5
alla difesa il pieno diritto di accedere ai mezzi di prova in condizione
di parità con la pubblica accusa.
La suddetta riforma segnò, così, una svolta in chiave
accusatoria del sistema processuale penale assai più decisa di
quanto non fosse stato originariamente fatto, attraverso la
compilazione del nuovo codice del 1989.
La l. 397/2000 - non a caso definita da taluni “legge Perry
Mason”, tanto per sottolineare come il nuovo ruolo del difensore nel
processo penale italiano tenda sempre più ad assomigliare a quello
che il proprio omologo d’Oltreoceano riveste nel sistema processuale
“adversary”, nel quale i principi del sistema accusatorio trovano
attuazione forse più che in qualsiasi altro ordinamento - segna la
volontà del legislatore di dare concreta attuazione al rinnovato
principio della “parità d’armi” tra le parti del processo.
Una volontà che si è tradotta nella redazione di un articolato il
quale non solo attribuisce al difensore molteplici poteri investigativi
‘tipici’, fino ad allora attribuiti esclusivamente alla competenza della
pubblica accusa, ma che, oltretutto, impone delle chiare e rigorose
regole di documentazione delle attività difensive svolte, al fine di
garantire un grado di affidabilità in ordine alle produzioni della
difesa, pari a quello che viene riconnesso alle risultanze
investigative addotte dalla pubblica accusa.
Se, però, da un lato, i progressi per dare effettività al
“principio di difendersi provando” non possono non essere
considerati, sotto diversi aspetti, significativi ed opportuni, sono
molti i problemi interpretativi che emergono dal dato normativo:
anzitutto, qual è il ruolo del difensore che emerge dalla nuova
legge? Può egli essere ancora definito un “esercente un servizio di
6
pubblica necessità” o deve ora considerarsi un “pubblico ufficiale”
alla stregua della sua controparte pubblica? E ancora: l’aver
tipizzato alcuni poteri investigativi, determina l’impossibilità per la
difesa di procedere ad attività di indagine “atipiche”?
Ma soprattutto: si può dire, ora, che sussista effettivamente
una parità processuale tra accusa e difesa? Il nuovo processo penale
può effettivamente definirsi “giusto”?
In questo quadro si inserisce l’attribuzione al difensore del
potere di accedere ai luoghi del delitto: la sua espressa previsione e
la sua puntuale regolamentazione rappresentano una delle più
importanti innovazioni che la l. 397/2000 ha prodotto nella sfera
giuridica della difesa.
La ragione per la quale si è scelto di porlo al centro
dell’attenzione della presente trattazione è da ricercarsi nel forte
valore emblematico che tale istituto – come pochi altri tra quelli
riferibili alle indagini difensive – acquista sia in ordine a ciò che di
positivo la nuova legge ha introdotto nel sistema processuale, sia
alle problematiche che essa ha lasciato irrisolte o a cui ha dato vita.
L’istituto in esame, però, si caratterizza anche per una serie di
profili problematici, dal punto di vista esegetico, che risultano essere
ad esso peculiari, i quali derivano, fondamentalmente, da una
normativa di riferimento che si configura in diversi punti oscura, se
non addirittura lacunosa.
Sono tante, tuttavia, le domande alle quali tenteremo di dare
una risposta: cosa accade, ad esempio, se il luogo in cui si intende
accedere risulta essere sottoposto a sequestro giudiziario? E se esso
costituisca una privata dimora? Che rapporto intercorre tra il
difensore e gli organi inquirenti nella conduzione delle rispettive
7
indagini sul luogo? E soprattutto, che ruolo ha il giudice, quali sono i
poteri e le valutazioni che questi è chiamato a compiere ogni qual
volta le legge richiede il suo intervento?
La questione interpretativa che ci è apparsa più controversa e
delicata - tanto da dedicare ad essa l’intero capitolo V – è, però,
costituita dalle attività investigative a carattere reale che, sulla base
del dato normativo, la difesa è ammessa a esercitare sul luogo;
l’aspetto che, in particolar modo, suscita le maggiori perplessità in
dottrina, è quello della possibilità o meno che il difensore abbia di
alterare lo status quo ante del luogo in cui è acceduto, in quanto
non si è mancato di rilevare come l’evenienza di una tale prospettiva
ponga in essere addirittura dei profili di incostituzionalità, per
violazione, tra l’altro, delle norme poste a tutela del “diritto di
difendersi provando” e ricercando che viene attribuito a tutte le parti
private del processo.
Questioni sostanzialmente analoghe derivano anche dal fatto
che non sia stata coniata, da parte del legislatore, alcuna norma
riguardante le modalità e le cautele che il difensore sarebbe tenuto
ad adottare nella conduzione delle proprie indagini sul luogo; questa
mancanza, infatti, determinerebbe un alto rischio che egli cagioni
un’alterazione accidentale della scena del crimine, distruggendo o
modificando degli elementi reali che avrebbero potuto costituire una
fonte di prova favorevole alla posizione processuale o dell’accusa o
di una qualsiasi altra parte privata.
Particolari profili di interesse emergono, infine, a nostro
giudizio, da due questioni apparentemente marginali, ma che
potrebbero venire frequentemente alla luce nella realtà effettuale: il
regime normativo al quale sottoporre l’ipotesi di un accesso
8
difensivo in un luogo appartenente alla pubblica amministrazione e
quello della possibilità o meno che un difensore abbia di richiedere
ad un soggetto privato documenti rientranti nella propria
disponibilità. In entrambi i casi l’apporto disciplinare offerto dal
legislatore è del tutto carente, per cui lo sforzo esegetico risulta
essere quanto mai decisivo al fine di ricostruire una loro esauriente
regolamentazione.
Nell’analisi del quadro normativo inerente all’accesso ai luoghi
del delitto si cercherà, quindi, non solo di porne in luce gli aspetti
innovativi più rilevanti e le difficoltà interpretative ed applicative che
esso presenta, ma anche di dare ad esse una soluzione
sistematicamente plausibile, tenendo ovviamente conto delle
opinioni espresse dalla dottrina più autorevole e delle posizioni
assunte dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché
dell’importante contributo apportato, in taluni casi, dalla stessa
classe forense sotto forma di norme deontologiche imposte ai propri
consociati.
Lo sforzo esegetico che ci apprestiamo a compiere verrà
condotto mantenendo un costante riferimento ai nuovi, suggestivi
ed incerti confini del diritto della difesa di cercare ed assumere gli
elementi di prova per concorrere all’elaborazione del convincimento
giudiziale, nell’ambito dei quali il nuovo istituto dell’accesso ai luoghi
fortemente si inquadra.
9
Capitolo I
Introduzione all’accesso ai luoghi da parte
della difesa
1- Il quadro normativo di riferimento; 2- Definizioni dei termini chiave della normativa.
1- Il quadro normativo di riferimento.
Lo snodo centrale della disciplina dell’accesso difensivo ai
luoghi del delitto appare costituito, prima facie, dagli artt.391 sexies
e 391 septies.
Come ha rilevato un’autorevole dottrina, le due norme si
pongono tra loro in un rapporto di genus a species:
1
mentre, infatti,
l’art. 391 sexies pone in essere una disciplina generalmente riferibile
a qualsiasi ipotesi di accesso ai luoghi condotto dalla difesa, l’ambito
applicativo dell’art.391 septies risulta circoscritto al solo caso in cui
l’oggetto dell’attività di investigazione difensiva sia costituito da un
luogo “privato o non aperto al pubblico”.
Attraverso un procedimento logico a contrario, si può, quindi,
agevolmente desumere che l’art.391 sexies esaurisca l’ambito
disciplinare del solo accesso ai luoghi pubblici o aperti al pubblico,
mentre, per l’ipotesi in cui si tratti di luoghi privati o non aperti al
pubblico, le disposizioni normative da esso emergenti trovano
1
Bricchetti/Randazzo, Le indagini della difesa dopo la l.397/2000, Giuffrè. Milano
2001, p.121.
10
comunque applicazione, data la loro già rilevata portata generale,
ma debbono essere integrate dalla regolamentazione di cui
all’art.391 septies.
Quest’ultima norma rappresenta lo strumento attraverso il
quale il legislatore ha inteso ponderare la necessità del difensore di
svolgere attività investigative in favore del proprio assistito con il
diritto, costituzionalmente garantito, del titolare del luogo di godere
della massima libertà in ordine al godimento del proprio domicilio: in
quest’ottica, quindi, si è inteso sottoporre l’evenienza di un accesso
da parte della difesa a tutta una serie di vincoli e condizioni, tra le
quali la più rilevante risulta essere, senz’altro, la necessità che ne
sia data espressa autorizzazione da parte del titolare del luogo
oppure, ove questa manchi, dell’autorità giudiziaria.
La necessità di tutelare la privacy e il libero godimento del
domicilio di coloro che hanno il luogo dell’accesso nella propria
disponibilità, ha spinto il legislatore a prevedere un regime
normativo particolarmente rigoroso per ciò che concerne i luoghi in
cui i diritti in esame raggiungono la loro massima espressione, i
quali si rinvengono nelle abitazioni e nelle loro relative pertinenze.
Il legislatore ha, così, inteso vietare l’accesso difensivo a tali
luoghi, prevedendo, tuttavia, una possibile deroga a tale divieto nel
caso in cui risulti necessario svolgervi attività di indagine per
rinvenire “tracce ed altri elementi materiali del reato”.
Con una scelta che ha riscosso decisamente pochi favori in
dottrina, il legislatore ha poi esteso il quadro della disciplina
dell’accesso ai luoghi, facendo ad esso riferimento al successivo art.
391 decies; l’oggetto della regolamentazione di tale norma non è
l’accesso difensivo in sé, bensì l’aspetto dell’utilizzazione
11
processuale degli atti difensivi, in particolar modo dei verbali di due
categorie di attività investigative che il difensore è ammesso a
condurre sul luogo del delitto: gli accertamenti tecnici irripetibili e gli
atti irripetibili.
Se il punto centrale della disciplina in esame si è detto essere
costituito dagli artt.391 sexies e 391 septies, l’art. 391 decies e il
riferimento da esso operato alle attività investigative a carattere
reale di cui si è fatta menzione, ne rappresenta certamente l’aspetto
normativo di maggior difficoltà esegetica; soprattutto la scelta del
legislatore di attribuire al difensore, nell’ottica della parificazione
delle armi processuali tra accusa e difesa, la possibilità di compiere
un atto investigativo tanto importante quanto carente sotto il profilo
della tutela del principio del contraddittorio nella formazione della
prova penale, qual è, appunto, l’accertamento tecnico non ripetibile,
è stata oggetto di numerosi rilievi critici da parte degli interpreti, i
quali hanno sollevato, riferendosi ad essa, addirittura delle questioni
di legittimità costituzionale.
Gli artt.391 sexies, 391 septies e 391 decies rappresentano,
quindi, i tre vertici del trilatero che delimita la normativa
disciplinante l’accesso ai luoghi da parte del difensore, al cui interno
è possibile collocare qualsiasi ipotesi di concreta realizzazione
dell’attività investigativa in esame, ad eccezione di una: esula,
infatti, da questo ambito applicativo, il caso in cui l’oggetto
dell’accesso sia costituito da un luogo sottoposto al vincolo del
sequestro giudiziario.
In una tale ipotesi troverebbero applicazione le norme che
disciplinano, in via generale, la possibilità di esaminare le cose
sequestrate, che viene riconosciuta dal legislatore sia al difensore
12
personalmente, che al consulente tecnico da lui eventualmente
nominato, ai sensi, rispettivamente, dei rinnovati artt. 366 comma 1
e 233 commi 1 bis e 1 ter.
Anche in questo caso non sono mancati importanti rilievi critici
da parte di una dottrina non molto propensa ad accettare, in
particolar modo, il fatto che il legislatore abbia inteso riconoscere al
difensore un’ampia libertà di accesso alle cose sequestrate,
prevedendo, invece, per lo svolgimento delle medesime attività da
parte del consulente tecnico, dei vincoli alquanto stringenti.
Si completa così il quadro normativo di riferimento che
concerne l’accesso ai luoghi da parte del difensore.
E’ inutile ricordare, infine, come trovino applicazione, anche in
quest’ambito, le disposizioni che si occupano di disciplinare alcuni
aspetti generalmente riferibili all’intera materia delle indagini
difensive, come ad es. l’art. 391 nonies sull’ipotesi di
un’investigazione preventiva, l’art. 391 octies circa la formazione del
fascicolo del difensore o l’art. 391 ter in materia di documentazione
degli atti investigativi compiuti. Di queste e di altre norme verrà
dato conto, in via incidentale, nel corso della trattazione.
13
2- Definizioni dei termini chiave della normativa.
Prima di procedere alla puntuale analisi degli aspetti
disciplinari principali e delle problematiche interpretative che
emergono dal riconoscimento alla difesa del potere di accedere ai
luoghi, ci pare opportuno fissare con chiarezza alcuni dei termini e
dei concetti chiave che emergono dal quadro normativo sin qui
delineato.
Un primo ordine di necessari chiarimenti emerge già con
riguardo al concetto stesso di “luogo”: in particolar modo, la dottrina
si è posta il problema se tale termine si riferisca unicamente ai
luoghi in cui il reato sia stato concretamente compiuto, ovvero se la
facoltà di accesso possa riguardare anche dei luoghi diversi.
Una parte della dottrina
2
pare ritenere preferibile interpretare
il dato normativo in modo da considerare l’oggetto del potere di
accesso circoscritto ai soli luoghi in cui si è consumato il delitto,
probabilmente convinta, in tal senso, da un’espressione utilizzata da
uno dei promotori della l. 397/2000 in sede di lavori preliminari, che
individua il finalismo dell’accesso difensivo nel consentire al
difensore la presa di coscienza “dello scenario in cui si è svolta
l’azione”.
3
Di contro, è stato osservato come tale inciso non possa
costituire un parametro interpretativo idoneo a fondare la
concezione di un accesso limitato ai soli luoghi del delitto, in quanto
2
Cfr. Bernardi, Le attività di indagine, in Dir. e proc. Pen. 2/2001, p.221.
3
Cfr. Sen. Follieri, Relazione alla l. 397/2000. in appendice a
Bricchetti/Randazzo,op.cit. p.266. Considerazioni analoghe si trovano in Ruggiero,
Compendio delle investigazioni difensive, Giuffrè. Milano 2003, p.290.
14
il riferimento al suddetto “scenario in cui si è svolta l’azione”
sarebbe stato operato “in senso del tutto acritico”.
Su questa base, l’opinione che in dottrina appare prevalente è
quella che vede riconosciuta alla difesa una possibilità di accesso
avente un ambito oggettivo esteso ben oltre il solo locus commissi
delicti, pur se quest’ultimo appare “statisticamente il più ricorrente”:
il potere di accesso, cioè, sarebbe da riferirsi a qualsiasi luogo che il
difensore ritenga avere una qualche rilevanza per le proprie
strategie processuali.
4
Per ciò che concerne l’accezione nella quale il termine stesso
di “accesso” deve essere inteso, la dottrina ha negato che questo
possa essere considerato in termini generici; la relativa nozione si
dovrebbe, invece, esclusivamente incentrare sull’idea di un effettivo
“contatto fisico” tra il soggetto e la cosa materiale.
5
4
Cfr. Ruggiero, op.cit., p.290. In senso analogo, cfr. Dean, La richiesta di
documentazione alla pubblica amministrazione e l’accesso ai luoghi, in
Dalia/Ferraioli (a cura di), Il nuovo ruolo del difensore nel processo penale,
Giuffrè, Milano 2002, p.209, secondo il quale può costituire oggetto di accesso da
parte del difensore “qualsiasi luogo, pubblico o privato che sia, il quale offra
concrete possibilità di reperire elementi probatori a discarico”.; Campanella
L’attività difensiva di ricerca e di individuazione degli elementi probatori: l’accesso
ai luoghi, in Filippi (a cura di), Processo penale: il nuovo ruolo del difensore;
investigazioni private, difesa d’ufficio, patrocinio dei non abbienti, CEDAM, Padova
2001, p.273, che, nel definire l’oggetto dell’accesso difensivo, fa riferimento non
allo specifico luogo in cui si è svolta l’azione, ma ad un più generico “luogo in
rapporto con il reato”.
5
Ruggiero, op.cit. p.290, secondo il quale il concetto di accesso si debba
“incentrare sull’idea del contatto fisico e sensibile con determinate cose” nonché
della immissione in luoghi (…)”
15
Ben più articolato e, in alcuni casi, problematico risulta essere
il tentativo di dare una definizione delle singole, diverse, tipologie
nelle quali può essere suddiviso il concetto giuridico di ‘luogo’. Dare
loro una certa e puntuale chiarificazione risulta essere, però,
un’esigenza di primaria importanza, in quanto la legge, dalla natura
giuridica stessa del luogo presso il quale si intende accedere, fa
dipendere un diverso regime giuridico circa le modalità con le quali
questo deve essere compiuto: come già accennato al paragrafo
precedente, infatti, la legge distingue e regolamenta diversamente
l’accesso difensivo a seconda che esso venga perpetrato in un luogo
privato, pubblico, aperto o non aperto al pubblico o anche in
un’abitazione o relativa pertinenza.
Il primo nodo da sciogliere è quello di definire, nelle loro
peculiarità, i luoghi ‘pubblici’ rispetto a quelli ‘privati’.
6
Per ciò che concerne i luoghi pubblici, si segnala come
un’esauriente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in ordine
alla loro definizione, tuttora riconosciuta come valida ed applicabile,
fosse stata approntata già intorno alla metà del secolo scorso; di
uguale elevato spessore sono tuttora considerati anche i profili
definitori elaborati con riferimento al concetto di luogo “aperto” ed
“esposto al pubblico”.
7
6
Si rileva come entrambi questi concetti, come d’altra parte tutti gli altri che
verranno di seguito trattati, appartengono più propriamente alla “nomenclatura
civilistica”; tuttavia, la loro validità anche in questo diverso ambito processual-
penalistico, è da considerarsi pacifica. Cfr., in tal senso, Ruggiero, op.cit. p.290.
7
Cfr. Mazzanti, Luogo pubblico, aperto al pubblico, esposto al pubblico, in NSD
IX, pp.1110-1111.
16
Sembra corretto, quindi, affermare che la dottrina sia
pressoché unanime nel definire come “pubblico” quel luogo
“continuatamene libero, di fatto o di diritto, ad un numero
indeterminato di persone, nel senso che tutti possano accedervi
senza limitazioni di sorta”.
8
Vengono così considerati “luoghi
pubblici”, a titolo esemplificativo, la pubblica via, i giardini pubblici,
la campagna, i boschi.
9
Viceversa, sarebbero da considerarsi “luoghi privati”, a parere
della dottrina,
10
sia i cosiddetti luoghi di “privata dimora”, sia quelle
“abitazioni e loro pertinenze” per l’accesso alle quali, come si è già
accennato,
11
il legislatore ha imposto al difensore, ex art. 391
8
Mazzanti, op.cit. p.1111. In senso analogo, solo per mera esemplificazione dato
che si è detto come sul punto la dottrina sia da considerarsi unanimemente
concorde, Mazzini, Trattato di diritto penale italiano, Vol.IV, UTET, Torino 1950,
p.314; Pannanin, Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, UTET,
Torino 1953, p.111; Antolisei, Manuale di diritto penale, P.S. vol.I, Giuffrè. Milano
1960, p.231. Più di recente, cfr. Triggiani, Le investigazioni difensive, Giuffrè,
Milano 2003, p.358 nota 259; Bricchetti/Randazzo, Le indagini della difesa dopo la
l.397/2000, Giuffrè. Milano 2001, p.122 nota 57; Siracusano, Commento all’art.11
[artt.391 sexies-septies], in Chiavario/Marzaduri (a cura di), La difesa penale,
UTET, Torino 2003, p.185 nota 4; Ventura, Le indagini difensive, Giuffrè, Milano
2005, p.109 nota 1.
9
L’elenco stilato nel testo non è casuale, ma è stato concepito sulla base
dell’opera giurisprudenziale della Corte di cassazione, la quale si è premurata di
definire, in diverse sentenze, i luoghi citati come aventi natura ‘pubblica’. In tal
senso, si vedano Cass. sez. III pen., 24 febbraio 1950, Meniconi, in Giust. Pen.
2/1959, p.384; Cass. sez. III pen., 13 novembre 1985, Salvo, in Cass. pen. 1987,
p.1324; Cass. Sez II pen., 12 ottobre 1953, Pietronave, in Giust., pen. 2/1954,
p.117;Cass. sez. III pen., 3 agosto 1968, Moschini, in CED 108931.
10
Cfr. Bricchetti/Randazzo, op.cit. p.124 nota 58
11
Supra § 1.
17
septies comma 3, una disciplina particolare ed improntata ad un
maggior rigore.
Il concetto di luoghi “di privata dimora” merita un ulteriore
approfondimento.
In giurisprudenza, si definisce, in tal modo, “ogni luogo che
viene adoperato, anche in modo transitorio e contingente, per lo
svolgimento di attività privata come quella di studio, commercio,
lavoro o tempo libero”.
12
Secondo la dottrina, inoltre, il concetto di dimora
implicherebbe necessariamente l’effettiva, fisica presenza di una
persona in un dato luogo, la quale si caratterizzi per l’avere un certo
grado di stabilità, “senza peraltro che ciò assuma i caratteri di quella
‘consuetudine di vita’ che costituisce, altresì, parte integrante della
nozione di residenza”.
13
A titolo esemplificativo, il semplice
pernottamento in una camera d’albergo non sarebbe inquadrabile
12
Cass. Sez. V pen, 7 dicembre 1983, Logiudice, in Giur. It. 2/1984, p.461; si
veda anche, in senso analogo, Cass. sez. III pen., 31 maggio 1979, Passalacqua,
in Cass. pen. 1981, p.564
13
Cfr. Bricchetti/Randazzo, op.cit. p.124 nota 58. In senso analogo, cfr.
Siracusano, op.cit. p.185 nota 5. Secondo Gazzoni, Manuale di diritto privato,
Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1998, pp. 125-126 la definizione di dimora si
ricaverebbe, seppur in via indiretta, dall’interpretazione dell’art.43 cc. Tale
articolo, come noto, si preoccupa di disciplinare, in via principale, il concetto di
‘luogo di residenza’, il quale si rinviene in qualsiasi luogo in cui “la persona ha
dimora abituale”; da ciò, adottando un percorso inverso dal punto di vista logico,
si potrebbe giungere a definire la dimora come il luogo caratterizzato da una
presenza non abituale del soggetto, o, per meglio dire, “il luogo ove una persona
si trova, sia pure momentaneamente, purchè in via non passeggera”. In
giurisprudenza, sul punto, si veda Cass. pen. 18 gennaio 1980, Nardelli, in Cass.
pen. 1981, p.564.
18
come dimora, proprio perché non avrebbe quel carattere di stabilità
sufficiente a considerarlo come tale, mentre potrebbe sicuramente
definirsi, in tal senso, l’ufficio in cui un soggetto svolge abitualmente
la sua attività lavorativa, culturale o politica.
14
E’ bene sottolineare, tuttavia, come la locuzione “luoghi di
privata dimora” non sia stata utilizzata dal legislatore nel testo
definitivo dell’art. 391 septies, essendo stato, infatti, preferito il
riferimento a luoghi individuati con la formula “privati o non aperti al
pubblico”; di tale espressione, però, si trova traccia all’interno del
testo originale dell’art. 2 comma 1 della proposta di legge promossa
dall’Unione delle Camere Penali,
15
la quale aveva, oltretutto, inteso
negare, in maniera del tutto inderogabile, che l’accesso a tali luoghi
potesse avvenire con finalità di indagine difensiva.
16
14
Cfr. Cass. sez. III pen. 14 gennaio 1985, Riga, in Riv. Pen. 1985, p.361; Cass.
Sez. V pen. 5 febbraio 1997, Lo Cicero, in Cass.pen. 1998, p.121; Cass. Sez. V
pen. 19 marzo 1985, Bassi, in Cass.pen. 1986 p.1561; Cass. sez. I pen, 5 luglio
1972, Cerbone, in Cass. pen. 1974, p.540. Si definiscono luoghi di privata dimora,
tra gli altri, anche i locali di una banca, (Cass. sez. II pen, Saraceno 1983, in Riv.
Pen. 1984, p.558), i bar, i caffè e i ristoranti durante l’orario di chiusura o
comunque in ogni caso in cui il titolare vi si trattenga per lo svolgimento di attività
lavorative collaterali (Cass. sez. V pen. 8 giugno 1981, Giacomelli, in Riv. Pen.
1982, p.110; Cass. sez. I pen, 20 dicembre 1991, Marsella, in Cass.pen. 1995,
p.989); uno stabilimento industriale, la sede di un partito, la cabina di una nave
(Cass. Sez. V pen. 19 marzo 1985, Bassi, cit.; Cass. sez. I pen. 24 settembre
1976, Granzotto, in Giur. It. 2/1984, c.77).
15
Il testo della proposta di legge in questione è consultabile in Dif. Pen. 41/1993,
pp.102 ss.
16
Sul punto, cfr. Campanella, op.cit. p.289; Ruggiero, op.cit. p.290.