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Introduzione
Il presente elaborato si propone di esaminare il tema della maschilità tramite un’analisi
approfondita dei principali mutamenti delle identità maschili. La scelta di affrontare
questa tematica deriva da un particolare interesse emerso durante il corso “Culture,
Differenze e Conflitti” tenuto dalla professoressa Leccardi, in cui sono stati presentati i
saggi di Michael Kimmel e Sandro Bellassai – riguardanti la maschilità – i quali mi hanno
permesso di avere un primo approccio con l’argomento in questione. Spinta dalla
curiosità, ho deciso di approfondire maggiormente il tema. Partendo da un’ampia
riflessione sulla costruzione sociale del genere, ho poi analizzato i principali studi e
cambiamenti nel mondo maschile fino ai giorni nostri, concludendo con l’evoluzione e
l’affermazione del concetto di omosessualità e omofobia.
Negli ultimi cinquant’anni, nell’opinione comune, domina l’idea secondo cui esistono
e continuano ad essere condotti numerosi studi e riflessioni riguardanti il mondo
femminile, lasciando invece quello maschile nel silenzio, impedendo così l’analisi e la
comprensione di pensieri ed emozioni degli uomini. Dunque, se è valido l’assunto
secondo cui la società è rappresentata e dominata dal genere maschile, allora emerge una
notevole contraddizione nel momento in cui su di essi non si hanno studi rilevanti. Tenuto
conto, in particolare, dei diversi mutamenti che hanno subito le identità maschili dalla
seconda metà del Novecento ad oggi. In Italia, va segnalato, solo negli ultimi due decenni
iniziano a diffondersi riflessioni sulla maschilità (nei paesi di area anglosassone questo
è accaduto almeno un decennio prima). Il concetto di maschilità può essere interpretato,
secondo una definizione approssimativa, come “ciò che si intende per «uomo» in un
determinato contesto storico-culturale” (Bellassai, 2004, p. 8). Le trasformazioni della
maschilità risultano essere sempre intrecciate con quelle riguardanti il genere femminile.
È ben noto che, oggi come allora, gli uomini nelle società occidentali – e non solo –
ricoprono una posizione di supremazia nelle sfere della politica, dell’economia e della
morale, i cui meccanismi interni risultano essere più funzionali alle esigenze degli
uomini che a quelle delle donne.
In molti paesi – soprattutto in Italia – a partire dagli anni ’50, inizia un lento declino
dei valori patriarcali dovuto all’espansione della cultura di massa e soprattutto al
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crescente protagonismo delle donne nella sfera civile, politica, famigliare e lavorativa. Il
risultato è stato un lento, ma decisivo, tramonto dell’ideale virile che aveva caratterizzato
ancora il primo Novecento. L’uomo diventa gradualmente “meno uomo”, assumendo
sempre più qualità generalmente associate agli esseri umani quali sensibilità ed
emotività. Nel mondo attuale dimensioni ed esperienze come l’estetica e la cura per il
proprio corpo, in passato riservate alle donne, si estendono anche alla popolazione
maschile, fornendo così un’immagine pubblica insolita degli uomini.
Nel primo capitolo analizzerò la questione del genere e della sua costruzione sulla base
della proposta concettuale avvenuta nel corso degli anni Settanta del secolo scorso.
Grazie al contributo di diversi studiosi, tra cui l’antropologa americana Gayle Rubin, è
stato introdotto ufficialmente il concetto di genere nel dibattito scientifico e politico
giungendo ad una chiara distinzione tra il concetto di sesso e quello di genere. Proseguirò
presentando le riflessioni di numerosi autori interessati a mostrare ed approfondire il
collegamento tra la nozione di genere e quella di ruolo sessuale. Infine, affronterò il tema
della socializzazione agli stereotipi di genere, la quale, ancora oggi, permette a uomini e
donne di interiorizzare e apprendere le aspettative della società associate al loro sesso
tramite agenzie di socializzazione come la famiglia, la scuola e i media.
Nel secondo capitolo dedicherò la parte iniziale ad un breve approfondimento dei primi
studi riguardanti la maschilità (Men’s Studies) e alle principali forme di maschilità
individuate e descritte dallo studioso australiano Robert Connell. Farò poi un rapido
excursus storico in modo tale da approfondire i principali fattori che hanno permesso alla
maschilità di cambiare nel tempo. Essendo un contesto molto ampio, ho deciso di
focalizzare la mia attenzione su due grandi fasi di crisi e mutamento dell’identità
maschile nella cultura occidentale: il periodo fra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra
mondiale e quello fra gli anni ’50 e ’70 del XX secolo.
Infine, introdurrò il terzo capitolo esponendo la fase di rifiuto dei tradizionali ruoli di
genere da parte delle donne iniziata negli anni ’70, con la conseguente preoccupazione
degli uomini dovuta alla messa in discussione della propria egemonia sociale.
Focalizzerò poi la mia attenzione sul tema dell’omosessualità, legato a preconcetti e
stereotipi ampiamente dibattuti ancora oggi così come in passato. Concluderò con una
riflessione riguardante una doppia interpretazione del concetto di omofobia.
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Capitolo 1
Il genere e la sua costruzione
1.1 Alle radici del genere
Il concetto di genere e gli studi sulla condizione maschile si sviluppano nel corso degli
anni Settanta del secolo scorso, prima negli Stati Uniti e successivamente in Europa. I
termini “genere” e “sesso” sono usati spesso come sinonimi, ma rimandano a concetti
differenti.
Ann Oakley fu la prima sociologa a proporre, nel 1972, una riflessione su sesso e
genere, sostenendo che le differenze tra i sessi non sono l’esito di qualche determinismo
biologico, ma di condizionamenti sociali che, in base al contesto, costruiscono i ruoli di
genere maschili e femminili. Qualche anno dopo, nel 1975, l’antropologa americana
Gayle Rubin, nel suo saggio “The Traffic in Women: Notes on the “Political Economy”
of Sex” (Rubin, 1975), introduce ufficialmente il concetto di genere nel dibattito
scientifico e politico, inglobandolo nell’espressione sex-gender system, che definisce
“l’insieme dei processi, adattamenti, modalità di comportamento e di rapporti, con i
quali ogni società trasforma la sessualità biologica in prodotti dell’attività umana e
organizza la divisione dei compiti tra gli uomini e le donne, differenziandoli l’uno
dall’altro: creando, appunto, il «genere»” (Piccone Stella e Saraceno, 1996, p. 7).
L’autrice, in questo suo saggio che richiama le teorie dell’antropologia culturale e la
psicoanalisi freudiana, afferma che indagare circa l’origine della subordinazione delle
donne può indirizzare la nostra visione del futuro e determinare se è reale o meno
auspicare a una società fondata sull’uguaglianza tra i sessi. Dunque, l’antropologa
afferma che, le disuguaglianze tra uomini e donne non sono la conseguenza “naturale”
dei loro corpi, ma derivano da specifiche costruzioni sociali e culturali.
Appare ora più chiara, quindi, la distinzione tra sesso e genere. Il sesso è il dato
biologico, eterno e immutabile, e circoscrive l’insieme di caratteristiche fisiologiche e
riproduttive, che distinguono i maschi dalle femmine; invece, il genere coincide con
l’organizzazione sociale di questa differenza sessuale, infatti, le società, partendo dalle
differenze tra maschile e femminile, hanno creato la propria organizzazione sociale e
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culturale. La società in cui oggi viviamo si fonda su un ordine di genere “inteso come
un sistema di pratiche simboliche e materiali attraverso cui gli individui in una società
costruiscono e legittimano rapporti impari di potere tra uomini e donne” (Gamberi et
al. 2010, p. 19).
Si diventa uomini e donne nel corso di un lungo processo di apprendimento sociale,
e i contrassegni dell’appartenenza a una determinata categoria sessuale sono, almeno in
parte, l’esito di un insieme di fattori culturali, di tempo, di luogo e di dinamiche
interattive.
Il genere, inoltre, può essere considerato come un modo di classificare: distingue e
assegna un nome al modo sessuato con il quale gli esseri umani si presentano nel
mondo. La nascita del concetto deriva da un equivoco iniziale “secondo il quale
“genere” è un termine con cui le donne hanno scelto di classificare sé stesse in quanto
esseri sociali” (Piccone Stella e Saraceno, 1996, p. 8). Proprio le donne si sono mostrate
motivate e interessate a consolidare e incentivare l’uso di questo termine nella
quotidianità, il quale avrebbe sostituito la vecchia dizione “condizione femminile”.
Inoltre possiamo dire che questo concetto implica reciprocità e include uomini e donne,
maschile e femminile e le varie interazioni e modi con cui questi due tipi umani
interiorizzano e modificano il rapporto tra loro e con il mondo. A riguardo, possiamo
definire il concetto di “identità di genere”, il quale fa riferimento alla percezione
sessuata che abbiamo di noi stessi e del nostro comportamento, che abbiamo acquisito
tramite l’esperienza personale e collettiva e che ci rende capaci di relazionarci con gli
altri individui. “In altre parole, è il riconoscimento delle implicazioni della propria
appartenenza a un sesso in termini di sviluppo di atteggiamenti, comportamenti,
desideri più o meno conformi alle aspettative culturali e sociali” (Ruspini, 2016, p. 18).
Lo sviluppo dell’identità di genere è fortemente legato e vincolato alla naturale
bipolarità sessuale dell’essere umano, ovvero alle diverse caratteristiche dei corpi
femminili e di quelli maschili; nonostante ciò, però, non è immutabile, infatti può
volgersi in un senso di appartenenza al genere maschile, femminile o a peculiari
sfumature tra i due generi sessuali.
Un tentativo più remoto di spiegare la costruzione del genere fu realizzata dalla
psicologia del profondo, ideata all’inizio del secolo dallo specialista viennese del
sistema nervoso Sigmund Freud, il quale si convinse che l’origine di molti dei problemi