MILMAN PARRY
Oakland, California, 1902-Los Angeles, California, 1935.
Studioso e grecista, fu insegnante alla Harvard University dal 1929 fino
alla sua morte.
Diede un contributo importante nello studio della questione omerica, la
composizione orale e la metrica epica.
Nel 1928, l’incontro con lo slavista Matija Murko (1861-1952) sviluppò il
suo interesse verso le analogie tra i racconti omerici e la diffusione della
poesia epica orale presso gli slavi meridionali.
Milman Parry compì due viaggi in Jugoslavia con il suo assistente Albert
Lord, il quale devorrà tutta la sua vita a trascrivere e preservare gli scritti
e studi del suo maestro, morto improvvisamente per un colpo di arma da
fuoco autoinflittosi per errore.
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1.1 La questione omerica e Milman Parry
Quando prendiamo in considerazione Iliade e Odissea, sulla copertina dei libri troviamo scritto, sopra
questi titoli, il nome del loro autore: Omero.
Possiamo di conseguenza affermare che Omero sia l’autore di questi testi non meno che Mary Shelley
sia l’autrice di Frankensein, o Michail Bulgakov di Il maestro e Margherita, e così via.
Milman Parry ci dimostra precisamente che il percorso di creazione dell’Iliade e dell’Odissea è stato il
prodotto di un processo completamente diverso rispetto al lavoro di questi autori.
Indubbiamente è un pensiero che suscita un certo fascino quello che cerca di convincerci che questi ca-
polavori siano stati creati come lo sono stati i libri della tradizione letteraria. Con le sue ricerche, Mil-
man Parry rivoluziona questa convinzione, presentando forti argomentazioni a sostegno della sua tesi.
Si è sempre saputo poco di Omero, la sua figura viene tratteggiata sommariamente, ha confini e tempi
imprecisi e porta da secoli con sè una forte contraddizione e un velato mistero.
Non si sa nulla che non sia leggenda, la storia non ci ha lasciato alcuna traccia di lui.
È difficile anche attribuirgli una data di nascita, si ipotizza che sia vissuto attorno al X e il VII secolo
a.C., ma nessuno ne ha certezza.
Anche i suoi natali non sono certi, anzi, ben sette città antiche se li contendevano: Smirne, Chio, Cuma
Eolica, Pilo, Itaca, Argo, Atene.
Ciò che non possiamo negare è che i poemi Iliade e Odissea sono oggi considerati i sommi portavoci dei
valori greci, nonchè il patrimonio letterario più antico dell’identità europea.
Omero è il nostro mistero, il nostro cantore di storie. Un aedo che girava di città in città, come i tanti
altri cantori della tradizione epica orale antica.
Quando negli anni ‘30 Milman Parry inizia la sua ricerca, la necessità principale era avere una maggio-
re conoscenza del modo in cui questi poemi sono stati composti. Parry non ha mai avuto l’interesse di
analizzare le storie o i contenuti, quanto la loro forma e origine.
Con la profonda convinzione che si trattasse di testi composti oralmente, Milman Parry e il suo assi-
stente Albert Lord si recano nell’allora Jugoslavia, dove vi era ancora una forte tradizione orale di can-
tori di storie e poemi antichi.
Analfabeti, appartenenti a classi sociali diverse, cantavano poemi accompagnati dalla “gusle”, uno stru-
mento a una corda sola tipico della tradizione balcanica, mantenendo in vita l’unica forma di cultura
conosciuta: quella orale.
Per il poeta orale il momento della composizione è nella performance. Sono attimi dello stesso momen-
to: una composizione non nasce per essere cantata, ma nel momento del canto.
Con questa premessa, non si possono non considerare le circostanze in cui avviene la creazione. In Ju-
goslavia, i cantori riuniscono attorno a sè gran parte della popolazione di uomini adulti.
L’appuntamento avviene tra le case dei villaggi, dove canteranno a persone che arrivano tardi perché
stavano lavorando, che chiacchierano tra loro per raccontarsi le ultime novità, che vanno via presto per-
ché abitano lontano, e magari si fa buio.
Così nelle piazze del mercato, dove poter guadagnare del cibo e qualche moneta, nelle feste di matri-
monio, durante il Ramadan per i musulmani.
In particolare durante quest’ultima ricorrenza, che dura un mese, i cantori hanno la possibilità di attin-
gere dal loro repertorio di canzoni più lunghe. Questa ricorrenza incoraggia anche i cantori più esper-
ti a sviluppare un repertorio di trenta canzoni, una per ogni giorno.
L’imprevedibilità del pubblico del cantore fa anche in modo che egli debba prestare attenzione a man-
tenerlo attento, riuscire a cantare la canzone fino alla fine, e magari allungarla se ha suscitato interes-
se. Al contrario, con un pubblico poco recettivo potrà decidere di ridurla e accorciarla, ma anche non
finirla.
Questa è anche la ragione per cui, negli studi di Parry, viene messo in luce il fatto che una canzone can-
tata dallo stesso poeta spesso ha finali differenti, determinati ogni volta dal pubblico che ha di fronte.
In una società analfabeta, la tradizione orale fiorisce, l’arte della narrazione è tenuta in vita da persone
che decidono di diventare cantori.
Si possono individuare tre fasi della loro formazione, che inizia a circa 15 anni: durante la prima, il fu-
turo cantore siede di fianco ad un altro cantore, imparando le sue canzoni. Successivamente inizia a
cantare, acquisendo il ritmo e la melodia e imparando il pattern ritmico, in Jugoslavia composto da un
verso di dieci sillabe.
Teniamo a mente che i cantori, non conoscendo la scrittura, ragionano a gruppi di suoni, e spesso non
sanno dare la definizione di “parola” o “verso”.
Il poeta può inoltre servirsi di formule fissate nella tradizione orale, memorizzandole grazie al loro fre-
quente utilizzo. In questo caso, si impara grazie all’imitazione del proprio maestro, o di altri cantori.
La seconda fase si conclude quando il cantore sarà in grado di cantare una canzone per intero davan-
ti a un pubblico.
L’accrescimento del repertorio e la maggiore competenza del cantore si sviluppano nella terza fase, in
cui il poeta si esercita nelle canzoni già memorizzate, e conclude da sè quelle imparate a metà o solo in
parte, migliorando la propria padronanza di formule e linguaggio, e così la propria arte.
I cantori attraverso questo processo diventano importanti figure per la conservazione della tradizione
tramite la sua costante ri-creazione. Le canzoni cambiano nella voce di ogni singolo cantore, si allun-
gano o diventano più corte, vengono cambiate parole oppure arricchite abbondantemente, ma la sto-
ria verrà portata avanti.
La formula utilizzata per aiutare la creazione e memorizzazione dei poemi può essere definita come
un gruppo di parole che seguono le stesse regole metriche per esprimere una determinata idea. Aiuta a
conciliare i pensieri con le parole cantate.
Una parola inizia a trascinarne un’altra per il suo suono, prendendo parte nella creazione della canzo-
ne attraverso parallelismi e bilanciamenti di suoni e accenti.
Il cantore non ha bisogno di memorizzare queste formule, come noi non abbiamo dovuto studiare le pa-
role che ricorrono più frequentemente nel nostro linguaggio. Queste vengono assimilate inconsciamen-
te grazie al loro utilizzo, al loro ascolto. Una volta memorizzato lo schema metrico da seguire, si tratta
di sostituire le parole al suo interno, senza effettuare così una mera ripetizione della canzone imparata
tale e quale dopo averla ascoltata, ma ricostruendola attraverso il proprio linguaggio. In questo non vi
è una ricerca di originalità o finezza di espressione, ma solamente la narrazione rapida durante un mo-
mento di performance.
Durante la sua ricerca, Parry ha appurato che la canzone più lunga cantata era composta da 12000 versi.
Questo comporta un insieme di formule ascoltate o inventate, e la loro continua composizione e scom-
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posizione. La necessità di avere un verso pronto inizia ancor prima che il verso precedente si sia con-
cluso.
Ogni cantore attinge da materiali della tradizione, ma non ci saranno mai due cantori che usano lo stes-
so materiale nello stesso modo.
La costruzione di una canzone deriva dall’unione di temi presi dall’ascolto della stessa cantata dal pro-
prio maestro, poi cantata da altri cantori, e infine da elementi che aggiunge. In questo modo un tema
cresce e si sviluppa, arricchendosi tramite l’aggiunta di dettagli e ornamenti.
Nonostante i temi di una canzone si susseguono in un ritmo che dà vita a una canzone completa, i sin-
goli temi hanno una unità propria indipendente, fondamentale per se stessi e per l’unità della canzo-
ne intera.
Il cantore impara i temi basici di una canzone e il loro ordine, tenendo in mente con quale iniziare e
quale fare seguire, portando avanti la storia che si vuole narrare e facendo accadere episodi che lo ac-
compagnano verso una determinata direzione. Spesso un tema ne porta per necessità con sè un altro,
alimentando la conservazione della tradizione tramite una tensione nascosta di forze che tengono cer-
ti argomenti legati tra loro
La tradizione è così in mano al cantore, che ne è parte tanto quanto lo sono le canzoni che canta.
Parlando dei cambiamenti che subiscono le canzoni da un cantore all’altro, è importante sottolineare
come noi ne siamo più consci del cantore stesso, perché abbiamo la testimonianza fissata di una regi-
strazione o di un testo. Per noi le parole sono un concetto che può essere fissato, per i cantori della tra-
dizione orale l’idea di stabilità, a cui sono particolarmente devoti, non include le parole.
Le canzoni cambiano, non solo da cantore a cantore ma anche in diverse fasi della vita di uno stesso. La
nostra difficoltà deriva dalla nostra non abitudine a pensare in termini di fluidità, nel possedere qual-
cosa di multiforme. Troviamo necessario creare un testo fissato, una base, un originale. Nella tradizio-
ne orale, ogni performance dei cantori è l’originale, rendendo impossibile risalire alla forma della pri-
ma composizione.
Il nostro concetto di originale è semplicemente illogico in una tradizione completamente orale. Per lo
stesso motivo, non possiamo parlare di varianti, non avendo un originale da variare, nè di autori. Ogni
performance è unica, e può avere solo un autore: colui che la canta.
I cambiamenti che abbiamo visto possono essere nell’elaborazione o semplificazione di passaggi della
canzone, cambiamento dell’ordine dei temi, ma anche nella sostituzione di un elemento con uno simile.
I finali delle storie sono la parte più instabile, questo perché, come accennato precedentemente, non
sempre il cantore arriva a concludere la propria canzone.
Generalmente, la storia è più importante dell’eroe a cui è associata, o almeno in gran parte delle canzo-
ni. Non troviamo connessioni specifiche con un eroe, quanto più con una tipologia di eroe.
Classificando le canzoni per argomento, Parry individua i temi ricorrenti: matrimoni, salvataggi, con-
quista di città, ritorni. La sua ricerca è molto approfondita a riguardo poiché la loro similitudine con i
temi omerici è lampante, e questo viene provato dall’analisi del tema del ritorno. Generalmente Parry
individua momenti molto precisi in queste storie: travestimento, inganno, riconoscimento, tutti pre-
senti nell’Odissea.
L’arte della narrazione viene perfezionata molto prima dell’avvento della scrittura, medium nel quale i
cantori non vedevano le possibilità che conosciamo noi.
La scrittura comunque entra nelle loro vite, precisamente nel momento in cui una persona alfabetizzata
gli chiede di cantare le proprie canzoni per trascriverle. La performance con questo scopo diventa qual-
cosa di diverso rispetto alle altre. Il cantore doveva fermarsi ogni tot versi per permettere la trascrizio-
ne di quanto appena cantato. Questo risultava particolarmente difficile per la sua abitudine a pensare
rapidamente alla composizione della canzone durante il suo canto. La rapidità del processo di compo-
sizione fa pensare a Parry che probabilmente solo una piccola parte di canzoni viene trascritta utiliz-
zando questo metodo, essendo anche quasi impossibile chiedere a un cantore di ripetere la performan-
ce più volte a fini della trascrizione, essendo mutevole.
È normale aspettarsi invece che al cantore venisse chiesto di dettare la propria canzone senza cantarla,
fermandosi dopo ogni verso per lasciare il tempo di trascriverlo.
Detto ciò, il metodo di performance varia comunque notevolmente, riflettendosi sul testo in versi più
rigidi e meno articolati.
Inoltre, ragionando i cantori tramite suoni, risultava per loro difficile riconoscere quando un verso fi-
nisce, e quando inizia quello successivo.
Ma da quel momento in poi, viene stabilito un testo fisso, dando alla luce un “originale”.
Al cantore questo non faceva alcuna differenza, continuando il proprio mestiere come lo aveva sem-
pre svolto.
La diffusione della scrittura tuttavia porta il cantore ad avere a che fare con un pubblico lettore, che
domanderà temi nuovi o modifiche alle canzoni passate. Questo gli permette di potersi prendere più
tempo per cantare canzoni più lunghe, aggiungendo temi e dettagli.
L’effetto di questo cambiamento sui nuovi cantori era che questi avevano ora un originale da memoriz-
zare alla perfezione. Pur riuscendo ad apprendere tramite l’ascolto dei loro maestri, la memorizzazio-
ne dai libri influenza le loro canzoni, radicando l’idea che anche le canzoni imparate oralmente non do-
vessero subire alcuna modifica.
La tradizione orale non viene tramutata in tradizione scritta, ma viene messa da parte piano piano, fino
a scomparire.
Una delle difficoltà nella comprensione del passaggio da una tradizione orale a una scritta è il fatto che
noi diamo per scontato che un documento scritto sia sempre di valore più alto rispetto a una testimo-
nianza orale. Questo senza pensare che si tratta di due tradizioni completamente diverse.
Per questo motivo Parry sostiene che i poemi omerici non sono potuti essere formati durante questo pe-
riodo di transizione, ma devono appartenere al momento in cui la narrazione era pura oralità.
Il modo in cui le canzoni della tradizione epica orale sono trasmesse lascia una traccia evidente nella
loro costruzione, facendo sì che Parry riuscisse a determinare che Omero dovesse essere un cantore del-
la tradizione orale.
Le formule utilizzate nell’Iliade e nell’Odissea sono così perfette che pare assurdo pensare siano sta-
te ottenute senza l’ausilio della scrittura, ma dalla rapidità della narrazione. Ma la loro riconoscibilità
rende assolutamente certa la loro provenienza dalla tradizione puramente orale. Di conseguenza il me-
todo di trascrizione doveva essere stato tramite dettatura, e non della trascrizione di una performance.
Uno dei metodi per comprendere se un poema deriva dalla tradizione orale è quello della ricerca della
ripetizione di un tema, sia preso all’interno dello stesso poema sia nella tradizione.
Oltre al tema del ritorno, già identificato, è molto diffuso quello dell’assemblea, utilizzato molto nell’I-
liade e Odissea.
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Omero dunque doveva essere un cantore ben radicato nella tradizione orale, tanto da diventarne il pi-
lastro, la parte più affascinante che conosciamo.
Nella tradizione moderna è stato commesso il grande errore di volerlo analizzare secondo i nostri ter-
mini, cercando un’unità che per l’oralità è impossibile avere, ed è irrilevante.
L’eredità che abbiamo ci permette di capire che Omero era un cantore tra gli altri cantori, e tra questi
il migliore.
Per avere questa eccezionale bravura, il suo repertorio doveva essere molto vasto, e sicuramente doveva
aver cantato le sue canzoni molte volte, imparandole dalla generazione di cantori prima di lui.
Questo rende l’Iliade e l’Odissea dei testi letterari fissati, mentre il racconto di Achille e di Odisseo del-
le canzoni della tradizione orale.
Non saremo mai in grado di sapere chi li ha cantati per primo, e la loro forma iniziale, ma sono sicura-
mente appartenuti alla tradizione molto prima che Omero li cantasse, mutando continuamente fino a
raggiungere la forma che conosciamo noi, e continuando a cambiare negli anni successivi.
Parlare di diversi autori sarebbe come sminuire il ruolo non solo di Omero ma di ogni cantore della sto-
ria della cultura orale.
Non ci è chiaro come mai ci fosse stata la necessità di trascrivere questi due poemi, ma sicuramente
non è stato desiderio di Omero, poiché nessun poeta della cultura orale pensa che le sue canzoni vada-
no perse, o che siano una versione più importante di altre, essendo in continuo mutamento anche nel-
le loro diverse performance.
Tra il XIII e il VII secolo a.C, il sovrano Sargon II fonda a Ninive una biblioteca, e sotto di lui l’impe-
ro assiro fu al massimo dello splendore. La biblioteca ospitava una collezione di tavolette d’argilla in-
cise con iscrizioni cuneiformi. Queste tavolette contenevano testi di diversi generi, tra cui letteratura
epica, poesia, mitologia, testi religiosi, leggi, trattati scientifici e amministrativi, trascritti in varie lin-
gue e risalenti fino al 2000 a.C.
Lo studio di Milman Parry e Albert Lord suggerisce che l’idea di trascrivere i testi omerici deriva
dall’osservazione della nascita di questi fenomeni di preservazione del sapere.
Il trascrittore di Omero stava facendo in Grecia ciò che gli scribi sumeri avevano già fatto tempo pri-
ma per il loro popolo.
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