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INTRODUZIONE
La comunicazione è un atto razionale, dove per razionalità si intende il miglior
adeguamento delle risorse del soggetto per il raggiungimento di uno scopo in una
particolare circostanza (dire le cose giuste nel modo più adatto, nel momento
opportuno). Essa è comunque limitata perché limitate sono le abilità cognitive e le
capacità di reagire alle difficoltà poste dalla situazione. Il concetto di razionalità è legato
a quello di interesse-coinvolgimento, che riguarda le motivazioni individuali. Esse sono
generate dalla biografia dell’attore e dagli scopi che vuole raggiungere. Comunicare,
allora, non è un semplice scambio di informazioni ma una costruzione negoziata di
significati in base all’identità degli attori sociali, alle loro motivazioni, al contesto, alla
situazione comunicativa (Livolsi, 2007).
Un principio della comunicazione umana, dietro la cui apparente semplicità si celano
implicazioni estremamente feconde e complesse,è quello di Watzlawick, Beavin e
Jackson (1971).
Tale principio è intuitivamente desumibile da un facile ragionamento: l’atto del
comunicare (sia attraverso il linguaggio analogico sia per mezzo di quello numerico-
simbolico) costituisce di fatto un comportamento.
Dato che è impossibile che un sistema vivente (quindi anche un’ organizzazione, un
gruppo di persone o un’azienda) possa non avere un comportamento, ne consegue il
principio secondo cui: non è possibile non comunicare (Watzlawick et al., 1971).
La semplice presenza fisica di un soggetto all’interno di un certo concetto rappresenta,
di fatto, un comportamento e ha quindi un effetto comunicativo: quando un essere
umano rientra all’interno del fuoco percettivo di un suo simile non può non trasmettere
un qualche tipo di messaggio, e quindi comunicare.
Potrà non rivolgergli la parola, evitarne il contatto oculare, farsi “ piccolo piccolo” e
occupare un minimo di spazio per passare in osservato ecc.; tuttavia anche così
comunicherà inesorabilmente qualcosa( per esempio, che non vuole parlare e desidera
passare inosservato); la sua stessa fisicità è interpretabile come un segno il cui
significato minimo è appunto quello di “ esserci”, occupando un posto nello spazio
(Watzlawick et al., 1971) .
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Sulla base di questo principio è possibile comprendere come in un normale scambio
comunicativo tra due o più persone, di tipo diretto ( o “ faccia a faccia”, e cioè nel quale
i partecipanti sono fisicamente presenti nello stesso contesto situazionale, e non si
scambiano messaggi attraverso qualche tipo di media), gli individui utilizzano sempre
sia il linguaggio “numerico” sia quello “analogico”. I due tipi di linguaggio tendono
costantemente a integrarsi in un gioco di reciproca complementarietà.
In ogni situazione comunicativa “ faccia a faccia” ciascuno di noi si trova- più o meno
consapevolmente- a emettere una grande quantità di segnali analogici che
accompagnano, integrano o sostituiscono quelli linguistici in un flusso “ multi – codice”
e “ multi – canale”, diversamente armonioso e coerente a seconda delle circostanze e,
degli stati emozionali che la situazione comunicativa stessa viene a generare. Gli
studiosi etologici hanno mostrato come la maggior parte dei messaggi degli animali si
scambiano tra loro ( per esempio, marcatori del territorio, richiami amorosi,
atteggiamenti di sottomissione o supremazia ecc.) non sono finalizzati a trasferire
contenuti informativi rispetto a stati del mondo, quanto piuttosto a definire la natura
delle relazioni tra gli “ attori in gioco” (Camaioni e Perucchini 2001).
La comunicazione non verbale è “ agita” per mezzo del corpo. Più in particolare, nella
nostra specie i messaggi analogici o non verbali possono essere prodotti attraverso
(Livolsi, 2007):
• Gli atteggiamenti posturali
• La mimica facciale
• La gestualità
• La gestione della distanza dagli altri (prossemica)
• I segni paralinguistici (il tono e più in generale la modulazione della voce)
Faremo una breve analisi di questi messaggi per poi soffermarci successivamente, nei
prossimi capitoli, sulla gestualità.
Per quanto riguarda la faccia, essa è il più importante canale della nostra espressività,e
utilizza tra segnali volontari ed involontari. I ricercatori ne hanno distinto tre aree: la
regione frontale, la parte mediana (naso-occhi), la parte inferiore (bocca-mascella).
Comunque, anche prima della mimica facciale, già la conformazione stessa e i
lineamenti rappresentano un insieme di segnali efficaci in quanto involontari. Alla base
vi è la sensibilità degli esseri umani verso i tratti infantili. Il fatto che questo tipo di
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lineamenti susciti tenerezza e simpatia è stato efficacemente utilizzato dai disegnatori
della Walt Disney.
Gli atteggiamenti posturali sono invece, il modo con cui gli individui si muovono e
occupano lo spazio e costituiscono un insieme di segnali analogici attraverso cui essi
manifestano la propria personalità e i propri stati d’animo. Gli elementi che consentono
di assumere la postura eretta sono la dislocazione del peso lungo i vari tratti della
colonna vertebrale e degli arti inferiori, e la maggiore o minore apertura della postura
assunta in relazione alla posizione delle braccia. Per questo motivo i soggetti che
riescono a distribuire correttamente il peso sulle gambe sono percepiti come individui
sicuri di sé e aperti al mondo esterno; all’opposto, tenere la testa piegata verso il basso
veicola una sorta di insicurezza e introversione.
La prossemica è l’insieme di regole in base alle quali gli individui gestiscono lo spazio
che li circonda quando si trovano insieme agli altri. Lo spazio prossemico all’interno del
quale si muovono gli individui è costituito da sfere concentriche virtuali aventi come
centro il corpo.
La prima, più vicina, riguarda lo spazio intimo (50 cm). Essa è carica di valenze
affettive e psicologiche, e solo le persone a noi più vicine possono accedervi senza che
ciò possa essere considerato una minaccia.(disagio relativamente modesto di ritrovarsi
in un ambiente molto affollato, in cui il proprio spazio intimo viene involontariamente
invaso, oppure in ascensore).
La seconda è la sfera personale che segue lo spazio intimo e finisce a circa un metro di
distanza dal proprio corpo. Possono accedervi le persone che hanno confidenza con noi,
ma non quanto quelli della sfera intima. La terza è la sfera sociale, all’interno della
quale teniamo le persone con cui non abbiamo rapporti affettivi (colleghi, conoscenti).
La quarta è la zona pubblica che è la distanza oltre la quale un soggetto parlante tende a
tenere un pubblico relativamente numeroso (insegnante in aula, conferenza).
I segnali paralinguistici sono invece, tutte le componenti della produzione vocale che
danno forma al nostro modo di parlare: tono, ritmo, pause. Indice di insicurezza è
parlare molto velocemente. Ogni occasione relazionale prevede un uso adeguato dei
segni paralinguistici.(affronteremo questo argomento nel capitolo 3.)
Infine, i messaggi non verbali che interessano di più per questo studio sono quelli
riguardanti la gestualità. Essa ha una forte connessione con il linguaggio verbale.
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L’esperienza quotidiana che ciascuno di noi ha al riguardo è sufficiente a cogliere la
rilevanza di tale veicolo di comunicazione.
Mentre parliamo, le nostre mani sono costantemente impegnate in movimenti più o
meno ampi e veloci che accompagnano l’emissione vocale e i contenuti espressi a
livello “ numerico”, accentuando certi passaggi, esplicitando stati emozionali interni,
simulando oggetti e situazioni.
L’intensità di tali movimenti varia naturalmente da individuo a individuo, ma è
influenzata in maniera rilevante anche dalle pratiche culturali presenti presso i diversi
gruppi umani.
È noto come i popoli mediterranei abbiano una gestualità molto più ricca e articolata
rispetto a quello dei nordici, in cui l’esempio stereotipico è rappresentato dagli inglese,
famosi per la loro compostezza che a noi italiani appare talvolta freddezza e distacco
(Livolsi, 2007).
La gestualità, come del resto gli altri canali attraverso cui transitano segnali analogici,
mostra una forte interconnessione e sintonia con il linguaggio verbale: precedendolo sul
piano della storia della specie umana, non è stata annullata dal sorgere del linguaggio,
ma piuttosto si è integrata in esso, diventandone elemento di supporto e rinforzo
espressivo.
Secondo alcune ricerche (ad es., Kendon, 2004), il movimento delle mani faciliterebbe
il recupero di contenuti mnemonici di tipo linguistico.
Questi esperimenti mostrano come soggetti invitati a ricordare il nome di oggetti di
poco comuni o desueti tendano a farlo con molta maggiore facilità se hanno le mani
libere di muoversi e di “simulare” la forma dell’oggetto in questione, mentre il compito
si dimostra decisamente più difficile se sono costretti a tenere in mano una sbarra di
ferro di un certo peso che impedisce loro una naturale gestualità. Sul piano analitico, si
tende a distinguere la gestualità umana in base alla velocità e all’ampiezza dei gesti.
Lo stesso tipo di movimento trasmette messaggi analogici diversi a seconda che sia
effettuato in maniera lenta e ampia oppure rapida e contratta.
In linea generale, i movimenti lenti e ampi rimandano un’impressione di sicurezza,
capacità di controllo, autorevolezza e, se sono esasperati ma in maniera credibile,
persino di solennità.
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Viceversa, una gestualità rapida e “minuta” suggerisce un’ immagine di vivacità,
velocità di pensiero ma anche, oltre certi limiti, di eccitazione e inquietudine (Livolsi,
2007).
Come corollario generale, se la gestualità dell’altro è intesa ed evidente si tende a
ritenere il soggetto molto attivo sul piano effettivo ed emozionale.
Non a caso le discussioni animate sono accompagnate da un’intensa attività
gesticolatoria che tende a generare un effetto di rinforzo, “riscaldando”
progressivamente la situazione.
Sul piano del significato la gestualità presenta più livelli di costruzione e articolazione.
A un primo livello abbiamo i movimenti spontanei delle mani e delle braccia, il cui
significato è connesso principalmente con l’espressione degli stati emozionali interni.
Su un piano più articolato, ma integrato al precedente, vi sono invece alcuni gesti che
hanno un vero e proprio valore segnico codificato sul piano culturale( è il caso, per
esempio, delle due dita a “v” che, a seconda dei contesti, indicano “vittoria” piuttosto
che “ho bisogno di una toilette”).
Vi sono infine veri e propri linguaggi simbolici artificiali costruiti attraverso l’uso della
gestualità, come quelli sviluppati per consentire ai sordomuti di esprimersi (Livolsi
2007), che approfondiremo nei prossimi capitoli.
Quindi, perché quando parliamo spesso muoviamo le braccia e le mani? Quale tipo di
forma e significato assumono questi movimenti? A quale scopo vengono utilizzati dai
parlanti? E dagli interlocutori? Hanno funzioni specifiche all’interno del discorso? E
dell’interazione? Quale ruolo hanno nella comunicazione a scopo persuasivo?
Nella comunità scientifica, l’interesse per i gesti delle mani è molto antico, tuttavia la
rilevanza dello studio scientifico per questo aspetto della comunicazione è piuttosto
recente (Maricchiolo Bonaiuto 2009), facendo emergere una quantità di questioni
teoriche. Molti studi hanno indicato che i gesti, prodotti durante il parlato,
giocherebbero un importante ruolo nella trasmissione e comunicazione d’informazioni
semantiche a chi ascolta (cfr., tra gli altri, Alibali, Flevarese Goldin-Meadow, 1997;
Beattie e Shovelton, 2002; Maricchiolo e Bonaiuto 2009). Altri studi hanno suggerito
che i gesti potrebbero essere utili anche per alcuni scopi del parlante: come, ad esempio,
per facilitare la produzione linguistica e sintattica del parlato (cfr. Krauss, Chene
Chawla, 1996) o per influenzare, persuadere e procurarsi consensi (Burgoon, Birk e
Pfau, 1990; Carli, LaFleur e Loeber, 1995).
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Ispirandosi ai risultati non del tutto definitivi di tali studi, il lavoro di tesi qui presentato,
ha come intento principale quello di rispondere ai quesiti posti sopra.
Il punto di partenza è stato l’interesse per l’interazione comunicativa nei suoi aspetti
verbali e non verbali. In particolare l’interesse si basa sul legame di coordinazione tra
aspetti verbali e aspetti gestuali della comunicazione orale.
Allo scopo di pervenire a tali obiettivi, la tesi si è articolata in tre parti: la prima parte,
approfondisce le tecniche per la codifica dei gesti delle mani durante l’interazione
illustrando alcuni atti analogici, la seconda, la classificazione e strutturazione dei gesti
delle mani e la terza la relazione tra i gesti e alcuni aspetti linguistico-discorsivi della
comunicazione orale e l’efficacia persuasiva di tale relazione.