IMPOSTE PERSONALI E FINANZA DELLE IMPRESE ii
sensibilità verso la componente fiscale nelle aziende. Il tax planning è divenuto
recentemente un argomento di grande interesse nel processo di progressiva
ristrutturazione dei gruppi industriali e la posizione del responsabile fiscale nelle
aziende è venuta sempre più assumendo un ruolo critico nelle decisioni di maggiore
importanza, soprattutto per ciò che riguarda le decisioni di finanza straordinaria.
Il legame tra variabili fiscali e politica finanziaria è perciò divenuto sempre più
stretto. Tutte le decisioni di finanza ordinaria e straordinaria devono tenere conto delle
diverse conseguenze fiscali che implicano per poter condurre una gestione compatibile
con gli obiettivi delle aziende. Nonostante l’obiettivo della politica fiscale più recente
nei Paesi industrializzati sia stato quello di orientare l’intero sistema tributario verso
una maggiore neutralità ed una maggiore semplicità, la crescente evoluzione dei sistemi
economici e finanziari ha spesso condotto verso una sempre maggiore complicazione
della normativa. L’obiettivo della neutralità è stato inoltre disatteso perché di fatto le
imposte non risultano ininfluenti sul comportamento dei soggetti in nessun Paese.
In questo contesto risulta pertanto necessario approfondire ulteriormente le
implicazioni per le aziende italiane dovute all’incidenza della variabile fiscale.
L’argomento in questione è stato per anni al centro del dibattito scientifico
internazionale, perché le imposte costituiscono la più importante causa di imperfezione
che differenzia la realtà dei mercati con la astratta teoria microeconomica neoclassica.
Si è proceduto pertanto verso un progressivo sviluppo dei modelli tradizionali
ampliando l’ambito della loro applicazione a realtà più complesse e realistiche, che
tenessero conto anche di fattori molto influenti, come i costi di transazione, le imposte,
l’inflazione, i vincoli all’indebitamento, all’arbitraggio, la liquidità, ecc. In questo
lavoro sarà comunque privilegiato l’approfondimento dell’incidenza delle imposte
personali nelle decisioni aziendali. Tuttavia in Italia sono state relativamente ridotte le
ricerche scientifiche indirizzate verso tali problematiche, in parte a causa della
iii
mancanza di dati attendibili e utilizzabili per indagini statistiche realmente
significative. Il contributo della modellistica finanziaria estera risulta quindi
fondamentale anche per la comprensione della situazione italiana, anche se ovviamente
sono necessarie opportune modifiche per tener conto delle peculiarità del sistema
impositivo del nostro Paese.
Obiettivo del presente lavoro è di fornire un contributo all’approfondimento
delle conseguenze della normativa fiscale italiana attuale sulla politica finanziaria delle
aziende. L’esigenza di mantenere un certo livello di generalità, imposto anche dalla
metodologia seguita che sfrutta il contributo di modelli teorici, implica che non venga
espressamente definita la tipologia di aziende a cui il lavoro si rivolge. Sono infatti
numerose le eccezioni che riguardano il trattamento fiscale delle aziende italiane e non
è possibile affrontare in modo ugualmente formale e rigoroso ogni tipo di problematica.
Oggetto privilegiato di questa ricerca risulta comunque essere l’azienda di medie e
grandi dimensioni, ove la politica finanziaria è strettamente correlata a fattori di
mercato e ove le forme alternative di finanziamento degli investimenti sono molteplici.
Le aziende ad azionariato diffuso, ove vi è una maggiore separazione formale e
sostanziale tra proprietà e management, sono quelle in cui il trattamento fiscale delle
persone fisiche coinvolte risulta essere un fattore maggiormente critico nella
formulazione delle politiche finanziarie ottimali.
Data la varietà delle eccezioni che si possono verificare affrontando tali
problematiche nelle singole aziende, il lavoro non si pone l’obiettivo di fornire un
contributo valido ed esauriente per la totalità dei casi, ma più semplicemente si
vogliono affrontare in modo non sistematico tutte le principali questioni riguardanti la
finanza nelle aziende e le imposte personali degli investitori. Naturalmente non è
possibile isolare completamente l’effetto dovuto alla componente fiscale dagli effetti
dovuti ad altri fattori nella definizione delle politiche finanziarie ottimali. Infatti il
IMPOSTE PERSONALI E FINANZA DELLE IMPRESE iv
presente lavoro affronterà necessariamente anche le problematiche non fiscali che
devono essere considerate per una maggiore comprensione delle relazioni più o meno
esplicite tra numerosi fattori concomitanti. Saranno saltuariamente affrontati temi quali
l’incidenza dei costi di transazione non fiscali nelle operazioni di arbitraggio, i
problemi di liquidità legati all’età e al reddito degli investitori, i vincoli giuridici e
normativi, ecc.
Nel primo capitolo verrà affrontata la questione riguardante le distorsioni indotte
dalle imposte personali degli investitori sugli equilibri dei mercati finanziari.
L’approccio macroeconomico permetterà di recepire gli insegnamenti della
modellistica estera nel chiarire fenomeni quali la traslazione obliqua delle imposte, la
segmentazione fiscale dei mercati, gli effetti dovuti alla differenziazione delle aliquote
a seconda dei soggetti emittenti le attività finanziarie ed a seconda dei soggetti
percipienti i rendimenti da esse derivanti. Prima di affrontare l’effetto delle imposte
personali sulle singole aziende si è ritenuto necessario introdurre l’argomento con un
approccio macroeconomico e generalista, ove venissero affrontate le principali
peculiarità del sistema tributario e finanziario italiano in rapporto a quelle dei sistemi
da cui vengono mutuati i modelli adottati in questo lavoro. Nel secondo capitolo verrà
approfondito il contributo delle più significative teorie della finanza che hanno
affrontato il problema del rapporto tra imposte personali gravanti sugli investitori
azionisti e politiche dei dividendi delle aziende, che come è noto sono una delle
principali decisioni discrezionali a disposizione del management. Verrà seguito un
approccio metodologico descrittivo, ove verranno affrontati e commentati criticamente
in ordine cronologico i principali risultati delle applicazioni dei modelli di maggiore
significatività. Nel terzo capitolo verrà presentato un modello teorico mutuato dal
modello originale di Eli Talmor, che servirà ad una migliore comprensione dei
problemi legati al rapporto tra imposte personali degli investitori, rischio di portafoglio,
vrendimento netto atteso e politiche finanziarie delle aziende. Il contributo di questo
modello risulta molto utile, perché permette di approfondire queste problematiche in
un’ottica di portafoglio e non semplicemente in un’ottica di singole aziende e singoli
titoli. La variabile fiscale infatti assume un ruolo completamente diverso, qualora si
consideri il portafoglio di titoli detenuti dall’investitore invece che il singolo titolo. Nel
quarto capitolo viene svolta un’applicazione empirica del modello precedentemente
descritto con riferimento al mercato azionario italiano, al suo contesto istituzionale e
normativo attuale ed al sistema tributario vigente. Vengono presentati i risultati
derivanti dall’applicazione, evidenziando le caratteristiche dei portafogli ottimi
determinati considerando il diverso trattamento fiscale attualmente vigente per
investitori con caratteristiche diverse. Nel quinto capitolo viene svolta un’analisi
dettagliata delle implicazioni derivanti dai risultati del modello e considerando gli
obiettivi del management di massimizzazione del valore azionario, vengono condotte
alcune riflessioni generali sulla possibilità di una politica del capitale di rischio
compatibile con tali obiettivi. Il rapporto tra politiche di finanziamento e politica degli
investimenti viene anch’esso affrontato in questo contesto e vengono condotte anche
alcune riflessioni sulle peculiarità di una politica finanziaria ottima considerando le
imposte personali di un azionista di maggioranza esercente il controllo dell’azienda.
Infine nel capitolo sei vengono adottate alcune applicazioni della teoria tradizionale di
valutazione delle opzioni per approfondire il rapporto tra imposte e politiche di
finanziamento tramite il capitale di debito. Alla luce del contributo di tali teorie si
cercherà di elaborare alcuni criteri generali per la definizione di una struttura ottima del
capitale per aziende con caratteristiche diverse riguardo soprattutto alla variabilità del
reddito operativo. A conclusione del presente lavoro sono riportate quattro appendici,
che affrontano tematiche di particolare interesse per una maggiore comprensione dei
modelli analizzati nei capitoli precedenti e che servono a rendere maggiormente
IMPOSTE PERSONALI E FINANZA DELLE IMPRESE vi
tangibile l’applicazione pratica alla realtà italiana delle indicazioni teoriche e generali
fornite nel corso della ricerca. Nella prima appendice verrà condotto un confronto
critico tra le principali caratteristiche del sistema tributario italiano e del sistema
tributario statunitense. Nella seconda appendice saranno descritti i meccanismi di
integrazione che sono stati ipotizzati e sperimentati negli anni per evitare la doppia
tassazione dei dividendi in capo alle aziende ed in capo agli azionisti percettori. Nella
terza appendice verrà affrontata la situazione attuale relativa all’imposta sui guadagni
di capitale in Italia, mentre nell’ultima appendice saranno descritte le metodologie più
utilizzate per determinare le aliquote effettive marginali di imposta gravanti sui
rendimenti delle attività finanziarie. Le aliquote effettive sono state utilizzate nel corso
del presente lavoro per avanzare confronti tra realtà istituzionali diverse e per poter
usufruire del contributo dei modelli teorici che utilizzano un approccio marginalista.
Anche se verranno affrontate numerose tematiche molto eterogenee tra loro, il presente
lavoro non ha comunque la pretesa di essere completamente esaustivo per ogni
questione relativa al rapporto tra imposte personali e politica finanziaria delle aziende
italiane, data l’enorme complessità e il grande numero di eccezioni e tipicità che
devono essere considerati per realizzare un’opera veramente completa sull’argomento.
Ci si è limitati pertanto ad affrontare solo le problematiche di maggiore ricorrenza nelle
aziende italiane senza entrare nel merito dei dettagli tipici di ogni realtà, che devono
essere invece trattati in opere che affrontano l’argomento dal punto di vista del diritto
fiscale e tributario. In questo contesto si è invece privilegiato l’approccio scientifico
della modellistica matematica e statistica, che permettono di affrontare l’argomento con
un certo carattere di generalità e svincolati dalle tipicità dei casi particolari. Ciò
conferisce ai risultati anche un maggiore grado di validità ed interesse anche in un
contesto ove le continue riforme fiscali e l’instabilità economico-finanziaria provocano
repentini cambiamenti del contesto istituzionale di riferimento.
CAPITOLO 1
EQUILIBRIO DI MERCATO E IMPOSTE IN ITALIA:
MOLTE PECULIARITÀ.
1.1 Le atipicità del mercato finanziario italiano.
In Italia le persone fisiche non possono, al contrario che negli Stati Uniti, dedurre dal
proprio reddito imponibile ai fini delle imposte dirette gli interessi passivi su debiti
personali che non siano mutui ipotecari per l’acquisto di immobili. Questa peculiarità
impedisce che gli investitori possano aggiustare con il loro comportamento le eventuali
distorsioni introdotte dalle aziende con la loro politica di indebitamento, che è dettata,
oltre che da una serie di fattori esogeni ed endogeni, anche da motivazioni di carattere
fiscale.
Non valgono quindi nel contesto italiano le ipotesi sulle quali si fonda il noto
teorema di Modigliani e Miller
1
, che afferma l’ininfluenza delle politiche finanziarie
sul costo del capitale e sul valore dell’impresa. Le imposte personali e societarie hanno
perciò in Italia una diversa influenza sulle decisioni finanziarie aziendali, poiché non vi
è un’eguale agevolazione fiscale nell’indebitamento societario e nell’indebitamento
personale e, naturalmente, non vi è un’eguale capacità di prestare garanzie per ottenere
prestiti dal sistema creditizio, per cui il tasso free risk al quale si indebitano le imprese
a parità di importo e durata è in media minore di quello a cui si indebitano le persone
fisiche. Non sono pertanto applicabili alla realtà italiana neppure le note relazioni di
1
Modigliani F. e Miller M. H., The Cost of Capital, Corporation Finance and the Theory of Investments,
American Economic Review, giugno 1958, pagg. 261-297.
IMPOSTE PERSONALI E FINANZA DELLE IMPRESE 2
Ferrar e Selwin
2
, che esprimevano la possibilità di una politica finanziaria che
considerasse le imposte personali e societarie in un contesto ove gli investitori
individuali e le società possono alternativamente indebitarsi alle stesse condizioni di
tasso pur godendo di un differente trattamento fiscale del debito.
Negli Stati Uniti, l’applicazione di questi modelli presupponeva che gli oneri
finanziari sul debito personale fossero deducibili dall’imponibile sottoposto ad
un’imposta personale progressiva, in base al principio della “simmetria”, che implica la
deducibilità di oneri finanziari da un imponibile quando allo stesso sono imputati gli
eventuali proventi finanziari derivanti da analoghi investimenti.
In Italia, invece, i proventi finanziari realizzati dalle persone fisiche sotto forma
di interessi, premi ed altri frutti di obbligazioni, depositi e conti correnti, sono
sottoposti ad un regime di tassazione sostitutiva, secondo l’art. 9 della Legge Delega
per la Riforma Tributaria
3
, che prevede una ritenuta alla fonte a titolo di imposta con
obbligo di rivalsa a cura dell’emittente al momento della corresponsione degli interessi
stessi. Il differente trattamento rispetto al regime fiscale statunitense trova
giustificazione nelle peculiarità del sistema economico e finanziario italiano ove,
secondo anche gli stessi fautori della Riforma Tributaria del 1971
4
, un’inclusione di tali
redditi nell’imponibile dell’imposta progressiva avrebbe provocato seri problemi di
accertamento alle autorità ispettive, oltre a fenomeni di stagnazione degli investimenti e
di fuga illecita di capitali all’estero. La preferenza verso un’imposta proporzionale
avvicinò il trattamento fiscale delle persone fisiche a quello delle persone giuridiche,
ove i rendimenti derivanti da attività finanziarie sono sottoposti ad una ritenuta alla
fonte a titolo di acconto e rientrano poi nell’imponibile ai fini IRPEG, che è un’imposta
2
Ferrar D.E. e Selwin L.L., Taxes, Corporate Financial Policy and Return to Investors, National Tax Journal,
dicembre 1967, pagg. 444-454.
3
Legge n. 825 del 1971.
3proporzionale sui redditi. L’aliquota della ritenuta alla fonte a cui assoggettare i redditi
è, ceteris paribus, la medesima sia per le persone giuridiche che per le persone fisiche,
per evitare che il sostituto d’imposta debba per ogni suo creditore individuarne l’una o
l’altra natura.
Nonostante questo sistema di tassazione abbia a suo tempo introdotto un unico
regime di imposta, semplificando notevolmente il quadro normativo di riferimento,
permangono trattamenti differenziati a seconda del tipo di attività finanziaria, che
permettono di utilizzare la leva fiscale per indirizzare i comportamenti degli operatori
verso obiettivi di politica economica e monetaria. Infatti, sono spesso fiscalmente
privilegiate le passività di emittenti che svolgano funzioni di intermediazione
finanziaria, come gli Istituti di Credito Speciale e le aziende che esercitano il credito a
medio e lungo termine, e ciò dimostra la volontà delle autorità di indirizzare gli
impieghi verso le attività più facilmente controllabili.
In origine, un aspetto caratterizzante della riforma era l’esenzione dalla ritenuta
alla fonte degli interessi provenienti dai titoli pubblici, motivata dall’argomentazione di
matrice einaudiana che il geddito derivante da un’imposta proporzionale sui titoli
pubblici troverebbe piena compensazione con le maggiori uscite per lo Stato per
interessi, derivanti da una piena traslazione dell’imposta dal sottoscrittore percosso
all’emittente inciso. Una completa traslazione è in realtà ipotesi poco realistica in
quanto, secondo quanto afferma anche Maria Cecilia Guerra
5
, gli stessi interessi
derivanti da titoli pubblici sono sottoposti ad un diverso regime fiscale se sono percepiti
da persone fisiche o giuridiche.
Una completa traslazione in capo all’investitore dell’eventuale onere fiscale
sarebbe possibile solo nel caso si tratti di un’imposta generale che gravasse tutte le
4
Reale O., Relazione del Ministro delle Finanze, in Delega Legislativa al Governo della Repubblica per la
Riforma Tributaria, Milano, Giuffrè, 1972.
5
Guerra Maria Cecilia, Imposte e mercati finanziari, Il Mulino, Bologna, 1989, pag. 111.
IMPOSTE PERSONALI E FINANZA DELLE IMPRESE 4
attività finanziarie con un’eguale aliquota proporzionale, ed in un mondo ove il
risparmio finanziario fosse assunto come dato e costante
6
.
1.2 Problemi di iniquità fiscale.
La tassazione delle attività finanziarie in capo alle persone, a causa del suo carattere di
proporzionalità, ha suscitato in Italia numerose critiche, in particolare per quanto
attiene le pericolose iniquità che introduce. Negli anni successivi alla Riforma, il
legislatore ha perseguito l’utilizzo della leva fiscale per finalità che trascendono i soli
obiettivi di geddito, discriminando il trattamento delle diverse attività finanziarie. Nella
seguente Tabella 1.1 sono riassunti i mutamenti apportati alle aliquote nel corso degli
anni dal 1974 al 1989.
Un trattamento differenziato delle attività finanziarie ha avuto però anche effetti
allocativi, perché favorisce gli impieghi meno tassati, e distributivi, perché favorisce il
soggetto emittente le attività meno tassate, che deve corrispondere interessi ad un tasso
inferiore rispetto agli emittenti delle attività più tassate.
Il sistema descritto è stato oggetto di numerose critiche
7
, perché favorirebbe
un’allocazione delle risorse finanziarie non efficiente, dato che i fondi dei risparmiatori
andrebbero indifferentemente indirizzati a finanziare progetti con un diverso grado di
produttività economica
8
.
6
Guerra Maria Cecilia [1989], pag. 29, cit., vedi nota 5 in questo capitolo.
7
Bittker Boris I., Equity, Efficiency, and Income Tax Theory: do Misallocations Drive out Inequities?, in Aaron
Boskin, The Economics of Taxation, The Brookings Institution, 1980, pagg. 23 e ss.
8
Si presume infatti che, essendo gli investimenti effettuati dagli emittenti attività finanziarie fiscalmente agevolate
caratterizzati da motivazioni non esclusivamente economiche ma anche politiche, la produttività economica di
questi sia mediamente inferiore a quella degli investimenti effettuati dagli emittenti attività finanziarie fiscalmente
non agevolate.
5ANNO TITOLI DI
STATO
DEPOSITI
E C/C
OBBLIG.
PRIVATE
OBBLIG.
IMP. FIN.
OBBLIG.
I.C.S
OBBLIG.
CONVER.
1974 0 15% 30% 20% 10% 15%
1975 0 15% 30% 20% 10% 15%
1976 0 16% 20% 20% 10% 10%
1977 0 16% 20% 20% 10% 10%
1978 0 18% 20% 20% 10% 10%
1979 0 20% 20% 20% 10% 10%
1980 0 20% 20% 20% 10% 10%
1981 0 20% 0 0 0 0
1982 0 21,6% 0 0 0 0
1983 0 21,6% 10% 10% 10% 10%
1984 0 25% 12,5% 12,5% 12,5% 12,5%
1985 0 25% 12,5% 12,5% 12,5% 12,5%
1986 6,25% 25% 12,5% 12,5% 12,5% 12,5%
1987 6,25% 25% 12,5% 12,5% 12,5% 12,5%
1988 12,5% 25-30% 12,5% 12,5% 12,5% 12,5%
1989 12,5% 25-30% 12,5% 12,5% 12,5% 12,5%
Tabella 1.1
È necessario comunque ricordare che l’analisi dell’equità orizzontale e verticale deve
essere condotta per i redditi da attività finanziarie secondo l’approccio dell’efficiency
analysis seguito da Boris Bittker, e non secondo la convenzionale analisi dell’equità.
Infatti, questa seconda modalità potrebbe falsare i giudizi sull’equità del
trattamento fiscale di due investitori che hanno percepito uguali interessi lordi, ma per
il primo di questi sono provenienti da attività esenti e diventano quindi interessi netti,
mentre per l’altro gli interessi sono sottoposti a tassazione, perché derivanti da attività
non esenti. Gli interessi netti percepiti sono diversi per i due investitori, anche se
IMPOSTE PERSONALI E FINANZA DELLE IMPRESE 6
entrambi avevano investito in attività free risk ed erano sottoposti alla stessa aliquota
d’imposta. L’apparente iniquità orizzontale che evidenzierebbe l’approccio
tradizionale, viene smentita dalla efficiency analysis, che mette in evidenza come, in
equilibrio, i due soggetti abbiano investito un diverso ammontare nelle due attività per
percepire lo stesso interesse lordo. Si presume infatti che il tasso di interesse offerto
dalle attività esenti sia inferiore di quello offerto da quelle tassate, e quindi la diversa
entità dei due investimenti rende inconfrontabili i due soggetti per poter avanzare ogni
valutazione sull’equità del sistema.
Infatti, la possibilità degli investitori di sottoscrivere attività diverse rende
possibili anche cambiamenti nella funzione di domanda aggregata per una attività che
venisse tassata con un’imposta speciale. La domanda per tale attività si riduce a
vantaggio della domanda per un’attività meno tassata anche diversa, purché
succedanea. Ciò favorisce una traslazione dell’imposta a svantaggio degli emittenti
l’attività tassata, che devono corrispondere interessi maggiori, e a vantaggio degli
emittenti l’attività meno tassata che, vedendo crescere la domanda per il loro “prodotto”
finanziario, potranno subire tassi passivi più bassi.
1.3 Altri effetti distorsivi dovuti alle imposte.
Oltre al precedente fenomeno, da tempo approfondito e studiato con il nome di
“traslazione obliqua di una imposta speciale”, che è causato da un trattamento fiscale
differenziato delle attività finanziarie emesse da emittenti diversi ma aventi il carattere
della succedaneità, vi sono anche altri effetti distorsivi causati dal trattamento fiscale
differenziato per i diversi sottoscrittori di attività finanziarie.
Il criterio generale per ipotizzare un equilibrio nel mercato è assumere che
attività finanziarie tassate in modo diverso abbiano rendimenti netti uguali per gli
7investitori, o che le eventuali differenze nei rendimenti siano giustificate da fattori non
fiscali quali durata, rischio, ecc.
Adottando la medesima metodologia di Schaefer
9
si supponga che esistano solo
due attività nel mercato finanziario. La prima offre un rendimento del 10% annuo lordo
(A), mentre la seconda offre il 12% annuo lordo (B). Vi sono due soli investitori 1 e 2,
che sono sottoposti rispettivamente ad aliquote d’imposta del 10% e del 30% sugli
interessi percepiti. Non si ipotizza alcuna forma di tassazione dei capital gain.
L’investitore 1 percepisce interessi netti di 9 e 10,8 rispettivamente dalle attività A e B,
mentre l’investitore 2 percepisce dalle stesse interessi netti di 7 e 8,4. Perché le due
attività A e B abbiano un uguale rendimento netto per lo stesso investitore è necessario
che:
per l’investitore 1:
P(A)= (100+9)/(1+R1)= 109/(1+R1) [1],
P(B)= (100+10,8)/(1+R1)= 110,8/(1+R1) [2].
Se il prezzo dell’attività A fosse maggiore di quello espresso dalla relazione [1], il
rendimento netto dell’attività B sarebbe maggiore di quello di A, cosicché l’investitore
1 inizierebbe a vendere attività A per acquistare attività B, il prezzo di A diminuirebbe
e quello di B crescerebbe finché non si raggiungesse un equilibrio tale da non rendere
più profittevole l’arbitraggio e da far valere contemporaneamente le due relazioni.
Una situazione analoga si presenterebbe nel caso in cui il prezzo di B si
discostasse da quello assegnato dalla relazione [2]. Il rapporto tra i prezzi delle due
attività dovrebbe pertanto essere:
IMPOSTE PERSONALI E FINANZA DELLE IMPRESE 8
109/(1+R1) 109 (1+R1)
P(A)/P(B) = = × = 0,984 [3].
110,9/(1+R1) (1+R1) 110,9
Ma nel mercato delle due attività è presente anche l’investitore 2, che ha ricevuto
interessi netti sulle due attività diversi da quelli ricevuti dall’investitore 1. Devono
pertanto valere per entrambi le due condizioni di equilibrio che non rendono più
profittevole l’arbitraggio. Quindi, anche per l’investitore 2:
P(A)= (100+7)/(1+R2)= 107/(1+R2) [4],
P(B)= (100+8,4)/(1+R2)= 108,4/(1+R2) [5].
È evidente che non è possibile che nello stesso mercato finanziario i prezzi rispettino
contemporaneamente le relazioni [1,2,4,5]. Infatti, se così fosse per l’investitore 2 si
configurerebbe un rapporto tra i prezzi di equilibrio dato dalla [6]:
107/(1+R2) 107 (1+R2)
P(A)/P(B) = = × = 0,987 [6].
108,4/(1/R2) (1+R2) 108,4
La [3] e la [6] non possono valere contemporaneamente nello stesso mercato, e se ne
valesse anche solo una, allora potrebbero manifestarsi fenomeni di arbitraggio che
porterebbero ad un equilibrio che necessariamente comporta una differenziazione del
rendimento netto delle due attività finanziarie A e B.
9
Schaefer S. M., Measuring a Tax Specific Term Structure of Interest Rates in the Market for British Government
Securities, Economic Journal, giugno 1981.
9Generalmente, l’arbitraggio fiscale nella sua forma più tradizionale consiste
nell’indebitarsi, godendo quindi della deduzione degli interessi passivi dall’imponibile,
allo scopo di sottoscrivere attività esenti di imposta o comunque fiscalmente agevolate
10
e realizzare un guadagno netto senza rischio da tale operazione. È necessario però
verificare se, in tale contesto, esistono dei vincoli all’arbitraggio fiscale che ne possono
limitare l’operare. Poiché la presenza di aliquote differenziate in base alle attività
finanziarie ed in base alle caratteristiche del precettore produce un continuo incentivo
agli arbitraggi, è infatti difficile pensare al raggiungimento di una qualunque forma di
equilibrio se non si considera l’intervento di eventuali vincoli a tali operazioni.
1.4 La progressività delle aliquote frena gli arbitraggi.
In genere nel mercato i prezzi subiscono degli aggiustamenti in base alle transazioni tra
gli operatori, che tendono a far crescere il prezzo delle attività meno tassate e più
richieste e a far decrescere quelli delle attività più vendute e tassate, fino a raggiungere
un certo equilibrio nei rapporti tra i rendimenti netti delle attività stesse.
Secondo Bailey
11
, la progressività dell’imposizione è un efficace deterrente a tali
operazioni.
10
I titoli di Stato italiani furono nel passato oggetto di operazioni di arbitraggio di questo tipo, perché offrivano
rendimenti completamente esenti da tassazione.Vedi la Tabella 1.1 in questo capitolo.
11
Bailey Martin J., Progressivity and Investment Yelds under U.S. Income Taxation, Journal of Political
Economy, vol. 82, n. 6, novembre-dicembre 1974.