messi a disposizione dal datore. Più complicata è l’analisi degli altri due elementi
costitutivi della fattispecie: l’attività inventiva come oggetto della prestazione e la
presenza di una apposito corrispettivo per tale attività.
Per quanto riguarda il primo requisito, sorgono già incertezze circa la
definizione stessa di “attività inventiva”. Mancando infatti una specifica delimitazione
del concetto da parte del legislatore, alcune sentenze
46
della Cassazione hanno esteso
oltremodo il significato della locuzione, ritenendo ogni attività di studio, di ricerca e
di progettazione rientrante nel concetto di attività inventiva, altre più recenti hanno
invece identificato tale requisito nella considerazione ex ante di risultati brevettabili
quale oggetto del facere pattuito
47
. Rimane fermo in ogni caso il dovere del giudice di
accertare, quale che sia l’accezione di attività inventiva accolta, non solo a livello
formale se essa sia dedotta nel contratto di lavoro, ma anche sul piano sostanziale di
verificare il comportamento effettivo delle parti nonché delle specifiche mansioni
concretamente svolte dal lavoratore.
Circa il secondo requisito per l’applicabilità della fattispecie, è rilevabile come
il legislatore richieda che l’attività inventiva sia “a tale scopo retribuita”, e, secondo
l’interpretazione più seguita, che sia quindi prevista una specifica parte del salario per
tale attività. È da subito utile evidenziare come la maggior o minor ampiezza della
fattispecie delle invenzioni di servizio “viene a trovarsi in rapporto di proporzionalità
diretta con il primo elemento e inversa col secondo, nel senso che quanto più ampio e
comprensivo è il significato accordato alla nozione di attività inventiva e quanto
minore è il rilievo riconosciuto al fattore retribuzione, tanto più l’area coperta dalla
predetta disciplina si espande e, correlativamente il margine di applicazione del
secondo comma e quindi di riconoscimento dell’equo premio si riduce”
48
.
26
46
Cfr. Cass. 6 marzo 1992, n. 2732, in Dir. lav., 1993; Cass. 5 marzo 1993, n. 2711, in Riv. dir. ind., 1993.
47
Cfr. Cass. 5 novembre 1997, n.10851, in Riv. dir. ind., 1998; Trib. Milano 14 marzo 1998 in Orient. giur.
lav., 1998; e in dottrina la soluzione di AULETTA in Dei diritti sulle opere dell’ingegno e sulle invenzioni
industriali, in Comm. cod. civ., a cura di SCIALOJA - BRANCA, Bologna, 1960.
48
PELLACANI, La tutela delle creazioni intellettuali nel rapporto di lavoro, Torino, 1999, p. 98.
1.2.1 Individuazione dell’oggetto dell’obbligazione lavorativa
Come si è avuto modo di precisare in precedenza, uno dei due requisiti necessari
per l’applicazione della disciplina in esame è la previsione dell’attività inventiva nel
contratto di lavoro. Esaminare le diverse qualificazioni che vengono fornite da
dottrina e giurisprudenza a tale locuzione è essenziale per comprendere quale sia
l’effettiva estensione della fattispecie delle invenzioni di servizio: infatti ove si ampli
l’area di applicazione di questa fattispecie, conseguentemente si riducerà lo spazio
applicativo delle invenzioni d’azienda.
Bisogna sottolineare come da un esame della giurisprudenza, recente e non, e
della dottrina si ottenga un quadro complessivo abbastanza confuso, frutto di
pronunce poco chiare ma soprattutto dal susseguirsi di interpretazioni e correnti di
pensiero all’interno della Suprema Corte molto varie e difficilmente riconducibili a
orientamenti omogenei.
Per molto tempo la giurisprudenza, seguita dalla maggioranza della dottrina
49
,
ha ritenuto che requisito fondamentale fosse l’inserimento del lavoratore in laboratori
di ricerca, ponendo come criterio basilare l’equazione attività di ricerca-attività
inventiva
50
. In questo senso sarebbe perciò qualificabile come inventiva l’attività
prestata dal lavoratore perché potenzialmente idonea a sviluppare un’invenzione,
prescindendo però da ogni analisi sull’altro aspetto essenziale della fattispecie: la
presenza di una retribuzione specifica. In secondo luogo, dalla medesima
giurisprudenza della Corte di Cassazione si era possibile evincere che tutto ciò che
fuoriuscisse dall’attività dovuta, in quanto non previsto al momento dell’assunzione
del lavoratore, e si qualificasse pertanto come occasionale, rientrasse nel novero delle
invenzioni d’azienda, facendo così sorgere il diritto all’equo premio in capo al
dipendente. Un siffatto inquadramento delle fattispecie porta a delle conseguenze
27
49
Per la dottrina più recente si rimanda a DI CATALDO, I brevetti per invenzione e modello, cit; SENA, I
diritti sulle invenzioni, cit.; ANGIELLO, Invenzioni dei dipendenti. Diritti patrimoniali e morali (nota a
Cass. 5 dicembre 1985, n. 6117), in La nuova giur. civ. comm., 1986; per la giurisprudenza cfr. ad esempio
Cass. 6 marzo 1992, n. 2732 in Dir. lav. 1993.
50
Cfr. PELLACANI, Op. cit., p. 106
inaccettabili: il semplice requisito della occasionalità non può fungere da elemento
principale di distinzione tra le due fattispecie, essendo generico e dal carattere
scarsamente distintivo. Tanto più che, seguendo una impostazione del genere, si
arriverebbe ad una marginalizzazione della fattispecie delle invenzioni d’azienda, e
alla conseguente riduzione del diritto all’equo premio da parte del lavoratore. Di
contro non è neppure accettabile l’irrazionale conseguenza opposta, proposta da
alcuni autori
51
, in base alla quale spetterebbe l’equo premio, come giusto compenso,
anche al lavoratore assunto per inventare quando l’invenzione sia di particolare
importanza o fosse poco prevedibile il suo realizzarsi.
Inoltre lo stesso binomio attività di ricerca-attività inventiva non è di per sé
idoneo a fungere da elemento di discrimine per individuare la “attività inventiva”: la
stessa Suprema Corte in pronunce successive sottolinea come le parti, datore e
lavoratore, possano considerare l’attività di ricerca, di per sé idonea a condurre a
invenzioni, solamente per il suo “normale carattere ricognitivo e di applicazione
tecnologica delle conoscenze acquisite”
52
e non già per il suo carattere creativo.
Si evince pertanto che l’inserimento del lavoratore in un laboratorio di ricerca
non è condizione sufficiente perché si possa ritenere che l’invenzione realizzata fosse
prevista nel contratto e quindi retribuita, tantomeno è possibile ritenere che le parti,
tacitamente, abbiano tout court deciso di includere nel contratto di ricerca l’eventuale
risultato inventivo. Tra i due concetti, attività inventiva e di ricerca
53
, vi è infatti insita
una differenza fondamentale, con l’attività inventiva infatti si mira a realizzare un
nuovo trovato, anche collegando tra loro conoscenze note in modo creativo in grado di
produrre un risultato originale; con l’attività di ricerca invece si affinano le
28
51
DI CATALDO, I brevetti per invenzione e modello, cit., p. 189 e ss., che adduce come giustificazione il
fatto che nella prassi lavorativa è comunque normale accordare dei premi o benefici di diverso genere anche
quando il contratto preveda già come oggetto lo svolgimento di attività inventiva.
52
Cfr. Cass. 23 maggio 1991, n. 5803, in Dir. lav., 1991.
53
La pretura di Ferrara nella pronuncia 21 giugno 1986 n.1198 suddivide tale attività in tre categorie:
“ricerca di base che consiste nello studio di leggi chimiche e fisiche che regolano i fenomeni, sviluppata
indipendentemente da condizionamenti derivanti da possibili applicazioni di tali fenomeni; ricerca e
sviluppo, destinata allo studio di nuovi processi o prodotti in relazione a una precisa applicazione o esigenza
di mercato; ricerca tecnologica, finalizzata a individuare le soluzioni ai problemi che sorgono durante
l’impegno di prodotti o nell’applicazione di processi già sviluppati”.
conoscenze in possesso ma non si presuppone alcun risultato creativo. Anche se è
bene precisare che al giorno d’oggi sono realmente poche le invenzioni che
discendano da una “intuizione geniale” e che la maggior parte sono in effetti il
prodotto di ricerche sistematiche condotte con metodo scientifico, ma questo non può
portare a una equivalenza tra i due concetti sopra analizzati. In generale si può solo
affermare che l’attività inventiva può risiedere sia nella ricerca, nella progettazione,
nella sperimentazione e in generale in tutte quelle attività cui derivi comunemente un
trovato nuovo
54
.
Non si può nemmeno condividere quella dottrina
55
che, cercando di ancorarsi a
criteri oggettivi per valutare la volontà delle parti contrattuali, arriva a distinguere tra
attività inventiva e risultato inventivo, modellando la fattispecie in esame sullo
schema della vendita di cosa futura. Secondo tali autori, e parte della giurisprudenza
della Suprema Corte
56
, infatti non sarebbe sufficiente che le parti abbiano previsto una
attività inventiva e nemmeno che abbiano previsto una retribuzione superiore per per
questa attività, sarebbe necessario altresì la previsione di uno specifico corrispettivo
per la cessione delle invenzioni. Tale lettura della fattispecie, già arbitraria per quanto
riguarda la creazione giurisprudenziale dell’ulteriore requisito del “risultato
inventivo”, a causa del suo eccessivo formalismo porterebbe a un aumento
sconsiderato dell’insorgenza diritto all’equo premio, restringendo oltremodo la
fattispecie del primo comma dell’art. 64 c.p.i. e creando in ambito applicativo
conseguenze non accettabili
57
.
È evidente a questo punto come la vaghezza della locuzione “attività inventiva”
influisca sui risultati di giurisprudenza e dottrina e come sia necessario trovare una
soluzione che tenga conto sia dei dati formali della norma, senza dunque stravolgere il
29
54
Cfr. BETTINI, Attività inventiva e rapporto di lavoro, cit., p. 61.
55
Cfr. AULETTA, Azienda - Opere dell'ingegno e invenzioni industriali - Concorrenza, in Commentario del
codice civile a cura di SCIALOJA BRANCA, 1958, Bologna Roma; ASCARELLI, Teoria della concorrenza
e dei beni immateriali, Torino, 1957,
56
Cfr. Cass. 5 novembre 1997, n. 10851, in Riv. dir. ind., 1998
57
Da un lato le imprese si troverebbero a dover rinegoziare in contratti in essere per meglio specificarli,
dall’altro aumenterebbero considerevolmente le richieste di equo premio da parte dei lavoratori.
senso del dettato del legislatore, quanto indicare parametri interpretativi chiari e
obiettivi per individuare facilmente ove sia inclusa l’attività inventiva nei contratti di
lavoro. Per ottenere questo risultato è necessario abbandonare le ricostruzioni
tradizionali della fattispecie, tenendo sempre ben presente la ratio della ripartizione
delle invenzioni realizzate nell’esecuzione di un contratto di lavoro, quel
bilanciamento degli interessi di datore e lavoratore di cui si accennava in precedenza.
Per raggiungere una sufficiente certezza circa i presupposti applicativi della
fattispecie delle invenzioni di servizio è innanzitutto necessario abbandonare la
tendenza prima descritta di ricercare un significato pregnante della locuzione “attività
inventiva”. Si è avuto modo di constatare infatti che utilizzare tale espressione come
punto nevralgico della indagine sulle invenzioni di servizio ha spesso portato a
conclusioni sconvenienti. Per giungere quindi a risultati apprezzabili è bene adottare
come punto di partenza il contratto di lavoro e l’indagine della effettiva volontà delle
parti, senza fermarsi alla lettera delle clausole. Tra le varie posizioni dottrinali
espresse in precedenza è possibile rintracciare una posizione mediana, che tenga conto
sia delle esigenze di certezza del diritto sia necessità di verificare in concreto la
presenza della attività inventiva nei contratti di lavoro. Come anticipato in
precedenza, più che indagare circa il significato della attività inventiva è necessario
rintracciare quel nesso di causalità tra l’attività svolta dal lavoratore e la realizzazione
dell’invenzione: si tratterà di invenzioni di servizio ogni volta che l’invenzione possa
essere configurabile come sbocco prefigurato dell’attività lavorativa per la quale il
dipendente è stato assunto. Ed è in questo senso che l’attività inventiva deve essere
oggetto del contratto: sarà sufficiente che lo svolgimento dell’attività finalizzata al
conseguimento di un risultato inventivo rientri fra le mansioni concretamente affidate
al lavoratore, non ritenendosi necessario che essa venga svolta in via esclusiva o
prevalente rispetto ad altre attività
58
.
30
58
Cfr. STUFLER, Invenzioni di servizio e invenzione d’azienda: una norma ancora da capire, nota a Cass.
24 gennaio 2006, n. 1285, in Riv. dir. ind., 2007.