Banche Centrali (SEBC) può utilizzare la nuova valuta per le operazioni di politica
monetaria, mentre i settori bancario e finanziario hanno immediatamente completato la
necessaria transizione (anche se in diverse situazioni viene temporaneamente
predisposta la doppia indicazione degli importi). Dal 1° luglio 2002 il corso legale delle
monete e delle banconote nazionali sarà abolito; infatti esse verranno definitivamente
sostituite da quelle in euro, che comunque circoleranno già dal 1° gennaio 2002.
La ricerca è impostata in una prospettiva di medio periodo; di conseguenza vengono
tralasciati gli effetti relativi allo scenario di breve termine, che presumibilmente sarà
caratterizzato da una maggiore volatilità imputabile alle incertezze iniziali (che
analizzeremo nel corso di questa tesi).
La struttura della ricerca prevede una prima parte dedicata alla valutazione generale
delle prospettive inerenti alla moneta unica europea. Nel capitolo primo vengono
esaminati i molteplici fattori che potranno essere determinanti nella definizione del
ruolo e del peso raggiungibili dall’euro in ambito internazionale: i “fundamentals”
complessivi delle economie partecipanti, le aspettative dei mercati, le scelte che
prevedibilmente indirizzeranno le politiche economiche dei Paesi membri. Nel capitolo
secondo viene analizzato il possibile utilizzo della nuova moneta a livello mondiale con
riferimento a tre funzioni fondamentali, e cioè mezzo di pagamento, riserva di valore e
valuta di denominazione per le attività finanziarie.
E’ evidente che ciascuna delle suddette tematiche richiederebbe uno specifico
approfondimento, data la notevole complessità delle variabili economiche e politiche
coinvolte nel processo di adeguamento al nuovo contesto. Pertanto vengono analizzati
in modo più approfondito alcuni aspetti inerenti l’impatto sui mercati obbligazionari
internazionali.
Quindi, la seconda parte della tesi verte specificatamente su tale tema, con
particolare riferimento al comparto del reddito fisso. Nel capitolo terzo viene delineata
la situazione attuale, che ovviamente costituisce lo scenario iniziale sul quale fondare
qualunque ipotesi previsionale, con riferimento al fattore dimensionale ed al livello di
efficienza delle strutture tecniche predisposte sui mercati europei ai fini di un rapido
adeguamento all’euro. Successivamente, nel capitolo quarto si evidenziano i possibili
effetti connessi ad una crescente integrazione tra i mercati, soprattutto in funzione della
maggiore liquidità che con ogni probabilità sarà disponibile nel sistema; inoltre vengono
ulteriormente specificate le aspettative per il segmento dei titoli obbligazionari,
distinguendo tra emissioni pubbliche e private. Al riguardo, l’aspetto principale è
costituito dalla forte competizione sovranazionale tra gli operatori del settore, sia
investitori che prenditori di fondi. Il capitolo quinto approfondisce l’analisi con
riferimento al mercato obbligazionario italiano; in particolare, si considerano le recenti
innovazioni tecniche (comprese quelle relative alle modalità per la conversione in euro
dei vari strumenti finanziari) che sono state realizzate nei diversi comparti, non soltanto
per evidenti necessità di adeguamento connesse alla moneta unica, ma anche al fine di
aumentare la competitività rispetto ai corrispondenti mercati degli altri Paesi
UME.
In diversi punti di questa ricerca è stato proposto un confronto diretto tra dollaro ed
euro, con riferimento a vari elementi di confronto. Lo yen, invece, ha ricevuto una
minore considerazione in rapporto alle suddette valute, anche se il suo peso relativo nel
sistema monetario internazionale è certamente di rilievo; tale scelta è motivata dalla
previsione − generalmente condivisa dagli autori dei testi consultati − di un equilibrio
valutario mondiale di tipo “bipolare”, caratterizzato dal netto predominio della divisa
statunitense e della nuova moneta europea (anche se quest’ultima potrebbe rimanere su
un piano secondario).
PARTE PRIMA
QUALI PROSPETTIVE PER L’EURO?
Capitolo 1 LE DETERMINANTI DEL POTERE D’ACQUISTO
ESTERNO DELL’EURO
La capacità di accrescere, o comunque di mantenere stabile, il proprio potere
d’acquisto esterno determina la “forza” di una moneta; a livello nazionale, invece, essa
risulta misurabile sulla base del tasso d’inflazione, al quale è inversamente correlata.
L’accezione più diffusa ed ampia di moneta “forte” è però quella che, in generale,
definisce come tale una valuta il cui tasso di cambio tende ad apprezzarsi nel tempo
rispetto alle altre valute, in conseguenza di fattori strutturali che agiscono a sostegno
della stessa. Con particolare riferimento alla moneta unica europea, gli elementi
rilevanti ai fini della determinazione del suo potere d’acquisto esterno sono:
• i ”fundamentals” reali e finanziari dell’UE a 11;
• i fattori contingenti connessi alle aspettative;
• le strategie di politica economica.
1.1)FUNDAMENTALS
Se consideriamo le attuali dimensioni complessive degli Stati partecipanti alla Terza
Fase dell’Unione Monetaria Europea in rapporto a quelle delle due maggiori economie
mondiali, cioè USA e Giappone, le prospettive per l’euro sono sicuramente favorevoli.
Innanzitutto è significativo il confronto tra i rispettivi PIL: quello dell’UE a 11
ammonta a 6.600 miliardi di dollari (8.400 miliardi se considerassimo l’UE a 15); il PIL
degli USA è pari a 8.500 miliardi di dollari, mentre quello giapponese corrisponde a
4.100 miliardi. Osserviamo anche che l’UE a 11 presenta una popolazione di 292
milioni di persone (375 milioni per l’UE a 15), maggiore rispetto a quella statunitense di
circa 30 milioni di unità; il Giappone ha invece 125 milioni di abitanti. Al fine di
puntualizzare maggiormente il confronto in questione, è utile riportare alcuni dati
relativi al peso specifico delle singole realtà considerate rispetto all’economia mondiale:
Tabella 1.1
INDICATORI ECONOMICI DI UNIONE EUROPEA, USA E GIAPPONE
Quota del PIL sul PIL Rapporto delle Riserve ufficiali in
OCSE complessivo (%) Esportazioni sul PIL(%) miliardi di dollari
1996 1996 Fine 1995
UE-15 38,3 10,2 349,8
USA 32,5 8,2 49,1
Giappone 20,5 9 172,4
Fonte: Commissione Europea.
Attraverso l’analisi di una singola economia sulla base dei suoi caratteri strutturali è
possibile ipotizzare scenari di lungo periodo. In sintesi, la capacità di svilupparsi in
condizioni di equilibrio interno ed esterno è misurata da “fundamentals” quali una
sostenuta crescita in termini reali, una bassa inflazione relativa ed una posizione attiva
sull’estero. Con riferimento a tali elementi, analizziamo rapidamente le condizioni di
partenza per l’UE a 11:
1.1.1)Crescita reale
Nel lungo periodo una crescita reale sostenuta in termini relativi riflette, per una data
economia, la strutturale capacità di competere con le altre utilizzando al meglio le
proprie risorse. Nella prospettiva dell’UE a 11 le possibilità di crescita dipendono in
primo luogo dalla riduzione delle rigidità nell’utilizzo dei fattori produttivi (rilevante
ostacolo per una maggiore competitività a livello globale) e, in secondo luogo, dal
progressivo assorbimento degli squilibri territoriali intraeuropei (che impediscono un
pieno ed efficiente utilizzo delle risorse), anche attraverso un incremento degli
investimenti. Alcuni tra questi aspetti saranno oggetto di approfondimenti successivi.
Tabella 1.2
CRESCITA ECONOMICA NELL’UE− 15 E NEGLI USA
(Percentuali sul proprio PIL)
UE-15 USA
1992 1.0 3.3
1993 -0.8 2.4
1994 2.5 3.3
1995 2.3 2.0
1996 1.6 2.4
Fonte: FMI, International Financial Statistics.
1.1.2)Inflazione
Sulla base delle tendenze più recenti manifestate dai Paesi dell’Unione Europea è
ipotizzabile che, fin dalla sua introduzione, l’euro esprimerà una bassa inflazione; tale
previsione è direttamente collegabile agli effetti derivanti dalla progressiva convergenza
delle singole economie comunitarie ai parametri di Maastricht, in particolare la
riduzione di alcune componenti strutturali di instabilità presenti nei Paesi
tradizionalmente soggetti a tensioni sui prezzi. Il severo controllo sulla dinamica dei
prezzi medesimi che, presumibilmente, verrà esercitato dalla Banca Centrale Europea
(BCE) dovrebbe garantire il consolidamento di tale scenario.
1.1.3)L’interscambio con l’estero
Il conto delle partite correnti registra il commercio in beni e servizi ed i pagamenti
per trasferimenti con riferimento alle transazioni dei residenti in un determinato Paese
con il resto del mondo. Da diversi anni l’area economica corrispondente all’UE a 11
beneficia di una posizione commerciale sull’estero tendenzialmente attiva; inoltre, in
rapporto al volume complessivo degli scambi internazionali, essa presenta un peso
analogo a quello degli Stati Uniti e nettamente maggiore di quello giapponese. In questo
ambito le posizioni relative delle tre maggiori economie a livello mondiale possono
essere riassunte come segue:
Tabella 1.3
PARTECIPAZIONE AL COMMERCIO INTERNAZIONALE
(Dati in miliardi di dollari ed in percentuale sul commercio mondiale)
UE-15 USA Giappone
Extra-UE Intra-UE
Importazioni 695 (14) 1195 (22) 898 (17) 397 (8)
Esportazioni 720 (14) 1223 (24) 750 (15) 466 (9)
Fonte: Commissione Europea (1995).
Se limitiamo il confronto a Stati Uniti ed Unione Europea, è evidente come i valori
dimensionali relativi alla posizione economica esterna favoriscano l’area che ha appena
adottato l’euro. Negli ultimi quindici anni l’economia statunitense ha registrato pesanti
deficit di partite correnti (a causa dei quali gli USA sono, in una certa misura,
vulnerabili a shocks esterni), mentre la sua posizione negativa negli investimenti
internazionali netti è attualmente pari a circa mille miliardi di dollari (il maggior
indebitamento nel mondo, con una crescita percentuale annua del 15-20%); peraltro,
tale debito è ancora contenuto se parametrato al PIL statunitense. Sotto entrambi i punti
di vista la posizione dell’UE risulta decisamente migliore rispetto a quella degli USA,
con un modesto surplus nelle partite correnti ed una posizione internazionale creditoria.
Tabella 1.4
EVOLUZIONE DELLE PARTITE CORRENTI
(Saldi in miliardi di dollari)
UE-15 USA
1992 -6,6 -61,4
1993 6,6 -99,7
1994 21,2 -147,8
1995 53,8 -148,2
1996 65,3 -165,0
Fonte: FMI, International Financial Statistics.
1.2)I FATTORI CONTINGENTI CONNESSI ALLE ASPETTATIVE
L’introduzione dell’euro segna un fondamentale punto di svolta nel sistema
monetario internazionale. Costituisce certamente il cambiamento di maggiore rilevanza
dal collasso del sistema basato sugli accordi di Bretton Woods (avvenuto nel 1971)
1
;
tuttavia è evidente che gli effetti della valuta unica europea sono ancora più
significativi: infatti l’euro, rappresentando una potenziale alternativa al dollaro sotto
ogni profilo (come vedremo), pone in discussione il ruolo della moneta statunitense
quale principale valuta di riferimento sullo scenario mondiale.
1.2.1)Le esperienze passate delle maggiori monete
Perché una valuta possa raggiungere una posizione dominante a livello mondiale
devono operare essenzialmente due fattori: la stabilità (bassa volatilità del cambio) della
moneta stessa e le dimensioni delle aree e delle transazioni in cui è utilizzata; in
particolare esiste una correlazione, comprovata storicamente, tra il fattore dimensionale
e lo status di valuta internazionale.
Quando, durante il secolo scorso, la Gran Bretagna ascese al ruolo di prima potenza
economica del mondo, la sterlina divenne la moneta dominante nel panorama
internazionale (grazie anche alla flessibilità della finanza inglese). In seguito, nel
periodo compreso tra i due conflitti mondiali, la debolezza e la crescente instabilità della
divisa inglese favorirono il dollaro (quando la supremazia economica degli USA a
livello mondiale era ormai netta ed indiscussa). Dopo la seconda guerra mondiale la
1
Per diversi decenni la configurazione del sistema monetario internazionale è rimasta sostanzialmente
inalterata: infatti il dollaro ha preservato la prerogativa, acquisita nei primi anni trenta, di principale
valuta a livello mondiale.
transizione è stata completata, ed il dollaro ha raggiunto una posizione di preminenza
senza pari nella storia monetaria. R. Mundell (1998) sottolinea che la sostituzione della
sterlina con la valuta statunitense si realizzò in via definitiva alcuni decenni dopo la fase
in cui gli USA avevano sopravanzato l’Inghilterra in termini di produzione e ricchezza
nazionali.
Prima del 1999, le principali monete di rilievo internazionale sono state quelle
emesse dai Paesi di maggior peso economico (cioè quelli valutabili come tali sulla base
di criteri complessivamente riassumibili nel confronto dei “fundamentals”; vedi il
punto 1.1), dunque USA, Giappone e Germania.
Per comprendere interamente il ruolo che l’euro può assumere nel contesto
internazionale, è necessario tenere in considerazione i notevoli cambiamenti verificatisi
dal 1945 ad oggi. Nei primi anni successivi alla conclusione della guerra, in un mondo
instabile e largamente devastato, un sistema basato sul dollaro era sostanzialmente
inevitabile. Ma se oggi valutiamo la situazione degli Stati Uniti, constatiamo che essi
vantano un peso sul PIL mondiale minore rispetto ad allora; dispongono di riserve nette
progressivamente diminuite nel tempo; sono tra i principali importatori di capitali, ma
anche i maggiori debitori a livello internazionale (posizione aggravata da un pesante
deficit commerciale). Analogamente a quanto accadde alla sterlina inglese, l’uso del
dollaro è andato oltre la sua effettiva utilità: ciò potrebbe rendere insostenibile la sua
posizione quale valuta internazionale preponderante.
1.2.2)Gli elementi di incertezza
L’Unione monetaria intensificherà il processo di consolidamento sul mercato unico
europeo. Infatti verranno ridotte (fino alla definitiva eliminazione) le barriere a difesa
delle produzioni e dei mercati nazionali, ed a tale fenomeno conseguirà una maggiore
pressione competitiva per le imprese; in particolare, i Paesi partecipanti all’UME hanno
deciso di competere liberamente tra loro sulla base della qualità dei loro prodotti e della
produttività delle rispettive risorse lavorative, ma non attraverso il tasso di cambio. Da
queste scelte il processo di progressiva convergenza tra le strutture produttive nazionali
trarrà nuovo impulso.
Tuttavia, ciò che suscita le maggiori perplessità circa le possibilità di successo per
l’UME − nel lungo periodo − è una serie di fattori legati proprio alla costruzione di una
“area valutaria ottimale”
2
in corrispondenza dell’UE a 11. Il conseguimento di tale
obiettivo consentirebbe di disperdere qualsiasi shock automaticamente e con risultati
efficienti. Invece, le implicazioni di una unione monetaria tra Paesi che risultino
disomogenei in termini di struttura produttiva ed infrastrutture pubbliche sono molto
pericolose: il rischio è rappresentato dalla possibile polarizzazione delle aree ricche
rispetto a quelle meno efficienti, che verrebbero totalmente esposte alla competizione di
mercato.
Esistono diversi elementi di incertezza che fanno propendere per la tesi secondo la
quale difficilmente gli Stati INs perverranno ad una sostanziale omogeneità tra le loro
situazioni economiche e finanziarie, perlomeno nel breve periodo. In particolare:
⇒La rinuncia alla propria moneta nazionale comporta, per ogni Paese, la perdita di un
basilare strumento di politica economica, cioè il potere di gestire autonomamente la
politica monetaria; di conseguenza viene eliminata la possibilità di svalutare il cambio
al fine di recuperare competitività sui mercati internazionali, ad esempio in seguito a
shocks asimmetrici. Comunque, con l’Unione monetaria l’incidenza di tali disturbi
negativi potrebbe diminuire: la completa rimozione degli ostacoli ai flussi commerciali
fra i Paesi partecipanti dovrebbe infatti accentuare la natura interna di questi scambi, per
cui eventuali shocks esogeni avrebbero effetti soltanto di carattere settoriale.
In ogni caso, è importante osservare come la manovra sul cambio non sia in grado di
correggere gli svantaggi competitivi strutturali di un Paese; infatti una svalutazione non
aumenta stabilmente la competitività di un sistema economico nazionale, a meno che
non venga contemporaneamente annullato il suo impatto inflazionistico attraverso
adeguate politiche monetarie, fiscali e dei redditi.
In generale, gli Stati membri non possono dimenticare che l’esigenza di definire
meccanismi di aggiustamento alternativi al ricorso a politiche monetarie autonome
(come la svalutazione del cambio) è tanto più forte quanto maggiori sono le divergenze
tra le economie reali dei Paesi aderenti ad un’unione monetaria. Di conseguenza, una
crescente integrazione a livello continentale può compensare il costo che gli Stati UE
hanno sostenuto rinunciando ad alcune competenze tipicamente nazionali.
2
L’Unione Europea a 15 presenta tuttora divergenze tali da impedire che venga considerata come il