4-5 dicembre 1997, Lint,
Trieste, 1999; W.A. PHILLIPS, The War of Greek Independence, 1821 to 1833,
New York, 1897; C.M. WOODHOUSE, The Greek War of Independence: Its
Historical Setting, London, 1952; C.M. WOODHOUSE, Modern Greece: A
Short History, Faber and Faber, London and Boston, 1968.
1
Non è chiara la genesi del sistema delle millet, certo è che la sua struttura
classica si formò in un lungo lasso di tempo. I benefici accordati alla chiesa
ortodossa si trovavano raccolti in un berat del quindicesimo - sedicesimo
secolo. Nonostante il processo di formazione sia ancora parzialmente oscuro,
risulta certo che il patriarca ortodosso di Costantinopoli, in qualità di millet-
baši, avesse ampia giurisdizione sul suo gregge di fedeli nell’amministrazione
della giustizia civile e nell’organizzazione dell’istruzione. Il patriarca aveva,
altresì, il diritto di riscuotere le tasse ecclesiastiche e la sua autorità veniva
delegata, a livello provinciale, ai metropoliti ed ai vescovi. Cfr. N.J.
13
metropolita Germànos suonava così: “Pace ai cristiani! Rispetto
agli ambasciatori! Morte ai turchi!”
1
, dove il termine turco era
onnicomprensivo e stava ad identificare la totalità della popolazione
mussulmana.
Nelle zone sotto controllo ribelle iniziava una colossale caccia
all’uomo tendente ad eliminare i mussulmani, primo e più tangibile
segno della plurisecolare presenza ottomana. Stando allo studio di
G. Finlay, nell’aprile del 1821 la Morea, la Boezia e le altre aree
della Grecia centrale contavano la presenza di circa 20.000
mussulmani. Si trattava, in prevalenza, di persone dedite
all’agricoltura. In meno di due mesi questo gruppo era ormai
scomparso. La maggior parte, comprese donne e bambini, era stata
massacrata senza pietà e solo pochi erano riusciti a salvarsi,
trovando rifugio nelle zone ancora in mano governativa. Molti anni
dopo la rivolta, un vecchio greco, indicando delle rovine ad uno
straniero di passaggio, raccontò: “[…] qui si ergeva la torre
(pyrgos) di Alì Aga, e qui uccidemmo lui, il suo harem ed i suoi
schiavi”
2
.
Quasi tutti gli studi sulla rivoluzione greca non hanno mai
concordato sull’entità numerica della presenza mussulmana in
Morea (Peloponneso) e nelle altre zone interessate dai moti
insurrezionali. Data la carenza di statistiche certe, è difficile
disporre di un calcolo sicuro sulle vittime. Per quanto riguarda il
Peloponneso, epicentro degli scontri, Douglas Dakin calcola che i
morti tra i mussulmani furono non meno di 15.000
3
. Questo
conteggio risulta una delle stime più basse a nostra disposizione.
Per Finlay, 15.000 furono esclusivamente i caduti nei primi due
PENTAZOPOULOS, Church and Law in the Balkan Peninsula during the
Ottoman Rule, Institute for Balkan Studies, Thessaloniki, 1967.
1
J. MCCARTHY, Death and Exile…, p 11.
2
G. FINLAY, History of the Greek Revolution, London, 1861, p.172.
3
D. DAKIN, The Greek Struggle in Macedonia, 1897-1913, Institute for
Balkan Studies, Thessaloniki, 1993, p.59.
14
mesi di combattimento. W.A. Phillips va oltre e porta il macabro
numero delle perdite mussulmane a 25.000, in altre parole l'intera
comunità della regione. Se il totale delle vittime rimane incerto,
resta sicura e provata la ferocia dei rivoltosi ortodossi nei confronti
degli infedeli. A questa considerazione giunge J. McCarthy quando
afferma che tutti i mussulmani presi prigionieri furono uccisi,
eccezione fatta per una piccola percentuale di donne e bambini
risparmiati per essere ridotti in schiavitù
1
.
Eppure, ancora oggi, la rivoluzione del 1821 viene spesso
dipinta come un genuino movimento nazionale volto a liberare il
suolo ellenico dalla tirannia del “turco”. A. Kitroeff, in un recente
studio sulla storiografia greca contemporanea, sottolinea la
tendenza a dipingere la lotta contro gli ottomani come l’apice della
resurrezione nazionale del popolo greco, unito e compatto nella
cacciata dell’oppressore asiatico
2
. Questa concezione si riallaccia al
fortunato filone di certa storiografia balcanica impegnata a
considerare i primi moti insurrezionali, quali quello serbo del 1804
e quello greco del 1821, come dimostrazione inconfutabile del
risveglio nazionale dei popoli balcanici.
Nel caso specifico della rivolta serba risulta semplice negare
questa tesi ricordando come le ostilità abbiano avuto origine dal
malcontento della popolazione contadina cristiana, stanca dei
soprusi dei grandi proprietari terrieri (ayan) e al limite della
1
J. MCCARTHY, Death and Exile…, op. cit., p.11.
2
A. KITROEFF, Continuity and Change in Contemporary Greek
Historiography, in “European History Quarterly”, Sage Publications, Vol.19,
n.2, April 1989, p.275. Lo stesso studio è pubblicato in M. BLINKHORN-T.
VEREMIS (a cura di), Nationalism and Nationality, Sage-ELIAMEP, Athens,
1990. Cfr. anche G. AUGUSTINOS, Culture and Authencity in a Small State:
Historiography and National Development in Greece, in “East European
Quarterly”, Vol. XXIII, n.1, March 1989; G.C. SOULIS, Historical Studies in
the Balkans in Modern Times, in B. e C. JELAVICH (a cura di), The Balkans in
Transition; Essays on the Development of Balkan Life and Politics since the
Eighteenth Century, Archon Books, 1974.
15
sopportazione nei confronti dei giannizzeri, l’élite militare
ottomana ormai degenerata in una classe inefficiente di mercenari
corrotti
1
. Solo in un secondo tempo, quando Karageorge fu in grado
di mettersi a capo delle bande di armati, l’insurrezione assunse i
toni di lotta violenta e feroce dell’elemento cristiano contro la
popolazione mussulmana. Ma anche in questo caso la lotta ebbe per
scopo il possesso della terra coltivabile, mediante l’eliminazione
fisica o l’espulsione dei grandi proprietari mussulmani, non certo
l’affermazione di una coscienza nazionale serba ancora in fieri e
patrimonio di una ristretta cerchia di intellettuali, di solito residenti
all’estero
2
.
Per quanto riguarda il caso greco, la situazione era assai più
complessa perché la stessa società ellenica aveva molte più
sfaccettature di quella serba, tradizionalmente rurale, fatta
1
“Come in altre province ottomane, a quel tempo anche in Serbia i poteri legali
dello stato non erano in grado di vigilare sull’ordine legale. […] La protesta dei
Serbi nelle campagne era rivolta contro i nuovi illeciti tributi, contro gli
usurpatori che li riscuotevano, e per la restaurazione dell’ordine fondiario-
fiscale tradizionale” in M. DOGO, I Serbi di Trieste e del beogradski pašaluk
al tempo di Rigas, in L. MARCHESELLI-LOUKAS (a cura di), op.cit., p. 47.
Sulla società serba dell’inizio diciannovesimo secolo, cfr. S. PAVLOVICH,
Society in Serbia, 1791-1830, in R. CLOGG (a cura di), Balkan Society in the
Age of Greek Independence, Totowa, New Jersey, 1981.
2
Cfr. K.H. KARPAT, An Inquiry into the Social Foundations of Nationalism in
the Ottoman State: From Social Estates to Classes, From Millets to Nations,
Research Monograph n.39, Center of International Studies, Princeton
University, July 1973. In merito alla nascita della questione nazionale nei
Balcani, cfr. G.ARNAKIS, The Role of Religion in the Development of Balkan
Nationalism, in Ch. and B. JELAVICH, (a cura di), The Balkans in
Transition…, op.cit.; P. KITROMILIDES, “Imagined Communities” and the
origins of the National Question in the Balkans, in M. BLINKHORN-Th.
VEREMIS (a cura di), op.cit.; M.B. PETROVIC, Religion and Ethnicity in
Eastern Europe, in P.F. SUGAR (a cura di), Ethnic Diversity and Conflict in
Eastern Europe, Santa Barbara, California/Oxford, England, 1980; P.F.
SUGAR, External and Domestic Roots of Eastern European Nationalism, in
P.F. SUGAR-I.J. LEDERER (a cura di), Nationalism in Eastern Europe, Far
Eastern and Russian Institute, University of Washington, Seattle, 1969.
16
eccezione per un settore dedito ai commerci con l’Europa centrale.
Anche in questo caso, però, risulta errato pensare che la rivolta
abbia assunto da subito un carattere marcatamente nazionale. Fino a
tutto il primo quarto del diciannovesimo secolo nessuna corrente
culturale fu, infatti, responsabile della nascita e dello sviluppo di un
concetto di nazione greca che risultasse accettabile a tutta la società.
La più diretta conseguenza del riconoscimento di certe distinzioni
etniche all’interno del sistema ottomano, frutto del processo di
osmosi con la cultura occidentale, non fu, comunque, sufficiente a
produrre quella visione moderna, necessaria per una corretta
articolazione del concetto in questione
1
.
A proposito del significato da conferire al termine di nazione,
Ernest Gellner afferma che “[…] due uomini sono della stessa
nazione se e soltanto se condividono la stessa cultura, dove cultura
significa a sua volta un sistema di idee, di segni, di associazioni, di
modi comportamentali e di comunicazione”
2
. Accanto a questa
formulazione per così dire “culturale”, Gellner aggiunge una nuova
definizione “volontaristica” affermando che “[…] due uomini sono
della stessa nazione se e soltanto se si riconoscono reciprocamente
appartenenti alla stessa nazione” (corsivo dell’autore); in altri
termini “[…] le nazioni sono i manufatti delle convinzioni, delle
lealtà, della solidarietà degli uomini”. Queste due definizioni sono
comunque provvisorie e non risolvono il problema alla radice anche
se, come afferma Gellner, “[…] ciascuna mette in luce un elemento
che è di reale importanza per la comprensione del nazionalismo”.
1
Cfr. R. CLOGG, Aspects of the Movement for Greek Independence, e C.
KOUMARIANOU, The Contribution of the Intelligentsia, in R. CLOGG (a
cura di), The Struggle for Greek Independence…, op. cit.; L.S. STAVRIANOS,
The Influence of the West on the Balkans, p.191, in B. e C. JELAVICH (a cura
di), The Balkans in Transition…, op.cit.
2
E. GELLNER, Nazioni e nazionalismo, Editori Riuniti, Roma, 1992, p.10.
17
Pur senza approfondire il discorso, appare con evidenza
quanto la composita società greca fosse lontana dal possedere una
comune coscienza nazionale nel senso moderno del termine.
La formulazione “culturale” nega in partenza la possibilità
dell’esistenza, a cavallo tra diciottesimo e diciannovesimo secolo,
di una coscienza nazionale patrimonio dell’intera società. Gli unici
comuni denominatori erano la lingua e la religione. Ma, come
notato da Kemal Karpat, “[…] la comunanza della lingua non
produce necessariamente l’autoidentificazione di un individuo con
un gruppo etnico o nazionale di cui è tipica quella particolare
lingua”
1
. Il greco continuava ad essere la lingua franca dei
commerci nei Balcani e l’idioma della liturgia ufficiale ortodossa
così come, fatte le debite proporzioni, oggi l’inglese è diventato il
mezzo più comune di comunicazione per la maggior parte della
popolazione mondiale. “In nessuno di questi casi”, riportando le
parole di Karpat, “l’uso di una particolare lingua ha avuto alcun
effetto sull’etnicità o sul nazionalismo degli utenti non di
madrelingua”. Per Karpat si può arrivare alla formazione di una
particolare identità che porti ad una coscienza politica solo se alla
lingua viene affidata tale funzione, “[…] vale a dire, se diviene il
marchio politico di un particolare gruppo”.
Allo stesso modo, risulta difficile trovare dei punti di contatto
tra la formulazione per così dire “volontaristica” e la particolare
esperienza greca. Pensare che l’insieme delle popolazioni della
Grecia si riconoscessero in un’unica e non meglio specificata
nazione greca, significa non distinguere la grande influenza
esercitata per secoli dalla cultura ufficiale. Il processo di
affrancamento dalla tradizionale visione ortodossa era ancora in
fieri e riguardava solamente una sezione ristretta dell’élite
intellettuale. Il monopolio culturale gestito dal patriarcato e il
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K.H. KARPAT, Gli Stati balcanici ed il nazionalismo: l’immagine e la realtà,
in “Quaderni Storici”, n.3, dicembre 1993, p.697.