5
Introduzione
Era il marzo del 2011 quando, curiosando tra gli scaffali di una profumeria di
Roma, non volli credere ai miei occhi: il profumo Acqua di Giò aveva una
nuova veste! Cosa mai avrebbe potuto spingere uno dei profumi di maggior
successo della storia a cambiarsi d‟abito? La mia curiosità atavica mi portò
subito a cercare una spiegazione a quel nuovo packaging del profumo. Una
volta acquistato il prodotto, però, fu tutto più chiaro: si trattava di“Acqua for
Life Challenge”, un‟iniziativa di Cause Related Marketing applicata alle
fragranze Acqua di Giò e Acqua di Gioia, attraverso l‟acquisto delle quali si
poteva donare acqua pulita a bambini del Ghana. Mi appassionai da subito
all‟iniziativa e dopo aver realizzato la mia donazione, volli saperne di più del
progetto ed ora presento in questo lavoro il risultato dei miei studi in merito.
Al fine di analizzare in profondità questa originale iniziativa di Cause Related
Marketing del settore cosmetico, ho ritenuto opportuno seguire un approccio
deduttivo nella strutturazione del lavoro che mi permettesse di partire da
argomenti di più ampio respiro (capitoli 1 e 2) per arrivare nell‟ultima parte
ad avere gli strumenti idonei per analizzare in concreto il progetto (capitolo 3
e 4).
Nel primo capitolo si presenterà il tema della Corporate Social Responsibility,
fenomeno che negli ultimi decenni sta diventando sempre più centrale nelle
strategie delle corporations di tutto il mondo. Nella prima parte ne verrà
analizzata la genesi e l‟evoluzione, dando particolare risalto ai motivi che
dovrebbero spingere le imprese ad applicarne i contenuti, nell‟ultima parte,
invece, verranno presentate alcune pratiche, tratte dal cosiddetto modello
6
latino-americano di Kotler e Lee del 2005, che permettono alle imprese di
implementare i principi teorici della materia.
Nel secondo capitolo si andranno ad approfondire i nuovi modelli di consumo
responsabile che stanno sviluppandosi con così grande successo nel mondo
negli ultimi anni. Per fare ciò verranno dapprima identificati i comportamenti
che rendono responsabile un consumatore ed un‟impresa (grazie anche ad
indagini empiriche provenienti da tutto il mondo), poi si delineerà il profilo
del consumatore responsabile nel mercato della cosmetica di alta fascia
(quello di nostro interesse) ed infine verrà introdotto il concetto di marketing
sociale, visto come punto d‟incontro cruciale tra etica economica e marketing.
Dopo aver creato questa importante „piattaforma teorica‟, nel terzo capitolo si
presenterà, finalmente, la materia centrale del mio lavoro, ossia il Cause
Related Marketing. A questo scopo verranno proposte, in una prima parte, le
visioni più autorevoli sull‟argomento, poi verranno presentati gli elementi
distintivi di una campagna di CRM (anche con esempi pratici derivanti da
diversi settori economici) ed infine verranno esposte (e respinte) le maggiori
critiche al fenomeno mosse dai detrattori.
Il capitolo che però è sicuramente più appassionante e curioso è il quarto. In
questo si analizzerà l‟iniziativa “Acqua for Life Challenge” in maniera
approfondita. Nella prima parte verranno poste sotto esame tutte le
caratteristiche distintive della campagna di CRM dei profumi Giorgio
Armani, ossia verranno presentati i soggetti partecipanti all‟iniziativa e i
legami della loro partnership, verranno definiti gli obiettivi dell‟iniziativa,
descritte le modalità di svolgimento ed in seguito verranno presentate le
similitudini e le differenze con un‟altra iniziativa di CRM svolta negli Stati
Uniti (sempre dal profumo Acqua di Giò), intitolata “Tap Water Project”.
Continuando nel capitolo, poi, ci sarà un paragrafo interamente dedicato
all‟analisi dei vantaggi dell‟utilizzo del web e dei social network come
7
strumenti di promozione di cause sociali, in cui verrà discussa la concreta
attuazione su Facebook e Twitter di “Acqua For Life Challenge”. Nell‟ultima
parte del capitolo, infine, per poter presentare delle considerazioni conclusive
sull‟iniziativa, ho reputato utile presentare un‟indagine personale, svolta
attraverso la somministrazione di due questionari, finalizzata a comprendere
in che modo i rivenditori autorizzati dei profumi e gli utenti del web
(principali destinatari dell‟iniziativa) abbiano recepito l‟iniziativa, e in che
modo ne abbiano decretato il successo o l‟insuccesso.
Detto ciò non mi resta che augurarVi
Buona Lettura.
8
Capitolo I
La Responsabilità Sociale d’Impresa
1.1 Introduzione alla Corporate Social Responsibility
Udite, udite: i giorni della irresponsabilità aziendale sono finiti!
Nell‟odierno mercato globalizzato (in cui tutte le risorse sono disponibili
senza barriere di tempo o spazio che ne limitino l‟utilizzo) l‟organizzazione
che vuole creare valore nel lungo periodo non solo deve massimizzare la
differenza fra la redditività operativa e il costo del capitale raccolto, ma lo
deve fare rispettando determinati criteri.
Infatti mentre in passato la creazione di valore è stata perseguita dalle imprese
anche andando oltre i limiti ambientali ed etici, adesso alcune determinanti (la
maggiore informazione e la consapevolezza del pubblico) stanno creando
aspettative maggiori verso le organizzazioni a comportarsi secondo standard
sociali, etici ed ambientali più elevati.
E indovinate un pò? La gestione di attività basate sui principi responsabili
paga. I dirigenti delle piccole quanto delle grandi aziende stanno imparando
che quando organizzano le loro attività secondo i dettami della coscienza
sociale, diventa più facile aumentare i profitti, migliorare l'immagine
aziendale e rendere più felici i dipendenti.
A questo proposito viene naturale sottolineare la sempre maggiore attenzione
che le imprese, le associazioni di imprese, le ONG, le Università, i governi
nazionali e amministrazioni locali rivolgono alla promozione di iniziative di
responsabilità sociale d‟impresa (Corporate Social Responsibility o
Responsabilità Sociale d‟Impresa in italiano).
9
Difatti, se fino alla fine degli anni „90 l‟integrazione di principi sociali, etici
ed ambientali nei core business delle imprese avveniva in maniera volontaria
e appariva come un “evento straordinario e intenzionale”, nell‟ultimo
decennio la CSR sta perdendo il suo connotato di volontarietà e sta
diventando sempre più un requisito essenziale per le organizzazioni di
qualsiasi dimensione ad operare nei loro settori di riferimento.
Il vero e proprio boom di questo fenomeno, oltre che dai crescenti convegni,
seminari, corsi di laurea, master dedicati, è testimoniato da una ricerca poco
rigorosamente scientifica ma molto significativa: digitando la parola chiave
“corporate social responsibility” nel 2005 (Vogel 2005) si ottenevano poco
più di 4 milioni di risultati, ad oggi se ne ottengono 19,7 milioni circa (ricerca
Mariani 2011).
Sì, ma cos‟è in pratica la Responsabilità Sociale d‟Impresa?
Essendo questa ad oggetto una materia relativamente “giovane” e in continua
evoluzione, fino ad ora non c‟è stata una definizione comunemente accolta di
CSR, che sia in grado di racchiudere tutte le esperienze, quindi risulta utile
andare a ragionare sull‟evoluzione della materia e sull‟etimologia del termine.
Qui di seguito verrà proposta una cronologia essenziale dell‟evoluzione del
concetto di CSR nel corso dei decenni, facendo cenno ad alcuni tra i più
importanti autori che se ne sono interessati.
1.2 L’evoluzione del concetto: da CSR a GCC?
I primi “semi” della Corporate Social Responsibility (CSR) cominciarono a
germogliare nell‟America degli anni ‟20, quando organizzazioni sindacali,
agricoltori, Chiesa e autorità morali esercitarono per la prima volta forme di
10
pressione democratica verso gli uomini d‟affari dell‟epoca
1
. Con queste
rivendicazioni si voleva chiedere che l‟impresa, oltre a svolgere le sue
classiche funzioni economiche e giuridiche, avesse in sé anche una
dimensione etica.
Già tra la fine del XIX secolo e l‟inizio del XX la pressione dell‟opinione
pubblica americana aveva portato alla nascita delle prime forme di
legislazione antimonopolistica e aveva indotto alcuni noti industriali come
Rockfeller e Carnagie a sperimentare le prime forme di filantropia d‟impresa.
Queste “agitazioni” popolari portarono gli imprenditori a prendere coscienza
in particolar modo delle condizioni abitative, di salute e sicurezza
previdenziale dei propri lavoratori e a sviluppare le prime forme di welfare
aziendale. Durante i primi anni della Grande Depressione le sperimentazioni e
gli studi sulla CSR subirono un brusco rallentamento per poi ricominciare a
svilupparsi nuovamente a partire dai primi anni degli anni ‟30.
Nel 1932 infatti Berle e Means (1932) aprirono la discussione sulla CSR
ponendo attenzione sull‟identificazione dell‟interesse sociale dell‟impresa.
Secondo loro nell‟impresa capitalistica, caratterizzata dalla separazione fra
proprietà e controllo, erano i manager a prendere decisioni. Queste decisioni
però dovevano tener conto della volontà negli azionisti, ossia i soggetti per
conto dei quali i manager detenevano la custodia dei poteri dell‟impresa.
Di diverso avviso invece era Dodd (1932), per il quale i manager operavano
per conto dell‟intera collettività, essendo l‟impresa un‟istituzione economica
che svolgeva un servizio sociale.
Allo studio di Berle e Means seguirono quelli di Barnard (1938), Clark
(1939), e Kreps (1940), ma solo negli anni ‟50 la CSR entrò a far parte a
pieno titolo della letteratura accademica e manageriale.
1
Cfr. Morri L., (2007).
11
Un primo contributo rilevante fu presentato da Bowen nel 1953, secondo il
quale gli uomini d‟affari (traduzione dell‟originale termine “Businessmen”
utilizzato dall‟autore) in quanto “servitori della società”, non avrebbero
dovuto dimenticare la priorità dei valori socialmente accettati rispetto ai
propri. Il Bowen, nel suo “Social Responsibilities of the Businessman”, non
volle definire chi fossero gli uomini d‟affari e quali fossero i valori a cui
uniformarsi, ma pose enfasi sul potere discrezionale dei suddetti attori a
scegliere azioni in senso sociale indipendentemente dalle pressioni subite
dalla società.
Durante gli anni ‟60 il dibattito sulla CSR cominciò a farsi rovente con
posizioni contrastanti: da una parte Davis affermava che: “Responsabilità
dell‟impresa, oltre e prima della creazione di benessere economico, è
contribuire alla promozione di alcuni valori umani fondamentali come la
cooperazione, la motivazione, l‟onestà, l‟autorealizzazione nel lavoro”
2
,
dall‟altra (il poi premio Nobel per l‟economia nel 1976) Milton Friedman
sosteneva: “Esiste una e una sola responsabilità per l‟impresa: impiegare le
proprie risorse in attività capaci di incrementare il profitto nel rispetto delle
regole del gioco”
3
.
Sempre in questo decennio venne introdotto per la prima volta il concetto di
“corporate citizenship”
4
. McGuire con “cittadinanza d‟impresa” voleva
intendere l‟interesse che le imprese dovevano rivolgere verso la politica, il
benessere della comunità, l‟educazione, la felicità dei lavoratori e appunto
verso la società nel suo complesso.
2
Cfr. Davis K., (1963).
3
Cfr. Friedman M., (1962).
4
Cfr. Mc Guire J., (1963).
12
Gli anni ‟70 furono un periodo effervescente per quel che riguarda le teorie
sulla CSR, cominciarono infatti a divergere le prime scuole di pensiero: da un
lato si sviluppò la teoria neoclassica, secondo la quale l‟interesse sociale
dell‟impresa era rappresentato dal profitto e qualsiasi cosa comprometta
l‟efficienza dell‟impresa rappresentava un costo superfluo
5
; dall‟altro fu
proposta una teoria di matrice sociale (che poneva le basi per la successiva
teoria degli stakeholder di Freeman) secondo la quale l‟impresa era portatrice
di doveri nei confronti di una pluralità di soggetti quindi il suo obiettivo non
era rappresentato dal mero profitto ma sarebbe stato calcolato in aggregato al
beneficio apportato all‟intera comunità locale (secondo un‟accezione allargata
di stakeholder).
Il dibattito e le proposte però non terminarono con queste due teorie, infatti
nel 1973 si assistette alla affermazione del concetto di volontarietà della CSR
da parte di Davis
6
secondo cui “la CSR inizia dove finisce la legge” e verso la
fine del decennio, nel 1979 per la precisione, Carroll propose un modello
tridimensionale di “Corporate Social Performance”
7
, secondo cui la CSR
doveva comprendere “ciò che la società civile si aspetta da un‟organizzazione
in un dato periodo di tempo con riguardo alla dimensione economica, legale
ed etica”. La produzione di ricchezza (dimensione economica) passava
quindi attraverso il rispetto della legge (dimensione legale) e la conformità ai
valori sociali (dimensione etica). Inoltre anche Carroll parlò di un‟altra
responsabilità quella discrezionale, ovvero della possibilità che le imprese
scelgano di compiere degli investimenti sociali senza che vi siano aspettative
5
Vedi le teorie di Friedman M. appena citate e riproposte anche nel 1970.
6
Cfr. Davis K., (1973).
7
Cfr. Carroll A., (1979).
13
da parte della comunità, sottolineando in tal senso il carattere della
volontarietà delle azioni.
Anche gli anni ‟80, come il decennio appena esaminato, furono un periodo di
grande fermento per lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese.
Una delle teorie più rilevanti fu senza dubbio quella sugli “stakeholder”
proposta da Freeman
8
. Nel suo “Strategic Management. A stakeholder
approach” del 1984, l‟autore definì stakeholder “ogni gruppo o individuo che
può influenzare o essere influenzato dal perseguimento degli obiettivi
dell‟organizzazione”.
Rispetto a tale definizione l‟autore andò oltre fornendo una classificazione di
tali soggetti, distinti in primari e secondari a seconda che il loro apporto fosse
essenziale o meno per la sopravvivenza dell‟impresa.
Per un‟organizzazione attuare logiche di CSR significava in primo luogo
identificare gli interessi da soddisfare e di conseguenza tracciare un quadro
complessivo degli attori che a vario titolo influivano sull‟operato e il successo
dell‟organizzazione stessa.
Partendo dal presupposto che il successo di un‟organizzazione passava (e
passa tuttora) anche attraverso un‟immagine e una reputazione positiva verso
il pubblico, Freeman propose questa teoria per evidenziare da un lato
l‟importanza che si sarebbe dovuto rivolgere agli stakeholder (nelle strategie
operative) e dall‟altro l‟importante ruolo del management sia come gestore
della sopravvivenza dell‟organizzazione e appunto come mediatore dei diversi
interessi degli stakeholder stessi.
La teoria in esame, perciò, nacque come sostegno ai manager che si trovavano
ad operare in mercati caratterizzati da incertezza crescente, aiutandoli a
8
Cfr. Freeman R.E., (1984).
14
trovare “nuovi modi di governare i molteplici gruppi e le molteplici relazioni
di cui bisogna tener conto nella definizione della strategia”
9
.
Come si è detto, gli anni ‟80 rappresentarono un vivace periodo per la CSR
durante il quale cominciarono a svilupparsi anche importanti studi sull‟etica
degli affari (o “business ethics”). Tra questi vale la pena citare quello con cui
Friederich (1986) introdusse la “corporate social rectitude” o “CSR3”.
Per “etica degli affari” si intende “lo studio dell‟insieme dei principi, dei
valori e delle norme etiche che regolano (o dovrebbero regolare) le attività
economiche più variamente intese […]”
10
e ancora “l‟insieme delle
applicazioni delle teorie etiche normative a pratiche e istituzioni particolari
delle società contemporanee”
11
perciò rappresenta nient‟altro che
l‟applicazione dell‟etica normativa al mondo degli affari.
Nel passaggio dagli anni ‟80 ai „90 emerse un maggiore interesse verso
logiche di responsabilità socio-ambientale e cominciò a diffondersi il concetto
di “sostenibilità”.
Quest‟ultimo fu presentato per la prima volta nel 1987 dal Rapporto Brutland
delle Nazioni Unite, nel quale viene definito come “uno sviluppo che soddisfa
i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni
future di soddisfare i propri bisogni”.
Applicandola alla CSR, tale nozione può essere reinterpretata come “un
approccio finalizzato alla creazione di valore nel lungo periodo - non solo
per gli azionisti ma anche per gli altri stakeholder - fondato sulla capacità di
9
Cfr. Freeman R.E. (2005).
10
Cfr. Sacconi L., (2005).
11
Cfr. De Marco J. e Fox R., (1986).
15
cogliere le opportunità e gestire i rischi derivanti dai cambiamenti del
contesto”
12
.
La “classica” sostenibilità, tradizionalmente connessa al solo impatto
ambientale delle attività umane, quando applicata alla CSR si arricchisce di
due ulteriori dimensioni: quella economica e quella sociale.
Ed è così che si arrivò a parlare nel 1997 di Triple Bottom Line
13
, teoria che
valutava le imprese non tanto solo per il loro valore aggiunto nel settore
economico di riferimento ma in base anche alle loro ripercussioni ambientali
e sociali: un‟impresa viene considerata virtuosa quando persegue la
massimizzazione congiunta della dimensione Economica, Ambientale e
Sociale.
Negli ultimi quindici anni, il legame tra CSR e sostenibilità ha cominciato ad
interessare anche le maggiori organizzazioni sovranazionali come ONU,
OCSE e UE che più volte hanno emanato delle linee guida per collegare
questi concetti alle politiche pubbliche.
In questo senso gli interventi di maggiore rilevanza sono:
L‟appello nel 1999 di Kofi Annan (allora Segretario Generale dell‟ONU)
per la creazione di un Global Compact.
Questo “patto globale”, finalizzato alla creazione di “un‟economia
globale più inclusiva e più sostenibile”, rappresentò il primo invito
ufficiale rivolto alle grandi multinazionali per un loro maggiore impegno
nell‟applicazione (volontaria) di nove principi relativi a diritti umani,
ambiente e lavoro (dieci dal 2004 con l‟aggiunta della corruzione).
L‟invito ad aderire a tale patto globale fu in seguito esteso anche ai
12
Cfr. Chirieleison C., (2004).
13
Cfr. Elkington J., (1997).
16
governi e alle organizzazioni della società civile per favorire lo sviluppo
di partnership fra soggetti di diversa natura.
Le “Linee guida dell‟OCSE destinate alle imprese multinazionali”,
pubblicate nel 1976 ed emendate nel 2000, rappresentarono anche queste
un invito alle imprese a “contribuire al progresso economico, sociale e
ambientale per realizzare uno sviluppo sostenibile” sposando in pieno
l‟approccio “triple bottom line” alla sostenibilità.
La definizione di CSR emanata dall‟Unione Europea col “Libro Verde”
nel 2001, per la quale la Responsabilità Sociale d‟Impresa risultava
essere: “L‟integrazione, su base volontaria, delle preoccupazioni sociali
ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro
rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili
significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici
applicabili, ma anche andare al di là investendo «di più» nel capitale
umano, nell‟ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”
14
.
Da questi interventi si possono desumere i tre elementi principali che
caratterizzano la CSR per le istituzioni sovranazionali:
1. la volontarietà nell‟adottare comportamenti responsabili come scelta
consapevole dell‟impresa e non come un‟imposizione dall‟alto;
2. la sostenibilità perseguita secondo l‟approccio triple bottom line (la
performance dell‟impresa è valutata in termini economici, sociali ed
ambientali);
14
Il Libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” fu la risposta
della Commissione Europea, (2001) all’ “Agenda sociale europea” emanata dal Consiglio Europeo nel 2000,
che invitava la Commissione a creare una partnership fra tutti gli stakeholder coinvolti (imprese, parti
sociali, ONG e altre organizzazioni della società civile, istituzioni locali), per rafforzare la CSR su tutto il
territorio europeo.