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CAPITOLO 1
Lo sviluppo in itinere del percorso di integrazione in materia penale: dalla cooperazione
intergovernativa allo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.
SOMMARIO: Presentazione. ─ Sezione I. Le origini ed i primi sviluppi della cooperazione giudiziaria e di
polizia. ─ 1. Una premessa in chiave criminologica. ─ 2. Gli ostacoli all’istituzionalizzazione. ─ 3. Il progetto di
uno “Spazio giudiziario europeo”. ─ 4. Il Gruppo Trevi. ─ 5. Il programma di apertura delle frontiere interne.
L’Atto Unico Europeo. ─ Sezione II. Gli accordi di Schengen. ─ 1. Premesse di un accordo. ─ 2. L’accordo del
1985 per la creazione di uno “Spazio di libera circolazione” … ─ 2.1. …e la Convenzione di applicazione del
1990. ─ 2.2. Il Titolo III CAS: “Polizia e Sicurezza”. La cooperazione giudiziaria e di polizia nel quadro degli
Accordi di Schengen. ─ 2.3. L’assistenza giudiziaria penale come fondamento di uno “spazio giudiziario
penale” nell’Area Schengen e la collaborazione contro il traffico di stupefacenti (cap. 6), armi da fuoco e
munizioni (cap.7). ─ 2.4. Il sistema di informazione Schengen. ─ Sezione III. Il Trattato di Maastricht: la
cooperazione in materia di giustizia e affari interni. ─ 1. La struttura a pilastri e le nuove metodiche di
cooperazione. ─ 2. Un pilastro a “trazione intergovernativa”: il settore della giustizia e degli affari interni. ─
2.1. Il quadro istituzionale disciplinato dal Titolo VI TUE. ─ 2.2. Le misure adottabili nella cooperazione in
materia di sicurezza interna. ─ 2.3. Il “bilancio” di Maastricht. ─ Sezione IV. Da Amsterdam al programma
dell’Aja: l’evoluzione della cooperazione in materia penale “a cavallo” tra il vecchio ed il nuovo millennio.
─ 1. Il Trattato di Amsterdam ed il “nuovo” terzo pilastro dell’Unione Europea. ─ 1.1.Gli strumenti normativi
nel “terzo pilastro” riformato. ─ 1.2. I profili istituzionali nel Titolo VI e le competenze della Corte di Giustizia.
─ 2. L’integrazione degli Accordi di Schengen. ─ 3. Il ricorso alle cooperazioni rafforzate. ─ 4. Dal Trattato di
Nizza al revirement sul Trattato costituzionale… “via” 11 settembre 2001. “L’alba” di Lisbona. ─ Sezione V. Il
Trattato di Lisbona. ─ 1. Lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia. ─ 1.2. Il superamento della struttura “a
pilastri” ed il riformato contesto istituzionale. ─ 1.3. Le fonti dell’Unione Europea e gli strumenti normativi
deputati (anche) alla realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. ─ 1.4. I meccanismi decisionali.
La procedura legislativa ordinaria e la procedura legislativa speciale. ─ 1.3. (Segue). La procedura di
Emergency brake e la cooperazione rafforzata.
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Presentazione.
L’opera di definizione del processo che ha condotto alla costruzione di un’area di libertà, di
sicurezza e di giustizia nella sfera territoriale dei Paesi aderenti all’Unione Europea non può
che essere realizzata nella consapevolezza del carattere ambivalente delle sue origini. Il
significato che si attribuisce oggi al fenomeno europeo, nelle percezioni dei suoi cittadini,
non deriva dalla sola volontà di condivisione di un patrimonio culturale comune, dalla
prossimità degli ordinamenti giuridici occidentali o dalla reciproca fiducia istituzionale
bensì identifica l’esito di una integrazione che trova la sua ragione d’essere in una
convenienza economica. Le evoluzioni che via via hanno trovato spazio crescente
nell’àmbito della cooperazione, muovendo per la costituzione delle istituzioni comunitarie,
vanno considerate tenendo a mente la suddetta fondamentale premessa. Il leitmotiv del
fenomeno cooperativo è per vero la costante tensione tra la ritrosia degli Stati
all’abbandono delle prerogative sovrane con la necessità di una integrazione a tutti i livelli
che funga da contrappeso alla convergenza economico-mercantile. Lo spazio di libertà, di
sicurezza e di giustizia si inserisce allora in un contesto siffatto, di una comunità forgiata
dalla cogenza di una cooperazione in una società globalizzata in costante mutamento che
gli Stati, da soli, non riescono più ad arginare.
Stando così le cose la lettura di detto spazio appare più nitida, perdendo i contorni nebulosi
e magmatici che essa caratterizzano: una idea prodotta dagli Stati e per gli Stati, ora scettici
e ora chiusi nelle loro esigenze particolaristiche, ma in costante mutamento per via della
3
complessità socio-politica dell’Europa di guisa che è alla luce di questo sfondo che si
cercherà di fornire un riscontro quanto più scientifico
1
a tale percorso in divenire.
A muovere dalle premesse de quibus sembra dunque interessante descrivere il tragitto che
conduce all’attualità, vedendo nella storicizzazione del fenomeno europeo l’elemento
fondante una sua concreta identificazione. Successivamente, oltre ad analizzare nello
specifico gli elementi che informano oggi lo spazio de quo, verrà operato un
approfondimento sulle istituzioni di giustizia penale comune preposte per una efficace
realizzazione.
Il focus della trattazione verterà in particolare sull’evoluzione e sulle modalità di sviluppo
della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale le quali, peraltro, oltre ad avere
garantito un deciso impulso alla costruzione dell’assetto attuale, hanno toccato, sotto molti
profili, il diritto penale sostanziale e processuale, gettando le basi per quello che, negli anni
venturi, potrà auspicabilmente qualificarsi alla stregua di un “diritto penale europeo”.
I momenti cruciali dell’integrazione. Al fine di fornire una visione di insieme alla nozione di
“spazio penale europeo”, che rientri nel più ampio genus di spazio di libertà, di sicurezza e
di giustizia, pare qui necessario riassumere, per sommi capi, gli snodi fondamentali che
hanno caratterizzato lo sviluppo del fenomeno. Trattasi di un percorso che può essere
diviso in cinque grandi tappe
2
rappresentate da:
1
Inteso nell’accezione di una ricostruzione, documentata e bibliografica, del fenomeno con la finalità di
fornire un quadro oggettivo e scevro da “incursioni” particolaristiche e politicamente orientate.
2
A. WEYEMBERGH, Storia della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, in AA.VV., Procedura
penale europea, a cura di R.E. KOSTORIS, Giuffrè, Milano, 2014, 144.
4
I) L’evoluzione della cooperazione in materia penale a partire dalle origini nel
quadro della prospettiva intergovernativa, formalmente epilogata con la
stipulazione dell’Atto Unico Europeo del 1986;
II) L’accordo di Schengen del 1985 (entrato in vigore nel 1986), in una con la
Convenzione di applicazione del 1990 (poi entrata in vigore nel 1995);
III) Il Trattato di Maastricht del 1992;
IV) Il Trattato di Amsterdam del 1997, il Trattato di Nizza del 2001, le conclusioni di
Tampere ed il programma dell’Aia;
V) Il Trattato di Lisbona del 2007 (entrato in vigore nel 2009) ed il Programma di
Stoccolma.
Questi momenti hanno interessato, trasversalmente, tutti i profili dell’integrazione
europea, seguendo un fil rouge che trova nella menzionata idea di spazio di libertà, di
sicurezza e di giustizia il fine ultimo della cooperazione.
5
Sezione I. Le origini ed i primi sviluppi della cooperazione giudiziaria e di polizia.
1. Una premessa in chiave criminologica. Nella tradizionale impostazione degli studi
giuridici, l’intervento sanzionatorio penale è considerato come la più tipica espressione
della sovranità dello Stato nella sua accezione di salvaguardia dei beni giuridici offesi o posti
in pericolo da condotte considerate illecite nell’àmbito di uno spazio delimitato
territorialmente. Per altro verso, la perseguibilità delle medesime condotte è stata
ritenuta
3
come “eccezionale” laddove commessa nel territorio di uno Stato estero.
Da tale “reticenza” alla condivisione della funzione giurisdizionale degli Stati è derivata
l’esclusività dell’attività giudiziaria nel verso che ogni Stato ha sempre custodito la titolarità
della funzione penale dentro i propri confini territoriali ciò portando, di fatto, alla
impermeabilità della relativa disciplina da influenze esterne
4
.
Una siffatta idea della giustizia penale, tipica degli ordinamenti ottocenteschi, è però
risultata del tutto inadeguata a “léggere” la realtà in una società a vocazione globale. La
“globalizzazione” dei rapporti sociali ed economici, «che campeggiano in uno spazio
3
Cfr., E. APRILE, Diritto processuale penale europeo e internazionale, Cedam, Padova, 2007, 2 ss.
4
Va osservato tuttavia come la cooperazione istituzionale tra gli Stati identifichi un fenomeno “nuovo” solo
avendo riguardo alla materia penale. Già in epoca moderna (a partire cioè dal XVII secolo) gli Stati avevano
per vero dato linfa alla prassi di stabilire rappresentanze permanenti per la tutela degli interessi pubblici e
privati che andavano sviluppandosi all’estero i quali, con il tempo, si tradussero nella stipulazione di
vicendevoli privilegi dal contenuto commerciale. Solo molto più tardi, a muovere dal XX secolo, in
conseguenza dell’aumento dei flussi migratori e al miglioramento dei mezzi di trasporto gli Stati avvertirono
la necessità di “stringere” accordi inerenti alla cooperazione in materia penale. Per chi volesse approfondire
cfr. G. LA GRECA, Origini e primi sviluppi della cooperazione giudiziaria internazionale, in AA.VV., Rogatorie
penali e cooperazione giudiziaria internazionale, a cura di G. LA GRECA, M.R. MARCHETTI, Giappichelli, Torino,
2003, 1 s.
6
virtuale cui è estranea una qualsiasi demarcazione territoriale»
5
, la generale
liberalizzazione degli spostamenti, il progresso tecnologico inteso quale strumento idoneo
allo sviluppo delle relazioni umane oltre i confini degli Stati e, last but not least, l’istituzione
del mercato comune
6
hanno portato alla velocizzazione di detto processo evolutivo, in
ordine al quale gli strumenti tipici a disposizione degli Stati si sono rivelati
significativamente insufficienti.
Tradotto ai giorni nostri, un simile assetto ha messo in luce alcune questioni problematiche
la cui soluzione appare insormontabile a meno di un deciso cambio di paradigma; l’esigenza
di uno spazio giudiziario unico più pregnante ad ogni livello istituzionale non va vista solo
quale “momento” di cooperazione tra Stati in risposta all’unione economica bensì come
necessità che origina dalle più concrete pressioni della realtà
7
8
.
Esulando in parte dal terreno strettamente giuridico l’istanza di cooperazione in materia
penale muove dalla presa di coscienza degli Stati della mutazione del panorama socio-
politico europeo. L’abbattimento delle frontiere interne e la proclamazione del principio di
5
P.GROSSI, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Foro it., 2002, 154 ss.
6
Dovuta, in primis, alla stipulazione dei Trattati istitutivi delle comunità europee.
7
Si permetta di operare un rinvio ai rilievi esposti al termine del paragrafo in argomento legati alle forme di
“euroterrorismo”. Sembra inoltre interessante evidenziare, ad abundantiam e senza pretesa di esaustività,
l’ampliamento dei flussi migratori, soprattutto nella loro dimensione clandestina che informa la quotidianità
del continente europeo. Stante, come è evidente in questi giorni, l’impossibilità dei Paesi di frontiera (quali
l’Italia, la Spagna, Malta, la Grecia su tutti), soli, di predisporre misure sufficienti per contribuire ad una
efficace risoluzione del fenomeno migratorio. In tal senso, il rafforzamento della cooperazione, a parere di
chi scrive, sembra l’unica via percorribile.
8
E. APRILE, op. cit., 5 ss.
7
libera circolazione delle persone
9
hanno contribuito al venire meno della concezione
esclusivamente “patria” delle attività criminali, tesi che aveva confortato
10
la visione di uno
Stato “sordo” alla concertazione in materia penale.
Con la graduale liberalizzazione economica e dei trasporti gli Stati hanno principiato a
confrontarsi con la dimensione transnazionale della criminalità: un fenomeno in grado di
ledere contemporaneamente una pluralità di interessi riconducibili a più comunità
nazionali
11
. L’evoluzione delle organizzazioni criminali, peraltro, va ricercata, oltre che nella
menzionata apertura economica, altresì nella tipologia e dalla natura dei beni soggetti a
tale libertà di circolazione: si pensi, ad esempio, al traffico internazionale di armi o di
stupefacenti, alla tratta internazionale di esseri umani, al riciclaggio di denaro proveniente
da attività illecite
12
13
. Il mancato raccordo tra le diverse autorità giurisdizionali porta difatti
9
Sancito ex art. 3 Trattato CE, il quale prevede che l’azione della Comunità si orienti alla realizzazione di «un
mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione
delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali».
10
In specie la politica criminale degli ordinamenti ottocenteschi brevemente descritti nel par. 2.
11
E. APRILE, op. cit., 4.
12
Cfr. T. RAFARACI, Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel crogiuolo della costruzione europea, in AA.VV.,
L’area di libertà, sicurezza e giustizia: alla ricerca di un equilibrio fra priorità repressive ed esigenze di garanzia,
a cura del medesimo, Giuffrè, Milano, 2007, 4 ss.
13
In un simile contesto è evidente che strumenti criminali (come ad esempio il traffico internazionale di armi
o la tratta di esseri umani summenzionati) possano sostanziarsi liberamente e risultare peraltro difficilmente
controllabili nel “transito” da un Paese all’altro.
8
alla tendenziale propensione delle organizzazioni criminali nella pratica di una sorta di
“forum shopping”
14
per la realizzazione dei propri programmi criminosi.
15
D’altro canto lo sviluppo di un terrorismo internazionale “in pianta stabile” che, negli anni
passati imperversava in Europa
16
, aveva evidenziato l’inidoneità degli strumenti di
prevenzione e di repressione impiegati singolarmente dagli Stati per far fronte al problema.
Attesa la “indeterminazione” territoriale del fenomeno, una sia pur embrionale forma di
cooperazione si andò via via imponendo finanche nell’ottica di contrasto all’operato delle
organizzazioni terroristiche. Divenne ben presto evidente il rischio di una forma di
“euroterrorismo”, di riflesso allo sviluppo della comunità economica europea
17
.
Giustappunto per tali ragioni gli Stati iniziarono a prendere atto dell’esigenza di fondare un
progetto di cooperazione internazionale su basi nuove, quali la semplificazione e la
maggiore concertazione tra le distinte autorità giudiziarie e di polizia ed il reciproco
14
Si permetta qui una estensione “internazionalistica” del fenomeno noto in Italia in special modo nelle sedi
civilistiche ed amministrativistiche. Con tale riferimento si vuole intendere la tendenziale propensione delle
organizzazioni criminali a privilegiare Paesi in cui l’attività degli organi giurisdizionali e di polizia viene ritenuta
complessivamente meno efficiente e dalla quale traspaia una forma di “convenienza” al compimento di reati
stante una maggiore “mitezza” del sistema sanzionatorio.
15
F. GALGANO, Il riflesso giuridico della globalizzazione, in Vita not., 2002, 51 s.
16
Un evento di particolare rilevanza, soprattutto a fronte della istituzione da parte dei Governi degli Stati
comunitari, nel quadro della cooperazione intergovernativa, di gruppi di lavoro ad hoc (vedasi per tutti il
Gruppo Trevi di cui al par. 4, sez. I, cap. I, 14) è stato il massacro di Monaco 1972, in occasione dei Giochi
Olimpici estivi; ma, oltre a queste cellule terroristiche provenienti dal Medio Oriente (nello specifico si trattò
di una cellula vicina all’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) poi denominata “Settembre
nero”, l’Europa occidentale cominciò ad avvertire la minaccia di movimenti oltranzisti di estrema destra
nonché di estrema sinistra. La coniugazione all’imperfetto è stata decisa nell’ottica di una ricostruzione
storica degli avvenimenti anche se, come noto, il fenomeno in discorso andrebbe descritto utilizzando il
tempo presente, una volta considerati gli ultimi fatti accaduti in Francia e non solo.
17
R. ADAM, La cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni: da Schengen a Maastricht, in Riv.
dir. eur., 1994, 225 ss.
9
riconoscimento dell’efficacia dei provvedimenti adottati da ognuna fra esse. Queste
fondamenta sono state considerate come il primo ed indispensabile passo per un più
efficace contrasto alle forme di criminalità transfrontaliera
18
.
2. Gli ostacoli all’istituzionalizzazione. Nonostante il fatto che alcune realtà sub-europee
già dagli anni sessanta del secolo decorso avessero attivato talune forme, pur basiche, di
cooperazione in materia penale
19
la Comunità Economica Europea risultò al principio
sprovvista di interventi in detto settore.
Ad uno spazio economico non corrispondeva difatti uno spazio di giustizia penale comune
inteso sotto il profilo della costituzione di regole condivise per il mantenimento della
sicurezza interna. Il denominato “dinamismo evolutivo”
20
che ha informato l’attività
istituzionale della Comunità nelle materie socio-economiche non ha per vero conosciuto i
medesimi sviluppi nella cooperazione in materia penale; in detto àmbito, come si vedrà
21
,
la cooperazione interstatuale è stata raggiunta seguendo un percorso distinto da quello
istituzionale. Invero si trattava di una scelta obbligata in quanto il Titolo VI che il Trattato
di Maastricht dedica alla “cooperazione in materia di giustizia e affari interni”
22
,
18
M. PISANI, Le convenzioni di assistenza giudiziaria in materia penale, in AA.VV., Le convenzioni di
estradizione e di assistenza giudiziaria. Linee di sviluppo e prospettive di aggiornamento, a cura di F.
MOSCONI, M.PISANI, Giuffrè, Milano, 1984, 129 ss.
19
Ad esempio il Benelux (Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo), con il Trattato Benelux di estradizione e di
assistenza giudiziaria in materia penale del 1962.
20
B. NASCIMBENE, Il diritto comunitario nel futuro, in Riv. dir. int. priv. proc.,1993, 587.
21
Si vedano gli sviluppi degli Accordi di Schengen di cui alla sezione seconda del presente capitolo.
22
Primo momento di effettiva istituzionalizzazione della cooperazione in materia penale.
10
conseguenza diretta del cosiddetto acquis communautaire, ab origine esulava dall’alveo
delle competenze della Comunità
23
.
Detta esclusione risponde ad una precisa scelta di campo fondata su due ordini di ragioni:
da un lato, come accennato in precedenza
24
, esisteva una forte ritrosia ad opera degli Stati
all’abbandono della titolarità esclusiva della materia penale; dall’altro, ed in conseguenza
del primo aspetto, va evidenziata la scelta originaria di perseguire, con i Trattati di Roma e
di Parigi istitutivi delle tre Organizzazioni comunitarie
25
, il metodo della cosiddetta
“integrazione funzionalista”
26
. Un “vizio d’origine”
27
che ha contribuito a rallentare il
percorso di istituzionalizzazione della cooperazione penale.
23
L. SCOTTI, La Cooperazione giudiziaria dal Trattato di Roma agli Accordi di Maastricht, in Doc. giust., 1992,
1406 e ss.
24
Vedasi incipit di cui al par. 2 del presente capitolo.
25
Ci si riferisce al Trattato della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) firmato il 18 aprile 1951
da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Italia (ratificato da quest’ultima con l. 3 gennaio 1960,
n.102, recante ““Ratifica ed esecuzione dello Statuto della Scuola europea, firmato a Lussemburgo il 12 aprile
1957”) ed entrato in vigore il 25 luglio 1952; i trattati che istituiscono la Comunità economica europea (CEE)
e la Comunità europea dell'energia atomica (CEEA o EURATOM) firmati il 25 marzo 1957 ed entrati in vigore
il primo gennaio 1958 (detti due ultimi Trattati sono stati ratificati dall’ordinamento italiano con l. 14 ottobre
1957, n. 1203, recante “Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi internazionali, firmati a Roma il 25 marzo
1957: a) Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica ed Atti allegati; b) Trattato che
istituisce la Comunità economica europea ed Atti allegati; c) Convenzione relativa ad alcune istituzioni comuni
alle Comunità europee”).
26
Tale nozione indica la scelta degli Stati di istituzionalizzare alcuni soltanto dei settori della vita socio-
economica eccettuandone di ulteriori (vedasi infra, sub nota 78, cap. I, p. 25) . In quest’ottica, la cooperazione
nel settore penale non venne inizialmente ricompresa tra le materie “funzionali” al raggiungimento dei fini
comunitari, così come stabiliti nei Trattati istitutivi. In dottrina v. A. TIZZANO, Codice dell’Unione Europea,
Cedam, Padova, 1995, XIII.
27
N. PARISI, Il “terzo pilastro” dell’Unione Europea, in AA.VV., Giustizia e affari interni nell’Unione Europea: il
“terzo pilastro del Trattato di Maastricht, a cura di N.PARISI, D. RINOLDI, Giappichelli, Torino, 1996, 26 s.