INTRODUZIONE Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni costituiscono
uno dei temi portanti del dibattito attuale relativo alla tutela della
riservatezza individuale.
Il carattere segreto di tale mezzo di ricerca della prova lo rende
particolarmente efficace ai fini delle esigenze di indagine
(soprattutto per quanto riguarda determinate tipologie di reati, come,
ad esempio, quelli di criminalità organizzata o contro la pubblica
amministrazione): le intercettazioni si configurano, pertanto, come
un’attività investigativa irrinunciabile, soprattutto nella situazione
italiana, caratterizzata dall’ampia diffusione del fenomeno delle
grandi organizzazioni criminali.
Ciononostante, è necessario tener presente che le intercettazioni
comportano un rilevante sacrificio della riservatezza dei cittadini:
basti considerare il fatto che esse possono riguardare, non solo la
persona indagata, ma anche soggetti terzi, del tutto estranei al
procedimento penale, la cui privacy viene violata per il semplice
fatto di essere entrati, in qualche modo, in contatto con l’indagato
stesso. Inoltre, con l’attività intercettiva, non potendo essere
compiuta una selezione del materiale antecedente al compimento
dell’atto, vengono registrate sia conversazioni effettivamente
importanti ai fini processuali, sia dialoghi del tutto irrilevanti.
1
La problematica del rapporto tra intercettazioni e diritto alla
riservatezza è, infine, amplificata dalla recente tendenza alla
divulgazione a mezzo stampa del contenuto delle conversazioni
registrate, in particolare quando esse riguardino soggetti che
rivestono una carica pubblica o, comunque, che presentino carattere
di notorietà tra il pubblico. E il problema si fa, tanto più, rilevante
quando la pubblicazione concerna, come spesso accade, dialoghi del
tutto irrilevanti rispetto alla vicenda processuale.
Nel presente lavoro di tesi si è cercato, innanzitutto, di inquadrare
la tematica relativa all’attività di intercettazione dei colloqui privati
nell’ambito della normativa costituzionale posta a tutela della libertà
e segretezza delle comunicazioni (art. 15 Cost.), con particolare
riguardo alle garanzie che devono necessariamente esistere al fine di
assicurare che il sacrificio della riservatezza individuale non sia
sproporzionato rispetto alle effettive esigenze di persecuzione dei
reati.
Si è, inoltre, visto come tale problematica vada ricompresa nel più
ampio discorso relativo alla esistenza e tutela del diritto alla
riservatezza, il quale viene a ricomprendere anche mezzi di ricerca
della prova di definizione controversa, ma, tuttavia, “affini” al
fenomeno delle intercettazioni, quali la raccolta dei dati esteriori
delle comunicazioni telefoniche e le riprese visive di avvenimenti
della vita privata.
2
La vita privata (la cui tutela è ricavata, nel nostro ordinamento
costituzionale, in via esclusivamente indiretta a partire dalla
protezione assicurata ad altri diritti, considerati aspetti particolari
del diritto alla riservatezza, ed attraverso la “clausola aperta” di cui
all’art. 2 Cost., il quale garantisce i diritti inviolabili dell’uomo)
riceve una protezione più ampia e specifica nell’ambito della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950 e resa esecutiva
in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, la quale è stata, peraltro,
recentemente sostituita dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea (cd. Carta di Nizza). L’art. 8 della Convenzione
europea prevede i requisiti che devono essere rispettati al fine di
procedere a qualsiasi operazione limitativa della riservatezza di un
soggetto, offrendo, pertanto, una disciplina anche ad ipotesi non
esplicitamente prese in considerazione nel nostro ordinamento.
Infine, si è analizzato il recente problema della pubblicazione sui
giornali, o mediante altri mezzi di comunicazione di massa, del
contenuto delle conversazioni intercettate, cercando di individuare il
possibile bilanciamento tra l’interesse della collettività a ricevere
informazioni sui procedimenti penali in corso, in particolare quando
essi riguardino esponenti del mondo politico su cui il pubblico ha
diritto a formarsi un’opinione al fine dell’esercizio dei propri diritti
elettorali, ed il diritto a mantenere il riserbo su determinati aspetti
3
della propria vita privata, il quale va pur sempre garantito anche ai
soggetti coinvolti in un procedimento penale.
4
CAPITOLO 1
Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni: un
tentativo di delimitazione dell’istituto 1. 1 Definizione e caratteristiche dell’atto intercettivo Le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni
rappresentano uno dei mezzi investigativi più importanti ai fini della
ricerca della prova nel processo penale, consistente nella captazione
clandestina, normalmente previo ricorso ad apposite apparecchiature
tecnologiche, di colloqui riservati intercorrenti tra più soggetti, che
si svolgano “a distanza” oppure “tra presenti”. Uno strumento di
indagine sicuro, a causa del carattere di spontaneità dei dialoghi con
esso registrati (i risultati di un’intercettazione sono difficilmente
manipolabili)
1
e che si è rivelato e continua a rivelarsi indispensabile
soprattutto in rapporto ai procedimenti relativi a particolari tipologie
di reati, come ad esempio i delitti di criminalità organizzata o di
1
Cfr. V. GREVI, Le intercettazioni al crocevia tra efficienza del processo e
garanzie dei diritti , in AA. VV. Le intercettazioni di conversazioni e
comunicazioni. Un problema cruciale per la civiltà e l’efficienza del processo e
per le garanzie dei diritti. Atti del convegno, Milano 5-7 ottobre 2007 , Milano,
2009, 24, il quale sottolinea come sia piuttosto un diverso problema quello della
esatta comprensione dei dialoghi intercettati.
5
corruzione. La straordinaria efficacia investigativa di tale mezzo di
ricerca della prova deriva principalmente dalle modalità “insidiose”
che lo connotano: si tratta di un atto “a sorpresa” ed occulto 2
. Gli
interlocutori della comunicazione sono all’oscuro del fatto di essere
intercettati, pertanto essi non hanno la possibilità di autocensurarsi
nel corso delle proprie conversazioni e ciò assicura la genuinità del
contenuto dei dialoghi.
Allo stesso tempo, però, l’intercettazione presenta notevoli aspetti
di problematicità, a causa del suo carattere lesivo di fondamentali
diritti della persona, a partire dal diritto alla libertà e segretezza
delle comunicazioni tutelato dall’art. 15 della Costituzione (nonché
dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del
1950
3
, quale aspetto di un più ampio diritto di ogni persona “al
rispetto della sua vita privata e familiare”).
Nonostante il punto di riferimento principale rimanga l’art. 15 Cost.,
al crocevia della tematica si intersecano valori ulteriori, molti dei
quali dotati di tutela nel testo costituzionale. Da un lato, vi è
innanzitutto il valore legato all’efficienza delle indagini ed
all’esigenza di repressione dei reati, riconducibile all’ambito di
2
Cfr. V. GREVI, Le intercettazioni al crocevia , cit., 24, nonché P. BALDUCCI,
Le garanzie nelle intercettazioni tra Costituzione e legge ordinaria , Milano,
2002, 1 ss. Secondo Balducci le intercettazioni rappresentano “il nervo scoperto
di un sistema processuale di stampo accusatorio”, il quale non è finalizzato alla
ricerca della verità ad ogni costo, ma piuttosto al conseguimento di una verità
processuale controllata dalle parti grazie al contraddittorio.
3
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.
6
operatività dell’art. 112 Cost. (obbligatorietà dell’esercizio
dell’azione penale). Dall’altro lato, vanno garantite le esigenze della
difesa (art. 24, comma 2, Cost.), sia sotto il profilo del diritto
dell’indagato ad avere conoscenza dei risultati delle intercettazioni
rilevanti nei suoi confronti ai fini delle successive attività difensive,
sia dal punto di vista dell’inviolabilità delle comunicazioni tra
difensore ed assistito (peraltro oggi sancita nel nostro sistema
processuale dall’art. 103, comma 5, del Codice di procedura
penale)
4
.
Un’ulteriore problematica è venuta ad interessare la tematica
delle intercettazioni in epoca relativamente recente: quella della
pubblicazione dei risultati delle operazioni captative. Entra quindi in
gioco un altro valore costituzionale, il quale necessita di essere
posto a confronto e bilanciato con quelli sopra ricordati: il diritto
all’informazione (che trova fondamento nell’art. 21 Cost.), inteso
sia come diritto ad informare, sia come diritto ad essere informati 5
.
L’istituto delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni fa
la sua prima comparsa nel Codice di procedura penale del 1913. La
dottrina dell’epoca, data la, ancora scarsa, evoluzione tecnologica
dei mezzi di comunicazione, era portata ad equiparare i colloqui tra
persone che avvenivano con il mezzo del telefono alla
4
Cfr. V. GREVI, Le intercettazioni al crocevia , cit., 25 ss.
5
Il tema verrà trattato più approfonditamente nel prosieguo del lavoro (capitolo
quarto).
7
comunicazione che si realizzava mediante passaggio di un oggetto
materiale da un mittente ad un destinatario (come ad esempio la
corrispondenza epistolare). L’intervento sulla corrispondenza
epistolare era pertanto considerato come modalità tipica di
intrusione nelle comunicazioni private, e ciò ha portato ad una
iniziale assimilazione dell’intercettazione alla fattispecie del
sequestro 6
. L’equiparazione trovava poi un aggancio testuale nel
Codice di rito del 1930, il quale (analogamente a quanto prevedeva
il Codice del 1913) inseriva la disciplina delle intercettazioni
nell’art. 226, rubricato “Sequestro di carte sigillate-Facoltà relative
alla corrispondenza”.
Il successivo sviluppo tecnologico ha posto invece in evidenza le
diversità tra documenti cartacei e dati forniti dalle moderne tecniche
di captazione di conversazioni, per cui l’assimilazione tra
intercettazione e sequestro non è più sostenibile. La stessa funzione
dei due mezzi di ricerca della prova è diversa: il sequestro è teso ad
assicurare al processo un’entità materiale la cui esistenza è già nota
agli inquirenti, mentre l’intercettazione è volta a ricercare elementi
istruttori sconosciuti o di cui si ha solo un’ipotetica conoscenza 7
.
6
Cfr. P. BRUNO, (voce) Intercettazioni di comunicazioni o conversazioni , in
Dig. Discipl. Pen. , vol. VII, Torino, 1993, 176 ss.. Si veda anche P.
BALDUCCI, Le garanzie nelle intercettazioni , cit., 10.
7
Cfr. P. BRUNO, (voce) Intercettazioni , cit., 177, P. BALDUCCI, Le garanzie
nelle intercettazioni , cit., 11.
8
E’ perciò necessario procedere ad una definizione del concetto di
intercettazione, con la consapevolezza che si tratta di un mezzo
istruttorio a sé stante, non assimilabile ad altri.
L’attuale Codice di procedura penale, nel disciplinare l’istituto
agli artt. 266-271, non ne fornisce una definizione. Tuttavia i
caratteri che differenziano l’atto intercettivo dalle interferenze nella
vita privata non definibili come intercettazioni in senso tecnico-
giuridico possono essere desunti dal complesso della normativa in
materia.
L’intercettazione di conversazioni e comunicazioni può essere
definita come un’attività di indagine preliminare, tesa
all’acquisizione di elementi “indispensabili” per la prosecuzione
delle indagini (art. 267, comma 1, c.p.p.), che si traduce nella
clandestina e non consentita (dai dialoganti) captazione delle altrui
conversazioni e/o comunicazioni, mediante l’uso di strumenti
tecnici di percezione insidiosi ed invasivi 8
. Tale definizione risulta
essere confermata anche dalle Sezioni Unite della Corte di
cassazione, le quali, nella sentenza 28 maggio-24 settembre 2003, n.
8
Cfr. G. MARALFA, Le intercettazioni , Milano, 2004, 12. In senso conforme si
veda anche P. BALDUCCI, Le garanzie nelle intercettazioni , cit., 11 ss., nonché
L. KALB, Un binomio inscindibile: intercettazioni di comunicazioni e garanzie
tra prassi e prospettive di riforma , in AA. VV. Le intercettazioni di
conversazioni e comunicazioni. Un problema cruciale per la civiltà e
l’efficienza del processo e per le garanzie dei diritti. Atti del convegno, Milano
5-7 ottobre 2007 , Milano, 2009, 279.
9
36747
9
, procedono all’enucleazione di una serie di requisiti
necessari per la qualificazione di un’intercettazione di
comunicazioni interprivate rientrante nell’ambito operativo della
relativa disciplina codicistica.
Innanzitutto è necessario che i soggetti comunichino tra di loro
con il preciso intento di escludere estranei dal contenuto del dialogo,
ed adoperino perciò modalità di comunicazione idonee ad assicurare
la segretezza del colloquio; un’espressione del pensiero che, seppur
rivolta ad un soggetto determinato, venga effettuata in modo poco
discreto, tale da renderla percepibile ai terzi (ad esempio, parlando
ad alta voce in pubblico oppure utilizzando onde radio liberamente
captabili) “non integra il concetto di ‘corrispondenza’ o di
‘comunicazione’, bensì quello di ‘manifestazione’, con l’effetto che
si rimane al di fuori del fenomeno in esame” 10
. La tutela di tali
espressioni di pensiero rientra nell’ambito dell’art. 21 Cost., non
dell’art. 15 Cost.
11
.
In secondo luogo, stando alla lettera dell’art. 268, comma 3, c.p.p.
12
,
appare indispensabile l’uso di strumenti tecnici di percezione
(elettro-meccanici od elettronici) invasivi ed insidiosi, idonei a
9
Cass., Sez. Un., sent., 28 maggio-24 settembre 2003, n. 36747, in Guida al
Diritto , 2003, 42.
10
Cass., Sez. Un., sent., 28 maggio-24 settembre 2003, n. 36747, in Guida al
Diritto , 2003, 42 ss.
11
Si veda, nello stesso senso, P. BRUNO, (voce) Intercettazioni , cit., 178.
12
“Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli
impianti installati nella Procura della Repubblica”.
10
superare le elementari cautele che dovrebbero garantire la libertà e
riservatezza del dialogo; non si sarebbe pertanto in presenza di
intercettazione “rituale” qualora la cognizione del colloquio segreto
non avvenisse tramite la predisposizione di un apparato tecnico
idoneo a captare la conversazione nel corso del suo svolgimento 13
.
Infine, risulta necessaria l’estraneità al colloquio del soggetto
captante il quale, in modo clandestino, violi la segretezza della
conversazione. La captazione dei dialoghi ad opera di un terzo
estraneo alla conversazione all’insaputa degli interlocutori
costituisce quindi una caratteristica necessaria per la qualifica di
intercettazione 14
.
13
In tal senso, P. BALDUCCI, Le garanzie nelle intercettazioni , cit., 12, L.
KALB, Un binomio inscindibile , cit., 279, G. MARALFA, Le intercettazioni ,
cit., 12. Il punto non è però pacifico. In senso contrario all’assoluta
indispensabilità dell’utilizzo di particolari apparati tecnici ai fini
dell’intercettazione si veda P. BRUNO, (voce) Intercettazioni , cit., 179, il quale,
riferendosi principalmente al caso delle intercettazioni di comunicazioni tra
presenti (per le quali non risulta sempre necessario l’utilizzo di strumenti
tecnici, essendo i relativi dialoghi spesso captabili anche con il solo ausilio dei
sensi umani), sottolinea come l’art. 266, comma 2, c.p.p. qualifichi come
“processualmente illegittima ogni presa di cognizione non autorizzata dal
magistrato…senza operare discriminazioni basate sulla natura o la tipologia dei
mezzi di aggressione”. Quindi, secondo l’autore, per potersi avere una vera
intercettazione anziché un semplice “ascolto” di natura non intercettiva sarà
sicuramente necessaria la predisposizione di qualche accorgimento insidioso
(nella maggior parte dei casi, di tipo meccanico od elettronico), ma non può
escludersi che certi interventi, preordinati alla captazione fisiologica delle
comunicazioni orali, rivelino caratteri di vere e proprie intercettazioni.
14
Cfr. P. BRUNO, (voce) Intercettazioni , cit., 179. Problematica risulta quindi la
questione della qualifica in termini di atto intercettivo della registrazione del
colloquio ad opera di uno dei dialoganti, ai fini dell’assoggettabilità di tali
registrazioni alla disciplina degli artt. 266-271 c.p.p., sulla quale si rinvia al
paragrafo successivo.
11
Oggetto dell’atto intercettivo è la presa di conoscenza da parte di
un terzo del contenuto di una comunicazione. L’attuale disciplina
codicistica definisce l’oggetto dell’atto intercettivo riferendosi a
“conversazioni o comunicazioni telefoniche e […] altre forme di
telecomunicazione” (art. 266, comma 1, c.p.p.). La formula elastica
“altre forme di telecomunicazione” si rivela idonea a ricomprendere
in se stessa qualunque genere di mezzo comunicativo, compresi
quelli offerti dalle tecnologie informatiche e quelli che un futuro
sviluppo tecnologico dovesse portare ad esistenza.
Peraltro, l’art. 11 della legge 23 dicembre 1993, n. 547, ha
introdotto nel codice un articolo appositamente dedicato
all’intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o
telematiche, l’art. 266 bis , che la prevede in relazione agli stessi casi
previsti dall’art. 266 c.p.p., nonché per i reati commessi mediante
l’impiego di tecnologie informatiche e/o telematiche. Quanto detto
in precedenza a proposito dell’idoneità della locuzione “altre forme
di telecomunicazione” a ricomprendere in sé qualsiasi tipo di
comunicazione potrebbe far apparire come inutile l’inserimento
dell’art. 266 bis nel tessuto codicistico. In realtà, l’utilità di tale
articolo si rinviene nel suo estendere la possibilità di compiere atti
intercettivi (di comunicazioni informatiche) a fattispecie di reato
12
ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 266, vale a dire i reati
commessi proprio attraverso tali specifici mezzi di comunicazione 15
.
Oggetto di captazione possono poi essere anche dialoghi orali:
l’art. 266, comma 2, infatti, consente esplicitamente anche
l’intercettazione di comunicazioni tra presenti (cd. intercettazioni
ambientali).
Soggetto passivo di un atto di intercettazione può essere
innanzitutto l’inquisito, vale a dire chiunque risulti sottoposto ad
indagini per una delle fattispecie criminose indicate dall’art. 266,
comma 1, c.p.p.; le captazioni possono poi essere esperite anche nei
confronti di terzi estranei alla vicenda penale, purché emerga un loro
collegamento di qualche tipo con il fatto o con il soggetto indiziato.
Nel caso in cui vengano sottoposti ad intercettazione tali soggetti
terzi, dato il maggiore sacrificio ad essi imposto con riguardo al
diritto garantito dall’art. 15 Cost., sarà necessario valutare con
particolare cautela i presupposti per l’emissione del decreto
autorizzativo di intercettazione ed altresì indicare nella motivazione
il collegamento che lega il soggetto intercettato alla fattispecie di
reato su cui si indaga od al soggetto indagato 16
.
Si riscontrano poi determinate categorie di soggetti per i quali
valgono regole particolari in tema di intercettazioni di
conversazioni.
15
Cfr. P. BALDUCCI, Le garanzie nelle intercettazioni , cit., 21-23.
16
Cfr. P. BRUNO, (voce) Intercettazioni , cit., 186.
13
La prima di tali categorie ricomprende: i difensori, gli
investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al
procedimento, i consulenti tecnici e i loro ausiliari. L’art. 103,
comma 5, statuisce l’assoluto divieto di intercettare le
comunicazioni di questi soggetti e quelle intercorrenti tra essi e i
loro assistiti (divieto posto evidentemente in funzione di tutela della
difesa).
Per quanto riguarda poi le comunicazioni degli altri soggetti
vincolati dal segreto professionale (art. 200, comma 1, c.p.p.), l’art.
271, comma 2, c.p.p., pur non stabilendo un esplicito divieto di
intercettare, consegue in via indiretta il medesimo risultato
dichiarando inutilizzabili gli esiti delle relative intercettazioni, ad
eccezione di quelle riguardanti fatti sui quali gli stessi soggetti
abbiano deposto o che siano stati dagli stessi in qualche modo
divulgati 17
.
Un’innovazione è stata poi apportata dalla legge 3 agosto 2007, n.
124, la quale, in riferimento alle ipotesi in cui l’autorità giudiziaria,
attraverso lo strumento delle intercettazioni, abbia acquisito
“comunicazioni di servizio” di soggetti appartenenti al sistema dei
servizi di sicurezza, ha previsto una disciplina particolare inserendo
nel codice l’art. 270 bis . Tale norma prevede che, qualora l’autorità
giudiziaria abbia intercettato tali comunicazioni, essa debba disporre
17
Cfr. P. BRUNO, (voce) Intercettazioni , cit., 187.
14