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mica repubblicana con la loro opera sia in campo lavorativo che familiare,avendo in
cambio il riconoscimento di alcuni istanze(diritto al voto,parità salariale)contrabban-
date come coronamento della ormai raggiunta ed acquisita parità uomo-donna.
Quanto affermato sin qui ci fa comprendere perché risulta inaccettabile il modo at-
traverso il quale è stato considerato il problema della emancipazione femminile.Paola
Gaiotti De Biase nell’introduzione al suo libro”Le origini del movimento cattolico
femminile”lamenta peraltro la rarità degli studi,soprattutto in Italia,sul problema della
protesta femminile e sull’assenza di passione ed impegno storico-critico con cui sono
stati condotti
1
.
L’arco storico che si prenderà qui in esame va dall’età giolittiana al secondo dopo-
guerra.Questa scelta non è casuale e perciò va chiarita.Il problema dell’emancipazio-
ne delle donne,non nasce ovviamente nell’età giolittiana ma è durante questi anni che,
sulla scia di quanto accaduto nella seconda parte dell’Ottocento con la comparsa delle
prime emancipazioniste,viene posto in maniera organica,anche grazie alla nascita dei
primi movimenti femminili organizzati.Tutto ciò fu una logica conseguenza dei muta-
menti intervenuti nella società a partire dalla prima rivoluzione industriale.Infatti,con
l’industrializzazione si posero tutta una serie di problemi,non solo di carattere produt-
tivo.Ad esempio alcune condizioni in cui si lavorava nelle fabbriche,spesso fatiscenti,
innescarono le prime rivendicazioni del nascente movimento dei lavoratori.Anche le
donne furono coinvolte in questi cambiamenti e non è casuale che proprio a partire da
questo periodo storico le stesse donne,per la prima volta nella storia dell’umanità,
1
P.Gaiotti De Biase,Le origini del movimento cattolico femminile,Brescia,1963,p.5
4
acquisirono la consapevolezza di poter lottare per i propri diritti,non individualmente
ma collettivamente,attraverso la creazione di organizzazioni atte al conseguimento di
obiettivi precisi.
Come ha sottolineato Vittorio Foa il periodo 1900-1915 è uno dei più contrad-
dittori ed al tempo stesso uno dei più interessanti della nostra storia. La sua contrad-
dittorietà è individuabile nel percorso involutivo che compie
2
.Infatti,il nuovo secolo
nasce sulla base di una grande affermazione democratica e progressista che col pas-
sare degli anni si tramuta nel suo esatto contrario.L’interesse che questo quindicen-
nio suscita,a sua volta,deriva dal fatto che in esso sono rintracciabili tutti quegli ele-
menti che consentono di comprendere le epoche successive.Alcune delle istanze di
cui si sentirà parlare anche in seguito(per esempio la partecipazione attiva delle mas-
se alla vita politica),alcune delle speranze coltivate(uguaglianza non solo davanti al-
la legge ma anche in ambito socio-economico),alcune delle alternative politiche che
interesseranno anche il futuro(il cattolicesimo politico,il socialismo,le tentazioni au-
toritarie) erano già presenti in questa epoca.Il tutto avvenne sotto l’egida di Giovanni
Giolitti. Il suo esordio sulla scena politica è datato 1889-90 quando ricoprì l’incarico
di Ministro del Tesoro nel governo Crispi.Nel 1892 venne eletto Presidente del Con-
siglio ma l’anno successivo fu costretto a dimettersi;ottenne poi l’incarico di Ministro
degli Interni nel governo Zanardelli(1901-03).Iniziò il suo secondo governo che,tran-
ne qualche breve parentesi durerà dal 1903 al 1914,con tre mandati consecutivi(“età
giolittiana”).La sua politica riuscì a dare un certo impulso economico al paese mante-
2
V.Foa,Questo novecento,Torino,1996,p.26
5
nendo,da un lato il protezionismo ed iniziando,dall’altro,un’azione di sostegno statale
all’industria mediante commesse ed operazioni bancarie.Con queste direttive egli ten-
tò di sconfessare il vecchio teorema della somma zero secondo cui al vantaggio di u-
no deve inevitabilmente corrispondere lo svantaggio di un altro.Giolitti invece ambi-
va a realizzare un livello di benessere che fosse accessibile a tutti.Così si spiegano il
suo atteggiamento tollerante verso il movimento operaio e gli scioperi per motivi eco-
nomici e salariali e la sua volontà di dar vita ad una dinamica legislazione sociale.
Rientra in quest’ottica l’accordo politico che lo statista piemontese strinse nel 1903
con il leader socialista Filippo Turati,al fine di accoglierne almeno in parte le richie-
ste depotenziando così le frange più radicali e rivoluzionarie del movimento opera-
io.Contemporaneamente,Giolitti tentò di non scontentare eccessivamente le altri clas-
si sociali mediante concessioni che misero in risalto le sue capacità di acrobata ed
equilibrista della politica. Paradossalmente, come sottolinea ancora Vittorio Foa,sa-
ranno proprio queste capacità a rappresentare l’anello debole della strategia giolit-
tiana,fino a decretarne la fine
3
.Giolitti stesso non si accorse che le sue mediazioni
andavano al di là dei suoi stessi intenti.Da efficace strumento di composizione dei
conflitti di classe esse si trasformarono in altrettanti efficaci strumenti di crescita del-
le classi contrapposte,che a lungo andare divennero insofferenti verso i limiti sempre
più angusti di quegli equilibri scaturiti proprio da quelle mediazioni.Gli eventi del
1911 forniscono un esempio di quanto detto.Infatti,in quell’anno Giolitti,per soddi-
sfare la destra imperialista,decise di scatenare la guerra libica contro la Turchia.Così
3
Ibidem,p.30
6
facendo non solo aprì una crisi internazionale di vaste dimensioni ma mise a re-
pentaglio l’intesa faticosamente costruita coi socialisti,da sempre antibellicisti.Per
recuperare terreno nei loro confronti l’allora Presidente del Consiglio pensò bene di
concedere il suffragio universale,anche se solo maschile(ancora una volta furono le
donne a dover sopportare i costi sociali di ambigui compromessi politici).L’introdu-
zione di quest’ultimo,che avvenne due anni dopo suscitando tra l’altro,come vedremo
in seguito,il miope compiacimento di Turati a cui fece da contraltare l’amaro quanto
lucido e sibillino disappunto della Kuliscioff,fu uno degli ultimi atti significativi del-
la età giolittiana.Da quel momento in poi,lo statista piemontese fu travolto dagli e-
venti e a nulla valsero gli accordi stipulati con l’area cattolica attraverso il patto Gen-
tiloni,in base al quale l’elettorato cattolico avrebbe dato il voto ad uomini decisi a so-
stenere in parlamento la scuola privata,l’istruzione religiosa e l’indissolubilità del ma-
trimonio.Nel 1914 Giolitti,fautore di una soluzione neutralista allo scoppio della pri-
ma guerra mondiale,si dimise.L’età giolittiana era terminata.
La caratteristica principale della strategia politica giolittiana è dunque la volontà di
mediazione.Essa nasce dall’esigenza di compattare spinte ed istanze contrapposte,ini-
zialmente inconciliabili.Porsi apertamente al fianco di uno degli schieramenti in cam-
po sarebbe stato un suicidio politico perché,vista la natura antitetica degli stessi schie-
ramenti,si sarebbe prodotta una deleteria radicalizzazione degli scontri che avrebbe,a
sua volta,dato adito all’interno del tessuto sociale a pericolose lotte intestine.La me-
diazione dunque,era necessaria.Quest’ ultima,per essere proficua,deve svolgersi
secondo i canoni di una corretta dialettica fino a culminare nel raggiungimento della
7
sintesi di posizioni originariamente differenti.Quando invece,ed è quel che accadde
in età giolittiana,la mediazione si basa sulla stipulazione di artificiosi quanto acroba-
tici compromessi,si ottengono risultati opposti a quelli auspicati.Si vuole accontentare
tutti e si finisce con lo scontentare tutti.In una sola parola si ha il dominio dell’ambi-
guità.E proprio l’ambiguità,come nota Franca Pieroni Bortolotti,diventa l’elemento
saliente e pervasivo di quest’epoca al punto tale da non consentire un giudizio con-
clusivo su questo periodo.Gli stessi storici infatti producono giudizi ambivalenti.Se
l’età giolittiana viene comparata alla seconda metà dell’Ottocento essa appare come
un arco storico contrassegnato da un forte conservatorismo,figlio di una cupa stagna-
zione.Se invece la comparazione viene effettuata con la successiva epoca fascista,si
ha addirittura l’impressione di trovarsi di fronte ad un era dinamica e comunque non
estremamente conservatrice.
4
Anche le donne risentirono dei caratteri di fondo di questo periodo al punto che il
movimento femminile,con tutte le sue diverse anime,può essere considerato come u-
na sorta di microcosmo nel quale si riverberarono e si proiettarono tutte le tensioni,
tutte le divaricazioni e tutte le ambiguità di quel complesso universo che fu la società
giolittiana. E dire che il secolo era cominciato sotto la spinta del più ottimistico dei
presagi:la costruzione di una nuova società.Una società più giusta che avrebbe avuto,
nell’avvento della”donna nuova”,l’unica variabile dirompente ed eversiva in grado di
scardinare i vecchi modelli sociali e culturali.Ma come si diceva,le donne,rimasero
prigioniere di tutte le contraddizioni dell’età giolittiana,ginepraio inestricabile nel
4
F.Pieroni Bortolotti,La questione femminile in Italia dall’età giolittiana ad oggi,in M.Abrate,Società e Stato nell’età
giolittiana.Strutture economiche forze sociali e lotta politica,Torino,1976,p.295
8
quale si arenarono le speranze per l’emancipazione,non solo di quello che a torto
ancora oggi viene definito”il sesso debole”,ma della stessa società e della democra-
zia.
1.1 Le condizioni economiche e i conflitti sociali
Il periodo giolittiano coincide con il decollo industriale dell’Italia.Altrove questa
evoluzione era già in atto ma nel nostro paese solo verso la fine dell’Ottocento e agli
inizi del Novecento si crearono quelle condizioni necessarie a favorire la crescita eco-
nomica ed il consolidamento delle nuove strutture produttive.Come sottolinea Castro-
novo <<a funzionare da acceleratori furono,sia pure con ritmi e con modalità diffe-
renti,i mutamenti di carattere demografico e sociale,i progressi dell’agricoltura,la dis-
ponibilità di nuove fonti energetiche,le politiche di risanamento finanziario e di inter-
vento pubblico,la formazione di un’imprenditorialità che solo in parte ripeteva le sue
origini dal passato>>.
5
La crescita della popolazione avvenne nell’ultima parte dell’Ottocento e,come era
già accaduto altrove,fu il volano che determinò tutta una serie di nuovi problemi che,
per essere risolti,innescarono una virtuosa reazione a catena di nuove soluzioni che
coincisero con lo sviluppo.
Innanzitutto la crescita demografica incise notevolmente sul mercato del lavoro de-
terminando un considerevole aumento dell’offerta di lavoro.A quest’incremento non
corrispose una crescita equiproporzionale della domanda di lavoro,ragion per cui una
5
V.Castronovo,Storia economica d’Italia dall’ottocento ai giorni nostri,Torino,1996,pp.110-111
9
parte dell’offerta rimase inevasa;da ciò scaturì l’emigrazione,sia interna che e-
sterna.Per quanto concerne quella interna si concretizzò in un forte esodo dalle
campagne alle città che a sua volta determinò una forte crescita della popolazione
urbana.Conseguenza di ciò fu la carenza di alloggi e non è un caso che proprio in
quegli anni furono varati i primi piani di sviluppo urbanistico e di risanamento edi-
lizio.Anche il governo partecipò attivamente a quest’opera mediante la legge Giolitti
del 1904 che ridefinì le imposte sulle aree fabbricabili,stabilì il principio degli espro-
pri commerciali dei terreni,prevedendo anche lo stanziamento di fondi per la costru-
zione delle prime case popolari.
L’emigrazione verso l’estero sortì altri tipi di effetti.Come ricorda il già citato Ca-
stronovo<<questo imponente fenomeno migratorio,oltre a funzionare da valvola di
sfogo della crescente eccedenza di popolazione e delle tensioni sociali,contribuì in
misura considerevole allo sviluppo dell’economia italiana agendo come una sorta di
“arma segreta” della nostra industrializzazione.Da un lato,perché le rimesse degli e-
migranti arrivarono a coprire in quegli anni più della metà della parte attiva della bi-
lancia dei pagamenti e ciò consentì di far fronte all’importazione di materie prime e
di beni capitali indispensabili alle sempre maggiori esigenze della produzione indu-
striale.Dall’altro,perché le nostre numerose comunità di emigrati,una volta trapiantate
nei paesi di destinazione,aprirono o ampliarono i varchi dei mercati locali per le e-
sportazioni italiane,da quelle alimentari a quelle tessili.
Non meno rilevante fu l’apporto dell’emigrazione alla crescita della domanda
interna e degli investimenti,in quanto le rimesse aumentarono sia le capacità di
10
spesa che le possibilità di risparmio di numerose famiglie.Nello stesso tempo,
grazie al consistente attivo delle”partite invisibili”,reso possibile dallo stesso
meccanismo,il governo riuscì a riscattare anticipatamente il debito pubblico col-
locato all’estero e a disporre di riserve valutarie tali da rafforzare il valore della lira e
l’affidabilità dell’Italia nel mercato finanziario internazionale>>.
6
Un'altra diretta conseguenza dell’incremento demografico fu lo sviluppo agricolo.
In fin dei conti aumento della popolazione vuol dire più bocche da sfamare e ciò non
era possibile coi vecchi metodi di coltivazione ragion per cui l’aumento della popola-
zione produsse un forte stimolo al settore agricolo per il miglioramento qualitativo e
soprattutto quantitativo dei raccolti.Questi risultati furono raggiungibili grazie alla
diffusione dei concimi chimici,all’adozione massiccia di macchine agricole ed al mi-
glioramento degli attrezzi esistenti.Tutto ciò avvenne nell’alveo delle politiche prote-
zioniste che garantirono la formazione di sbocchi sicuri per i prodotti agricoli attra-
verso la creazione di un sempre più solido mercato interno.
A dire il vero questo sviluppo non fu uniforme.Si registrò,infatti,una forte spere-
quazione tra il Nord ed il Sud del paese.Mentre nel meridione si continuarono ad
utilizzare i vecchi metodi produttivi,retaggio di un latifondismo feudale duro a mori-
re,nel settentrione già si potevano rilevare i primi esempi di imprese a conduzione ca-
pitalistica(in particolar modo nella Val Padana).Queste si giovarono innanzitutto di
una migliore situazione fondiaria e di un cospicuo patrimonio zootecnico.Inoltre go-
dettero anche dei benefici degli interventi pubblici che si concentrarono in quest’a-
6
Ibidem,pp.114-115
11
rea.Come sottolinea Castronovo<<giunsero infatti a maturazione in questo periodo i
risultati pratici di molti provvedimenti emanati nell’ultimo ventennio dell’Ottocento
per lo sviluppo di scuole tecniche,di stazioni agrarie e di istituti sperimentali,di opere
di bonifica,nonché per il credito agricolo e la migliore conservazione dei prodotti.Un
incentivo particolarmente efficace per la ripresa degli investimenti si rivelò anche-
dopo tanti anni di pressione sui redditi della terra-il parziale sollievo accordato ai ceti
agricoli in materia di imposta fondiaria erariale….Un fattore altrettanto decisivo per
l’estensione del mercato nonché per il conseguimento di più alti indici di produttività,
fu la spinta impressa in Val Padana da un complesso di iniziative cooperative e,sopra-
tutto,da un robusto movimento organizzato di leghe contadine e di braccianti.Le loro
rivendicazioni agirono da propellente dello sviluppo e del rinnovamento delle attrez-
zature.Si calcola che fra il 1897 e il 1913,per ogni lira spesa in fabbricati rurali,in si-
stemazioni di terreni,in irrigazioni e in piantagioni arboree,furono investite quattro li-
re per meccanizzare il lavoro nei campi>>.
7
Un altro fattore del decollo economico fu rappresentato dall’energia elettrica.La
sua potenzialità stava nelle fatto che consentiva di realizzare un considerevole au-
mento di forza motrice,a costi molto convenienti,in modo da soppiantare il vecchio
carbon-fossile.L’avvento della nuova fonte energetica costituiva per l’Italia l’occa-
sione propizia per liberarsi-come ebbe a dire anche Nitti-:<<da uno stato di inferiorità
secolare>>.
8
Per la prima volta nella nostra storia parvero svanire d’un colpo tutti quei
timori circa i fattori negativamente trainati del nostro mancato decollo industriale,ov-
7
Ibidem,pp.119-120
8
Ibidem,p.121
12
vero la cronica mancanza di capitali e la superiorità tecnologica straniera che a loro
volta determinavano la mancata competitività dei nostri prodotti sui mercati.Final-
mente il nostro paese poteva aspirare quanto prima a competere ad armi pari con gli
altri,e per finalizzare al più presto queste aspirazioni vi fu uno stanziamento di risorse
finanziarie senza precedenti.Furono proprio molti istituti bancari ad essere i propago-
nisti indiscussi di questa fase di sviluppo grazie ai capitali che investirono nel settore
elettrico.L’impulso che derivò da questa commistione banche-industrie fu sicuramen-
te positivo perché consentì all’Italia di compiere un notevole salto di qualità sulla
strada del progresso e dell’approviggionamento energetico.Anche per quanto riguarda
lo sviluppo industriale i risultati furono lusinghieri dal momento che l’esecuzione di
quell’enorme mole di lavori richiedeva tecnici,ingegneri,progettisti ecc.Si crearono le
condizioni per un circuito virtuoso che ebbe effetti in più campi.Da un lato si riuscì
quindi a soddisfare le esigenze occupazionali di coloro che operavano in quei settori.
Dall’altro,gli eventi appena descritti,costituirono uno stimolo maggiore per il poten-
ziamento sia degli studi che delle relative formazioni professionali.Inoltre,in virtù
dell’apporto delle nuove fonti energetiche,fu possibile elettrificare quasi 350 chilo-
metri di strada ferrata ed illuminare le città.Tuttavia le attese in materia furono tradite
dalla dimensione dei progressi auspicati,di gran lunga inferiore a quella preventivata.
Lo stesso apporto delle banche,che comunque si rivelò vitale,fu talvolta insufficiente.
Al di là delle osservazioni critiche che possono essere mosse a questa nuova leva
dell’economia italiana<<essa fu senz’altro un elemento decisivo per lo sviluppo
dell’industria e più in generale dell’economia italiana. Giacchè non soltanto assicurò
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la possibilità di ricorrere a nuove fonti energetiche ma permise anche un’ubicazione
più razionale o comunque una maggiore libertà di scelta nella localizzazione degli
opifici,che in passato gli imprenditori erano costretti a installare per lo più in zone
montagnose,distanti spesso dai centri urbani e quindi dalle principali sedi commercia-
li,in quanto assillati dal problema dell’approvvigionamento di forza motrice dal mo-
mento che gli impianti a vapore risultavano troppo costosi.Inoltre l’elettrificazione
servì le nuove esigenze operative imposte dal funzionamento di macchinari sempre
più complessi>>.
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A tutti i fattori citati ed analizzati in precedenza va aggiunta la formazione di una
nuova imprenditorialità.Quest’ultima si affermò grazie all’esistenza di determinate
condizioni socio-politico-economiche.Innanzitutto si giovò della scelta protezionista-
avallata con convinzione da Giolitti nonostante il dissenso di una parte del Parlamen-
to-che creò le condizioni per un mercato interno sicuro.La certezza di avere sbocchi
di mercato assicurati dalle politiche governative consentì,alla nuova schiera di im-
prenditori,la riduzione dei rischi per quanto riguardava gli investimenti e la possibili-
tà di realizzare ingenti profitti da poter in gran parte reinvestire nella ricerca e nell’e-
voluzione tecnologica.In secondo luogo la crisi che aveva colpito i vecchi interessi
mercantili e fondiari era irreversibile ragion per cui tutti gli eventuali flussi finanziari
furono dirottati verso la nuova classe imprenditoriale che aveva nel dinamismo,nello
spirito pionieristico e nella capacità di lavorare duro i suoi tratti genetici essenziali.I
percorsi attraverso i quali si affermarono queste nuove dinastie furono differenti.
9
Ibidem,p.124