I
INTRODUZIONE
Il tema delle intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali, e della loro
pubblicazione, è indubbiamente di grande attualità, attira da tempo l’attenzione
pubblica ed è oggetto di frequenti dibattiti in dottrina e giurisprudenza.
Intorno alla tematica delle intercettazioni ruotano principi di portata costituzionale,
quali l’esigenza processuale di acquisizione delle prove e, d’altro canto, il rispetto dei
principi fondamentali dell’essere umano. In particolare, nel settore delle intercettazioni,
le esigenze processuali ed il diritto di informazione sulle vicende giudiziarie si
confrontano con la tutela della privacy, dell’identità personale e della dignità delle
persone coinvolte, direttamente o indirettamente, dalle indagini processuali.
E dunque, le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni rappresentano uno dei
più rilevanti argomenti della dialettica tra autorità e libertà. Da un lato, la libertà e la
segretezza delle comunicazioni, che la nostra Carta costituzionale sancisce come
inviolabili ai sensi dell’art. 15 Cost.; da altro lato, l’esigenza di reprimere in modo
adeguato i fatti di reato e le attività criminali.
Efficacemente, in una sola espressione, «la storia delle intercettazioni è un movimento
a pendolo; ciclicamente, una di queste esigenze prevarica l’altra» (
1
).
Il presente studio si pone come obiettivo quello di ripercorrere l’evoluzione dell’istituto
in esame in una prospettiva, solo inizialmente storica, finalizzata a porre in rilievo una
accurata analisi degli strumenti e dei mezzi utilizzati durante la fase delle indagini
preliminari per lo svolgimento delle operazioni di captazione occulta. Si giungerà,
dunque, alla trattazione delle forme tecnologicamente più avanzate di investigazione,
tra le quali le intercettazioni telematiche o informatiche, il g.p.s., le attività di
intelligence, le indagini online.
Il filo conduttore che lega ogni singolo capitolo del lavoro di studio è la finalità di
prendere in considerazione i molteplici aspetti inerenti il tema delle intercettazioni,
attraverso una puntuale analisi di elaborazioni dottrinali e di pronunce
giurisprudenziali, parimenti cercando di mantenere per tutto il corso dell’elaborato un
(
1
) A. CAMON, Le intercettazioni nel processo penale, Milano, 1996, p. 2.
II
approccio critico alla materia, ed in particolare alle tematiche che maggiormente
coinvolgono gli aspetti costituzionalmente rilevanti.
Nel primo capitolo, è sembrato opportuno introdurre l’evoluzione storica della
disciplina delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni. In tal modo, è stato
possibile mettere in luce i differenti approcci alla materia che nel tempo si sono
succeduti, ripercorrendo talvolta anche problematiche che risultano del tutto superate
nell’ordinamento giuridico italiano di oggi.
Nel secondo capitolo, lo studio si concentra sugli aspetti costituzionalmente rilevanti
della materia. In particolare, ampio spazio è stato dedicato alle ingerenze delle
operazioni di intercettazioni nella vita dell’essere umano, e alle tutele offerte
all’individuo dalla Costituzione italiana e da fonti di diritto sovranazionale. Il rispetto
dei diritti fondamentali della persona deve costituire la chiave di lettura per l’istituto
delle intercettazioni, e da questo principio dovrebbe costruirsi una idonea e più accurata
regolamentazione della materia.
Nel terzo capitolo, l’esame dell’istituto delle intercettazioni si inoltra negli ambiti più
tecnici e giuridici della materia; a tal proposito, vengono presi in considerazione i
caratteri generali della disciplina, in particolare i tre requisiti di una attività
d’intercettazione (mezzi tecnici di captazione, segretezza della comunicazione, terzietà
o clandestinità), nonché taluni aspetti particolari che consentono di concludere
l’esposizione del capitolo con la trattazione di argomenti per certi versi affini, ma non
del tutto coincidenti con l’istituto; tematiche che hanno suscitato non poche diatribe
ermeneutiche in giurisprudenza e dottrina.
Il quarto capitolo, seguendo l’impostazione delineata dal codice di procedura penale,
affronta gli aspetti più prettamente procedimentali, dai limiti di ammissibilità,
all’esecuzione delle operazioni, fino all’utilizzazione della documentazione inerente le
operazioni d’intercettazioni svolte. Inoltre, si è voluto compiere un accurato
approfondimento alla disciplina delle intercettazioni in relazione alle alte cariche dello
Stato, affrontando un noto caso che ha avuto grande rilievo mediatico, vale a dire il
procedimento che ha coinvolto l’allora Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano.
Nel quinto capitolo, lo studio si sofferma sulla rilevante modifica apportata dalla l. 23
dicembre 1993 n. 547 e sugli aspetti più significativi che l’introduzione dell’art. 266-
III
bis c.p.p. ha determinato sull’argomento in esame. Inoltre, anche grazie al riferimento
alla Convenzione di Budapest sul cybercrime, vengono prese in considerazione gran
parte delle attività di digital evidence, tra le quali solo alcune presentano elementi di
contatto con la disciplina delle intercettazioni telematiche o informatiche. Il quinto
capitolo, all’interno dell’intero elaborato, rappresenta il primo approccio all’evoluzione
tecnologica che nell’ultimo ventennio ha rivoluzionato le attività di indagine (e non
solo).
Nel sesto capitolo, protagonista indiscusso della trattazione è il c.d. pedinamento
elettronico, vale a dire il sistema di monitoraggio satellitare (g.p.s.: global positioning
system). Il tema affrontato, ancora oggi, rappresenta una delle tematiche maggiormente
discusse in ambiti dottrinali e giurisprudenziali: la principale problematica inerente il
tracking satellitare concerne l’inquadramento giuridico dell’istituto e la disciplina ad
esso concretamente applicabile, tra le quali potrebbe rientrare anche la disciplina delle
intercettazioni. Analizzandone gli aspetti più controversi, si è cercato di dare una
risposta alle numerose questioni ermeneutiche.
Nel settimo capitolo, ultimo del presente studio, si affrontano le più innovative e
sofisticate attività di intelligence, avendo particolare riguardo all’acquisizione di
informazioni e dati derivanti da pagine web e da social networks. Inoltre, preso atto
dell’assenza di una apposita disciplina italiana e delle scarne pronunce
giurisprudenziali, l’attenzione è stata rivolta anche all’ordinamento giuridico di altri
Stati, in particolare l’ordinamento tedesco e l’ordinamento americano.
SEZIONE PRIMA
PRINCIPI GENERALI ED EVOLUZIONE STORICA
2
CAPITOLO PRIMO
EVOLUZIONE STORICO-NORMATIVA DELLA DISCIPLINA
SOMMARIO: 1. La prima introduzione nel codice del 1913. ˗ 2. Il codice del 1930. ˗ 3. L’avvento della
Costituzione. ˗ 4. Segue: la riforma della disciplina con la l. 18 giugno 1955 n. 517. ˗ 5. La Convenzione
europea dei diritti dell’uomo: art. 8 Conv. eur. dir. uomo. ˗ 6. La sentenza 34/1973 della Corte
costituzionale. ˗ 7. La l. 8 aprile 1974 n. 98: un’impostazione “ipergarantista”. ˗ 8. Un’involuzione delle
garanzie fondamentali: d. l. 21 marzo 1978 n. 59, convertito in l. 18 maggio 1978 n. 191. ˗ 9. L’entrata
in vigore del codice Vassalli. ˗ 10. La l. 23 dicembre 1993 n. 547: l’introduzione degli artt. 266-bis
c.p.p. e 268 comma 3-bis c.p.p. ˗ 11. La l. 1° marzo 2001 n. 63: l’introduzione dell’art. 267 comma 1-
bis c.p.p.
1. La prima introduzione nel codice del 1913.
L’istituto delle intercettazioni venne introdotto per la prima volta nel codice di
procedura penale del 1913 (
1
), agli artt. 170 comma 3 (
2
) e 238 comma 3 (
3
) c.p.p. 1913.
La corrispondenza telefonica era considerata segreta, in conformità a quanto disposto
dall’art. 31 del T.U. di legge sui telefoni (
4
); allo stesso modo, però, con l’intento di
adeguare la disciplina processuale alle moderne vie di comunicazione, erano state
introdotte disposizioni normative volte a “sequestrare” la corrispondenza telefonica.
Si affermava la necessità di una disposizione normativa atta a consentire esplicitamente
agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di intercettare (cioè raccogliere in luogo
del destinatario) o impedire comunicazioni, o di assumerne cognizione lasciando che
pervenissero al destinatario.
Ciò che risalta dalla lettura dell’art. 170 comma 3 c.p.p. 1913 è il carattere d’urgenza
che appariva essere sotteso a tali operazioni: ciò pertanto consentiva alla polizia
giudiziaria di procedere alle suddette operazioni ogni qual volta ne fosse ravvisata la
necessità, e senza la preventiva autorizzazione del magistrato.
(
1
) Il testo definitivo del codice di procedura penale è stato approvato con r.d. 27 febbraio 1913 n. 127.
(
2
) L’art. 170 comma 3 c.p.p. 1913 recitava: «Gli ufficiali … [di polizia giudiziaria] possono … , per i
fini del loro servizio, accedere agli uffici telefonici per intercettare o impedire comunicazioni, od
assumerne cognizione».
(
3
) L’art. 238 comma 3 c.p.p. 1913 disponeva: «Il giudice può accedere agli uffici telefonici per
intercettare o impedire comunicazioni, o assumerne cognizione».
(
4
) L. 3 maggio 1903 n. 196.
3
Quanto all’art. 238 comma 3 c.p.p. 1913, occorre rilevare, nonostante lo scarso
compimento di tale atto istruttorio, che il dettato normativo non conteneva alcun
divieto esplicito in ordine ad una delega da parte dell’autorità giudiziaria, di fatto
consentendo alla stessa di delegare le operazioni alla polizia giudiziaria, ovvero di
procedere personalmente facendosi assistere dagli ufficiali o agenti (
5
).
Occorre rilevare, tuttavia, che il momento storico nel quale l’istituto fu introdotto era
caratterizzato dall’esistenza di congegni di captazione rudimentali e apparecchi
telefonici ad uso esclusivo dell’aristocrazia e della borghesia: ciò ha indotto la dottrina
a mostrare poco interesse verso tale mezzo di ricerca della prova ed a dubitare della sua
effettiva utilità investigativa. L’istituto delle intercettazioni, dunque, ha avuto scarsa
rilevanza nei primi anni della sua esistenza.
2. Il codice del 1930.
Il codice del 1930 riproponeva l’istituto delle intercettazioni in veste pressoché
immutata rispetto al codice del 1913, attribuendo alla polizia giudiziaria ed al giudice
istruttore (artt. 226 comma 3 (
6
), e 339 (
7
) c.p.p. 1930) gli stessi poteri in ordine alle
rispettive funzioni. Inoltre, veniva affidata al giudice istruttore la possibilità di
procedere egli stesso materialmente alle operazioni di intercettazione, anche con
l’ausilio di un ufficiale di polizia giudiziaria e previa emissione del decreto: la novità
del codice del 1930 rispetto al codice del 1913 consisteva, dunque, nella previsione
normativa esplicita della facoltà per il pubblico ministero di delegare l’intercettazione
ad un ufficiale di polizia.
Durante il periodo fascista, le prefetture costituivano i luoghi adibiti per
l’intercettazione telefonica: in esse, un centralino captava le comunicazioni di diversi
(
5
) U. ALOISI ˗ L. MORTARA, Spiegazione pratica del codice di procedura penale, Torino, 1914, I, p.
290-473.
(
6
) L’art. 226 comma 3 c.p.p. 1930 recitava: « Gli ufficiali di polizia giudiziaria, per i fini del loro
servizio, possono … accedere agli uffici o impianti telefonici di pubblico servizio per trasmettere,
intercettare o impedire comunicazioni, prendere cognizione o assumere altre informazioni ».
(
7
) L’art. 339 c.p.p. 1930 disponeva: « Il giudice può accedere agli uffici o impianti telefonici di
pubblico servizio per trasmettere, intercettare o impedire comunicazioni o assumere cognizione. Può
anche delegare un ufficiale di polizia giudiziaria».
4
numeri suddivisi per settore e, all’occorrenza, queste venivano trascritte mediante una
tecnica di scrittura manuale e veloce che utilizzava segni ed abbreviazioni
convenzionali della parola o della frase (stenografia). Tali operazioni, che si
svolgevano durante tutto l’arco della giornata, erano effettuate da numerosi dipendenti
dello Stato.
Tutto ciò veniva quotidianamente svolto senza che esistesse una legge ad hoc volta a
istituire un controllo precauzionale e generico sulle comunicazioni telefoniche, e
nonostante esistesse una precisa disposizione normativa del codice penale (art. 617 c. p.
1930) che puniva chiunque, con mezzi fraudolenti, prendesse cognizione di una
comunicazione telefonica o ne rilevasse il relativo contenuto.
Per i cittadini italiani coinvolti, le conseguenze derivanti da una simile attività di
intercettazione (che oggi, senza ombra di dubbio, definiremmo incostituzionale e
gravemente in contrasto con i principi di origine nazionale e sovranazionale posti a
fondamento della tutela dell’essere umano e della sua sfera privata) erano le più varie:
alcuni venivano inviati al confine, altri chiamati dinnanzi al Tribunale speciale per la
sicurezza dello Stato (
8
).
Gli aspetti principali di tale periodo storico, in ordine all’istituto dell’intercettazione,
apparivano del tutto evidenti: una disciplina alquanto carente, priva di garanzie e che
attribuiva alla polizia giudiziaria poteri ampi e indefiniti, tali da consentire numerosi
abusi durante il periodo di vigenza (
9
).
3. L’avvento della Costituzione.
L’entrata in vigore della Carta fondamentale del 1948 mutò radicalmente
l’impostazione dell’istituto.
I Padri costituenti individuarono nella segretezza delle comunicazioni uno dei diritti più
solidi dell’intero ordinamento: essa, infatti, venne (e viene) ricondotta nell’alveo delle
(
8
) P. ROSSI, Lineamenti di diritto penale costituzionale, Palermo, 1953, p. 100 ss.
(
9
) Sul tema cfr. U. GUSPINI, L’orecchio del regime. Le intercettazioni telefoniche al tempo del
fascismo, Milano, 1973, p. 1 ss.
5
libertà inviolabili dell’individuo ed all’interno di una disposizione normativa (art. 15
cost.) che prevede la doppia riserva, di legge e di giurisdizione (
10
).
Risulta particolarmente interessante rilevare che l’attuale disposizione costituzionale
dell’art. 15 fu inizialmente approvata in termini sensibilmente differenti rispetto al testo
definitivo; la originaria formulazione recitava, infatti: «La libertà e la segretezza di
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono garantiti; la loro
limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi
stabiliti dalla legge ed in pendenza di procedimento penale [corsivo nostro] ». Si mise
in luce, infatti, la volontà di dare una garanzia ancor più concreta dell’atto motivato
dell’autorità giudiziaria, circoscrivendo le limitazioni suddette ai soli casi di
procedimento penale pendente e soltanto per le necessità del procedimento stesso,
intendendo escludere anche la semplice inchiesta penale (
11
).
Il nuovo assetto costituzionale mise inevitabilmente in risalto l’illegittimità
costituzionale degli artt. 226 comma 3, e 339 c.p.p. 1930, nella parte in cui
consentivano alla polizia giudiziaria di realizzare operazioni di intercettazione prive del
vaglio giurisdizionale (
12
).
4. Segue: la riforma della disciplina con la l. 18 giugno 1955 n. 517.
Nonostante le evidenti incongruenze tra l’impostazione delineatasi successivamente
all’entrata in vigore della Costituzione e l’assetto normativo che fino a quel momento
aveva contraddistinto la disciplina delle intercettazioni, la riforma dell’istituto ha
dovuto attendere diversi anni.
(
10
) Infra, cap. II, § 3 - 4.
(
11
) La proposta venne presentata dall’on. Condorelli, cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, seduta del
24 gennaio 1947, III, p. 2711.
(
12
) G. CONSO, La “privacy” e il telefono, in la Stampa, 7 Settembre 1971; L. GIOGOLI, Le recenti
riforme processuali penali, in Riv. pen.,1956, I, p. 80; P. G. GOSSO, Dubbi sulla legittimità
costituzionale delle norme che attribuiscono all’amministrazione postale poteri di controllo sul
contenuto della corrispondenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, p. 1413; P. ROSSI, Lineamenti di diritto
penale costituzionale, cit., p. 102 ss.
6
Solo con la l. 18 giugno 1955 n. 517 il legislatore modificava la disciplina,
prescrivendo l’obbligo di un decreto motivato da parte del giudice che previamente
autorizzava qualsiasi attività di intercettazione da parte della polizia giudiziaria.
Precedentemente alla novella legislativa, chiunque si fosse qualificato come agente di
polizia giudiziaria aveva libertà di accesso alle centrali telefoniche per svolgere o
ordinare operazioni di intercettazione.
Il legislatore, dunque, finalmente introduceva una rilevante modifica all’art. 339 c.p.p.
1930, stabilendo che la polizia giudiziaria potesse procedere ad intercettazione soltanto
previo decreto motivato di autorizzazione dell’autorità giudiziaria: in termini pratici,
ciò significava che gli agenti di polizia giudiziaria che si presentavano alla Sip (Società
italiana per l’esercizio telefonico, ora Telecom Italia) erano obbligati ad esibire un
decreto motivato di autorizzazione dell'autorità giudiziaria.
La l. n. 517 del 1955, a ben vedere, però, sembrerebbe piuttosto un’occasione mancata
da parte del legislatore per formulare un’organica e nuova regolamentazione della
materia (
13
), non limitandosi dunque ad eliminare i sopravvenuti profili di illegittimità
costituzionale (
14
).
5. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo: art. 8 Conv. eur. dir. uomo.
Uno strumento giuridico internazionale di fondamentale importanza per la disciplina
delle intercettazioni, e per l’intero ordinamento italiano, è costituito dalla Convenzione
di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, meglio conosciuta
come Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Convenzione è stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 dagli Stati che al tempo
erano membri del Consiglio d’Europa, quest’ultimo istituto con il Trattato di Londra
del 5 maggio 1949.
(
13
) In questi termini P. BALDUCCI, Le garanzie nelle intercettazioni tra costituzione e legge ordinaria,
Milano, 2002, p. 28.
(
14
) In senso critico, cfr. R. PANNAIN, Intercettazioni telefoniche, in Arch. pen., 1961, n. 1, p. 152; G.
SABATINI, Illegittimità costituzionale degli artt. 266 e 339 c.p.p., in Giust. pen., 1973, n. 1, p. 1 ss.