Accusato più volte dalla critica di essere un autore « difficile », « ennuyeux », « illisible » e
« confus », Claude Simon si schiera contro il concetto di romanzo tradizionale, in cui l’azione
e il meccanismo della causa/effetto contano di più delle descrizioni, ridotte a degli stereotipi
se non addirittura sacrificate a favore del coronamento logico del romanzo, e rivendica la
possibilità di seguire un percorso alternativo rispetto a un romanziere che parte da un “inizio”
e arriva a una “fine”. Come un esploratore che si trova a percorrere un sentiero ricco di
biforcazioni, si smarrisce, torna sui suoi passi, vede paesaggi che gliene ricordano altri, prova
determinate emozioni e, alla fine, forse, si ritrova al punto di partenza, con la consapevolezza,
però, di aver tracciato una direzione.
Ruolo fondamentale, in questo senso, è svolto dalle sensazioni e da quel gioco di assonanza e
dissonanza che possono innescare. Se per Claude Simon la logica secondo la quale due
personaggi di un romanzo si incontrano, si amano e muoiono può non essere credibile, il fatto
che un profumo, un oggetto o una situazione susciti automaticamente un altro ricordo, che
magari era sepolto nella memoria, è pienamente fondato perché questo comporta l’esistenza di
un’armonia interna, detto altrimenti una “causalità interna” che si contrappone alla “causalità
esterna” tipica del romanzo realista.
Lo stile di Claude Simon risente dell’influenza delle innovazioni che si verificano nel campo
della letteratura, della musica e della pittura tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del
Novecento.
In letteratura Proust con A la recherche du temps perdu (1913-1927) esce dai canoni del
realismo privilegiando la soggettività all’obiettività, con uno stile fatto di periodi lunghi e
lenti, ricchi di subordinate, che ben rappresentano il fluire del ricordo, e con la tematica della
memoria, introdotta utilizzando uno dei cinque sensi: il gusto, a partire dalla madeleine
assaporata dal protagonista all’inizio del libro.
Nelle opere di Claude Simon le citazioni tratte dalla Recherche di Proust finiscono per
assumere addirittura un significato diverso da quello originario. Se ad esempio nel romanzo di
Proust una frase viene utilizzata per sottolineare la volubilità di un personaggio, per Simon la
stessa frase rappresenta « le carrefour entre deux œuvres et deux paragraphes en même
temps ».
2
Inoltre la citazione non svolge sempre la stessa funzione nei romanzi di Simon; in
La Bataille de Pharsale l’autore “trasforma” l’originale penetrando nella lingua del testo con
giochi di parole, omonimie, omofonie ecc:
« […] tous les souvenirs voluptueux qu’il emportait de chez elle étaient comme autant d’esquisses, de
« projets » pareils à ceux que vous soumet un décorateur, et qui permettaient à Swann de se faire une
idée des attitudes ardentes ou pâmées qu’elle pouvait avoir avec d’autres. De sorte qu’il en arrivait à
2
Ibidem 2
regretter chaque plaisir qu’il goûtait près d’elle, chaque caresse inventée et dont il avait eu l’imprudence
de lui signaler la douceur, chaque grâce qu’il lui découvrait, car il savait qu’un instant après, elles
allaient enrichir d’instruments nouveaux son supplice. » (Du côté de chez Swann, Paris, Gallimard,
1982, p. 276)
« Sodome et Gonorrhée page combien tous laids souvenir voluptueu kil emporté de chézelle lui
permetté de sefer unidé dé zatitudezardante zoupâmé kel pouvé tavoir avek d’otr desortekil enarivé
taregrété chak plésir kil gougoutait oh près d’aile chak cacaresse invanté é dontil orétu limprudance de
lui sinialé ladousseur chak grasse kil lui découvriré kar ilsavé kun instantapré ailezalé tenrichir
dinstrument nouvo sonsu plisse » (La Bataille de Pharsale, Paris, Les Editions de Minuit, 1969, pp.
178-179)
Mentre in Le jardin des plantes i riflessi del sole sulle piume dei gabbiani di Balbec si
comportano come un orologio interiore che scandisce il racconto simoniano.
Un altro innovatore è Joyce, che utilizzando nell’Ulysses (1922) la tecnica del monologo
interiore, basata sulla teoria del “flusso di coscienza” del filosofo William James, riesce a
coinvolgere il lettore nella narrazione come se “leggesse” nei pensieri dei personaggi, fermo
restando quell’esigenza di verosimiglianza che ne contraddistingue tutta l’opera. William
James, infatti, riteneva che il pensiero fosse continuo e che le interruzioni percepite
dall’essere umano fossero il frutto di un’elaborazione atta alla comunicazione. Come la vita di
un uccello con i suoi voli e i suoi riposi:
“ I punti di riposo sono ordinariamente occupati da immagini sensoriali, che hanno la particolarità di
restare vive per essere contemplate dalla mente durante un tempo indefinito, senza mutarsi; i punti che
corrispondono ai voli, invece, sono occupati da pensieri di relazioni, statiche o dinamiche, che si
formano per la maggior parte fra i fatti considerati nei periodi di relativo riposo.”
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Per quanto riguarda la musica, determinante è la svolta di Debussy che si allontana dalla
cosiddetta “melodia infinita” di Wagner, in cui le immagini musicali si susseguivano
logicamente, e opta per un discorso musicale caratterizzato da immagini istantanee che
assumono una loro importanza in quanto singole entità in cui l’esistenza o meno di un prima e
di un dopo passa in secondo piano. Il suo Pelléas et Mélisande racchiude tutte queste
caratteristiche e lo si trova appunto citato nel libro di Simon attraverso una citazione di
Proust, che tra l’altro amava molto la musica di Debussy.
Nel campo dell’arte la rivoluzione è, invece, rappresentata dagli impressionisti che, nella
seconda metà dell’Ottocento, creano una pittura in cui la percezione dei colori, del soggetto
del quadro, muta con il mutare della luce; il quadro, quindi, finisce per diventare il frutto
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James William, Principi di psicologia, traduzione italiana con aggiunte e note del prof. dott. G.C 3
Ferrari, diretta e riveduta dal prof. A. Tamburini, Milano, Società editrice libraria, 1909, pp. 192-193.
dell’impressione del pittore di fronte al soggetto rappresentato e acquisisce una nuova
dimensione reale in quanto risultato delle emozioni, che suscita nel pittore, la visione di quel
soggetto e non in quanto “specchio” della realtà.
Tutti questi concetti sono alla base del romanzo simoniano che rifiuta apertamente l’idea
dell’”annullamento” dello scrittore dietro ai personaggi di sua creazione e
dell’”annullamento” della scrittura a favore degli avvenimenti; perché è essa stessa che li crea
e di conseguenza non avrebbero ragione di essere senza di lei:
« En fait, de même que la peinture lorsqu’elle prenait pour prétexte telle scène biblique, mythologique
ou historique [...] ce que l’écriture nous raconte [...] c’est sa propre aventure et ses propres sortilèges. Si
cette aventure est nulle, si ces sortilèges ne jouent pas, alors un roman […] est nul lui aussi. »
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La scrittura, quindi, finisce per acquisire, agli occhi del romanziere, un’importanza di molto
superiore rispetto a quella attribuita alla storia che si vuole raccontare. E se Claude Simon
stesso dichiara che i suoi romanzi non sono autobiografici, non può, tuttavia, non ammettere
che sono strettamente basati sul suo vissuto
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, perché l’ossessione della memoria è sempre
presente in lui, e le esperienze che lo hanno maggiormente segnato in vita (la morte del padre,
ufficiale dell’esercito, quando lui aveva pochi mesi, l’arruolamento nel 31° Dragoni e
l’imboscata tesa dai tedeschi il 17 maggio 1940 in cui cadde il suo reggimento, l’esperienza
del campo di prigionia e la fuga, la grave malattia che lo colpì nel 1951 e dalla quale si riprese
solo due anni dopo) si ritrovano nella pagina scritta attraverso quel sistema di immagini e
associazioni che caratterizzano l’autore. Se un singolo episodio si può trovare descritto più
volte nello stesso romanzo o in più romanzi, esso, tuttavia, non sarà mai descritto nello stesso
modo ma in più varianti, perché, come detto in precedenza, la scrittura crea i suoi sortilegi e
dunque a quel ricordo si aggiungeranno sempre delle immagini che lo modificano e che lo
fanno vivere di vita propria.
Nel 1985 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura con una motivazione che
esprime appieno il messaggio trasmesso dall’insieme della sua opera:
“who in his novels combines the poet’s and the painter’s creativeness with a deepened awareness of
time in the depiction of the human condition”
Il paesaggio in Claude Simon:
In Claude Simon il rapporto esistente tra paesaggio e pittura è molto stretto; ogni elemento
presente nell’opera simoniana, infatti, acquisisce un ruolo diverso dal semplice contorno, un
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Claude Simon, Discours de Stockholm, Paris, Fondation Nobel / Les Editions de Minuit, 1986. 4
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Jean-Claude Lebrun, Claude Simon parvenir peu à peu à écrire difficilement, “L’Humanité”, 13 mars 1998, p.3
filo d’erba non si limita a essere tale ma diventa una tonalità di colore così come un muro
ricopre la sua importanza per i materiali di cui è fatto e per le sfumature di colore che lo
compongono.
L’immagine è utilizzata per evocare ricordi personali e si converte nel fulcro espressivo
dell’intera opera; può succedere, quindi, che la forcella del ramo di un albero richiami le
gambe di una donna appoggiandosi a quell’immagine di essa iscritta nella memoria.
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« Entre le Tricheur (1945) et le jardin des plantes (1997), Claude Simon conquiert la
description […] » afferma Patrick Longuet in « Et je pouvais voir » e, in effetti, le descrizioni
presenti nelle opere simoniane finiscono per incorporare poco a poco quegli elementi che
sembrano essere a esse estranei, e da rappresentazione del mondo esterno si trasformano in
luogo intimo dove è proprio il paesaggio a ricoprire il ruolo principale, anche a causa della
sua importanza nelle esperienze vissute dall’autore.
Abitualmente, infatti, il paesaggio non viene visto dall’uomo come qualcosa di fondamentale;
esso non viene quasi percepito, nella vita di tutti i giorni, perché è interpretato come una cosa
ordinaria di poco conto; ma nel momento in cui si viene violentemente proiettati in diretto
contatto con il paesaggio, questo assume d’improvviso una funzione di primo piano. È quello
che succede a Claude Simon, le sue esperienze lo inducono a immergersi completamente nella
natura, non più vista come semplice paesaggio ma come visione intima del mondo:
« […] tout était silencieux les troncs verticaux des grands arbres hachaient l’espace vert dans l’ombre
épaisse il y avait encore de la rosée je foulais des petites plantes aux formes découpées comme de
minuscules feuilles d’acanthe de minuscules fougères bientôt le cuir de mes chaussures fut tout mouillé
détrempé […] » (La Bataille de Pharsale, p. 115)
La guerra in Claude Simon:
La tematica della guerra è direttamente collegata al ruolo della Storia nelle opere dell’autore; i
romanzi di Claude Simon infatti « mettent en cause un usage du discours indifférent aux
réalités physiques et pressé d’énoncer un ordre symbolique démenti par les témoins. »
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In La Route des Flandres (1960), ad esempio, la guerra vissuta dall’autore viene messa in
prospettiva con quella in cui è morto suo padre e con quella di un antenato, quindi egli deve
confrontarsi non solo con i suoi ricordi ma anche con quelli dei suoi ascendenti e la guerra
finisce per assumere una veste mitica, diventando « un cinquième élément doté d’un
imaginaire propre mais aussi indépendant des hommes que l’eau, la terre ou le feu »
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6-7-8
Longuet Patrick, op. cit. 5
In Les Géorgiques (1981), invece, l’autore sovrappone tre diversi conflitti: le guerre
napoleoniche, viste attraverso un antenato, la guerra di Spagna, con un giornalista che si
chiama O. e che gli assomiglia e la Seconda Guerra mondiale, con un reggimento di cavalleria
(il suo) che viene decimato in 8 giorni. Claude Simon, attraverso le temporalità incrociate,
cerca una « logique de la sensation » in cui la realtà finisce per superare la finzione.
Molto importanti sono i documenti inseriti all’interno dei romanzi: le pagine scritte
dall’antenato in La Route des Flandres, gli archivi militari in Le jardin des plantes, fanno sì
che la guerra acquisisca una forma ibrida. Essa ha le dimensioni di un paesaggio, i movimenti
di un fenomeno climatico aleatorio perciò Claude Simon non descrive la guerra ma « son
paysage immanent dans les participes présents. »
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Interessante è la ripresa in più romanzi della scena del colonnello a cavallo che sguaina la
sciabola davanti al cecchino tedesco, anche perché si nota un cambio di prospettiva. In La
Corde raide si tratta di un ricordo che viene presentato sottoforma di aneddoto, poi in La
Route des Flandres si trasforma in un enigma e l’autore si chiede se si sia trattato di suicidio o
di un gesto di ridicolo coraggio, in Histoire (1967) il ricordo ritorna attraverso un’analogia
formale con un personaggio raffigurato in una vetrata che il narratore aveva visto da bambino
durante la messa, ma è in Les jardin des plantes che il ricordo della vetrata viene direttamente
collegato al ricordo di guerra grazie al gioco delle emozioni che porta l’adulto a riconoscere il
riferimento:
10
« Longtemps il gardera l’image de se sabre levé, brandi à bout de bras dans l’étincelante lumière de mai,
cavalier et cheval semblant basculer, s’écrouler sur le côté comme au ralenti, comme ces figurines des
plomb, artilleurs, fantassins, cavaliers qu’il faisait fondre, enfant, à la chaleur des flammes dans la pelle
à feu, commençant à se dissoudre par la base […] » (Le jardin des plantes, p. 231)
Introduzione a Le jardin des plantes:
Il romanzo Le jardin des plantes, scritto nel 1997, racchiude in sé tutto il mondo simoniano.
Scritto come un flusso di ricordi, in cui il narratore non sempre è in prima persona, presenta
una notevole ricchezza linguistica con citazioni che spaziano dalla pittura (Novelli, Poussin,
gli impressionisti ecc.), alla musica (Debussy), alla letteratura (Faulkner, Stendhal, Flaubert,
Proust ecc.) e che si alternano con generi diversi (il taccuino di viaggio, il romanzo storico, il
diario). Il lettore viene proiettato in una nuova dimensione in cui le numerose descrizioni si
susseguono senza un apparente filo logico con lo scopo, non di raccontare una storia, ma di
trasmettere sensazioni ed emozioni attraverso le immagini richiamate alla mente dalla
memoria del narratore.
9-10
Longuet Patrick, op. cit. 6