38
esaltazione poiché quando Firenze, nel 1434, si trasformò in una vera
e propria signoria molti degli umanisti che avevano difeso la libertà
repubblicana passarono senza esitazione e difficoltà a sostenere il nuo-
vo regime mediceo.
All’interno di questo panorama politico-culturale Leon Battista
si mosse, come spesso gli capitò di fare nel corso della vita, tra posi-
zioni oscillanti, che non pochi problemi hanno creato all’interno della
critica letteraria. Da parte di numerosi critici, infatti, Leon Battista è
stato considerato uno dei principali esponenti dell’umanesimo civile;
in realtà sono diverse le opere letterarie che possono dimostrare come
il suo atteggiamento nei confronti di questa corrente di pensiero fu o-
stile e critico.
Su tutte basti ricordare la Vita Sancti Potiti e il De commodis
atque incommodis litterarum. Nella vita di San Potito infatti, essendo
d’accordo con Cardini, quella che può essere considerata la Bibbia
dell’umanesimo civile (il De officiis di Cicerone) << finisce in bocca
al Demonio: talchè il succo stesso dell’umanesimo civile, l’impegno
politico, diventa persuasione diabolica>>.
2
Contenuti simili si ritrova-
no anche nel De commodis, opera in cui Leon Battista analizzò la fi-
gura del letterato in rapporto ai suoi tempi; ben evidente è al suo in-
2
Cfr. R. Cardini, Mosaici. Il <<nemico>> dell’Alberti, Roma, Bulzoni, 1990, p. 25.
39
terno, attraverso l’invito all’uomo di lettere a non aspirare a cariche
pubbliche, il distacco dalla vita politica, che sembra fare perciò di
quest’opera una sorta di <<anti-De officiis>>.
3
Se a tutto questo si aggiunge anche ciò che Leon Battista affer-
ma, per bocca di Giannozzo degli Alberti, nel III libro della Famiglia,
a proposito della politica e della vita al servizio dello stato, allora
comprendiamo chiaramente che ci si trova di fronte ad un vero e pro-
prio rifiuto sia degli elementi fondamentali dell’umanesimo civile
(l’impegno civile dei dotti, la partecipazione alle cariche pubbliche, i
compromessi con gli uomini al potere), sia della tipica ideologia "bor-
ghese" fondata sull’importanza del denaro e sul successo.
4
La critica di Giannozzo contro l’impegno politico termina, così,
con l’invito ad un’esistenza tranquilla e senza affanni, poiché sebbene
l’uomo entri nella vita politica per tutelare gli interessi della collettivi-
tà, tuttavia essa può essere concepita solo come un riflesso della vita
3
Cfr, R. Cardini, Mosaici. Il <<nemico>> dell’Alberti, cit., p. 51.
4
Ecco al riguardo le parole di Giannozzo: <<…niuna cosa a me pare in uno uomo meno
degna di riputarsela ad onore che ritrovarsi in questi stati…ogni altra vita a me sempre
piacque più troppo che quella delli, così diremo, statuali>>. Cfr. Leon Battista Alberti, I
libri della famiglia, cit., p. 218.
40
privata; quest’ultima infatti è molto più importante, in quanto mira a
tutelare i propri interessi e quelli dei congiunti.
5
Da quel che si è visto finora ci sembrerebbe opportuno afferma-
re che, all’interno dell’umanesimo civile, Leon Battista abbia rifiutato
a priori qualsiasi impegno nell’attività pubblica; questo d’altronde sa-
rebbe confermato anche dal tipo di educazione avuta in gioventù che,
rifacendosi al modello di Petrarca, non ammetteva per lo studioso di
lettere alcuna partecipazione alla vita politica.
In realtà la situazione è un po’ più complessa, poiché la scelta di
vivere in funzione della famiglia o di impegnarsi nell’attività politica
si trasformò nell’animo di Leon Battista in un vero e proprio scontro
generazionale, che ebbe delle chiare ripercussioni anche nell’attività
letteraria; se da un lato, infatti, abbiamo visto finora la figura del vec-
chio Giannozzo che, memore delle gravi pene subite dagli Alberti (per
il loro impegno politico), mostra di preferire la vita tranquilla tra i
propri familiari alle tensioni dell’impegno pubblico, dall’altro lato non
5
Così Giannozzo: <<…abbiansi gli altri le pompe, e’ venti gonfino quanto la fortuna
gliele concede, godansi infra gli stati, dolgansi non l’avendo, piangano duramente pèrdel-
lo, addolorino quando l’abbino perduto, ché a noi, i quali siamo contenti del nostro priva-
to e mai desiderammo quello d’altrui, sarà mai dispiacere non avere quello che sia publi-
co o perdere quello di che noi non facciamo stima>>. Cfr. Leon Battista Alberti, I libri
della famiglia, cit., p. 222.
41
possiamo non tener conto (sempre all’interno del III libro della Fami-
glia) del giovane e colto Leonardo, che è favorevole sia all’impegno
civile sia alla partecipazione alle cariche pubbliche.
6
Lo scontro giunse comunque ad una sorta di compromesso, con-
fermando la possibilità di partecipare agli impegni della vita politica
cittadina a patto di non trascurare la propria famiglia; questo tipo di
soluzione perciò, se da un lato confermò l’inclinazione di Leon Batti-
sta ad una vita appartata e dedita allo studio, dall’altro lato non lo pose
in totale distacco da esponenti dell’umanesimo civile come Leonardo
Bruni, Coluccio Salutati e Matteo Palmieri, che avevano fatto del loro
impegno letterario (e politico) nell’attività pubblica uno dei cardini
dell’essere umanisti.
L’ideale civile di Leon Battista restò comunque vago, soprattut-
to se messo a confronto con i princìpi della politica comunale cara alle
città del tempo (su tutte Firenze e Venezia); nonostante questo però,
col passare degli anni, il suo interesse nei confronti delle vicende della
6
Sono le stesse parole di Leonardo a confermare tutto questo: <<E affermovi che il buo-
no cittadino amerà la tranquillità, ma non tanto la sua propria, quanto ancora quella degli
altri buoni…ma neanche quelle repubbliche medesime si potranno bene conservare, ove
tutti e’ buoni siano solo del suo ozio privato contenti…non in mezzo agli ozii privati, ma
intra le pubbliche esperienze nasce la fama; nelle pubbliche piazze surge la gloria; in
mezzo de’ popoli si nutrisce la lode con voce e iudicio di molti onorati>>. Cfr. Leon Bat-
tista Alberti, I libri della famiglia, cit., pp. 223-224.
42
repubblica fiorentina aumentò sempre di più, finendo con l’entrare,
come abbiamo visto, anche nelle opere letterarie.
È a queste ultime che ci dobbiamo perciò rivolgere per cercare
di dar vita ad un quadro ben definito relativo agli ideali civili e politici
di Leon Battista.
Come è emerso dal De iciarchia (e come riscontreremo anche
nel decimo libro delle Intercenales), dal punto di vista politico, uno
degli elementi principali su cui insiste Leon Battista è rappresentato
dal richiamo alla stabilità di governo, interpretata in senso conservato-
re. Al riguardo è necessario, infatti, agire sempre con responsabilità e
prudenza così da evitare, se possibile, qualsiasi tipo di innovazione
che possa modificare negativamente uno stato già esistente di cose.
È proprio per questo che nella politica è necessaria ad ogni co-
sto la virtù, qualità indispensabile per i cittadini, ma soprattutto per
coloro che gestiscono il potere; questi ultimi, nella visione finale del
De iciarchia, sono considerati da Leon Battista come dei veri e propri
padri della patria che, governando lo stato come una sorta di grande
famiglia, dimostrano di saper applicare equamente le leggi a cui essi
stessi sono soggetti.
Solo così è dunque possibile vivere in libertà all’interno di un
qualsiasi sistema politico; è bene ricordare comunque, con le parole di
43
Ponte, che <<il termine libertà non ha nell’Alberti l’energico signifi-
cato repubblicano proprio dei sostenitori dell’umanesimo civile di Fi-
renze e Venezia>>.
7
In effetti, la libertà che intende Leon Battista è
quella che si ottiene vivendo in condizioni di pace e di tranquillità,
grazie a saggi governanti che applicano leggi giuste per tutta la citta-
dinanza; non è un caso infatti, che la fine della "florentina libertas"
lamentata nei Profugiorum libri sia dovuta proprio al fatto che il go-
verno di Firenze è ormai nelle mani di una fazione, quello medicea,
che, dedita ad una gestione personale del potere, non tutela più gli in-
teressi degli altri cittadini.
Possiamo perciò affermare che Leon Battista, in sostanza, ac-
cettò, a partire dagli anni Trenta del XV secolo, sia la soluzione politi-
ca repubblicana sia quella principesca (mantenendo comunque e sem-
pre delle riserve verso le due forme di governo).
8
A proposito dell’ideale repubblicano, essendo favorevole al
controllo della borghesia ricca e della nobiltà imborghesita, Leon Bat-
tista non poteva non tener conto di due esempi illustri come Firenze e
Venezia. Se verso il governo della città toscana però, a partire dal-
l’avvento dei Medici nel 1434, iniziò ad avanzare dure critiche, questo
7
Cfr. G. Ponte, Leon Battista Alberti umanista e scrittore, cit., p.78.
8
Ibid., pp. 78-79.
44
non accadde nei confronti della gestione del potere all’interno della
Serenissima. In effetti, concordando con Tenenti, <<come l’alleanza
con Venezia lo sottolineerà presto, una corrente assai forte in seno
all’oligarchia avrebbe voluto vedere stabilirsi a Firenze un governo a-
ristocratico simile a quello della Serenissima>>;
9
è comunque facile
accorgersi che una tale aspirazione politica difficilmente si sarebbe
potuta mettere in pratica, visti i molteplici problemi economici e so-
ciali presenti nella Firenze di quei tempi. Comunque, il fatto che, co-
me abbiamo detto, manchi nelle opere letterarie di Leon Battista un
qualsiasi riferimento negativo verso il regime politico di Venezia, po-
trebbe forse indicare proprio una sua predilezione verso di esso; e
d’altronde il mito della costituzione veneziana, come forma di gover-
no ideale, resterà tale a Firenze anche molti anni dopo la morte dello
stesso Leon Battista.
Riguardo al potere principesco, invece, Leon Battista si mostrò
favorevole solo qualora il sovrano fosse stato saggio e avveduto; una
testimonianza molto utile su questo punto possiamo desumerla proprio
dal quarto libro della Famiglia (1440 ca.). Al momento della redazio-
ne di questo libro, Firenze, attraverso il governo dei Medici, stava cer-
cando di darsi un nuovo assetto politico, basato proprio sulla nascita
9
Cfr. A. Tenenti, Firenze dal Comune a Lorenzo il Magnifico:1350-1494, cit., p. 66.
45
della Signoria; questa forma di governo, come sappiamo, si sarebbe
dovuta fondare da un lato sulla figura del principe, dall’altro lato sul-
l’equilibrio di forze politico-sociali contrastanti tra loro: le masse po-
polari e i gruppi aristocratici feudali.
Purtroppo questo auspicato equilibrio, a causa del prevalere
della linea conservatrice nella politica fiorentina, non fu raggiunto e si
ebbe perciò il prevalere dell’alleanza tra il signore e le vecchie classi
dirigenti. Fu proprio questo mancato sviluppo del principato in senso
pienamente "civile" che molto probabilmente portò Leon Battista ad
un atteggiamento di volta in volta diverso, come abbiamo ad esempio
notato nel Momus, nei confronti del principe. Nella Famiglia infatti,
soltanto nel quarto libro Leon Battista dimostra di essere ormai vicino
al principato; nei primi tre libri invece non una parola pronuncia
sull’argomento. Da ciò dunque l’emergere di un atteggiamento altale-
nante tra sentimenti di sfiducia e accettazione anche nei riguardi del
principato.
10
Sembra dunque che le simpatie di Leon Battista vadano verso
un regime pacifico, ma essenzialmente aristocratico (come si è visto
anche nel De iciarchia), all’interno del quale il potere politico è gesti-
to da principi o da oligarchie, mentre alla borghesia è riservato il pote-
10
Cfr. Leon Battista Alberti, I libri della famiglia, cit., p. XXXII.
46
re economico. Tutto questo, naturalmente, è basato su una forte stabi-
lità sociale garantita dalla concordia interna; da parte di Leon Battista,
perciò, quest’ultimo elemento viene considerato fondamentale anche
per un’Italia formata da stati regionali, i quali, se basassero la loro
condotta politica su di esso, cesserebbero di avere l’un l’altro sia mire
espansionistiche, sia contrasti politici di qualsiasi tipo.
11
A tutto ciò dobbiamo aggiungere che il pensiero politico di Le-
on Battista fu influenzato, sin dalla gioventù, anche dagli eventi di cui
fu testimone in prima persona o di cui ebbe notizia. Al riguardo baste-
rà ricordare gli episodi più importanti che hanno lasciato una traccia
anche nelle opere letterarie.
L’esilio e le confische subite dal suo casato alla fine del XIV
secolo rappresentarono per Leon Battista una delle esperienze più sof-
ferte di tutta una vita; non è un caso perciò, che, come abbiamo visto,
emerga dalle parole di Leonardo, nel terzo libro della Famiglia, una
chiara condanna dei provvedimenti repressivi nei confronti degli av-
versari politici.
12
Di non minore importanza fu poi, nel 1434, la visio-
ne diretta dell’insurrezione scoppiata a Roma contro il papa, che co-
11
Cfr. G. Ponte, Leon Battista Alberti umanista e scrittore, cit., pp. 79-80.
12
Leonardo prende spunto da quello che gli Albizzi, al potere, fecero al casato degli Al-
berti. Cfr. quanto detto nel cap. 1, pp. 6-7.
47
strinse lo stesso Eugenio IV a fuggire dalla città, di nascosto, per ripa-
rare a Firenze; da questo evento derivò l’avversione per le rivolte della
plebe, che, agli occhi di Leon Battista, come abbiamo notato nel primo
libro del Momus, non merita neppure di partecipare alla gestione del
potere.
13
Una grande importanza, all’interno del suo pensiero politico,
ebbero anche le notizie avute da Bologna sulle violenze subite dai Ca-
netuli, ribellatisi a Martino V, nel 1428 e nel 1430; i soprusi commessi
in quelle circostanze furono senz’altro alla base dell’aperta condanna,
che maturò nell’animo di Leon Battista, verso la tirannide.
14
La cosa che più sorprende in tutto questo è che, d’accordo con
Ponte, <<…l’umanista non dice con quali mezzi pratici ci si possa li-
berare dalla tirannide e dalle spinte eversive: si accontenta di incitare
genericamente alla virtù, per risolvere i nostri mali>>.
15
Il fatto è che
Leon Battista ha, come scopo principale, soltanto quello di fornire i
princìpi per dar vita ad uno stato in cui le leggi siano giuste, eque e va-
lide per tutti; per fare questo, dunque, non ritiene di dover andare oltre
la condanna della tirannide (oligarchica o principesca) e delle rivolte
popolari.
13
Cfr. quanto detto nel cap. 2, p. 27.
14
Parole d’opposizione ai tiranni si ritrovano non solo negli Apologhi (vedi cap. 2, pp.
28-29) ma, come vedremo più innanzi, anche nell’intercenale Lacus.
15
Cfr. G. Ponte, Leon Battista Alberti umanista e scrittore, cit., p. 79.
48
Il problema principale di questa impostazione politica è che essa
tende, col passare del tempo, a giungere all’utopia vera e propria; è in
sostanza quello che accade, negli anni Quaranta del XV secolo, allor-
quando Leon Battista, come emerge dal Momus, inizia a rivendicare la
gestione del potere da parte dei dotti e dei filosofi, considerati gli unici
in grado di instaurare il governo dei migliori all’interno di uno stato.
L’utopia di Leon Battista non si spinge comunque oltre questo
punto, escludendo perciò quella che poteva essere, nel governo di uno
stato, la soluzione più inattuabile per quei tempi: l’assoluta uguaglian-
za dei cittadini nella gestione del potere.
Una tale soluzione politica era infatti impensabile, sia da parte
di Leon Battista, sia da parte degli uomini politici del tempo, in quan-
to, nel Medioevo, lo stato era considerato come un vero e proprio bene
personale da gestire, di volta in volta, a seconda delle esigenze di chi
deteneva il potere; lo stesso governo fiorentino rappresentava, dunque,
l’applicazione pratica del principio secondo il quale il potere non vie-
ne emanato da tutti i membri della comunità ma soltanto da una parte
di essi.
16
16
Cfr. A. Tenenti, Firenze dal comune a Lorenzo il Magnifico: 1350-1494, cit., pp. 23-
24.
49
Non possiamo perciò affermare che l’umanesimo fiorentino sia
mai stato "popolare", o che abbia presupposto una qualche solidarietà
fra tutti i cittadini; in questo modo possiamo perciò chiarire meglio le
varie prese di posizione contro la nobiltà del tempo, col fatto che, co-
munque, ad essa veniva contrapposta la nobiltà imborghesita dei mer-
canti.
17
Messe da parte le soluzioni utopistiche, il pensiero politico di
Leon Battista, in concreto, sembrerebbe ammettere, come abbiamo già
accennato in precedenza, sia la possibilità di un governo principesco,
sia quella di un governo repubblicano; in entrambi i casi è necessario,
però, fare delle distinzioni. Nel primo caso, infatti, è utile ricordare
come egli distingua tra chi esercita il potere, soddisfacendo i bisogni
dei cittadini, e il tiranno, che invece detiene il potere arbitrariamente,
solo per soddisfare i propri desideri. Nel secondo caso, invece,
l’adesione al governo repubblicano è legata alla critica nei riguardi
della plebe e della demagogia (elementi che, dal suo punto di vista, lo
inducono a considerare meno stabile questo tipo di sistema).
Leon Battista, come sostiene Ponte, <<…vuole quindi un regi-
me temperato, abbia esso al suo vertice un "pater patriae" o un senato
17
Cfr. A. Tenenti, Firenze dal comune a Lorenzo il Magnifico: 1350-1494, cit., p. 95.
50
che nomini i magistrati supremi e temporanei>>
18
; in sostanza egli de-
sidera, da un lato, che il potere politico sia nelle mani dei migliori,
dall’altro lato, che questo potere si consolidi all’interno di un regime,
retto da un uomo solo, che si senta responsabile verso la comunità.
È quest’ultima dunque, come abbiamo visto nel De iciarchia,
la prerogativa alla base del governo paternalistico dell’"iciarco", che
riassume in sé una vera e propria metafora dei rapporti politici che si
vennero a creare, a Firenze, tra la fine del Trecento e gli inizi del
Quattrocento, nel momento in cui, dopo la disfatta dei Ciompi, la ri-
stretta cerchia delle grandi famiglie fiorentine riprese in mano il pote-
re, col consenso sempre più ampio dei cittadini e con l’intento di ope-
rare per il bene della comunità, all’interno di un regime politico-
patriarcale che Leon Battista, non a caso, considerò come il migliore
che Firenze avesse mai avuto.
19
È questo pertanto il prototipo di governo ideale per Leon Batti-
sta, che egli, probabilmente, vide trasfigurato nell’opera politica di
pochi uomini del tempo (e soprattutto nella seconda metà del XV se-
18
Cfr. G. Ponte, Leon Battista Alberti umanista e scrittore, cit., p. 105.
19
Cfr. L. Boschetto, Nuove ricerche sulla biografia e sugli scritti volgari di Leon Battista
Alberti. Dal viaggio a Napoli all’ideazione del De iciarchia (maggio-settembre 1465) ,
cit., p. 210.
51
colo): su tutti papa Niccolo V, Leonello d’Este, Ludovico Gonzaga e
Federico da Montefeltro.
20
In conclusione possiamo pertanto affermare che Leon Battista,
nell’arco della sua vita, fu contrario dapprima agli Albizzi, poi ai Me-
dici e in sostanza ad ogni forma di prevaricazione politica. Se da un
lato, infatti, Leon Battista si mostrò critico verso il reggimento medi-
ceo, già pochi anni dopo la sua ascesa al potere (basti ricordare quanto
emerso dalle pagine del Theogenius e dei Profugiorum libri), dall’al-
tro lato, non mancò di prendere di mira neppure la fazione albizzesca
(come si è visto nel III libro della Famiglia e come vedremo in diverse
intercenali)
21
. Proprio da tutto questo sembra derivare perciò la sua
preferenza verso la soluzione politica principesca, intesa come "male
minore" rispetto alle altre forme di governo del tempo.
20
Cfr. G. Ponte, Leon Battista Alberti umanista e scrittore, cit., p. 106.
21
Nessun valore ha perciò, a nostro parere, l’ipotesi di Viti di considerare la lettera, che
precede la Vita Sancti Potiti, indirizzata da Leon Battista a Martino Guadagni (fratello di
quel Bernardo che era stato Gonfaloniere di giustizia con la Signoria che esiliò Cosimo
de’ Medici nel 1433) come prova di suoi esclusivi contatti con membri dell’oligarchia al-
bizzesca opposta ai Medici. Cfr. P. Viti, Leon Battista Alberti e la politica culturale fio-
rentina premedicea, in Actes du Congrès International de Paris, 10/15 avril 1995 (a cura
di F. Furlan), vol. 1, cit., p. 76.